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Ten Pounds

Summary:

Harry si ferma all’incrocio tra Mangolia Crescent e Privet Drive.
Nessun Dudley in vista.
In quel silenzio, con solo il frinire dei grilli e delle cicale di sottofondo, sentirebbe subito il ticchettio delle costose bici da corsa dei suoi amici.
Non ha voglia di tornare a casa, dove zio Vernon gli impedisce perfino di ascoltare il notiziario, la Gazzetta non gli porta nessuna notizia e il mondo continua a fingere che Cedric non sia morto e Voldemort non sia risorto dalla tomba.

Chapter 1: Ten Pounds

Chapter Text

Harry fissa le sue scarpe nuove.
Sono scarpe comprate con soldi Babbani, gli unici soldi a cui abbia accesso al momento.
Harry le ha guadagnate quelle 'Converse'. 

Niente a che vedere con le costose scarpe sfoggiate da Dudley, ma almeno quelle non lasciano passare l'acqua a causa dei buchi. Non ancora, almeno.

Privet Drive é stretta nella morsa del caldo, é un'estate soffocante e densa di borbottii di televisione, costellata di prati rinsecchiti a causa del razionamento dell'acqua. 

Quel clima ha qualcosa di sfacciato, grida che il mondo continua a girare come sempre. Per lo meno quel mondo non sa nulla nella morte di Cedric, del ritorno di Voldemort, di un cimitero dalle tombe puzzolenti di umidità, di Mangiamorte riuniti in un cerchio nero.

Anche ad Harry piacerebbe pensare che si tratti solo di un brutto sogno. Sarebbe facile crederlo sotto quel sole accecante, di fronte al prato inaridito del vicino. Ma Cedric Diggory é morto davvero per mano di Voldemort e soprattutto, Voldemort é davvero risorto.

Harry scalcia via un sassolino e prosegue in direzione di Mangolia Crescent mentre le ombre degli alberi si allungano sotto i suoi passi. Sono le cinque passate, non ha ancora avvistato suo cugino ed il sole come sempre ci mette un'eternità a scendere sotto la linea dell'orizzonte.
Harry sente la maglietta appiccicarsi alle spalle mentre cammina con le mani affondate nelle tasche dei vecchi jeans.

Passa di fianco ad una villetta e vede la vicina afferrare per il braccio suo figlio, allontanarlo dall'altalena.
Lei é tutta versetti gentili e tende al suo bambino un bel ghiacciolo appena scartato, ma Harry é abituato a scene simili ormai.

L'ha vista precipitarsi su suo figlio proprio nel momento in cui il bambino costeggiava lo steccato, rischiando di incrociare il passaggio di Harry. La donna ha quell'aria di chi non guarda nella tua direzione ma é proprio in te il centro dei pensieri.
Harry non cerca più di salutare i vicini, ci ha rinunciato.
Per loro é 'quel Potter', il frequentatore del San Bruto, quello con le scarpe quasi sempre sfondate e le magliette scolorite, il ragazzino strambo da cui guardarsi, quello di cui si sussurra a bassa voce la sera tardi, quando di tutto il resto si é già spettegolato.
Gli va bene così.
Non ha comprato le scarpe per apparire migliore ai loro occhi, ma semplicemente perché quelle vecchie sono arrivate a lui quando Dudley leha già praticamente distrutte, tanto che camminando hanno perso un pezzo di suola.

Harry si ferma all'incrocio tra Mangolia Crescent e Privet Drive.
Nessun Dudley in vista.


In quel silenzio, con solo il frinire dei grilli e delle cicale di sottofondo, sentirebbe subito il ticchettio delle costose bici da corsa dei suoi amici.
Non ha voglia di tornare a casa, dove zio Vernon gli impedisce perfino di ascoltare il notiziario, la Gazzetta non gli porta nessuna notizia fresca e soprattutto il mondo continua a fingere che Cedric non sia morto e Voldemort non sia risorto dalla tomba.
Svolta in direzione del parco giochi, degli alberi.

Anche lì il vicinato é deserto, tranne per una madre che spinge la figlia sull'altalena dall'altra parte della strada. Questi sono troppo lontani perché lo vedano, Harry continua a camminare pigramente.

Ascolta anche, ma sente solo lo stormire leggero dei platani - si é alzato un po' di vento, bollente - sente la vocetta euforica della bambina. Null'altro.

La mano nella tasca di Harry si chiude sulla banconota da cinque sterline, ne sfiora quasi incredula la consistenza. Quei soldi dovrà nasconderli, sempre che non decida di spenderli subito.

Il professore lo chiamerà ancora per portare fuori l'immondizia e forse sistemare il garage, ci sono alcuni copertoni pesanti da portare giù.

Dal parco di Magnolia Crescent la villetta del professore non si vede, ma é una casa identica a tutte le altre, tranne per la cassetta della posta rossa.

Il professor McGrath é un uomo sui settantacinque, piuttosto alto, con una incipiente calvizie che però non toglie nulla alla giovialità del suo viso. Veste principalmente completi di tweed o di lino, fuma la pipa, ha la casa piena di libri ed é l'unico vicino che non faccia finta di niente quando Harry passa.
L'unico, in effetti, per cui Harry falci il prato o rivernici la staccionata.


Non che quelle scarpe vengano dallo steccato ridipinto, vero Harry?

I Dursley non hanno detto niente di quei suoi lavoretti ne' del professore, Harry non é neppure certo che lo sappiano, ne' tanto meno che gliene importi. Sono troppo occupati ad allarmarsi per il suo 'strano comportamento' negli ultimi giorni ed Harry passa più tempo in giro per l'isolato, o a sfogarsi col taglia erba, che con loro.

Ha sempre sentito parlare di McGrath come 'quello', i Dursley non aggiungevano mai altro.
Era 'quello' e Dudley e gli altri ragazzi dovevano tenersene alla larga senza che gli venisse svelato mai il perché. 

Come Harry aveva scoperto, non era solo perché McGrath non possedeva auto costose o aveva la casa piena di libri. Anzi, Harry doveva proprio ammettere che forse i timori degli zii erano fondati, per una volta.
Tutto era iniziato due settimane fa. Correva via, furibondo, perché Dudley e i suoi amichetti gli erano alle calcagna: il professore sbucava dalla porta-finestra della sua cucina, lo aveva agguantato per il braccio e tirato dentro casa al volo.
Le biciclette erano passate tra le risa dei loro padroni, con suo cugino in testa, che Harry era già al riparo nella cucina del professore.

Per tre volte Harry ha portato fuori la spazzatura, ha estirpato le erbacce secche dagli agapanti, tolto altra erba ormai secca e piena di zanzare, poi ha ricambiato l'interesse del professore con qualche bugia... e lo ha seguito nella piccola sala da tè sul retro dell'abitazione.

Non ha nessuno con cui parlare, dopo tutto. Le sue lettere rimangono senza risposta, non riesce a capire che cosa stia succedendo con Voldemort, i suoi incubi sono troppo pesanti, é solo. Quell'uomo é un Babbano e con lui Harry é costretto a mentire, ma almeno  McGrath non scappa a nascondersi quando lo vede passare per strada.

Strano, ha detto il professore fissandolo con i suoi penetranti occhi azzurri, non mi sembri il classico cliente del San Mungo.

Harry si é limitato a stringersi nelle spalle. 

Gli é parso strano che l'uomo così, veramente. 

Tutta Privet Drive tira dentro casa i bambini quando passa Potter

Comunque, la volta dopo l'uomo gli ha sfiorato per due volte il braccio mentre gli passava dietro in salotto, poi gli ha offerto una limonata accarezzandogli lungamente il ginocchio mentre la sorseggiavano nel tinello. Harry lo ha lasciato avvicinare, si é lasciato sfiorare anche la guancia e ancora dopo la mano.
Non lo ha mai guardato in faccia, neppure una volta, gli ha solo sbottonato i pantaloni e fatto più o meno ciò che di tanto in tanto faceva anche a se' stesso, ad eccezione certo dell'uso delle labbra.

Non ha provato niente, neppure quando mercoledì scorso l'uomo nell'elegante giacca bianca lo ha abbracciato gentilmente da dietro. Gli ha chiesto  semplicemente'Posso?' ed Harry gliel'ha lasciato fare.

L'unico problema l'ha avuto quando gli é venuto da ridere, ma per fortuna é riuscito a trattenersi. Il professore si é affannato a lungo alla sua schiena, ci ha messo più tempo ad applicargli una specie di crema che nell'atto in se'. Quello é durato pochissimo - e più che altro gli ha dato fastidio all'inizio.


Niente di che,  dopo Harry aveva quindici sterline più altre venti.


Decide per l'altalena sotto il platano, da lì può vedere la strada ma non essere visto dai passanti.

Ancora, quella tranquillità ostinata tutto intorno. Altri due vicini hanno fatto finta di non vederlo poco fa, l'ora di cena si avvicina spedita.

Spostò qualche sassolino con la scarpa. La suola era lucida come quasi nessuna delle sue scarpe é mai stata. Aveva mangiato fuori anche oggi Harry, tutta la banda era stata invitata a pranzo e non ci teneva proprio ad averli intorno. 

D'estate é sempre così, ma almeno quel giorno Harry aveva potuto prendersi un frullato e della torta alla caffetteria in fondo all'isolato. 

A un certo punto il professore si era abbandonato sulla sua schiena gemendo, Harry l'aveva sentito piangere - ricorda quel pianto più nitidamente di tutto il resto - e poi scusami - scusami Harry, biascicava quel Babbano.

Il sasso più grosso era bianco, di polvere che luccica quando la sposta - gli aderisce addosso come un senso di morte. Harry non guardava la strada e neppure il parco deserto, era perso in quei pensieri strani, senza ordine, quando sentì la voce quasi cadde dall'altalena.

Come ha fatto a non sentire la bicicletta avvicinarsi?

Deve essere perché suo cugino é solo ed a piedi. 

La mountain bike scintillava sotto i raggi obliqui del sole.

"Che fai qui?"

Harry si allontanò dall'altalena sempre tenendo d'occhio il cugino, dirigendosi verso la strada.
Dudley era un idiota, ma sapeva che mancavano venti minuti all'ora di cena e sapeva anche che zia Petunia si basava sull'ora in cui lui, prezioso figlioletto, si degnava di rientrare per stabilire se Harry era o meno in ritardo.

Lo affiancò, la bici ticchetta sull'asfalto, ad Harry non serviva guardarlo per sapere che aveva stampato sul viso ciccione il solito ghigno. Tickl Tickl Tickl.

"Ti abbiamo visto prima alla fine di Mangolia. Sembri proprio una fighetta con quelle scarpette nuove."

Dudley non avrebbe mai detto 'fighetta' di fronte a sua madre, ne' tanto meno avrebbe fumato, o cantato canzoni oscene, ma era quello che lui, Piers e Malcom facevano tutto il pomeriggio.

La mano di Harry si strinse silenziosamente intorno alla Bacchetta affondata nella tasca - la vicinanza di suo cugino gli faceva sempre quell'effetto.
Soprattutto perché quando cominciava, Dudley non mollava mai il colpo. Che Harry gli rispondesse o meno, a volte nemmeno faceva differenza.

"Dì, quelle dove le hai prese, Potter?"

"Che te ne frega?!" Sbottò Harry, probabilmente a voce più alta di quanto non avrebbe voluto - fu un errore, era sempre un errore far capire a Dudley che quello che dicevu non ti lasciava indifferente.
All'improvviso il cugino gli tagliò la strada - Harry si ritrovò di fronte il suo faccione sogghignante. Si era abbronzato, il nuovo taglio a spazzola faceva risaltare quel suo naso schiacciato, sembrava più un maiale che mai.

"Fammi passare, Dudley."
Dudley alzò il pugno ciccione contro la bocca e fece un gesto molto volgare, il tipico gesto che avrebbe fatto svenire sul colpo sua madre - "Con questo al pervertito che vive alla fine di Magnolia, eh?"

Qualcosa di simile alla brace rovente affondò nello stomaco di Harry. Aggirò la bicicletta ed il cugino a costo di farlo inciampare, solo che Dudley non inciampà, lo seguì barcollando e ridacchiando a tutta forza come un idiota.
Harry camminava velocemente, ma suo cugino lo tallonava.

Tickleticketickle, i raggi della sua costosa bicicletta contro l'asfalto - maledetta Mangnolia Road così lunga e deserta. 

"Tanto lo so che é così. Il bello é che a mio padre e mia madre tanto non frega niente. Se ci fossi andato io, a falciare il prato di quello, mi avrebbero chiuso in casa!"

C'era qualcosa nel tono di voce di Dudley che non spegneva le braci nello stomaco di Harry, ma le alimentava.

"Invece te non gliene frega quello che fai, freak." 

 "Beh sarebbe un bel guaio se ti chiudessero in casa. Cosa penserebbero Malcom e Piers se mammina mette Big D in castigo? Insomma, quei ragazzini delle elementari non si picchiano mica da soli..."

Harry seppe di aver fatto centro, ma non seppe stabilire se fosse un bene o un male. 

"Se lo é meritato, aveva fatto l'insolente, quel moccioso."
Ma non poteva fermarsi lì Harry, qualcosa gli si torceva dentro, un gran serpente di brace: "Ha fatto l'insolente? Ha detto che sembri un maiale a cui hanno insegnato ad andare in bicicletta? Perché questa non é insolenza, é la verità..."

"Disse quello che tutte le notti piange e chiama 'Cedric'...."

All'improvviso Harry non sentiva più saliva in bocca.
"Non uccidere Cedric, non uccidere Cedric... chi é Cedric, il tuo fidanzatino? Mh?"

TickleTickleTickleTickle

Per un lungo tratto di strada, durante il quale Harry si impegnò per deglutire più volte e cercare di respirare normalmente, il ticchettio della bici di Dudley lo seguì inesorabile. 

Voleva spiccare un balzo, mettersi a correre, salire sul suo manico di scopa ed andarsene lontano da lì.

Ad un tratto suo cugino era di nuovo al suo fianco ed Harry sentì una zaffata del suo fiato di bubblegum alla fragola.

"Ma te lo fai mettere anche dietro...?"
"Vaffanculo, Dudley." Ringhiò, la mano che lottava per non tirare fuori la bacchetta dalla tasca - ma poi si rense conto di una cosa. Il tono di voce di suo cugino era cambiato, prima di tutto parlava senza sghignazzare.
"Nel culo lo hai preso? Dimmi solo si o no. "
Harry si fermava.
Lo guardava dritto con quei suoi acuti occhietti porcini.
"No."
"Bugiardo."




* *



Una specie di schianto, e poi la finestra che cigola - Harry riaprì gli occhi e sentì una mano premuta sulla bocca.

Annaspò alla ricerca della Bacchetta, che però era al sicuro nella tasca dei pantaloni appoggiati sulla sedia.

Harry non riusciva a pensare al Ministero, ai richiami, voleva solo la sua Bacchetta. Sono le due di notte, la finestra della sua stanza aveva lasciato passare Malcom, mentre suo cugino Dudley era immobile ai piedi del letto. 

"Quanto cazzo si agita..."
"Probabilmente si mette a strillare se gli levo la mano..." Harry affonò i denti nel palmo, sentì il ragazzo imprecare, probabilmente mordersi la bocca per non mettersi ad urlare: "Piccolo bastardo..." Ma non lo colpirono.

"Sei sicuro, Big D? Non vorrei prendermi le piattole..."

"Andiamo, Malcom, userai il calzino. Non puoi permetterti una prostituta e poi siamo ancora troppo giovani, finiremmo nei guai. Se la smette di agitarsi così..."

"Ho una voglia di rompere un culo che non te la immagini..."

Harry, che realizzava lentamente di cosa stessero parlando quei due, sentì il corpo diventare di pietra e lo stomaco come schizzare via. Dudley ridacchiava incerto per la risposta del suo amico, ad Harry sembrava di sentirlo un po' a disagio. Harry sentì le dita di Malcom sfiorargli l'orlo dei boxer, facendoglielo schioccare piano contro il sedere.

 "Allora, Potter, ti sembra un buon affare? Ti do dieci sterline. Dieci sterline tutte per te. So che fai i servizietti addirittura a quello laggiù..."
Harry iniziava ad avere la nausea. Il professore era avanti con l'età, non era certo un tipo raccomandabile,  non sempre aveva un buon odore ma non gli ha mai fatto del male. Niente a che vedere con quelle dita invadenti che adesso gli strizzavano le natiche attraverso le mutande, gli sbrindellavano l'elastico dei boxer.

"Certo é proprio una femminuccia... allora, Potter? Scommetto che chi tace acconsente. Si é calmato. Te l'avevo detto che ci stava, BigD."

Forse Malcom era davvero convinto che lui non avrebbe fatto niente, chissà che cosa gli aveva raccontato quell'imbecille di Dudley.

"Se sei bravo te ne do anche quindici. Allora?"

Nell'istante esatto in Malcom sibilò questa domanda Harry lo sentì scivolargli sopra a cavalcioni senza attendere risposta.

Pesava almeno il doppio di lui, Harry tossì e rantolò - e poi disse: "No."

Ma fu come se non avesse parlato. Malcom lo aveva sentito, eppure gli abbassava i boxer con uno strattone secco, mettendo a nudo le sue natiche, poi iniziava ad insinuare le dita, a palpeggiarlo.

"No, no!" Harry lo ripeté ancora, quasi lo urlà - e questa volta Malcom non poteva fare finta di niente, così Harry sentì un tintinnio - monete che atterravano oltre il bordo del letto.

"Hai paura che non pago, eh?"

Uno sbuffo divertito, poi le dita di Malcom ancora sulla bocca, questa volta premute a fondo a non far passare niente, nessun suono.

Harry sentì qualcosa di duro sulla schiena, riconobbe la forma del suo uccello  ed un terrore sordo, senza quartiere lo invase. Iniziò a dibattersi furiosamente ed inutilmente sotto il peso di Malcom, cercando una scintilla di magia, una possibile difesa senza la Bacchetta, di ricordare come, come fanno i maghi in certe situazioni, mentre Malcom gli si strusciava addosso pagherebbe oro per qualsiasi, qualsiasi cosa.

Ma il terrore era così assoluto che Harry riuscì solo nel patetico tentativo di dibattersi come un'anguilla, tenuto giù a forza da muscoli di ferro.

"Ti metto la pomata... non ti faccio male. Lo so che ti piace..."

"Ehi, basta. Hai sentito."
"Cooosa, Big D?"

"Ha detto di no, dai basta."

Harry sentì quell'attimo di sospensione investirlo in pieno, lì ancora immobilizzato tra le ginocchia di Malcom, la faccia ancora mezzo premuta sul cuscino.

"Ma che c'è, Dudley?! Mi avevi detto che c'era via libera, che potevo..."
E Malcom si addossò contro Harry con un pesante grugnito, spingendo talmente forte che il ragazzo sentì le ginocchia cedere, aprirsi contro quel peso terribile. Riusciva a malapena a respirare, Malcom intercettò il suo braccio e lo schiacciò contro il materasso. 

 "Non ti faccio male, dai non ti faccio male..."
"Ehi, ho detto basta!"
Accadde tutto troppo velocemente. 

Nello stesso instante in cui Harry decise di affondare ancora i denti nella mano di Malcom sentì anche l'urto sordo del pugno.

Malcom volò giù dal letto, atterrando sul tappeto vicino al vecchio fucile ad aria compressa di Dudley con un tonfo che quasi fa tremare il pavimento. 

"Ma che cazzo fai?!"
Proruppe Malcom e non a voce bassissima, nel cuore della notte. Ma era Dudley quello che stava spiazzando Harry. Non faceva nemmeno caso ai piccoli versi che giungevano dalla camera dei suoi genitori, evidentemente svegliati da quella voce piena d'ira nel silenzio. Dudley si chinò un secondo a recuperare qualcosa ai piedi del letto - Harry vide monete ed una banconota tutta stropicciata.

"Riprenditi queste dieci sterline di merda e vattene."

Ormai erano così vicini da sfiorarsi con il petto, gli occhi negli occhi - non che ci fosse qualcosa di sorprendente in questo, doveva funzionare così tra bulli grossi e stupidi.

Il problema era ciò che aveva appena fatto il capo dei bulli, il più grosso e stupido di tutti a detta di Harry. Il problema era Dudley.

"Guarda che a quello piace. BigD, mi avevi detto che non te ne fregava un cazzo di lui... o magari vuoi qualcosa anche tu? Vi siete messi d'accordo?"

"Vattene, Malcom."

Tutto sommato, Malcom parve decidere che non era il caso di mettersi a fare a botte con Dudley lì a quell'ora di notte con i signori Dursley al piano di sotto. Tutto ciò che gli rimase fu infilare di nuovo la finestra, dopo aver ringhiato un sentito 'vaffanculo' a Dudley Dursley.

L'ultimo pezzo dei jeans di Malcom scomparve - ed Harry lo sentì grugnire per tutto il tempo usando il vecchio, collaudato sistema per scendere, quello del balcone e poi la scala del garage. Dudley si avvicinò alla finestra e la chiuse abbassando la serratura.

Poi incrociò gli occhi di suo cugino.
Si guardarono.
Harry non diceva niente. Tremava e non aveva alcun potere su quella reazione.
Neppure Dudley diceva niente.


Poi dal salotto giunse la voce di zia Petunia, ansiosa ed impastata di sonno, una voce che palava di ladri e polizia. Fu questo  a distogliere finalmente l'attenzione di Dudley. Scattò verso la porta senza più guardare Harry.

Harry lo sentì parlare con sua madre dall'altra parte. Imbastirgliela, come al solito. "Ho solo lasciato la televisione accesa, mamma. Stavo andando in bagno. Nessuno urlava, era il film..."





//


Harry accusò il grosso del colpo la mattina dopo, quando il numero 4 di Privet Drive si rianimò e lui si svegliò al suono di sua zia che bussava seccamente alla porta della seconda stanza da letto di Dudley.

Un altro giorno di agonia, di attesa, di snervanti elucubrazioni. Aspettare che qualcuno dei suoi amici gli risponda, spiare i notiziari Babbani, sperare che gli zii non facciano troppo caso a lui.

Zio Vernon gli ha già rivolto parole ringhiose e sguardi sospetti e la settimana prima Harry é stato costretto ad appostarsi in giardino per poter ascoltare il notiziario, ma comunque non c'era stato niente che tradisse il reale pericolo in agguato lì fuori.
I Babbani erano alle prese con l'estate infernale, gli scioperi degli addetti ai bagagli degli aeroporti, le interminabili discussioni sulla borsa e sulla politica.

Harry appoggiò i piedi in terra ed iniziò ad infilarsi la scarpa sinistra - la sua nuova Converse.

Si rese conto di impiegare una cura particolare nell'allacciare i lacci nuovi, assaporando la sensazione di nuovo.
C'era qualcosa di così sfacciato in quelle scarpe nuove abbinate ai vecchi jeans cadenti di Dudley.

Uscendo dalla stanza, Harry ricordò che era venerdì.
Quel pomeriggio dopo pranzo avrebbe dovuto pulire il pavimento del garage del professore.
Era un impegno che aveva preso già l'ultima volta che era stato lì.


Entrò in salotto, dove nessuno dei Dursley alzò lo sguardo.
Zio Vernon, già rosso di sudore, si ingozzava di bacon e grondava nonostante il ventilatore.
Dudley - Dudley aveva già un gelato in mano e guardava distrattamente il televisore.

Per qualche motivo lo stomaco di Harry si torse con violenza quando passò accanto alla sua sedia.
Sentì il cugino scollare lo sguardo dagli sbiaditi cartoni animati e puntaglielo sulle spalle, ma Harry era già arrivato in cucina.

Gli strascichi della notte prima si risvegliavano in quella stretta allo stomaco, un pungolo silente di cui Harry avrebbe volentieri fatto a meno.

Eppure di colpo le loro voci si sovrapponevano all'ultimo sguardo di Cedric, quelle pupille che si spalancavano ingoiando l'iride col loro nero, l'ultimo riflesso il lampo verde della maledizione. Poi il nulla. No. Non il nulla. La risata di Voldemort, fredda e inumana. Le sue parole che squarciavano la notte.
Il ginocchio di Harry si era spaccato ma nel cimitero non aveva quasi fatto caso al dolore, aveva corso sul ginocchio massacrato, con i tagli freschi che bruciavano.
Alla fine aveva corso per salvarsi la vita, il tutto per tutto se l'era giocato in quei pochi metri che lo separavano dalla Passaporta abbandonata.

Solo lacrime, sudore e sangue, e la visione eterna di Cedric che cadeva all'indietro, spento, morto.
Harry non aveva potuto correre la sera prima sotto il peso opprimente di quel ragazzo e le sue mani invadenti. Non aveva trovato un briciolo di magia in se'.

Se non ci fosse stato Dudley...


Solo che Harry non poteva permettersi di ripensare ai suoi incubi, o al comportamento del cugino perché aveva dei piatti da lavare e zia Petunia lo stava controllando.
Almeno l'acqua era fresca e piacevole.

Nessuno dei Dursley si era accorto ne' delle sue scarpe, ne' di niente altro.
A nessuno importava che Harry frequentasse la casa di quel famigerato professore in pensione.


Le mani di quel ragazzo addosso, la mezzaluna del suo sorriso davanti agli occhi.
Nessuno dei Mangiamorte lo aveva toccato se non per scaraventarlo nello scontro.


"Anche questa, e vedi di strofinarla bene."

La padella incrostata del bacon scivolò sotto i suoi occhi.
Ad Harry bastò una sola occhiata per capire che si sarebbe trattato di un lavoro lungo e rognoso.

Mise a posto l'ultimo piatto, poi afferrò il manico della padella e si mise a grattare via gli avanzi.
Intanto, dal salotto veniva la voce pigra di Dudley, una secca risposta di sua madre alla sua domanda.

Dudley non aveva mai toccato un piatto in vita sua e i Dursley non avevano mai ricompensato Hary per quei lavori, semplicemente svolgerli toccava a lui, Harry, svolgerli senza fiatare e basta.
Non poteva farci niente, ne' aveva mai potuto.

La sera prima non era riuscito a difendersi.

Aveva la Bacchetta a pochi centimetri dal braccio, ma la sua mente si era come svuotata sotto quel peso, sentendo l'eco di quella risata.
Quello era il mondo Babbano e Harry Potter, quindici anni, stava scoprendo che lì le cose potevano andare in modo molto, molto diverso anche rispetto ad un cimitero pieno di Mangiamorte.

Si accorse di tendere l'orecchio alle voci provenienti dal salotto, mentre lavorava al fondo della padella. Doveva stare attento, se l'avesse graffiata avrebbe dovuto sorbirsi zia Petunia.
Dudley taceva.
Il notiziario era alla sigla di chiusura.
Zio Vernon stava uscendo per andare al lavoro.

Harry non sapeva cosa aspettare. Forse niente, forse una catastrofica notizia al telegiornale Babbano. Comunque, doveva sparire alla svelta.

Normalmente, visto che d'estate la ghenga di Dudley si presentava a casa fin dalla mattina, Harry si rendeva irreperibile ben prima di poter sentire il ticchettio delle loro bici.

Altre volte era successo che Harry stesse lavorando alla cucina o pulendo qualche pavimento della casa in loro presenza, ma in quelle occasioni i ragazzi lo avevano lasciato stare, anche perché zia Petunia era a portata di sguardo e di udito.

Eppure quella mattina Harry si sentiva a disagio all'idea di rivedere il ragazzo della sera prima, di sentire la sua voce.
Si era reso conto che si trattava dell'amico di Piers, il compare più fedele di Dudley.
Ancora un'eco stinta della voce di zia Petunia, poi Harry sentì la porta di casa sbattere.

Voci deferenti salutarono i Dursley.

Harry prese a strofinare forte, così forte da sentire il gomito indolenzito, voleva sbrigarsela, la sua era una corsa contro il tempo.

Non voleva risentire quella stupida voce ridere.
Anche solo sentire il ticchettio della sua bici gli faceva venire il vomito.
Il suo fiato contro il collo era caldo e appiccicoso di bubblegum.
Le sue mani erano tenaglie intorno alle braccia.
Quello era il mondo Babbano e lui, Harry, era solo un ragazzo.


"Ehi, piano! Piano, se mi bagni il pavimento te lo faccio lavare tre volte!"

Si bloccò quando la voce stridula di zia Petunia lo trafisse.
Mormorò automaticamente 'scusami, zia'.
Chiuse l'acqua provando un vago senso di sollievo nel vedere la padella perfettamente pulita e lucida. Anche la zia parve soddisfatta del risultato, osservava da sopra la spalla del nipote senza niente da ridire.

"Dove vai?!"

Harry prese un respiro profondo, badando a non farsi vedere, poi rispose con calma che intendeva fare un giro.

Uscì di corsa, una terribile sensazione di dejà-vu addosso nell'attesa di sbirciare finalmente oltre la porta d'ingresso... e li vide. Piers aveva salutato e poi lui e Malcom erano andati a trafficare con le bici nel vialetto.

Non Mangiamorte, ma stupidi, grossi energumeni adolescenti e tra di essi lui, quello che la sera prima si era infilato nella finestra spalancata della stanza di Harry con il benestare di Dudley.


Loro non lo videro perché Harry fu veloce a strisciare sotto la siepe.
Si accoccolò contro la terra calda e restò in attesa che Dudley sistemasse la catena della bici.
Parlava con quel tizio di cui Harry non ricordava il nome, ma di cui forse non avrebbe mai dimenticato il profilo, ne' i dettagli del suo orologio dorato stretto al polso.
Neppure avrebbe mai dimenticato l'ombra del livido che in quel momento il ragazzo portava sotto lo zigomo destro.
Che cosa aveva raccontato a casa? Di essere caduto? Se i suoi genitori erano come i Dursley se l'erano bevuta di certo.
Invece era stato Dudley a colpirlo al volto per allontanarlo da suo cugino Harry.

Ora, alla luce del sole, Dudley parlava con lui e rideva come nulla fosse. Avrebbe forse dovuto essere diverso?
Finalmente le bici iniziarono a ticchettare, Harry vide le schiene dei ragazzi allontanarsi.
Non sentiva quello che dicevano, ma ridevano. Li aspettava un pomeriggio intero a tiranneggiare su ragazzi più piccoli, a distruggere aiuole e parchi, a fumare e bestemmiare di nascosto.

Harry si tirò in piedi e si accorse di aver bisogno di vomitare.

Se la sbrigò al bagno del piano terra, perché non voleva farlo in giardino.

Uscendo, si rese conto che non pensava a Voldemort da quando aveva messo piede fuori dal letto, ed era raro visto che in quegli ultimi giorni ci aveva pensato di continuo.

 

Chapter 2: Bitter

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Harry non brucia dalla voglia di spazzare quel pavimento, ma per lo meno non sembra un lavoro molto faticoso.
Il professore avrebbe potuto spazzarlo lui stesso, o chiedere alla donna delle pulizie di 'allungarsi' fino al garage, però non l'ha fatto.
Harry ha in tasca quindici sterline, le ha ripiegate ben in fondo alla tasca dei jeans munita di chiusura per non rischiare di perderle. Quel giorno il professore lo ha accolto con una brocca di limonata fresca ed un sorriso disteso.

L'uomo sedeva sulla vecchia poltrona tutta spellata, accanto ad uno scaffale pieno di libri.

Non avevano praticamente parlato, il professore lo aveva accolto con quel suo sorriso mite e poi si era semplicemente seduto lì a tenergli compagnia.

Harry sentiva le pagine del suo libro frusciare. Non gli piaceva l'idea di avere qualcuno alle spalle, per ciò mentre lavorava il pavimento pressoché pulito gettava di continuo occhiate dietro di se', approfittando dei momenti in cui il professore abbassava gli occhi sul suo libro.

Quel giorno indossava una camicia di lino grigia e pantaloni con le tasche ampie. La catena del suo orologio luccicava dal taschino. Harry non lasciava lo sguardo vagare sui suoi connotati e sul suo profilo, preferiva tutto sommato che McGrath rimanesse il più possibile senza volto.
L'uomo lo lasciò finire il suo lavoro, poi con gentilezza gli chiese di aiutarlo a portare in casa alcuni scatoloni di libri.

Come al solito la casa del professore era fresca, asciutta e silenziosa.
Fuori l'estate infuriava in tutta la sua violenza, tutto taceva, Dudley e i suoi amici dovevano essere in giro per qualche isolato lontano.

Il professore gli offrì un bicchiere d'acqua - Harry lo accettò con piacere - e mentre gli passava alle spalle, l'anziano uomo gli sfiorò dolcemente la vita con una delle lunghe mani delicate.

Un segnale, il solito. Ormai non c'era nemmeno bisogno di parlare.

Harry appoggiò il bicchiere sul tavolo della cucina e tornò con lui in salotto, perfettamente tranquillo.
In silenzio, prese posto sul divano accanto al professore.
Lui teneva le lunghe gambe accavallate e gli sorrideva chiedendo: "Quei ragazzi ti hanno ancora dato noia?"

Harry non voleva vedere il suo sorriso, lo avvertiva nella sua voce.

Sa che quelle erano solo domande preliminari, parole vuote, durante le quali il professore aveva colto l'occasione per avvicinarsi a lui di qualche centimetro ancora.

Harry alla fine gli rispose 'come sempre', perché non sapeva che altro dire.
"Con le vacanze estive passano molto tempo a casa nostra." Aggiunse di getto.
Non capitava certo tutti i giorni che qualcuno gli chiedesse di se', quanto meno non a Privet Drive, ed anche se al professore non interessava veramente sapere di lui, Harry apprezzava quel cambiamento.
Anche se non avrebbe mai confessato cos'era successo la notte scorsa al professore, perché quell'uomo non interesserebbe davvero neppure di quello.
Intanto McGrath aveva fatto aderire delicatamente il ginocchio al suo, ma restava seduto con la schiena eretta, senza toccarlo. Aspettava che Harry si decidesse a fargli scivolare lentamente la mano sulla coscia.

Faceva sempre così, gli lasciava l'iniziativa. La stoffa dei suoi pantaloni era liscia sotto il suo tocco.



L'uomo aveva bisogno di tempo, per via dell'età. 

Harry lasciava che quelle dita garbate guidassero la sua mano fino al cavallo degli eleganti pantaloni. 

Quando aveva preso il suo corpo per la prima volta, Harry se n'era stato semplicemente di spalle, prono sul letto, fino a che le ginocchia non avevano iniziato a fargli male.

Ora sentiva il turgore aumentare poco a poco sotto le sue dita, trasformarsi lentamente in un'erezione completa. Sentiva il respiro accelerato dell'uomo, una delle sue mani gli accarezzava per un secondo la spalla.

Harry lo sbottonò lentamente, poi ancora più delicatamente lo prense in mano.

Si concentrava solo sul ritmo del suo polso e sapeva che l'uomo non gli avrebbe parlato, era troppo impegnato a mantenere l'erezione, a godersi ognuno dei suoi movimenti.

Ad un certo punto Harry si piegò in avanti e si mise in bocca il glande turgido, lappandolo un po' con la lingua tutto intorno. Questo funzionà, subito dopo aumentò il ritmo, l'erezione era finalmente salda e turgida contro il suo palmo.

A quel punto Harry iniziò a lavorare metodicamente, lasciando vagare lo sguardo sul salotto. Aveva memorizzato l'arredamento, riusciva ad accorgersi che la luce era cambiata. Le tendine erano come sempre tirate a proteggere l'interno della casa.
Harry si concentrò, chiuse gli occhi e lavorò alacremente con la bocca. Tutto intorno al glande, lungo l'asta, fino alla base del pene. La sua testa iniziò a muoversi su e giù.
Se faceva  quello, il professore gli dava sempre un extra.
Harry non voleva un extra, ma voleva farlo venire perché ormai quella storia andava avanti da due ore.

Quando la banconota da venti sterline scivolò nella sua tasca Harry fece per protestare, perché gli pareva troppo: ma il professore agitò una mano come per scacciare le sue parole.

Harry lo vide avvicinarsi con passo pesante alla finestra che dava sulla strada, aprendo un piccolo spicchio nella tendina bianca.

Stava controllando che non ci fosse nessuno in strada.
Per la prima volta da quando tutta quella storia andava avanti, Harry si sentiva inquieto, ma quando l'uomo gli fece un cenno complice non poté fare a meno di sentire quella complicità scivolargli addosso, farlo suo come una coperta troppo calda ed indesiderata nel clima torrido.

Via libera. Il professore azzardò una delicata carezza alla sua nuca mentre Harry si dirigeva verso l'uscita.


//


Harry si fermò alla fontanella di fronte al parco giochi deserto per bere e togliersi dalla bocca quel sapore.

Le altalene e lo scivolo erano stati sbullonati e giacevano nell'erba secca così come Dudley e gli altri dovevano averle lasciate l'ultima volta.

C'era ancora un po' di tempo prima che Dudley si decidesse a tornare a casa, ormai Harry conosceva i suoi orari, più o meno. Decise di prendersi un cono gelato, l'idea gli venne vedendo la gelateria all'angolo della strada.

Perché no? In passato aveva supplicato tante volte zia Petunia per un gelato con granella di nocciola come quello di Dudley, quando era ancora molto più giovane.

Tante volte aveva guardato Dudley divorare il suo cono, con il cuore gonfio di invidia, perché solo se non poteva farne a meno la zia comprava qualcosa anche per Harry, altrimenti ignorava le sue richieste e sorrideva amabile alla voracità di Dudley.

Harry aveva giusto qualche monetina nella tasca davanti dei jeans e molta voglia di qualcosa di fresco.

Aveva praticamente tolto via la parte superiore - sciroppo d'acero, panna e nocciola che non avevano nemmeno lontanamente il sapore paradisiaco dei dolci di Mielandia - quando sentì una voce apostrofarlo alle spalle.

"Ehi, finocchio."

Harry si voltò, e la ghenga era lì, tutta raccolta dietro la piccola costruzione dei bagni, di fronte ai vecchi tavolini della gelateria.
A parlare era stato Piers, che adesso se la rideva di gusto con quella sua larga bocca e il naso coperto di lentiggini perché Harry, maledizione, si era voltato.
Forse Harry non li aveva visti perché, ora che ci faceva caso, non avevano le biciclette con se'.

Questo e qualcosa nei loro sguardi disse ad Harry che non stavano tornando a casa per cena.
Decise di finire il cono in due rapidi morsi - adesso il gelato gli dava un gusto amaro, quasi acidulo sotto la lingua - e di ficcarsi le mani in tasca.

Mangiare era stato un errore, per la seconda volta in un giorno si sentì lo stomaco pieno di acido.
Forse non potevano niente lì, a pochi passi dal negozio e dagli adulti, ma Harry non
fece l'errore di rispondere, ne' di passare accanto ai bagni. Anche perché insieme a loro c'era quel ragazzo. Lui era più alto perfino di Dudley ed aveva l'aria di essere qualcosa di molto vicino ad un capo. Se Dudley si atteggiava da capo...

"Si é preso un bel cono gelato, il tuo cuginetto."
"Già, gli piace leccare!"
E una risata bassa e feroce di scherno corse sulle loro bocche.


Harry avrebbe dovuto entrare nella gelateria, così forse lo avrebbero lasciato in pace, ma odiava avere paura e odiava doversi rifugiare come uno stupido, inerme bimbetto.

E poi di loro non serve avere paura. Non veramente, no?

Dudley aveva sempre evitato che si giungesse allo scontro per paura di ciò che l'anormale, freak Harry avrebbe potuto fare con la sua Bacchetta.

Avevano iniziato a seguirlo, fiancheggiandolo con aria minacciosa, Harry faceva di tutto per ignorare le loro voci, soprattutto per tenersi alla larga dal ragazzo con l'ombra del livido sotto lo zigomo.
Forse era una sua suggestione e basta, ma Harry aveva l'impressione che lui e Dudley cercassero di non guardarsi.

"Prima eri dal pervertito? Eh, Potty?"
"Lo sanno tutti che fa i pompini e le seghe a quello. Magari gli da anche il culo."

"Se gli si drizza, glielo darà."

"Potty, ma gli si drizza al vecchio? Eh?"
"Si, ci riesce a mettertelo dietro?"
"Ma va, é troppo vecchio..."

Harry si era praticamente messo a correre, anche se lottava per non farlo. Erano in mezzo alla strada deserta ed assolata e la villetta dei Dursley era maledettamente lontana...

"Perché non ci rispondi, brutto culo rotto?"
Improvvisamente Harry pensò che non aveva ancora sentito la voce di Dudley.
Poi, all'improvviso, andò a sbattere contro uno di quegli idioti e per poco non cadde, dando l'occasione perfetta a quell'imbecille per agguantarlo per le braccia.

"Lasciami!"
Harry sentì il sangue bollire, il sudore appiccicargli la maglietta addosso.
Quel cretino si era messo di traverso apposta, adesso lo spingeva con il petto, lo faceva indietreggiare contro l'imbocco di un vicolo.
Lo avevano accerchiato.
Un cerchio compatto, famelico, che serrava i suoi ranghi e riempiva i suoi vuoti.
Un cerchio... che lo intrappolava.
Odore di terra e tomba... odore di cimitero.
Harry colse una zaffata dolciastra di gomma da masticare e le gambe gli diventarono molli come gelatina.
Collassò in uno sguardo freddo e chiaro come uno stagno ghiacciato.

"Adesso ce lo succhi a tutti quanti, a turno."

 

 

Chapter 3: Pain

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Harry scalciava e Malcom gli affondò il pugno nello stomaco, silenziosamente ma forte - di colpo il suo nome affiorò, mentre il pugno gli faceva uscire tutta l'aria dal petto. Quel ragazzo si chiamava Malcom.
Subito dopo aver colpito Harry, Malcom urlò e sollevò le braccia come se si fosse scottato.

Gli altri reagirono allontanandosi quel tanto che bastava da Harry e fissando interrogativamente Malcom. 

"Che cazzo succede? Che cazzo ha fatto? Lo dobbiamo pestare?"

Dudley sembrava l'unico consapevole di ciò che stava accadendo, infatti il suo viso aveva preso il colore del latte cagliato. Gli occhi immobili, fissava il cugino che riprendeva fiato, guardava la mano destra di Harry affondata nella tasca dei jeans.
Agli altri poteva sembrare un dettaglio senza peso, ma Dudley sapeva che quella era la tasca della Bacchetta e sapeva che ciò che era appea successo a Malcom era stato un fatto di magia.

"Che cazzo fai, Malcom? Ti sei rincitrullito, amico?"
Ne' Piers ne' Dennis capirono, Dennis fece per dare uno spintone ad Harry, ma il ragazzo si portò fuori tiro e Dennis inciampò.
Dudley non riuscì a ridacchiare come Malcom e Piers di quella gaffe, guardava Harry che cercava di indietreggiare e sapeva che Malcom Piers e Dennis erano di nuovo pronti all'attacco.

Sperava che non si avvicinassero più a suo cugino e così, con la gola chiusa dalla tensione, si avvicinò a Malcom e cercò di ridere sul serio.

"Dai, lasciamo perdere questo sfigato... perché non andiamo da Dennis invece?"
Dudley ricordava bene tutti gli anni passati, anni in cui lui stesso aveva raggiunto Harry per uno spintone ed un pizzicotto, un calcio ed un pugno. Aveva provato su di se' quella terribile scossa.

Malcom stava ancora guardando Harry  però, ed ora era la sua faccia ad avere un'espressione indecifrabile.
Le sopracciglia bionde aggrottate in un'espressione feroce, quasi sofferente.
"Non mi va di andare da Dennis, Big D. Voglio che il tuo fottuto cugino me lo prenda in bocca. Per troppi giorni abbiamo sprecato occasioni, con lui. Voi ragazzi non volete divertirvi?"

"Puoi giurarci!"

"Mica significa essere... invertiti, tanto. Lo facciamo solo perché non ci sono ragazze."

"Già, Harriet a noi non ce la dà mica!"

"Vaffanculo!"

"Sto scherzando, Piersi

"Ci andiamo da Dennis, ma viene pure lui. Ce li avete i soldi, ragazzi? Quello che é giusto é giusto. Dieci sterline?"

"Dieci sterline, io ce le ho..."

"Prima, però, gli insegnamo un po' di sana educazione."

E Malcom si lanciò in avanti, si buttò alla cieca su Harry, rotolandogli addosso, con Piers e Dennis che prontamente facevano ala intorno, fu la ressa.

Harry sentì gli occhiali volare via dal naso, altri pugni piovere sul suo stomaco, tutto si sfocava ed il peso addosso era opprimente, non riusciva a racimolare nemmeno un briciolo di quella volontà che gli avrebbe permesso di allontanare Malcom.

Quattro braccia lo tenevano e il viso sorridente di Malcom apparve nel suo campo visivo.

Malcom gli afferrò il volto sottile e lo obbligò a guardarlo.

"Uno sfigatello come te dovrebbe essere grato di divertirsi, Potter."

Malcom si stava vendicando di quello che era successo l'altra notte e Harry sapeva, capiva che era solo perché si trovavano all'aperto, sotto i potenziali sguardi indiscreti dei passanti e dei vicini, che Malcom non ci provava di nuovo sul posto.

"Adesso andiamo da Dennis, tutti insieme."

Poi una valanga di grossa entità travolse Malcom. Era Dudley.

Solo che questa volta Malcom schivò il suo cazzotto scartando come un serpente e subito dopo fu Dudley a beccarsi un destro formidabile in faccia.

Il sangue sprizzò dal suo setto nasale in un terribile arco rosso, Piers imprecà, Dennis urlà, Malcom sputò e ringhiò.

"Ho capito, ho capito! Tienitelo allora, il tuo fottutissimo cugino frocio!"

Dudley aveva perso una quantità incredibile di sangue, macchiando l'erba del prato e la maglia sotto il suo giubbotto.
Il naso non sembrava rotto, Harry aveva avuto il naso rotto in due occasioni - rotto e rimarginato con la magia - e quello di Dudley sembrava solo destinato a gonfiarsi un bel po'. Il grosso del sangue veniva dal labbro spaccato.

Lo scontro si concluse così, con gli amici di Dudley che tiravano via Malcom e Dudley che si rimetteva in piedi a fatica.

Harry aveva male dappertutto, lo stomaco e l'addome ancora doloranti per i colpi di Malcom e per essere stato scaraventato a terra del suo peso, ma i suoi pensieri non erano per il dolore fisico.
I suoi pensieri erano per gli zii.

Questa volta lo ammazzeranno.



*

Prevedibilmente, zia Petunia si comportava come se Dudley fosse vivo per miracolo, pulendogli il volto dal sangue e tastandogli la pelle con gli occhi gonfi di lacrime.
Nella luce fredda e cruda della cucina Harry vedeva che anche il suo occhio destro si stava gonfiando.

Per un po', Harry si illuse di fronte all'espressione di zio Vernon - tronfia di uno strano orgoglio, chiusa in un cipiglio lucente e cupo. Forse tutto sarebbe stato celebrato come la prima, vera rissa di Dudley  ed Harry se la sarebbe cavata a buon mercato, tutto considerato.

Ma forse perché Dudley non rispondeva alle domande incalzanti di sua madre a causa del labbro spaccato e gonfio, forse perché Harry avrebbe solo voluto sdraiarsi e chiudere gli occhi, la voce di zio Vernon attraversò il salotto come un tuono.

"RAGAZZO!"

Harry lasciò andare il corrimano e si voltò, le spalle curve.

Zia Petunia lo guardava stringendo gli occhi, come se stesse cercando di imputare ad Harry la colpa della faccia malmessa di suo figlio - zio Vernon aveva i pollici infilati nella cintura.
Brutto segno.
Harry capì  due cose.
La prima, che zio Vernon era davvero convinto che Dudley si fosse fatto onore a suon di pugni contro chissà quale temibile aggressore - quella storia della boxe stava diventando ridicola - la seconda, che era nei guai. Ma per quale motivo?

"Dudley era già coperto di sangue quando l'ho incontrato." Ripeté stancamente Harry.

"Questo sarà da appurare. Non pensare di eclissarti, ragazzo. Seguimi di sopra. Devo parlarti."

Harry lo seguì, sotto gli occhi malevoli di zia Petunia. Vernon Dursley, per chissà che ragione, voleva parlare con il nipote nella stanza degli ospiti.
Zio Vernon chiuse la porta e si voltò per fronteggiare il nipote. Non c'era traccia di paura nel suo volto porcino. Brutto segno.

"Che cosa sarebbe da appurare? Non penserai che sono stato io a colpire Dudley?"

La prima cosa che Harry vide - dura come il pugno di Malcom - fu lo sguardo degli iocchietti porcini  di suo zio risalire la sua figura a partire dalle scarpe.
Particolarmente dalle scarpe.

"Figuriamoci, un piccolo rifiuto come te? No, il mio ragazzo ti avrebbe stritolato."

Harry non trovò nulla da obiettare. Vernon Dursley intrecciò le mani dietro la schiena.

"Avrei dovuto immaginarlo. Ma venire a saperlo mentre sto uscendo dal supermercato... é una vergogna, una vera vergogna. Ti avverto, ragazzo, questa volta hai davvero superato i limiti. Dovrei chiamare un istituto di correzione, ecco cosa dovrei fare! Loro saprebbero cosa fare... cosa fare con quelli come te!"

Harry si sentì il cuore in gola, il panico lottava per uscire. Così, tutto d'un colpo. Doveva fare violenza su se' stesso per guardare negli occhi lo zio. Per fingere.
"Di che cosa stai parlando?"
Domandò nel modo più educato e tranquillo possibile.
"Te lo ripeto, non so che cosa ha fatto Dudley. Io sto alla larga da Dudley, sempre. L'ho incontrato che era già..."
"Non sto parlando di Dudley."

Silenzio.

Poi gli occhi dello zio fissarono ancora Harry in quel modo, a partire dalle scarpe, ma ora come se fosse qualcosa di disgustoso capitato per sbaglio nel suo immacolato salotto.

"Quanto ti da? Dieci sterline? Venti alla botta?"

Zio Vernon parlava con odio ma sembrava sogghignare, le sue labbra erano atteggiate in puro trionfo.
E quando i suoi occhi pretesero una risposta, Harry vide che il suo sguardo si era fatto strano, torbido.

"Io... io non... "

Zio Vernon fece un passo verso il nipote.
Enorme, minaccioso, se mai Harry aveva avuto veramente paura di lui fu  in quel preciso momento.
Paura di quello sguardo, se lo sentì addosso come una mota di fango.

"Appoggia quella cosa sul comodino. Lo so che ce l'hai in tasca. Avanti."

Harry scosse la testa negativamente.

Forse perché era troppo occupato a fissarlo, a cercare di valutare quel diabolico luccichio, quando lo zio lo colpì dove Malcom lo ha aveva già battuto Harry crollà sul letto, preso alla sprovvista.

Sentì i passi pesanti di zio Vernon, poi colse il profilo delle sue enormi spalle porcine.
Indietreggià a tutta forza, ma lo zio gli afferrò una caviglia e la torse.
Harry scalciò, urlò, poi vide il volto dell'uomo contrarsi e si accorse con orrore che lui stava mantenendo la presa.
La terribile scossa che Harry gli aveva certamente inviato non gli faceva nessun effetto e non lo stava terrorizzando, nonostante si trattasse di magia.

"No? Non lo molli quel bastoncino? Fa lo stesso. Vieni qui!"

Lo zio sembrava impazzito, gli afferrò anche l'altro piede e tirò con tutte le sue forze.
Intanto lo guardava, e rideva. Rideva con un sorriso larghissimo, lascivo, rivoltante.

Ed Harry capì che lo zio non stava per dargliele.

"Avessi saputo che ti bastava così poco, ragazzo, ti avrei preso io..."

"NO!"

L'uomo lo trascinò violentemente in avanti per le caviglie mandando coperte e cuscini travolti ad ammassarsi ai piedi del letto.

Il faccione violaceo dello zio era sopra di lui.
Harry sentiva il suo alito caldo di brandy ed i suoi quasi centodieci chili addosso.

"No... no, non voglio, per favore, non voglio..."

Lo zio non gli disse di smettere di fare quella cosa da anormale - ma strizzà gli occhi e contrasse il volto ad ogni violenta protesta di Harry, ad ogni terribile scossa di magia. 

Trovò il fiato per rispondere alle suppliche del ragazzo.

"Lo sai che cosa ho dovuto sentire dai vicini? Immagini la vergogna? Ne hai un'idea?"

Harry sentiva le braccia schiacciate da quel peso terribile, il suo cervello era tutto un unico imperativo: la Bacchetta.
Non gli importava delle conseguenze, doveva raggiungere la Bacchetta nella tasca, doveva difendersi.
Urlò ancora, ma nessuno accorse, nessuno lo sentiva o voleva sentirlo.

"Che cosa gli fai per quindici sterline? Eh? Offre molto di meno, cinque o dieci. Tu ne prendi dieci, quindici, venti. Lo so che fate anche queste porcherie, in quella scuola di mostri..."
"Lasciami!"
"E per trenta? Eh? Ti pago... ho detto che ti pago, ti do trenta sterline... é di più di quanto ti da McGrath, no?"

Odore acido di alcool e sudore, Harry sentì la trama della camicia dello zio contro il volto, le mani che gli allontanavano brutalmente le braccia dal corpo lasciavano tracce brucianti e dolorose.

Vernon Dursley lo rivoltò, brutale e determinato.

Harry aveva solo quindici anni, era piccolo e leggero. Zio Vernon era un uomo adulto, pesava quasi il triplo di lui e ne era ben consapevole.
Con una terribile spinta schiacciò il nipote contro il letto ormai stravolto, mozzandogli il respiro.
Ogni ribellione di Harry cessò.
Cercava disperatamente di respirare.

"Non... ti prego, zio... ti prego..."

Lo zio lo guardava  dall'alto in quel breve attimo di sospensione e Harry vedeva solo il suo sorriso soddisfatto.

Poi il mondo si trasformò in una nebbia di dolore e terrore, un unico alveolo caldo e puzzolente, l'impronta di quel peso addosso.

Vernon gli strappò di dosso i pantaloni larghi e smessi di Dudley come  fossero stati un inutile straccio, lacerò e lanciò impaziente i boxer lisi di Harry.
Aveva i pantaloni sbottonati ed ansimava come un'enorme verro rabbioso.

Harry era sicuro che la schiena avrebbe finito per spezzarglisi, non poteva andare altrimenti.
Lo zio gli tenne una mano sulla nuca, spingendogli giù la testa, mentre faceva quello che voleva alle sue spalle, premuto contro le sue reni.

Aveva usato la saliva per renderlo possibile e non gli importava se bastava o meno, non gli importava se Harry tossiva e piangeva e implorava.

Non era nemmeno lontanamente come con il professore, faceva male.
Vernon entrò dentro di lui e fortunatamente era così eccitato che ci rimase per poco.

Si scosse, si agitò e gli sbatté addosso goffamente l'enorme ventre madido di sudore per pochi minuti che ad Harry sembrarono un'eternità.

E faceva male, male come niente altro prima in vita sua.

Ogni goffa spinta dello zio fu un'unghia crudele che si infilò nella carne tenera della sua nuca.

 


Harry giaceva di spalle, con solo la vecchia polo di Dudley addosso.
Il ragazzo non si muoveva, sembrava non respirare, sembrava una bambola di pezza. Vernon però sapeva che il ragazzo respira, solo non voleva guardarlo.
Adesso che finalmente aveva punito il piccolo sgorbio anormale si sentiva in pace con se' stesso.
Al piccolo sgorbio era piaciuto, innegabilmente. Dopo un po' se n'era restato immobile, aveva addirittura aperto le ginocchia per lasciarlo entrare meglio.

Vernon Dursley si frugò nelle tasche dei pantaloni, mentre già tendeva spasmodicamente le orecchie ai rumori in corridoio.
Sapeva che sua moglie e suo figlio lo aspettavano da basso - non si erano mossi, non lo facevano mai.
Finalmente trovò ciò che cercava in fondo alla tasca sul retro dei pantaloni. Appoggiò le stropicciate banconote sul comodino quasi alla cieca e lasciò cadere le monetine che produssero un suono cupo e sordo contro il legno.

Trenta sterline. Il ragazzo se le era meritate, dopo tutto.

 

 

Chapter 4: Hell

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Vernon Dursley si spogliò, ripiegò gli abiti con cura e poi indossò il pigiama pulito di bucato.
Si lavò i denti con la solita attenzione, senza badare veramente ai gesti che faceva.

Sua moglie dormiva già dandogli le spalle. Per un attimo Vernon indugiò sollevando il lenzuolo, pochi istanti in cui la frescura del condizionatore nuovo gli lambì il collo e quello fu l'unico segnale che la sua routine serale era stata modificata.

Dudley dormiva da tempo nella sua stanza il sonno placido ed indolore del figlio amato ed al sicuro.
Petunia si era calmata e dormiva.
Lui ripescò il ricordo dei segni del valore di suo figlio nella memoria per scacciare quell'unico attimo di indugio, consentendo alla sua realtà di non incrinarsi.

Si addormentò sereno e soddisfatto come se non ci fosse proprio nessun altro in casa all'infuori dei suoi familiari.

La mattina Vernon Dursley aprì gli occhi in una giornata che si annunciava torrida come la precedente, ma notò che qualcosa di acido di annidava nel fondo del suo stomaco solleticandolo come la zampa di un gatto particolarmente molesto.

Non era semplicemente un fatto dovuto al generoso bicchiere di brandy con cui aveva annaffiato la cena della sera precedente e non sparì del tutto quando lui si lavò e si vestì di tutto punto.

Al tavolo della colazione lo attendeva l'esatta replica del giorno precedente a parte il fatto che suo figlio aveva messo dei cerotti sulla guancia.

Vernon gli indirizzò il solito buongiorno burbero e pieno di dolcezza al quale il ragazzo rispose a malapena. Dudley staccò gli occhi dallo schermo della televisione quando Petunia entrò in salotto con la colazione e lei non perse occasione per informarsi ansiosamente sullo stato delle sue ferite.

"Starà benone, Tunia. Io ricordo ancora la mia prima vera rissa fuori dal ring."

Petunia fece colazione in fretta e non senza raccomandare a Dudley di stare attento quel giorno - come se pensasse che il ragazzo avrebbe deciso di fare a botte ogni giorno d'ora in avanti. 

Fu quando lei si alzò e guardò con una smorfia in direzione delle scale che Vernon sentì di nuovo quella fastidiosa stretta dalle parti dello stomaco.

"Vado a svegliare il ragazzo..."
Prima di allora Vernon non aveva mai prestato particolare attenzione a quel momento, adesso invece seguì attentamente il percorso di sua moglie verso la stanza di Harry.

Cercò di concentrarsi sul bacon e si convinse a mettersi una nuova porzione di pancetta cercando di pensare esclusivamente alla sulla colazione all'annunciatore che aveva sostituito i cartoni della mattina.


Quel giorno era festa e Vernon Dursley non doveva affrettarsi verso la sua fabbrica, poteva restare a godersi la sua famiglia. 

Magari più tardi avrebbero passato una domenica al cinema o al parco, anche se ultimamente Dudley preferiva di gran lunga uscire con i suoi amici. Così erano fatti i ragazzi - così era il rumore della sedia che si spostava - timido, come se cercasse di non farsi sentire, ma ineluttabile.

Il freak prese le sue fette di bacon ed iniziò a mangiare il suo pane tostato mentre la zia lo rampognava, una delle sue braccia scarne entrò nel campo visivo di Vernon - pelle abbronzata, un livido ben visibile vicino al polso.

Vernon sentì lo stomaco ridursi alle dimensioni di una palla da golf. Ogni movimento del ragazzo lo rendeva nervoso, come se fosse un polo che lo catturava in modo perverso.

Avrebbe osato lamentarsi? Avrebbe osato piagnucolare con sua zia? Non l'aveva ancora fatto. Tutto era come sempre. Vernon notò che Potter si limitò ad annuire quando sua zia iniziò ad impartirgli le istruzioni per la giornata. Non alzò nemmeno gli occhi dal piatto. Rassicurato, Vernon Dursley si gustò meglio il caffé.

Vernon colse ancora uno scorcio del suo lungo collo che spuntava dalla maglietta smessa di Dudley. Niente segni. Quando il ragazzo si alzò raccogliendo i piatti sporchi da tavola Vernon scelse di perdersi nelle notizie del giorno, di lasciarlo perdere per il momento.

Quando suo nipote gli tolse il piatto da davanti Vernon stava commentando rabbiosamente il resoconto di uno sciopero.

"Mamma, voglio venire! Voglio i pancake."
"Va bene tesoruccio, la mamma compra anche lo sciroppo d'acero."

Di che cosa stavano parlando?
Poi, all'improvviso, Vernon Dursley realizzò, ed ebbe l'impressione di venire attraversato da un fulmine.
Quel giorno Petunia aveva in programma di andare a fare la spesa, come sempre a cadenza bisettimanale. E quasi tutte le volte Dudley la accompagnava, lasciando il padre a godersi la meritata mattinata di ozio della settimana. Lasciando il padre con Harry.

Cercando di non chiedersi come mai notare quella cosa accentuasse il suo malessere, Vernon osservò suo figlio raggiungere la madre all'ingresso.
Non c'era niente di nuovo nel bacio che Petunia volle dargli uscendo di casa, niente nel suo accomodarsi la sporta vuota intorno al braccio.

Un secondo e furono fuori. Le loro voci si persero lungo il vialetto, di colpo la voce della televisione si trasformò nell'unico rumore nella casa placida.

O meglio non era proprio l'unico - no a voler ben drizzare le orecchie, dalla cucina venivano i rumori del ragazzo al lavoro.


Il ragazzo, nei suoi pantaloni larghissimi, nelle sue scarpe nuove.
A lavoro sulle loro stoviglie le strofinava metodicamente ed aveva solo da sperare di fare un buon lavoro.

A Vernon Dursley sembrò di vederselo di fronte agli occhi e la sua visione non era così diversa dalla scena vera e propria. La contemplava con un bicchiere vuoto in mano, senza pensare a rimproverare il nipote perché se lo era dimenticato.
Si versò lentamente altro caffè e rischiò di rovesciarlo. Guardava il ragazzo, non poteva staccare gli occhi... quando lui se ne accorse, sussultò così violentemente che quasi spaccò un piatto.


*


Harry aveva male alle costole.
Aveva male in ogni punto del corpo che era stato colpito e probabilmente aveva dei lividi, anche se non aveva guardato il suo corpo mentre si alzava dal letto.
Non aveva guardato niente, nemmeno dove andava. Il momento in cui sua zia aveva preso a bussare violentemente alla porta era riemerso di colpo da un sonno profondo, senza sogni, che l'aveva riprecipitato di nuovo in quella realtà di dolore.

Si era drizzato a sedere ed aveva sentito una fitta di dolore laggiù tra le gambe.
Quando si era tolto gli slip li aveva trovati macchiati di rosso, secco ed ormai sbavato. Invece di metterli a lavare li aveva semplicemente nascosti e poi buttati.

Aveva creduto di non essere fisicamente capace di scendere in salotto, di trovarsi faccia a faccia con suo zio, ma l'abitudine aveva in se' una qualche forza perversa ed inarrestabile.
La scena non gli era sembrata diversa quel mattino.


Zio Vernon neppure lo guardava. La zia iniziò ad ordinargli di sparecchiare e sbrigare coi piatti come tutte le mattine, c'era ogni giorno o quasi una raccomandazione nuova. Il cibo sapeva di segatura ed Harry non ricordava quel gusto di ruggine sotto la lingua.

Ogni volta che Vernon Dursley sembrava volergli rivolgere la parola o lo sguardo Harry sentiva quel sapore ferroso diventare più forte, qualcosa di freddo prenderlo crudelmente alla gola, ma lo zio non lo guardò e non gli parlò mai di fronte a Dudley e a zia Petunia.

Ma ddesso zio Vernon era dietro di lui, in cucina, ed erano soli in casa.
E suo zio lo guardava e gli parlava.

"Attento a quello che fai, ragazzo."

Lo zio si stava avvicinando con il passo pesante dei suoi piedi piatti per mettere il bicchiere vuoto tra i piatti che Harry stava lavando.
Lo zio indugiò una volta lasciato andare il bicchiere, ma non per prendere qualcosa di fresco nel frigorifero come a volte faceva dopo colazione.
"Oggi ci vai? Mh?"
E quella domanda che non aveva bisogno di specifiche arrivò bassa e mortifera al suo orecchio, così simile alla voce della sera prima da rischiare di fargli buttare una padella per terra.
Ormai Harry si sentiva le braccia rigide come se fossero state sostitute da calchi di gesso.
"Ti ho fatto una domanda."
Harry riuscì a scuotere vigorosamente la testa.


*

"Se per caso ti scappa qualcosa con qualcuno dico a tutti quello che fai."

Harry doveva ricordarsi come si faceva a respirare, le braccia strette così forte intorno alla testiera del letto da farsi male. Non voleva aprire gli occhi e non voleva guardare. Tutto il suo corpo era marmo, non gesso. Marmo gelido ed estraneo.

"Anche quei pazzi della scuola che frequenti prenderanno provvedimenti, sapranno che piccolo subdolo pervertito sei. Ti sei prostituito."


Ed in quelle ultime parole Vernon Dursley impresse una nota frivola, eccitata, accorciando le distanze per schiacciargli la schiena con la sua enorme mole, affondandogli le unghie nei fianchi, forte.
Probabilmente era vero. Lo zio aveva ragione su quello, anche se era un Babbano. Chiunque poteva arrivarci, anche zio Vernon sembrava in grado di farlo. Harry lo sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma aveva bisogno di soldi.

O forse non era nemmeno quello.

Forse era iniziato tutto col cimitero, con quei maledetti incubi, con l'idea di un Voldemort di nuovo vivo e determinato ad ucciderlo.
Voleva perdersi, o spaccare qualcosa, o distruggere se' stesso.
Urlare in faccia al silenzio di quelli che amava tutta la sua ira, perché da settimane era stato abbandonato nel mondo Babbano, con paure che non aveva mai conosciuto ad Hogwarts.
Quel mondo lo aveva ingoiato, fagocitato nel suo lato più rivoltante e profondo.


E lo zio Vernon per la prima volta in quindici anni aveva ragione.
Se si fosse venuto a sapere, sicuramente lui, Harry, sarebbe stato punito. 

Vide le facce disgustate dei suoi amici sfilargli davanti, vide le loro espressioni sbigottite, sconvolte... o forse invece non aveva bisogno di immaginare le loro facce, perché tanto tutti loro avevano lasciato Harry nel silenzio più assoluto, senza scrivergli nemmeno una riga nonostante le sue ripetute lettere.

Che faccia avrebbero fatto nello scoprire cosa stava cambiando a Privet Drive?

"Ti metteranno in un istituto, che poi é quello che avrebbero dovuto fare dall'inizio... e tutti sapranno che razza di pervertito anormale sei, anche tra gli strambi e i pervertiti..."

Harry sentì quella minaccia scavargli il corpo come le sue spinte, rese umide da qualche cosa che Vernon aveva voluto mettergli prima, questa volta. Una parte di lui evocava la sconfinata repulsione che provava per allontanare la figura ansimante e sudata che lo ghermiva, l'altra se ne stava attonita, schiacciata ed annullata ad assistere a quanto accadeva come se non si trattasse nemmeno più del suo corpo.

Se almeno lo zio fosse stato zitto. Se almeno avesse evitato di fargli vedere che gioiva di ogni istante.
Ad un tratto Harry sentì le ginocchia slittare sui cuscini, lo zio si era allontanato, era uscito da lui ma non lo lasciava andare, lo teneva ancora stretto per i fianchi. Harry sentiva le sue dita indugiare, impastare. Le unghie lo pungevano ancora di proposito, di tanto in tanto.
E lo zio gli stava facendo delle domande.

"Il vecchio é stato il primo a cui lo hai dato? Hm?!"
Perché non si sbrigava a finire e non lo lasciava in pace? Harry avrebbe voluto solo questo. Che continuasse e finisse, oppure che miracolosamente lo lasciasse perdere.

"Non fare solo si o no con la testa, usa la voce!"
"S-si. Si, il primo."

Era la prima volta che Harry parlava da quando si era alzato dal letto.
"Non ci credo. Non in quel posto di mostri che frequenti..."
"I-invece é così."
Zio Vernon iniziò a tirarlo per il braccio, forte.
"Girati. Voglio vedere come fai con la bocca. Avanti, forza..."

*

Harry doveva avere un nuovo livido sullo zigomo, ma tanto nessuno ci avrebbe fatto caso. O almeno era questo che lo zio sembrava pensare, perché non si era dato pena di risparmiargli quello schiaffo quando Harry aveva cercato di sottrarsi.
Ora Vernon gli era sopra, quasi soffocandolo, ma straordinariamente attento a bilanciare il suo enorme peso perché ciò non accadesse, ed era euforico perché Harry se la stava cavando proprio bene con la bocca.

In effetti ci mise tutto se' stesso, si impegnò nonostante si sentisse molto maldestro, per farlo finire in fretta. Non sapeva che tutto sommato da quando Vernon gli si era buttato nuovamente addosso a quel momento era passata all'incirca una mezz'ora, a lui sembrava di essere in un inferno lungo un secolo. Finalmente lo zio venne spingendosi il più possibile dentro la sua gola, facendo in modo che Harry assaporasse ogni goccia del suo seme.

Vernon Dursley si concesse qualche istante di sospesa, beata incredulità accarezzando meccanicamente la testa del nipote.
Si alzò dal letto con una velocità incredibile rispetto al suo peso, lasciandosi alle spalle il ragazzo che tossiva forte.
"Non sporcare."
Si stava riallacciando i pantaloni ed era alle prese con la cintura, in quel primo momento non si voltò nemmeno verso il letto.
Poi però tornò sui suoi passi, adesso guardare Harry non gli era più impossibile. Anzi, gli piaceva. Era giusto, tutto perfettamente giusto, il ragazzo, la puttanella, era roba sua.

Lui lo aveva allevato investendo risorse che avrebbero potuto essere impiegate a favore di Dudley, aveva sopportato la sua presenza, tollerato tutti i fastidi che il piccolo anormale aveva provocato a lui ed alla sua famiglia.

Adesso finalmente il ragazzo, (l'anormale, il mostriciattolo) era nudo, ogni centimetro del suo corpo cosa nota e visibile. 

E non gli aveva più mandato quell'orribile scossa da freak.

Vernon non era disgustato da ciò che aveva fatto, anche se mai lo avrebbe fatto sul letto che divideva con la moglie. Aveva portato Harry nella stanza degli ospiti ed il ragazzo lo aveva seguito senza troppe storie, conscio di ciò che lo aspettava, forse felice di questo.

Non dimenticava chi era, quanto la sua anormalità fosse ripugnante... ma finalmente il ragazzo era utile a qualcosa, era il palliativo della frustrazione che dominava il suo matrimonio, era tutto ciò che aveva sempre sognato di fare ma Petunia non gli aveva mai neppure concesso di immaginare.

La buona, dolce, devota Petunia. Come avrebbe potuto? No, per quello esisteva il piccolo sgorbio.


Anche vedere come se ne restava raggomitolato ancora nudo su quel letto gualcito restituiva un senso a tutto.

Lui aveva quasi finito di vestirsi, gli parve strano che Harry invece non volesse muoversi ed anche - adesso ci faceva caso - che avesse tutti quei lividi. Quand'era vestito non si vedevano.

Quelli sulle ginocchia e sulla schiena, i più grandi, erano colpa sua perché si era dimenato nel tentativo di sfuggirgli. Poi c'era quello sul volto, quando aveva cercato ancora di disobbedire.

All'improvviso Vernon Dursley perse la pazienza e fu quello il momento in cui raggiunse il letto, curvandosi sul piccolo sgorbio per afferrargli le braccia, voltarlo. 

Lui reagì sfuggendogli, mettendosi a sedere e lasciando una striscia rosata sul copriletto immacolato.
Vernon Dursley si infuriò.

"Guarda cosa hai fatto!" Lo scosse, costringendolo a ripiegarsi, a mostrare la tenera curva delle natiche in quel rovesciamento brutale - "Sei un piccolo schifoso."

Adesso il piccolo sgorbio cercava gli abiti, si muoveva in fretta, forse approfittando della preoccupazione di Vernon per quella macchia. Harry arretrò frettolosamente quando lo zio sollevò il copriletto e lo voltò dalla parte pulita.

Così la macchia non era nemmeno più visibile e una volta sistemate le pieghe la stanza sembrava identica a prima. Naturalmente prima che Petunia se ne accorgesse avrebbe dovuto provvedere a pulire quella macchia, possibilmente non in un giorno di bucato. Non voleva certo che sua moglie facesse domande.


*

Non voleva nemmeno che il ragazzo portasse in giro dei segni strani, a parte quei lividi che avrebbe potuto procurarsi anche normalmente... cadendo, sbattendo da qualche parte.
Fu facile raggiungerlo da dietro ed allargare i suoi pantaloni cadenti per infilargli in tasca la banconota. Fu anche facile fargli cadere di nuovo i pantaloni alle caviglie.

Lo spinse sull'unica poltrona della stanza degli ospiti facendogli tenere le natiche magre ben sollevate, non volendo rischiare di sporcare ancora.

 Harry si portò automaticamente le mani in basso, Vernon gliele spostò sbrigativamente, poi lo afferrò per le caviglie.

Non provava tenerezza di fronte a quella nudità tenera e vulnerabile, a quel corpo esile e stravolto. 

Il suo scopo era controllare com'era messo il ragazzo sotto, se c'era qualcosa in base alla quale poteva finire nei guai. Aveva già deciso, Vernon, di incolpare McGrath se succedeva qualcosa, se il freak fosse corso da sua zia.

Indugiò sul tenero rigonfiamento dei suoi testicoli saggiandone la peluria solo per vedere come avrebbe reagito il ragazzo.

Harry si limitò a strizzare gli occhi voltando nervosamente il collo di lato e dimenandosi, Vernon trattenne l'impulso di stringere la presa per vedere se avrebbe protestato o pianto, se fosse in grado di avere una qualche reazione.

Era strano il ragazzo, docile, gli sembrava strano anche il modo in cui si era arreso, lasciandosi fare tutto. Ma probabilmente questo era normale per loro, per gli anormali.

 Avrebbe detto questo a sua difesa, se il freak protestava. Ecco.

E poi Vernon l'aveva pagata, quella sua urgenza.

Poteva anche giocare un po' con quello che aveva comprato, se voleva.

"Pensavo che ai pervertiti venisse duro, a prenderlo." Ma ad Harry non 'venne duro' nemmeno quando lo zio ci avvolse la mano intorno, per cui Vernon lo lasciò andare.

Aveva delle salviette di quelle che Petunia di portava sempre in giro, osservò con sguardo critico l'inforcatura delle natiche, usò una delle salviette.

 Capì da dove doveva essere venuto il sangue e si ripromise di utilizzare sempre la crema che aveva usato quel giorno.

 

 

Chapter 5: Reality

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"Che é quel livido sulla guancia?"

Harry vide una goccia di denso sciroppo rosa volare dal gelato di Dudley alla moquette del salotto.
Non sapeva più nemmeno che giorno fosse... o meglio, lo sapeva ma in quel momento il tempo era una nebbia bollente che lo avvolgeva stretto, attutendo ogni suono. Sapeva solo che il mondo era un bollente pomeriggio d'agosto, che i grilli morivano in continuazione e che voleva fare una doccia al più presto. 

Vernon Dursley gli aveva mollato un'altro schiaffo, perché Harry non smetteva di piangere.

"Niente." Mormorò Harry e buttò lo straccio con cui aveva lucidato l'argenteria nel secchio. Aveva la gola secca, bevve una grande sorsata d'acqua nella cucina deserta.

Aveva così caldo e sete che quasi non sentiva il brusio del telegiornale in salotto, un tempo i notiziari Babbani gli avrebbero procurato una stretta allo stomaco.

 Un tempo... una settimana prima. Voldemort, che era lì fuori vivo e vegeto, i suoi Mangiamorte... ancora niente su di loro al telegiornale Babbano.

L'annunciatore lasciava concitatamente la parola ad un uomo che inveiva contro i sindacati, le sue parole venivano immediatamente riprese dalle furiose rimostranze di zio Vernon.

Lo stomaco di Harry si torse e Voldemort gli uscì completamente dalla testa - perché l'unica cosa che contava, in quel momento, era sgattaiolare di sopra mentre lo zio si dedicava ancora una volta alla sua auto ed alle notizie di cronaca.
Ogni giorno lo zio lavava l'auto di nascosto, in barba al razionamento idrico. Mentre lui si godeva gli averi, Harry ne approfittava per infilarsi in bagno.


Oggi Dudley inviterà i suoi amici?

Harry non poteva esserne sicuro. Non del tutto, ogni giorno d'estate era un potenziale rischio, i ragazzi arrivavano senza nemmeno essere invitati, chi con la scusa dei compiti delle vacanze - mai nemmeno guardati da Dudley - chi per vedere se a Dudley andava di 'fare un giro al parco'.

Eppure anche quella sgradevole eventualità gli causava una reazione diversa, adesso.

Harry lavò via il sudore e la terra insaponandosi a lungo le braccia abbronzate. Aveva lavorato al prato per tutta la mattina. 

Oltrepassò la forma di un altro livido grosso come una salsiccia.

Vorrebbe cancellarla, vorrebbe che quella schiuma fosse magica.

Istintivamente tendeva l'orecchio ai rumori in salotto, appena percepibili oltre lo scroscio dell'acqua.
Istintivamente, Harry aveva sempre saputo quando era il momento di togliersi di torno, non gli serviva nemmeno sentire le voci di Piers e Malcom. Anzi, di solito quando arrivava a sentirli significava che era già troppo tardi.

Ma adesso non gli interessa.

No, da quando suo zio Vernon approfitta di ogni ora silenziosa della notte per giocare con lui, Harry non si cura di niente.

Chiuse l'acqua, afferrò l'accappatoio e se lo avvolse stretto addosso.
Un pensiero lo colpì mentre usciva dalla vasca.

Non mi importa. Tanto ormai che cos'altro potrebbero farmi?

Quel pensiero si accompagnava ad una sorta di terribile torsione interiore e lo assorbì così tanto che Harry non si accorse di non essere solo nel bagno.

Quando vide Dudley in piedi di fronte alla porta chiusa per poco non scivolò sul tappetino bagnato, per fortuna riucì a non urlare.
Come diavolo aveva fatto a dimenticare la porta aperta?
Non aveva chiuso a chiave.

Ormai quella consapevolezza era totalmente inutile, quasi inutile quanto la mano che istintivamente raggiunse la tasca destra dell'accappatoio - la tasca della Bacchetta che, in quel momento, ovviamente non aveva.

Non sapeva se fosse peggio sentirsi così stupido, oppure lo sguardo di suo cugino.
Perché Dudley aveva qualcosa di strano in quel momento.
Harry non lo capì immediatamente perché accadeva troppo di rado, ma Dudley stava pensando.

Finalmente i suoi occhi si scollarono dai piedi nudi di Harry per risalire, smarriti, l'accappatoio blu.

"Che ha fatto al..."

Evidentemente lo sforzo era troppo per Dudley, le sue parole rimasero ad appesantire l'aria. Harry sentiva i suoi occhi fissare il suo accappatoio, sentiva la muta domanda del cugino sommarsi ad una ridda di altre decine. 

Quell'armadio umano gli bloccava la porta, Harry avrebbe voluto dirgli di togliersi dalle palle, invece si mise a raccogliere gli asciugamani usati, ammucchiandoli nel cesto della biancheria.
Sentì le mani tremare e lasciarli cadere più di una volta.

"Dudley, adesso ricominci con gli scherzi in bagno?"

Chissà perché la memoria gli riproponeva i lunghi anni di angherie, di fronte ad Harry scorrevano come diapositve tutti i momenti in cui Dudley aveva cercato di infilargli la testa nella tazza del gabinetto, tutte le volte in cui lo aveva spinto contro quel muro di piastrelle azzurre...

"Che hai fatto addosso?"

Il cesto della biancheria si richiuse con uno schianto - Dudley era ancora lì, piantato come uno stupido sasso di fronte alla porta.

"Ti ho visto mentre ti mettevi l'accappatoio. Che hai fatto addosso?"

"Non sono affari tuoi."

La stanza era diventata di colpo minuscola? Harry pensava di si. Le mura stavano cercando di schiacciarlo.

"Invece si. Chi ti ha beccato? Per caso Joseph?!"

Joseph?

Harry ci mise un po' a capire - quando Dudley usava quel nome, si riferiva al rivale storico della ghenga - un tipo che viveva in fondo all'isolato, con cui una volta Piers aveva fatto a botte facendosi sospendere da scuola.

Ma Joseph non ha mai degnato Harry di uno sguardo, no, nemmeno in quinta elementare quando si sono trovati in classe insieme.

"Fammi passare, Dudley."
"Chi ti ha battuto? Non gli hai fatto cose con la...la tua b..."
"Nessuno mi ha picchiato."
"Non é vero."
Harry credette di intravedere uno spiraglio laterale, ma Dudley si spostò prontamente a coprirlo.
"Dimmi chi é stato."

E qualcosa di pungente dissolse i residui di pazienza, paura o qualsiasi altra stupidissima cosa si potesse provare in quell'estate maledetta , ed Harry - che senza i suoi occhiali continuava a vedere sfocato anche il volto di suo cugino, a meno che non fosse vicinissimo - gli rispose.

Mentre lo faceva uno strano, feroce sentimento gli scavava come dei solchi sanguinanti nel petto.

Perché Dudley pensa che qualcuno lo abbia picchiato.

Perché Dudley sa solo fare battute cretine e ridacchiare quando i suoi amici gridano ad Harry di succhiarglielo. Qualche volta ha fatto a botte con i suoi amici per proteggerlo, ma Harry é così stanco che in quel momento ciò ha un peso ridotto, di fronte ad anni ed anni di angherie.
Perché il piccolo, balordo Didino Piccino abbia un'assaggio di realtà.

Un piccolo assaggio. Niente di che.

"Tuo padre, é stato."

Dudley spalancò la bocca.

"Ma..." 

Ma suo padre non era mai arrivato a picchiare Harry neanche quando andavano alle elementari, perché Harry potrebbe incenerirlo, trasformarlo in catrame, o chissà che altri orrori.

Anche se non può usare la magia fuori dalla scuola di mostri, é comunque uno di loro.

Harry non ha bisogno di sentire queste parole, é come se Dudley le avesse dette.

"Che vuoi che ti dica. Eppure sono stato bravo con lui."

Dudley Dursley aveva abitudini dure a morire, come quella di bloccare suo cugino semplicemente mettendogli una mano sul petto, quando Harry cercava di sgattaiolare via.

Quella volta non fu per picchiarlo, ma per guardarlo dritto negli occhi. Inorridito.

Harry ricambiò il suo sguardo. Ma non c'era alcuna espressione nei suoi occhi.

 

 

 

Chapter 6: Danger

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Dudley non si fece più vedere in casa per il resto del giorno. Imbruniva, nella calda sera d'estate in cui ad Harry fu permesso di uscire a fare un giro per Privet Drive.

Harry non aveva la minima intenzione di andare a cercare Dudley, specialmente se - come immaginava - era ancora a girovagare con la sua gang. O insomma, quel che ne restava.

Voleva solo sgranchirsi le gambe. Dudley era fuggito via  e sua madre non lo aveva visto tornare per pranzo. Con una telefonata li aveva avvertiti che si era fermato a pranzo da Piers.

Vernon seguì Harry con gli occhi fino alla porta d'ingresso, sornione come un gatto impigrito da un lauto pasto. Al solito, zia Petunia aveva ricordato al nipote che se rientrava un solo minuto dopo Dudley sarebbe finito in punizione per una settimana.

Il tono di voce stizzito con cui glielo aveva ricordato non era diverso dal solito, ma aveva restituito ad Harry una strana fitta nello stomaco.

Sua zia era così ignara.

Le sue parole erano così simili ad una pantomima, ma la donna non aveva modo di saperlo.

Non aveva modo di sapere cosa suo marito aveva fatto ad Harry due sere prima, cosa di tanto in tanto gli faceva a notte fonda ed anche il giorno in cui lei e suo figlio Dudley erano fuori per la spesa e di certo non sarebbe stato Harry ad informarla.

Il ragazzo uscì nell'aria bollente del crepuscolo e lasciò che il vento caldo della strada deserta gli buttasse indietro i capelli troppo lunghi.

Anche quelli di certo non andavano a genio a zia Petunia, ma forse sarebbe stato zio Vernon a proporsi per accompagnare Harry dal barbiere.

Chissà che cosa gli avrebbe fatto, soli  in macchina.

Harry calciò via una lattina di coca cola vuota e si lasciò cadere su un'altalena.

Il parco giochi era malandato e pieno di erba gialla, morente.

Con una smorfia per tutti i lividi che aveva sotto la maglietta, l'unico ragazzo presente sulla scena rinunciò presto a dondolarsi.

L'aria che smuoveva, ad ogni modo, non gli portava alcun refrigerio.

Il silenzio però era bello.

Meglio del brusio onnipresente della televisione, dei grugniti di stizza di suo zio per il caldo, di zia Petunia che apriva e chiudeva di nascosto il rubinetto del giardino per innaffiare il prato quando nessuno la guardava.

Quando queste cose lo circondavano, Harry sentiva il bisogno di correre al piano di sotto e mettersi ad urlare la verità, smembrando per sempre le facce sfatte dal caldo dei suoi zii, lacerando l'ignoranza di sua zia.

Chissà se di fronte al suo racconto lei gli avrebbe creduto.

Chissà se di fronte alle prove dei suoi lividi avrebbe creduto alla versione di Harry.

Oppure avrebbe fatto finta di non vedere, proprio come quando Dudley lo riempiva di botte.

Oppure zio Vernon lo avrebbe accusato di averlo provocato, tirando fuori quella storia del professore. Allora...

ma Harry si diede una spinta con i piedi forte, perché non poteva permettere ai suoi pensieri di imboccare quella strada.

Stava atterrando quando sentì la risata di scherno.

Piers era in testa. Suo cugino Dudley dietro, sul sentiero. Trafficava con la catena della bici, Dudley. Non aveva deviato per l'area altalene e non aveva fatto eco a Piers.

"Non avevamo un conto in sospeso, Potter?"

Harry lo vide farsi avanti, con quegli occhi azzurri pieni di gioia maligna.

Un tempo sarebbe scattato in piedi, Harry, la mano stretta alla Bacchetta che teneva ben nascosta nella tasca.

Invece si limitò ad irrigidire ogni muscolo del corpo, ma attese immobile. Piers arrivò ad oscurargli la luce morente del sole.

"Mi chiedevo quanto vuoi per succhiarmelo. Quanto ti da il vecchio in fondo a Magnolia?"

Silenzio.

"Lo sanno tutti quanti che cosa fai, dai. Tutto il quartiere lo sa."

Harry si strinse nelle spalle.

La manata di Piers lo raggiunse sulla spalla già livida.

"Devo tornare a casa!"

Sentire Dudley fare un'uscita responsabile stupì Harry, nonostante tutto. Era lì dietro il suo amico Piers.

"Dai Piers!"

"Ti tratto bene. Non ti faccio più niente, giuro... se mi fai un servizietto non ti tocco più nemmeno con un dito. Sai cosa intendo, no? Voglio solo un lavoretto con la bocca, non mettertelo dentro."

"Non hai una ragazza?"

"Che cazzo c'entra? Me lo vuoi fare o no?"

"Quindici."

"Sei caro, ma sta bene. Domani sera io e..."

"Piers!"

A quel punto il ragazzo non ebbe altra scelta che andare verso Dudley. Harry si alzò a sua volta, memore degli avvertimenti di sua zia.

Sentiva Dudley e Piers parlottare del più e del meno, condendo il tutto con un sacco di parole proibite in casa loro.

Non si preoccupava di camminare a distanza di sicurezza, Harry. Perciò si beccò in pieno l'ipocrita annotazione di Piers: "Ma i tuoi non gli dicono niente, che fa la troia?"

"Non fa la troia."

"Come no!"

"Non é mica una troia."

"BigD, prende soldi in cambio di certi lavoretti. Tecnicamente, tuo cugino é una troia."

Ma la replica di Dudley si perse, troncata di colpo.

Forse il gelo era arrivato prima nei suoi polmoni, mozzandogli il respiro. Harry se ne sentì invadere, fu come un pugno in pieno volto.

Prese a tremare nella sua maglietta sudata.

La strada era di colpo immersa in una nebbia densa, innaturale, che scioglieva in contorni del mondo in spirali viscide.

Le voci terrorizzate di Piers e Dudley suonavano ovattate, come se giungessero da dietro un muro. Harry distinse a malapena la sagoma massiccia di suo cugino. Qualcosa lo urtò rischiando di farlo cadere ed Harry capì che Piers, impazzito dal terrore, si era messo a correre.

Poi Harry lo sentì, dietro la schiena.

Ogni senso di mago che sembrava scomparso tornò prepotentemente.

Avevano un Dissennatore proprio dietro le spalle.

*

"Corri!"

"Non vedo un cazzo! Che cos'hai fatto!"

"Non ho fatto niente, corri! Dudley, corri!"

"La bici!"

"Lascia perdere quella bici del cazzo!"

Un attimo dopo correvano, avanzando nella nebbia fatta di tentacoli senzienti, con Dudley che gemeva per il dolore al fianco e Harry che aveva estratto la Bacchetta.

Ma anche l'orrore alle loro spalle correva.

Ed a una velocità di gran lunga superiore di quella povera ed inutile concessa alle loro gambe umane.

Harry fu costretto a fermarsi quando stavano per svoltare l'angolo con Mangolia Road, perché non sentiva più suo cugino gemere di dolore dietro di se'.

*

L'orrore era chino su Dudley, respirandogli il suo putrido fiato di morte sul volto.

Mani pallide e bianchicce erano strette intorno ai polsi grassocci del ragazzo, per spostargli delicatamente le mani dal volto privo d'espressione.

Harry colse lo sguardo vuoto di quegli occhi e per una frazione di secondo - solo una, giurò a se' stesso - immaginò di lasciar fare il Dissennatore.

Guardare la fine di suo cugino e poi attendere immobile la propria, senza contrattare, senza lottare, senza niente di cui preoccuparsi dopo.

Farsi svuotare come una fiala di pozione e poi esistere, esistere soltanto...

"Expecto Patronum!"

E la luce tornò nel mondo.

*

Nella cucina di Privet Drive, con il suo enorme cugino accudito da una lacrimevole zia Petunia, Harry si lasciava urlare addosso.

Zio Vernon le aveva dette tutte, dissacratori, disegnatori, dispersosi, dimenaporci, ma non avendoci capito granché aveva dedotto che era comunque tutta colpa di Harry.

Di Harry e delle sue sordide, sporche abitudini.

Eccolo accusarlo velatamente, in curioso contrasto con quella sua voce tonante, di essersi attirato qualche malvivente a causa della sua abitudine di frequentare la casa del Professore.

Addirittura era convinto che Dudley avesse assunto qualche sostanza.

"LUI!" Tuonò, il dito ciccione puntato su Harry. Zia Petunia aveva gli occhi spalancati e pieni di lacrime, malleabile come burro fuso nelle mani del marito.

"Accetta la realtà, Petunia. O non crederai alle sue panzane ? Ha portato Dudley dove c'era il rischio che andasse, a vivere sotto lo stesso tetto di questo piccolo deviato. Droga! Prostituzione, e chissà cos'altro! Addirittura con me, ha..."

"Non diciamo cazzate."

Il baccano cessò di colpo. Erano le prime parole che Dudley pronunciava da quando era rientrato barcollante e verdastro, dopo che il Patronus di Harry aveva scacciato il Dissennatore.

Paralizzò i suoi genitori e persino Harry.

Lo sguardo di Dudley era puntato su suo padre.

Come sfidandolo a rimproverarlo.

"Ovviamente sei confuso, figliolo. Non sono stupito, se..."

"Se sei tu che l'hai violentato."

Toccò a zia Petunia diventare verde, ma prima che le conseguenze di quella rivelazione potessero dilagare, fu la porta di casa a spalancarsi con un boato.

Sulla soglia - priva di nebbia - si stagliava un essere appartenete ad un altro mondo.

Alto, sottile nella sua tunica nera dal colletto alto - e di certo non sorridente - Severus Snape puntava la Bacchetta di fronte a se'.

Zia Petunia spalancò la bocca come un doccione ed Harry fu colpito da quell'espressione, quasi più del nuovo arrivo.

Snape ignorò Petunia per fissare Harry coi suoi penetranti occhi neri, ma Harry aveva capito che sua zia lo conosceva. Sapeva il cielo come.

Solo che vedere quei gelidi occhi scuri su di se' rischiò di dare ad Harry il colpo di grazia.

Ci mancava la persona che più al mondo lo odiava. Severus Snape.

"Potter. Tu vieni via con me, adesso."

 

 

Chapter 7: Orders

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"Muoviti, Potter!"

Ma Harry camminava guardingo nella sera ormai fatta, sospesa come un frutto troppo maturo sulle loro teste.

Non sembrava che quella stessa strada fosse stata il suo campo di battaglia, appena un'ora prima. Ma Harry camminava come se la gelida nebbia dei Dissennatori fosse rimasta in agguato dietro l'auto del vicino, pronta ad aggredire il prossimo sfortunato.

Era scosso, Harry.

Molto più di quanto fosse disposto ad ammettere.

Non aveva avuto nemmeno il tempo di cambiarsi.

Vedere Severus Snape marciare al piano di sopra come se conoscesse la strada era stato quasi peggio del Dissennatore.

Solo la sua presenza aveva fermato il putiferio che stava per seguire le parole di Dudley.

Non era finita, ovviamente, ma i Dursley erano troppo attoniti da quella presenza per qualsiasi iniziativa, anche solo per parlare. Zio Vernon si era ridotto alle dimensioni di una formica, invisibile nella sua poltrona. Zia Petunia aveva seguito Snape come un'ombra, senza nemmeno rivolgergli la parola.

Come una filiforme macchia nera, Snape aveva spalancato la porta della stanza di Harry e fatto un sol fagotto dei suoi averi.

"Ehi!"

Ma la risposta era arrivata sotto forma di due Gufi che avevano scaraventato sulla testa di zia Petunia e di Harry una cascata di lettere.

Harry le aveva raccolte - strappandole dalle mani di sua zia - e si era reso conto che erano tutti richiami del Ministero.

Più due comunicazioni ufficiali da Hogwarts, che lo espelleva.

Poi - strappando in modo comico e disperato la pergamena - Harry aveva scorto la grafia di Silente.

"Non consegnare la Bacchetta a nessuno. Il professor Snape sarà a Privet Drive entro pochi minuti. Vai con lui."

Harry non aveva potuto far altro che accartocciarsi tutta quella carta nel pugno.

*

Per uno che era appena stato espulso, che sarebbe stato oggetto di un'udienza disciplinare per aver evocato un Patronus alla presenza di un Babbano, Harry si sentiva fin troppo tranquillo.

Forse perché era accaduto tutto troppo in fretta. Passarono di fronte alla casa del Professore e con quella si lasciarono Magnolia Crescent alle spalle.

Harry non aveva intenzione di chiedere alcunché a Snape.

Il professore, d'altronde, sembrava deciso ad ignorarlo.

Harry vedeva il suo profilo dritto ed altero, il colletto nero abbottonato fino al collo nonostante la calura opprimente, i capelli neri come gli occhi, pece. Una gocciolina di sudore sulla tempia era l'unico segno che quell'uomo fosse più umano di un Dissennatore.

Vederlo rendeva quella camminata ancora più odiosa.

Le labbra di Snape erano serrate. Non stavano incontrando anima viva.

All'improvviso Harry pensò al Professore, quel povero patetico Babbano che quella sera era andato così vicino a qualcosa di molto peggio della morte.

Non pensò a Dudley e all'inferno che forse in quel momento divampava sotto il tetto dei Dursley.

All'improvviso Harry pensò agli adulti.

Adulti come il professore oppure si, lo stesso Snape. Snape era molto più giovane del professore, il babbano con il  tabacco stantio e le mani timorose ed assetate.  E Snape lo odiava, probabilmente il doppio di quanto suo zio Vernon avrebbe mai potuto.

Harry fissò le sue converse nuove, quelle da cui praticamente tutto era iniziato.

Si vide riflesso negli occhi di Snape, non sapeva perché. Dipinto nei vividi colori del disprezzo. Ma immaginava un film senza sonoro, in quel momento.

Forse Snape, come Vernon non si sarebbe fatto alcun problema a servirsi di lui, però non lo avrebbe pagato.

No. Un uomo come quello gli avrebbe riservato chissà che genere di orrori e ricatti. Ma forse Harry avrebbe dovuto provare. Dopo il professore, aveva imparato che gli adulti erano fondamentalmente tutti uguali, sollevato il velo delle apparenze.

Snape lo avrebbe guardato con disprezzo, ma anche suo zio lo guardava schifato.

Invece...

"Potter."

Quel richiamo vibrante lo strappò al suo silenzio.

Harry alzò la testa dalle proprie riflessioni.

Severus Snape era rosso come un peperone - rosso come il tramonto, come la luce di un cantiere come se avesse seguito il filo dei pensieri di Harry.

"Siamo arrivati. Ci Smaterializzeremo, da questo punto in poi."

Mi ha letto il pensiero. Non so come ci riesce, ma lo ha fatto. Maledizione!

Guardandosi bene dall'afferrare il braccio di Snape, Harry puntò i piedi.

"Dove stiamo andando?"

E sperò con tutto il cuore che si trattasse di un posto in cui ci fossero Ron, Hermione, Silente, il suo padrino Sirius, una spiegazione di qualche tipo - Snape fece una smorfia schifata e questa volta evitò con cura di incrociare lo sguardo di Harry.

"Limitati ad eseguire gli ordini!"

"Non i suoi ordini."

"Quelli del Professor Silente, allora. Ma se preferisci non farlo, ed aspettare quelli del Ministero, non mi opporrò. Ti espelleranno, ma prima temo che attenderesti la tua udienza ad Azkaban..."

Harry gli afferrò il braccio.

 

 

Chapter 8: Ispezione

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Ad Harry bastò uno sguardo per capire che non si trovavano in un posto che conosceva.

Si guardò intorno disorientato. Snape aveva già lasciato il suo braccio, Harry vedeva la sua schiena ammantata di nero risalire il vialetto.

Si guardò i piedi, rendendosi conto che avrebbe dovuto trascinarsi dietro il baule di Hogwarts a mano. Si rese anche conto che erano nel bel mezzo di un cumulo di rifiuti.

Numerose cartacce volvano nel vento torrido, portate verso la fine della strada polverosa. Una ciminiera ormai annerita deturpava l'orizzonte, incombendo sulle case dall'aria malmessa.

Correndo per come gli era possibile, Harry si affrettò a raggiungere Snape.

Era ovviamente un sobborgo Babbano. Harry era pronto a scommettere che lo fosse totalmente, non c'era di sicuro traccia di Silente lì, ne' tanto meno di Ron ed Hermione.

Snape lo invitò a sbrigarsi con uno sguardo sospettoso. Harry trascinò il baule fin dietro quella porta scolorita. Un tonfo. Poi il buio.

L'aria era stantia, come se nessuno mettesse piede lì dentro da mesi.

Con un colpo di bacchetta Snape accese le luci.

Harry non era un ragazzo viziato. Era, probabilmente, il meno viziato in assoluto dei suoi coetanei, anche se Snape poteva essere di diverso avviso. Ma guardò il soffitto che non sembrava essere stato imbiancato negli ultimi vent'anni, il lampadario dozzinale e mancante di una lampadina e si domandò dove diavolo fosse finito.

L'arredmeto del salotto era spartano, tranne per i libri che riempivano ordinatamente la libreria all'angolo. Erano evidentemente tutti testi magici.

Harry completò quella lunga occhiata incontrando il volto di Snape, che lo fissava con sguardo penetrante ed allora la domanda gli sorse spontanea.

"Dove siamo?"

La risposta lo terrorizzò.

"A casa mia."

Harry guardò il baule senza la forza di pensare che gli sarebbe servito trascinarlo al piano di sopra, ammesso che la scala stretta e sporca portasse davvero ad un piano superiore.

Snape si voltò di nuovo ed Harry sentì vari tonfi e scricchiolii metallici.

Affacciandosi titubante sull'ennesima stanzetta claustrofobica, scoprì che si trattava della cucina. Era spoglia e scarna come il resto della casa, ma il fornello a gas era acceso.

Harry guardò il frigorifero - un modello vecchio e molto rumoroso - e si domandò se contenesse qualcosa.

Però l'esplorazione di quel nuovo ambiente non aveva sollevato Harry dai suoi nuovi, angosciosi interrogativi.

Non sapeva da che parte cominciare.

"Perché sono qui?"

"Ordini del Professor Silente."

Harry deglutì e si impose di mantenere la calma. Dopo mesi di cocente, dolorosa apatia, i sentimenti che stava assaporando non erano affatto gradevoli.

Cercò di non far capire a Snape quanto si fosse sentito solo e frustrato, con tutti quei mesi di assurdo silenzio da parte del mondo magico ed addirittura da parte di Ron ed Hermione.

Non voleva, inoltre, parlare di Sirius. Harry aveva ricevuto solo una lettera lunga, quell'estate, da parte del suo padrino.

Senza minimamente fornirgli più informazioni rispetto a Ron o Hermione, Sirius gli aveva parlato un sacco di dove viveva. Aveva descritto la sua casa, parlando della grande stanza per gli ospiti che sarebbe diventata la sua, se Harry avesse voluto.

Ma quella era stata la sola ed unica comunicazione da parte di Sirius, non aveva mai risposto ad Harry che gli chiedeva dove si trovasse questa casa. Harry l'aveva presa male, aveva contribuito al suo stato di silenziosa disperazione.

Malumore che non si stemperava quella sera, ma peggiorava.

"Il professor Silente... quando potrò incontrarlo?"

Snape si voltò un sopracciglio alzato. Harry si sentì studiare e non gli piacque. Precipitò in quegli occhi neri come la pece.

"Il professor Silente é molto occupato, al momento." Con un cenno della bacchetta e senza nemmeno guardare quel che faceva, Snape spense il fornello. Harry captò una zaffata sorprendentemente buon di spezzatino. C'erano cipolle, e la carne era sicuramente ben rosolata. Ma non si lasciò distrarre.

Anche perché più della fame, sentiva crescere la rabbia.

"QUANDO si degnerà di parlarmi, visto che nessuno mi ha più detto uno stramaledetto nulla di NIENTE?"

Non si era reso conto di aver alzato la voce. Non si fermò quando vide gli occhi di Snape lampeggiare pericolosamente. Ormai non poteva più fermarsi.

"UN CAZZO DI DISSENNATORE! QUESTA SERA SONO SCAMPATO AD UN CAZZO DI MALEDETTO DISSENNATORE, MERLINO SANTISSIMO, E TUTTO QUELLO CHE OTTENGO... SONO FINITO IN UN BUCO DI LONDRA SPERDUTO, CON UNA CAZZO DI UDIENZA CHE MI ASPETTA MA OH, POSSO ASPETTARE, VERO?"

Seguì un lunghissimo, inutile silenzio.

Snape aveva la stessa identica espressione di quando era iniziato.

Harry si sentiva più stupido che mai.

"Veramente"; sibilò Snape con un tono inaudibile rispetto allo scoppio di rabbia di Harry - "Qualcuno ti ha detto qualcosa, Potter. Qualcosa che non doveva dirti. Ma per fortuna é stato fermato..."

Allora Harry si arrabbiò ancora di più.

"Avete fermato Sirius? L'unica persona che mi stesse spiegando un cazzo di qualcosa?"

"Modera il linguaggio, Potter. Si, prevedibilmente il tuo padrino ha agito d'impulso, ma il professor Silente é riuscito a riparare il danno."

Completamente frustato, Harry fece per prendere a calci il bidone dei rifiuti. Ma una forza gelida gli si avvinghiò alle caviglie.

"Non ci pensare nemmeno, Potter. Non ho intenzione di sopportare i tuoi capricci."

"Mi lasci... mi lasci subito!"

Snape abbassò la punta della bacchetta ed Harry poté di nuovo camminare.

"Ti conviene portare la tua roba di sopra. Troverai una stanza. Seconda porta a destra. Poi torna qui."

*

La stanza era piccola, umida e senza finestre. Harry lasciò lì il suo baule, una serissima Edvige e la cosa più sconsolante fu vedere le sue cose immerse in quell'ambiente grigio, accanto al letto rifatto ma dall'aria ammuffita quanto il resto della stanza.

*

"Sembra che dovremo passare un po' di tempo insieme, Potter. Ti sconsiglio di utilizzare ancora il linguaggio di prima, pertanto."

Harry, le mani cacciate a fondo nelle tasche, era in piedi contro il muro della cucina.

Si sentì ridacchiare, se ne accorse quando vide le labbra di Snape stringersi fino a farsi esangui.

"Che cosa può farmi, togliermi punti? La scuola non é ancora iniziata. Sempre se ci tornerò mai."

Snape gli si parò davanti agli occhi. Aveva su un sorriso sardonico.

"Non te la togli mai, quell'aria arrogante, vero Potter? Ma immagino che sia un tratto genetico..."

"Non sfiori questo discorso."

"Ti suggerisco di non avere questo atteggiamento di fronte ai giudici, Potter. Non gli piacerà."

Improvvisamente la consapevolezza degli eventi travolse Harry. All'idea di essere espulso - di poter essere seriamente espulso da Hogwarts - gli venne mal di stomaco e gli si seccò completamente la bocca.

Snape - che continuava a stargli davanti come se non volesse perdersi un attimo della sua ansia - continuò: "Però, Grifondoro comincerà l'anno con cinquanta punti in meno. Questo posso garantirtelo."

Non poteva, naturalmente. Harry sapeva, dopo quattro anni di Hogwarts, che non si potevano togliere punti prima dell'inizio di un anno scolastico. Ma fu il tono di voce di Snape a fargli torcere ancora di più lo stomaco.

Quell'uomo lo odiava e sicuramente stava godendosi il suo tormento.

Harry poteva sentirlo godersi ogni istante di quel che riusciva a leggergli in faccia e si sforzò con tutto se' stesso di non dargli la minima soddisfazione.

Ma era difficile, dal momento che Snape l'aveva agganciato e non accennava a mollarlo.

"Che cosa é successo? Quanti erano?"

Harry capì subito il riferimento.

"Solo uno, ma la nebbia era tanta. All'improvviso ci ha circondato...mio cugino era davanti a me, stavamo tornando a casa. Il Dissennatore ha puntato lui per primo. C'era un altro ragazzo, ma é scappato."

Il sogghigno di Snape forse voleva dire, come sempre, che non gli credeva.

Harry lo ignorò.

"Poi ho lanciato l'Incanto Patronus."

"Non si segnalano altre aggressioni a Privet Drive. Quindi, l'altro ragazzo probabilmente é arrivato a casa indenne,"

Harry non sapeva se rallegrarsi o meno, per Piers. Ma considerò che non lo voleva nelle braccia di un Dissennatore, non voleva che nessuno facesse quella fine.

"Una vera fortuna che tuo cugino si trovasse in tua compagnia."

"Noi non ci frequentiamo, di solito."

"Pur vivendo sotto lo stesso tetto?"

"No."

"I tuoi zii non approvano lo sfoggio di te che sei così bravo a fare, Potter?"

Harry incassò la provocazione, anche se sentiva l'odio salire di un'ottava ancora.

"Non ci frequentiamo, io e Dudley. Lui ha i suoi amici..."

"Già, e tu hai i tuoi, Potter. Inseparabili compagni di malefatte..."

Harry si sentiva come se Snape cercasse di farlo urlare di nuovo. Non voleva cedere.

"Comunque sia, dovrai mangiare il mio cibo e dormire nei miei letti. Credimi, Potter, se non si trattasse di una richiesta  del professor Silente, ti avrei lasciato a vedertela con il Ministero della Magia. Il Ministero della Magia dovrebbe essere quel che ci vuole per te, in questo momento."

Harry era confuso.

Non badò più ai tentativi di Snape di fargli perdere le staffe.

Iniziò a concentrarsi sul fatto che l'uomo stava facendo sfoggio di informazioni che a lui mancavano.

"Per quale motivo? Perché il Ministero dovrebbe essere quello che mi ci vuole?"

Ma Snape si limitò a sogghignare.

"Ti suggerisco di mangiare, a mie spese. In quella pentola c'è un ottimo spezzatino, Potter."

A mie spese.

Con lo stomaco che brontolava, Harry rispose: "Non ho fame."

"Davvero? Oppure stai semplicemente puntando i piedi?"

"La smetta. Voglio... voglio andare..." Avrebbe voluto dire nella mia stanza, ma non poteva. "Un attimo in bagno."

"Potter... la tua maleducazione é pari solo alla tua arroganza, entrambe senza limiti. Il professor Silente ti tiene ragionevolmente al di fuori delle ultime novità del mondo magico  e se vuoi saperlo, questa decisione secondo me é quella giusta. Infatti, ora stai dimostrando quanto sei infantile ed ingrato. Ti é così difficile rispettare gli adulti? Ammettere che forse hanno le loro ragioni per fare ciò che fanno?"

Harry si sentì di nuovo scivolare via, lontano dalle logiche di quel mistero lungo una estate intera. Forse Snape aveva ragione. Si, gli adulti avevano le loro ragioni. Già. Come suo zio Vernon...

"Gli adulti, qualche volta, fanno anche cose che sono sgradevoli perché vanno fatte, Potter. Io per esempio non mi aspetto nulla in cambio, per ospitare un moccioso pieno di arroganza sotto il mio tetto fino a nuovo ordine. Pensi che qualcuno mi ripagherà di quello che spenderò per sfamarti, darti un tetto?"

All'improvviso Harry registrò il colpo: "Come... per quanto tempo dovrò stare qui?"

"Non ascolti quando ti parlano? Non lo so."

"Posso pagarla... posso pagarla, risarcirla dell'intera spesa. Per il cibo e..."

"Non essere ridicolo, Potter."

Snape adesso aveva la faccia di chi é stato appena insultato apertamente. Bene.

Una zaffata deliziosa di arrosto solleticò ancora le narici di Harry.

Lentamente, quasi senza accorgersene, come se fosse qualcosa di completamente naturale, Harry si sentì scivolare in ginocchio. Vide scorrergli davanti agli occhi il completo nero di Snape. Poi la fibbia d'argento della sua cintura.

Snape non disse niente e così Harry allungò le mani fino a toccare la fibbia.

"Che... che cosa fai?"

Harry - sentendosi invaso da una calma assoluta, quasi innaturale - rispose iniziando a tirare la fibbia, per allargare un po' la cintura ed accedere ai bottoni.

"Ha detto che non vuole soldi... che nessuno la ripagherà..."

Harry fece scivolare la mano nel tepore degli abiti, ma Snape si dibatté e gli sfuggì da sotto le dita come un'anguilla - e poi Harry si sentì stringere il polso così forte che fu certo di esserselo rotto.

"Ha... ha detto lei che voleva essere ripagato!"

"Tieni giù quelle mani, Potter!"

"Mi lasci, mi sta spezzando...."

Ma una cascata, anzi un tornado di immagini partì da Harry, investendo in pieno il Potion Master.

Erano brutte immagini. Immagini di una camera da letto linda e pinta, con le cortine rosa ed il copriletto all'ultima moda, le sue finestre davano su un giardino verde perché innaffiato di nascosto. 

Sul letto di quella stanza un uomo molto grasso schiacciava sotto di sei il corpo infinitamente più gracile ed inerme di un quindicenne, agitandosi al culmine del piacere e della soddisfazione. 

L'uomo grasso stava dicendo che quello era il minimo, che gli doveva quattordici anni di abiti e tutto il cibo preso dalla sua tavola... il ragazzo, sopraffatto, non lo ascoltava, non ascoltava niente, non era molto più di una bambola di pezza...

Harry si massaggiava il polso, ormai era seduto sul pavimento. Sudava. Aveva appena avuto la conferma dei suoi sospetti, Snape sapeva davvero leggere nel pensiero. Ma non era nelle condizioni di pensare razionalmente. Tirare fuori quei ricordi fu come rivivere quelle sensazioni. 

Si augurò che Snape potesse vedere i suoi pensieri anche in quel momento. Harry lo stava odiando con ogni atomo e fibra del suo essere.

Anzi, Harry stava pensando che non c'era niente di diverso tra suo zio Vernon e Snape. 

Stava inveendo verso Severus Snape mentalmente, così non doveva nemmeno dire parolacce. Forse i suoi pensieri erano mille volte più incisivi delle parole.

Voleva che Snape vedesse come lui, Harry, aveva ragione a pensarla così perché tanto in quei due secondi di immersione aveva visto che ce l'aveva già mezzo duro.

E voleva che capisse che lui, Harry, non si faceva illusioni sugli adulti, in particolare quelli come Snape o suo zio. Si, Snape aveva anche dimostrato di essere manesco, nessuna novità per Harry, nessuna differenza con uomini come Vernon Dursley.

Harry si concentrò sul restare dov'era scivolato con quel turbine di pensieri, senza muoversi, come a comunicare la sua disponibilità.

Ma se era così, se Snape gli stava leggendo la mente in quel momento, non lo dava a vedere. Di fronte ad Harry, impassibile come sempre, torreggiava la sua solita sagoma scarna.

Un po' aver subito quella intrusione lo disgustava. Ma ormai non c'era molto da fare.

Se non capire almeno se aveva avuto ragione.

"Mi ha rubato i pensieri?"

"Me li hai buttati addosso tu, Potter."

"Lei può leggere nel pensiero?"

"Si chiama Legilimanzia, Potter."

Harry registrò l'informazione come una risposta positiva, qualunque cosa fosse la Legilimanzia.

"Perché non lo hai detto a nessuno?"

Harry non era nemmeno sicuro che Snape avesse parlato davvero. La sua voce aveva la consistenza di una ragnatela. Per di più, tra una cosa e l'altra era notte fonda.

"Per non avere nessuna risposta? Hanno tutti cose più importanti..."

"Perché non lo hai detto a tua zia?"

"Per farmi prendere ancora a cinghiate..."

Ci fu un fruscio. Harry vide l'orlo della tunica nera più vicino.

"Mia zia nella migliore delle ipotesi avrebbe incolpato me."

Poi Harry agì d'impulso, quando sentì Snape chinarsi su di lui: "Faccio tutto... con la bocca, e dietro... basta che non mi faccia male... solo questo..."

E provò un brivido di terrore e disgusto quando Snape sembrò aver accettato la sua proposta, visto che gli stava sollevando la t-shirt. Aveva la pelle d'oca, Harry, ma non importava.

Se non gli faceva male... il professore non gli aveva mai fatto male. "Faccio con la bocca, per tutto il tempo che ci vuole, finché non..." Ma tutto quello che Snape stava facendo era ispezionarlo.

"Finché non viene. Mi può fare tutto. Non dico niente a nessuno."

Harry si rese conto che quell'imbecille gli aveva messo a nudo il petto, ancora segnato da lividi in via di guarigione, ed anche la schiena - il maledetto.

Toccò ad Harry chiedere, anche se non aveva la forza fisica di opporsi ad un uomo fatto come Snape si era invece opposto a lui.

"Che cosa fa?!"

Ma Snape non mollava i suoi cazzo di lividi, sembrava volesse imprimerseli negli occhi.

"Dove altro ce li hai? Che ti ha fatto?"

Harry si alzò con un unico gesto fluido, un vago senso di vertigine quando la maglietta gualcita ricadde al suo posto. Subito dopo però se la sfilò da sopra la testa e si lasciò cadere alle caviglie i pantaloni usati di Dudley, che tanto erano di almeno cinque taglie più grandi. Snape, alle sue spalle, rimase immobile. Harry sentiva che lo stava guardando, probabilmente ancora con la bacchetta in mano.

Il contatto fisico con Snape lo aveva disgustato, per quei brevi istanti in cui aveva sentito la sua grossa mano callosa sul petto. Sperò che quell'improvviso interesse per i lividi non significasse che gliene avrebbe fatti degli altri.

Per finire, prima che Snape potesse dire qualsiasi cosa, Harry si sfilò le mutande.

Ecco.

Adesso avrebbe dovuto avere paura o almeno provare un senso di schifo.

Invece era lì, fermo, calmo e tranquillo ad aspettare di capire cosa volesse fargli Snape.

All'improvviso, Harry sentì un grande calore. Crebbe e crebbe fino ad avvolgerlo da capo a piedi ed era delizioso... ogni segno, livido e morso stava guarendo.

Non capendo più molto, Harry si voltò e prese posto sulla sedia che gli sembrava più comoda. Dava comunque le spalle a Snape.

"Rivestiti, Potter. Non fa caldo qua dentro."

Harry sentiva la sua voce morbida, come il tocco di invisibili mani. Snape sembrava trattenersi a stento. Meglio prima che dopo. Harry si sentiva padrone del gioco.

"Non sento freddo."

E lo pensava. Forse era l'Incantesimo di risanamento che chissà perché Snape aveva usato, ma Harry non sentiva per niente freddo.

Sporse le natiche in modo che non ci fosse niente da immaginare. Sentì Snape esplodere nel suo silenzio sempre più saturo.

Quando sentì ancora una volta il tocco reale di quelle mani, fu certo che Snape si fosse deciso.

Strinse i denti e chiuse gli occhi, pronto ad alzarsi, a fare qualsiasi cosa gli venisse richiesta, a scoprire come fosse questo adulto quando si lasciava governare dall'uccello.

Finché sentì quelle enormi mani sui globi esposti delle natiche non si stupì. Conosceva quella merda ed anche ciò che sarebbe venuto dopo. Era tutto nella norma. Poi però sentì che le carni gli venivano separate nella zona più tenera ed emise un gemito.

"Ma che.." Fece Harry, stanco di chiederlo. Sentì di nuovo, a sorpresa, il calore dell'Incantesimo.

Non si era reso conto di quanto avesse sofferto il suo corpo, prima che lo risanassero completamente.

Quella sensazione aveva qualcosa di insopportabile e nostalgico. Allora Snape semplicemente  lo voleva nuovo e pulito, senza i segni del passaggio di suo zio...

Le dita di Snape gli sfiorarono la spalla come un'ala. Una carezza. Senza preavviso, brividi violenti si impossessarono di Harry.

"Rivestiti, Potter."

Ma adesso era Harry ad avere un problema. Una cosa che non gli era mai capitata prima in occasioni simili.

Invece di obbedire si sporse ancora, perché l'improvvisa erezione richiedeva una posizione più comoda. E voleva che continuasse, quel tocco lieve come un'ala.

All'improvviso non voleva niente altro.

Fu la voce di Snape l'unica nota dissonante in quell'assurdo flusso: "Non abuserò di te, Potter."

Harry si aggrappò allo schienale di quella grande sedia. Era stanco. Non ne poteva più. Si sentiva nudo, abbandonato, preda dell'ennesimo giochetto. Solo che nemmeno il professore gli aveva mai chiesto di giocare così.  In più, quel tocco gli bruciava ancora la spalla. Questo era inquietante, ma non come la voce soffusa con cui Snape parlò ancora.

"Non credo che tu abbia capito, Potter, in questo caso te lo ripeto. Non abuserò di te. E non intendo ascoltarti mentre ti lamenti per il raffreddore che ti prenderai."

"So che vuole farlo..."

"No, che non voglio."

"Ma l'ho sentito, prima..."


La situazione stava diventando dolorosa, lì in basso.

Harry non se rendeva conto in quell'istante, non fino in fondo. Ma il suo corpo non si sfogava da mesi e costituiva un richiamo potente. Era davvero stanco dei giochetti di Snape ma era questo che erano per lui: giochetti di un adulto ipocrita.

Snape era un adulto che lo odiava, questo non doveva scordarselo nemmeno se aveva un buon tocco. Il professore di Privet Drive a volte lo aveva toccato così, era confortante. Certo era un adulto schifoso, ma il suo tocco era confortante. Harry non aveva mai ricevuto carezze.

Harry si sentì afferrare per il polso, ma questa volta con infinita delicatezza. Snape aveva messo la propria mano enorme sopra la sua.

Gli fece circondare la sua stessa erezione, gentilmente. Harry sentì le sue dita stringersi e semplicemente fece lo stesso. Snape lo guidò in tutto e per tutto. Su e giù. Su e giù. Bastarono un paio di minuti. Harry venne come un fiume in piena, senza ritegno, senza potersi trattenere. Prese a gemere, piangere e poi gemere ancora, lasciando che il piacere, la tensione ed il dolore sfogassero così fino all'ultima goccia.

Fu sempre Snape a guidarlo fino al letto ed a ficcarcelo dentro. Harry dormiva già quando la luce si spense nella stanzetta angusta.

 

Chapter 9: Pozione Fondente

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Era troppo magro.

James Potter era stato più imponente di così. Potter aveva preso la corporatura minuta di Lily. Negli ultimi mesi era cresciuto di molti centimetri - aveva pur sempre quindici anni.

Severus Snape si sentiva uno scarto del pianeta terra. Avrebbe semplicemente fatto bene a lasciarlo in cucina, lasciar perdere tutto. Invece no. Aveva permesso ai suoi istinti di prendere il sopravvento. Forse Potter aveva ragione. Non era diverso da suo zio. A che serviva schifarsi e desiderare di ammazzarlo?

Non aveva fatto niente altro al ragazzo se non guidare la sua mano.

Ma proprio quello a ben vedere poteva risparmiarselo. In quel momento avrebbe approfittato di lui. Dal primo istante in cui si era inginocchiato, in quel modo terribile e navigato, Snape lo avrebbe assecondato. Alla fine aveva ceduto almeno in parte e la cosa più grave era che oltretutto Potter era un suo studente. Poteva sfogare i suoi ardori in bagno, senza nemmeno avvicinarsi a Potter.

Così avrebbe fatto un uomo razionale come Severus si riteneva, sperando che Silente si facesse vivo il prima possibile per mettere fine a quella convivenza.

Basta che non mi faccia male. Quanto male gli avevano fatto quei Babbani?

Severus aveva visto orrori bastevoli per molto tempo vorticare dietro il ricordo peggiore.

Lui, Severus, non era un mostro e non gli avrebbe fatto niente. No? Farlo avrebbe significato essere lo stesso uomo che aveva chiesto a Voldemort di togliere di mezzo James e risparmiare invece Lily.

Il ragazzo era magro, segnato da quell'orrore. Il Babbano, suo zio, era pazzo. L'idea che Potter lo considerasse esattamente come Vernon Dursley lo colpiva più del previsto. Snape non sapeva più vedere in Harry il naturale prolungamento di James e quei pensieri di odio verso Vernon ne erano la prova, ma lui era ben al di là dell'essere consapevole di questo.

Potter se ne restò semplicemente sdraiato a letto fino alle due del pomeriggio. Fu così che Snape lo trovò, quando alla fine entrò nella sua vecchia camerata d'infanzia.

Non per altro, ma perché Silente gli aveva pur sempre affidato il compito di badargli.

Potter fissava il muro, probabilmente aveva dormito fino a quando la serratura era scattata.

Si era messo il pigiama, almeno. Severus Snape vedeva il suo torace tendere la stoffa, respiro regolare ma non tipico del sonno.

"Hai intenzione di alzarti, mangiare qualcosa?"

Gli costò un'immensità parlare come una maledettissima balia. Odiò Silente più che mai in quel momento.

Potter non si degnò di rispondere.

Snape non sollevò gli occhi da lui. In parte era perché sapeva che questo lo infastidiva. Severus Snape aveva di fronte a se' un ragazzino al quale erano capitate cose orribili - quando Silente glielo aveva fatto presente dopo la fine del Torneo Tremaghi lui aveva sbuffato, disprezzo allo stato puro.

Quello che aveva visto nella sua mente era qualcosa di diverso da quanto Potter aveva vissuto nel cimitero, ma lo stato d'animo di Severus era lo stesso. Si, era una persona orribile, lo sapeva.

Potter non aveva l'aspetto di un ragazzino. Quei pochi mesi lo avevano trasformato in qualcosa di diverso.

Severus Snape l'aveva odiato dal primo momento in cui aveva posato gli occhi su di lui, perché somigliava a Lily, ma purtroppo era identico a James.

In quel momento, non intendeva mentire a se' stesso. Non ne era più in grado, semplicemente.

Lui non era una brava persona perché nonostante tutto avrebbe approfittato a piene mani di quanto Potter gli offriva.

"Non mi va."

"I tuoi modi non sono una novità, per me."

"Posso compiacerla in altri modi, non ha che da chiedere."

Insolente!

"Perché si é preso la briga di guarirmi?"

Perché... oh, non poteva dirglielo. Non c'era una sola risposta. Però nessuna di quelle disponibili avrebbe aiutato Potter. Allora perché non gliene dava una?

"Non ci voleva ancora molto. Non mi faceva più male..."

"Il professor Silente tiene molto alla tua incolumità, Potter."

Era la peggiore risposta che potesse dare, se ne rese conto da come Potter si irrigidì. Si alzò a sedere come se fosse dotato di molle.

"Così tanto che ho dovuto cavarmela da solo contro quelle schifezze di Dissennatori. Così tanto che non mi risponde da mesi."

"Cadi nel ridicolo, Potter."

"Mai quanto lei."

"Che cosa hai detto?"

Il fatto che la rabbia avesse spinto Snape fino al letto con le labbra strette in un ghigno non impensierì Harry. Non lo guardò neppure.

"Che lei é il più ridicolo tra noi due."

"Attento, Potter...."

"A cosa? Non ha capito che fuori da Hogwarts non ha potere su di me... povero diavolo..."

Ma prima di poter finire la frase, Harry si trovò ad un centimetro dal suo volto contorto per la rabbia.

Nulla era come quel gorgo nero. Gli occhi di Snape erano una fornace d'odio, per lui, Harry.

Gli stava strappando la maglietta, tanto la teneva forte.

Ed a giudicare dal calore di quella furia, nonostante non fosse fornito di muscoli Snape lo avrebbe battuto, fisicamente.

"Vuoi davvero che ti mostri una parte di quello che devi temere, Potter?"

"Non mi dica...." ma perfino Severus Snape, che era vissuto d'odio per quella replica di James Potter durante tutto quel tempo, si rese conto che ben poche cose avrebbero potuto costituire una vendetta efficace.

Aveva visto ammazzare Diggory. Voldemort era rinato sotto i suoi occhi, dopo di che aveva cercato ancora di ucciderlo. Sfuggirgli per l'ennesima volta lo aveva portato dritto dritto nelle mani di suo zio Vernon e di un altro individuo ancora, difficile dire chi dei due fosse peggio, ma probabilmente Vernon.

Avevano usato il suo corpo in tutti i modi possibili ed ancora non sapeva, il ragazzo, che non era servito a niente. Che il Ministero della Magia lo riteneva un millantatore.

Prima di potersi difendere, Snape si rese conto di essere sotto il quieto fuoco di fila degli occhi di Potter.

E lui sapeva fin troppo bene chi gli ricordavano gli occhi di Potter.

"Perché non si rilassa un minimo e non mi tocca come l'altra sera?"

"Piccolo stupido...!"

"La farebbe stare meglio. Gliel'ho detto, non lo dirò a nessuno..."

No, non glielo aveva detto. Poteva essere una strategia per liberarsi di lui e farlo finire ad Azkaban. Potter non sapeva ancora che qualsiasi cosa potesse dire, non gli avrebbero creduto.

Severus Snape lo scaraventò di nuovo sul letto. Provò quasi più piacere in quello che nel resto. Oh, non era una buona persona. Ed era pronto a dimostrarlo anche a parole, adesso.

"Le tue nuove sudicie abitudini ti spingono a tanto, Potter? Hai perso ogni senso del pudore?"

Potter si sfilò la maglietta del pigiama alla velocità della luce. Poi, ancora più velocemente se possibile, scagliò i pantaloni a far compagnia alla casacca. E non indossava biancheria intima.

Gli diede una schiena che non aveva assolutamente nulla di infantile, ma rivelava uno scatto sinuoso, consapevole di se' nei movimenti.

Il colmo fu quando Potter gli rispose: "Si."

*

Era una persona schifosa, Severus Snape. Assolutamente ignobile. Lui era in pace con questo fatto, in fondo, era ciò che pensava di se' stesso. Era così abituato a pensare questo di se' che si attribuiva addirittura delle attenuanti, tutto da solo, tutto nella sua testa. Rispetto a tanti altri si riteneva... accettabile.

Era la prima volta dopo moltissimi anni che si avvicinava alle natiche protese di un uomo per saggiarne le carni sode con uno schiaffo a piena mano.

"Il famoso Harry Potter adesso si prostituisce?"

Severus sapeva di doversi fermare, anzi sapeva bene che non avrebbe nemmeno dovuto iniziare, ma il modo in cui Potter chinò il lungo collo facendo risaltare i muscoli tesi delle spalle nude lo uccise.

"Ti ho fatto una domanda. Ti spiace rispondermi?"

Lui si strinse nelle spalle, per farlo ebbe bisogno di assumere una posizione molto più rilassata. Severus Snape ora lo vedeva completamente steso sotto di se', su quel maledetto letto.

Il modo in cui fissava il muro mentre gli parlava lo spezzò. Ancora una volta sembrava così tranquillo. Non era quello il ragazzo che aveva avuto quello sfogo, il giorno prima? La sua voce era una carezza rassegnata.

"I miei zii non provvedono a me, se non tramite i vestiti smessi di mio cugino. Il che significa indossare un mucchio di buchi tenuti insieme dal filo."

Fino a poco tempo prima, Severus Snape si era immaginato Potter come suo padre, anche in quel frangente. Viziato, coccolato, pieno di vestiti nuovi. Non si era posto la briga di indagare, non aveva chiesto mai nulla a Silente, figuriamoci.

Lo aveva sopreso il modo sciatto in cui era vestito, a dire il vero.

Ma non voleva far notare a Potter la sua ignoranza.

Avrebbe dovuto tacere, stava parlando solo per non aprire qualche bottone in più della sua tunica. Stava parlando con il cazzo, avrebbero detto i Babbani. Il che per uno come lui equivaleva all'improvvisa eruzione di un vulcano inattivo. Ma non voleva darla vinta a Potter.

"Mi risulta che i galeoni non ti manchino, Potter. Possibile che tu non ne abbia conservato nessuno?"

"Avevo finito tutto. E non potevo andarmene fino a Londra, alla Gringott, no? "

"Mi sembra strano. Forse quello che hai fatto ti piace? Hm?"

"Non come... quando... io... io non lo so."

Questa volta Snape non lo fermò. Non ne aveva il potere. Lasciò che Potter gli aprisse i bottoni e gli si riversasse addosso.

Si godette tutto dal principio, senza nascondere che erano secoli che nessuno gli accarezzava più con le labbra certe parti del corpo. Si dimenticò chi era, sospese ogni giudizio, tranne quello pessimo su se' stesso.

Il fatto che godesse così tanto - rischiò di impazzire quando Potter capì esattamente dove scendere a baciarlo e poi lo fece scomparire tutto in bocca - non stava passando inosservato. Potter era bravo. Molto bravo. Capì che dopo essere uscito dal calore umido ed avvolgente della sua bocca per la quinta volta, non ce ne sarebbe stata una sesta.

Severus Snape non si spostò. Voleva sporcare quel candore con il suo seme, avere una ragione in più per odiarsi.

*

E non gli bastò. La seconda volta, però, fu molto più sbrigativa e silenziosa. Solo che Severus Snape si limitò ad avvalersi della forza fisica - piano, non come l'incubo che devastava la mente di Potter - e gli arrivò da dietro mentre usciva dalla doccia, circondandolo con tutte e due le braccia. Attese. Non parlò. Si limitò a farlo piegare gentilmente sullo schienale della poltrona. Poi si fermò.

"Oh..." commentò semplicemente Potter, l'asciugamano che scivolava di traverso sui capelli bagnati. "Va bene..." lo spezzò una volta di più con quel suo sussurro.

"Ma prima dovrei asciugarmi..."

Fu questione di un istante, un colpo di bacchetta ben indirizzato ed un piacevole vento caldo investì Harry.

Severus avrebbe dovuto smetterla, ma non poteva.

Non voleva mettersi a dargli baci sulla nuca, così.

Non voleva stringergli teneramente il punto del braccio che era stato più segnato.

"Usi... un... un emolliente, insomma io non ho..."

"Giusto... certo."

"C-così andrà bene. Cos'è?"

"Pozione fondente..."

 

 

Chapter 10: Dopo

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Se lo sa Sirius lo ammazza.

Harry non sapeva di preciso come mai si ritrovasse a pensarlo. Dopo, da solo sul letto scomodo ed angusto, con solo i pantaloni addosso, Harry contemplava il soffitto.

Snape se n'era già andato, come una tempesta estiva.

La Pozione Fondente aveva fatto il suo lavoro.

Harry non sentiva dolore. Non si sentiva male. Non sapeva come definire quello stato d'animo. Giaceva completamente esausto e rilassato sul letto della camera degli ospiti del suo professore di Pozioni e si rendeva conto che i suo bagagli erano rimasti tali e quali, intatti.

Toccare qualcosa avrebbe significato ammettere che quel soggiorno potesse prolungarsi, che non c'era un fine.

Se lo sa Sirius se lo incula.

Ma non avrebbe mai detto nulla del genere al suo padrino, Harry, non gli avrebbe mai confessato come aveva passato l'estate ne' tanto meno - men che meno, mai - quello che era appena successo con Severus Snape.

Harry si alzò.

Lo stomaco gli brontolava.

Nessun suono dalla porta spalancata.

Edvige lo fissava solennemente dalla sua gabbia. Interpretando la sua espressione, Harry le allungò qualche biscottino per Gufi.

"Aspetta un secondo, ho qualcosa per te..." blandì la civetta - che lo fulminava con i suoi occhi d'ambra - e si mise a frugare nella borsa sul baule.

Con l'altra mano si affrettò a far scattare la serratura della gabbia di Edvige.

Lei si fiondò fuori, ma nonostante il disappunto per la prolungata mancanza di libertà attese pazientemente che Harry finisse di scrivere.

Non ci volle molto, erano solo due righe a Sirius.

Giusto due parole.

Come stai? Qui é successo un delirio, ma io sto bene. Adesso sono da Snape.

Harry

Non ci mise molto a trovare la finestra che dava sul retro della squallida abitazione. Un cortile delimitato da mura di mattoni impediva qualsiasi vista ai Babbani.

Harry legò il suo biglietto alla zampa di Edvige e sperò che questa volta Sirius rispondesse.

Almeno due parole, un 'sto bene anche io, vengo a prenderti'.

Harry in fin dei conti non voleva di più.

Percorse il piccolo corridoio ancora una volta e tornò a stendersi sul letto.

Non aveva la più pallida idea di che fine avesse fatto Snape e non intendeva cercarlo.

*

Fu Severus Snape a trovare lui.

Irruppe nella sua stanzetta puzzolente di muffa con gli occhi che lampeggiavano.

Harry lo vide lì, incorniciato dalla porta e pensò che doveva avere almeno cento vestiti tutti uguali. Tutte tuniche nere con il colletto alto.

Però quello non era importante: la cosa che accartocciò lo stomaco di Harry fu vedere che nella mano destra di Snape c'era un piccolo pezzo di pergamena.

Senza dire una parola, Snape tenne sospeso in aria il suo biglietto per Sirius e lo incendiò con la Bacchetta.

Lo ridusse in cenere di fronte agli occhi di Harry.

"Dov'è Edvige?"

Harry sapeva che quello era un tono pericoloso da usare con Snape. Ma il modo in cui l'ira di Snape scese a stemperarsi sul suo petto nudo, per poi castigarsi immediatamente in una maschera inespressiva era nuovo.

Harry deglutì e rivisse ogni dettaglio di quello che era appena successo.

Rischiò per un attimo di distogliere la sua mente da quant'era arrabbiato.

"La tua civetta é fuori a sgranchire le ali, Potter. L'ho solo intercettata prima di farti fare una stupidaggine."

"E magari lei é andato a leggersi gli affari miei, vero?"

"Attento, Potter."

Harry afferrò la maglietta - che era ai piedi del letto, ancora nel punto in cui lo stesso Snape l'aveva lanciata prima. Se la rimise. La sua maglietta nuova. Non una di quelle di Dudley.

Aveva toccato qualcosina dal baule... giusto qualcosina. "Avrai tutto il tempo per riuniti con il tuo caro Sirius in seguito."

Il disgusto impresso jn quelle parole era assoluto. "Avrei creduto che nemmeno tu, Potter, potessi arrivare ad un tale livello di stupidità."

Il peggio era che Harry gli dava ragione. Non era stata un'idea brillante cercare di contattare il suo padrino, non dopo le spiegazioni che aveva ricevuto. Anche se non si fidava assolutamente di Snape, restava il fatto che aveva agito in modo sciocco ed avventato.

La mente di Snape era di nuovo lontana, persa nel ricordo acido dell'odio che provava per il padrino di Harry. Persa in ricordi lontani e non troppo gradevoli.

"Immagino che andiate d'amore e d'accordo, vero? Deve essere stato feeling a prima vista. Dopo tutto, Black é proprio il tuo tipo di persona. Quale padrino migliore? Beh, aspetterai."

Il sorriso storto di Snape seguì Harry come un faro sgradevole, che frugava impudente le tenebre.

Che diritto aveva di 'immaginarsi' qualsiasi cosa che riguardasse lui ed il suo padrino?

Ma era lo stesso che Snape aveva di tenerlo prigioniero lì. Nullo.

"Si, ha indovinato. Sempre che non mi stia leggendo la mente."

A tradimento, Harry beccò gli occhi di Snape con i suoi, verdi schegge penetranti.

Sentì Snape rabbrividire e poi bloccarsi, all'improvviso. Non gli stava leggendo la mente, ne' nulla del genere, in quel momento almeno. Ma Harry provò lo stesso ad inviargli delle immagini.

Niente di troppo dettagliato. Più che altro asserzioni astratte e qualche ricordo del Professore di Privet Drive, mescolato ai più recenti... voleva solo sconvolgerlo.

Non c'era nessuna intenzione verso Sirius lì dentro. La sola idea gli faceva orrore.

Ma Harry ci andò dettagliato lo stesso, e ci andò pesante.

Quello che non si aspettava era di finire letteralmente appeso per un braccio alla salda presa di Snape.

"BASTA!"

Lo scosse, prima ancora di capire che ci stava mettendo troppa forza fece finire Harry seduto sul letto.

Ma Harry contemplò la sua faccia sconvolta con più piacere di quanto non fosse disposto ad ammettere.

Si rialzò. Snape seguì il suo movimento come un serpente potrebbe seguire la preda.

"Perché?" Si strinse nelle spalle.

"Magari appena lo vedo ci provo. Gli voglio bene. Un pompino se lo merita tutto, e gratis."

L'attimo dopo il serpente scattò, ma il suo morso non si abbatté mai.

*

O Silente gli faceva sapere che cosa fare oppure sarebbe impazzito del tutto. Una certezza.

Severus Snape si fermò ben prima di arrivare a colpirlo e mai ne aveva avuto intenzione. Non veramente. Gli faceva male e gli dispiaceva così tanto, ma per lui.

Per quel Potter.

Per quelle mani istintivamente protese a coprire il volto, non ad afferrare la Bacchetta.

Le immagini che Potter aveva vomitato nella sua mente  erano un affronto, fatte per provocarlo.

Potter sapeva come provocarlo.

"Potrei pure proporglielo. Sono affari miei. Sono solo cazzi miei."

"Vuoi che ti lavi la bocca con il sapone, Potter?"

Il passato riaffiorava in bordate nauseanti .

Il ragazzo lo fissava ancora con quegli occhi verdi. Calmo. Purezza fatta a brandelli da pugnali feroci. Uno di quelli era stato lui, Snape, a brandirlo.

Il peggio era che nonostante tutto desiderava ancora affondare quella lama. Stava provando desiderio. Ancora. E si odiava per questo.

"Come in un brutto romanzo Babbano del secolo scorso? Vuole anche sculacciarmi?"

Era così che Potter parlava fuori dalle aule?

Era possibile sopportare di vivere sotto il suo stesso tetto per un istante ancora?

"Se voglio mi offro di succhiarlo a Sirius, a metà dei maghi che conosco ed a quelli che ancora non conosco. Mi presento come il famoso Harry Potter e gli chiedo se posso prenderglielo in bocca. E non capisco, dopo che gliel'ho preso in bocca, che cosa la faccia agitare tanto..."

Usare la forza fisica era facile. Forse sleale come mai, ma fin troppo facile. Potter si ritrovò sotto di lui in un baleno. Snape però gli aveva messo una mano sulla nuca. E basta, come se Harry fosse stato un cucciolo irrequieto da prendere per la collottola.

Il resto era colpa sua. Non voleva stargli appiccicato e nemmeno raggiungere una completa, dolorosa erezione sotto la tunica nera.

Potter, atterrato, cercava di tenerlo d'occhio nonostante le spalle. Non si divincolava.

Non parlava nemmeno. Aspettava.

Severus Snape, nel segreto soffocante di quella stanzetta, si sentiva più che mai spregevole. Soprattutto perché gli occhi di Potter si erano svuotati di qualsiasi cosa.

Aspettava solo ciò che l'uomo molto più grande e forte di lui fece.

Snape si raddrizzò, si aprì nervosamente la tunica e trattenne un colpevole sospiro di sollievo.

L'aveva tirato fuori - come avrebbe detto prosaicamente Potter.

Potter non si lasciò scappare l'occasione di commentare, anche se solo con un basso fischio sorpreso.

Caparbio e deciso a dimostrare la veridicità delle proprie sbruffonate, il ragazzo si contorse fino a girarsi, ma Snape lo prevenne.

Non ce la faceva più. Con pochi, decisi colpi gli mostrò come intendeva occuparsi da solo di quella faccenda. - Potter non batté ciglio. Lo guardò come si guarda qualcosa di scarso interesse, gli parve. Inclinò persino la testa di lato.

Il suo sguardo lo accese, lo divorò.

Non fece nulla di ciò che Snape si aspettava da lui. Non c'erano nessuna sorpresa e nessun orrore, inutile cercarli. Era abituato.

Assisteva imperturbabile, il volto via via più molle.

Ma non per questo non era pericoloso.

"Carino." Lo sentì commentare Severus Snape, ed i lombi gli andarono a fuoco sotto la spinta regolare della sua stessa mano destra.

"Lei ha un bel cazzo."

"Zitto, zitto...!"

Si liberò sul suo volto, sul collo, un po' sui vestiti - e Potter non fece nulla nemmeno in quella occasione.

Dopo non poteva sopportare di guardarlo.

Dopo corse via e lo lasciò lì, di nuovo.

*

"Hai deciso di fare lo sciopero della fame?"

Ma non era la cosa giusta da dire allo stesso ragazzo che aveva visto soffrire in quel modo con l'occhio della mente.

Potter mangiò. Poco, non di gusto come lo vedeva fare talvolta ad Hogwarts.

Poco rispetto a come avrebbe dovuto.

Ma che gliene importava?

Condividere quella cena era già abbastanza imbarazzante.

Snape gli aveva ingiunto di presentarsi alla vista e tenersi a portata d'occhio, dopo lo scherzetto della letterina per Sirius.

Almeno, Potter non gli aveva ancora detto 'Vaffanculo'. Forse era un buon segno.

D'altronde Severus Snape viveva tenendo d'occhio i cieli, aspettando qualsiasi comunicazione da Silente. Intercettare la civetta di Potter era stato facilissimo.

Silente lo viziava a non finire.

Snape lo guardò cenare in mesto silenzio. Aveva polsi delicati come giunchi e grandi occhi miracolosamente bassi.

Non era che uno di quei ragazzi che, a volte, si offrivano ai passanti disperati.

Snape li aveva ben presenti. Giovani maghi bellissimi, stravolti e soli. Oppure sicuri, inconsapevoli e distrutti. Tutti con quell'aria che aveva Potter adesso.

Lui aveva sempre evitato come la peste i loro sguardi.

Non gli interessavano...

"Non ti ho detto che potevi andartene. Non tanta fretta, Potter."

Harry tornò a sedersi.

"Adesso mi comanda a bacchetta?"

"Se necessario. Ti trovi sotto la mia responsabilità. Farai come ti dico."

"Io gliel'ho detto dal primo istante, che per me andava bene." Fece Harry con un tono lieve, laconico.

Stavano parlando di due cose diverse e quello si che era un colpo basso, assestato con quella voce da cardellino.

"Non voglio altri scherzetti come quello di oggi pomeriggio, Potter."

"Allora non dovrei dormire in quella stanzetta tutto da solo. Mi porti direttamente nella sua stanza. No?"

Silenzio.

"Le assicuro che ci riproverò ancora. Finché qualcuno non mi da delle risposte."

"Ostinato, sfrontato..."

"Non può fare altro che tenermi sotto sorveglianza, allora."

 

 

Non poteva certo farlo dormire sul pavimento.

Per un secondo pensò di dormirci lui, ma poi la ragione ebbe la meglio.

D'altronde doveva essere in grado di reggere la vista di Potter sdraiato di traverso sul suo vecchio, austero e rispettabile letto a due piazze in pigiama.

Vedeva il suo profilo, cesellato contro la penombra.

Era delicato e rassegnato come quello di un uccellino in gabbia.

Snape voleva scavare. Non sapeva nemmeno bene lui perché.

Potter era sul letto, Severus Snape seduto a leggere nella sua comoda poltrona. Avrebbe passato la notte lì cercando di farsela andare bene, pensava in quel momento. Sempre meglio che per terra.

Ma in quel preciso istante voleva scavare, e non era un uomo delicato. Non aveva tatto. Silente glielo diceva spesso.

"Quel professore di Privet Drive, quel Babbano..."

Quel bastardo, perché era ciò che era. Non molto diverso da lui. Ma questo Snape non lo disse.

"Tua zia non ti diceva niente...?"

"Noo." Rispose Harry, senza smettere di fissare il soffitto.

"Mia zia non vedeva, o fingeva di non vedere."

"Come é iniziato? Come ti ha agganciato....?"

"L'ho agganciato io. Era perché i miei zii non hanno mai speso un soldo per me ed i miei vestiti cadevano a pezzi. Avevo finito tutti i galeoni e non potevo certo andare a Londra da solo. Un giorno, Dudley ed i suoi amici mi stavano rincorrendo in bici. Il professore mi ha salvato tirandomi al volo dentro casa sua."

Era una 'spiegazione' così superficiale da risultare sfacciata, ma Snape la registrò per quel che gli forniva.

"In effetti gli abiti con cui sei arrivato erano sformati, Potter."

"Sono i vecchi vestiti smessi di mio cugino. Solo l'anno scorso ne ho comprati di miei per la prima volta, ma la maggior parte del mio guardaroba Babbano... é così."

E non potevi aspettare qualche mese per un paio di Converse nuove...?

Ma Snape si morse la lingua giusto in tempo.

"Mi sono proposto di falciargli il prato, lavargli l'auto, cose così. Nessun ragazzo del vicinato può farlo, per ovvie ragioni. Tutto qui."

Potter si rigirò nel letto - l'uomo nella poltrona si impose di non trovare quei fruscii così seducenti, di mantenere la guardia alta. Ormai aveva chiuso il suo libro.

"Non mi ha forzato. Non mi forzava mai... glielo lasciavo fare e basta. Non mi piaceva. Vuole sapere altro?"

"Qualcuno ti ha mai forzato a parte..."

"No."

Una risposta troppo secca e definitiva per essere vera.

"Lei ha intenzione di dormire lì? Non che me ne importi."

"Non sono affari tuoi, Potter."

"Bene. Allora buonanotte."

 

 

Chapter 11: Decisioni

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Severus Snape aveva davvero preso sonno sul divano. Nessuna meraviglia quando la schiena lo svegliò alle quattro del mattino. La prima cosa che vide fu la luce incolore del mattino disegnare con la sua smorta gloria il profilo di Potter.

O almeno quello che doveva essere Potter.

Supponeva che quel grumo di coperte fosse il ragazzo.

Non desiderando altre brutte sorprese, il Potion Master si alzò e si avvicinò al letto.

Il fagotto di coperte respirava. Ci mise cinque minuti buoni a sollevare quel viluppo di stoffa con un incantesimo di levitazione modulato alla minima potenza, ma non si convinse finché non spuntarono le dita di Harry da là sotto.

Dannazione, se un pover'uomo doveva svegliarsi così, con quei pensieri in testa.

Il tempo di arrivare alla cucina e Severus aveva smontato quell'appellativo che si era dato mentalmente, pensando che con tutto quello che aveva combinato non aveva il diritto di definirsi un poveretto.

Si versò un decotto per la schiena mentre le quattro si trasformavano nelle cinque, ugualmente umide ed incolori.

Alle cinque e dieci qualcuno bussò delicatamente alla sua porta.

Severus si appostò di taglio, la Bacchetta levata.

Iniziò con i suoi accorgimenti, le sue speciali domande per scoprire chi diavolo fosse.

Ma fu chiaro dopo le prime due domande che quello là fuori era Albus Silente.

*

"Se é sicuro di non volere nulla..."

"Tu lo sai, Severus." Silente non si riferiva certo alla frugale colazione che Severus avrebbe potuto offrirgli.

Cercò di non dargli a vedere quanto fosse infuriato. Cercò di non far capire a Silente che non aveva voluto chiedergli se il soggiorno del ragazzo era finito, ma proprio direttamente che cazzo gli fosse saltato in mente, di catapultarglielo nella vita. Questo da quando aveva capito che finalmente si era degnato di comparire.

Purtroppo però Silente aveva fatto molto di peggio che appioppargli il ragazzo per l'estate.

Glielo aveva appioppato a tempo indefinito.

Severus Snape aveva lo stesso volto chiuso e duro di quindici anni prima. Se Silente si stava disperando, meglio.

Era davvero infuriato.

"Tu sai che cosa é successo a casa dei suoi zii..." Oh maledizione, non c'era un solo fottuto modo di sfuggire ad Albus Silente. A Severus non restò che ammettere stancamente la verità.

"Curiosamente, si. Sono a conoscenza di quanto accaduto tra Harry e suo zio."

"Ti sei servito del tuo perfetto Veritaserum, per..."

"No, no." Tagliò corto Severus, perché tanto valeva rassegnarsi a quel punto.

"Legilimanzia."

Silente non commentò subito. Severus Snape passò dalla collera alla paura.

Perché la sua mente era schizzata avanti anni luce ed aveva dedotto di trovarsi in pericolo.

Se Silente veniva a sapere in che razza di mani stava mettendo il suo adorato pupillo...

"Spero che tu abbia introdotto l'argomento, allora. Sa già che dovrà apprendere l'Occlumanzia, quest'anno?"

"No. Non gliene ho ancora parlato."

Rispose Severus Snape.

"Domani Severus, voglio che lo porti al quartier generale. Harry se lo merita, finalmente."

Severus appoggiò la sua tazza di decotto come se si fosse trasformata improvvisamente in fango.

"Perché non va di là e non gli parla personalmente, signore? Sta ancora dormendo, ma nulla lo tranquillizzerebbe più che parlare con lei."

Non sapeva nemmeno perché si sentiva così, Severus, mentre lo chiedeva. Forse perché Potter era stato noioso, infantile ed intrattabile. Per quello la sua voce sembrava apprensiva.

"Signore, come pensa che riuscirò a spiegargli che non potrà tornare dai suoi zii, ma per un po' sarà questa la sua casa?"

Il silenzio si prolungò un po' troppo e Severus Snape alzò la testa per fissare il Preside, solo che Silente non c'era più.

La porta era spalancata.

Severus Snape lanciò la vecchia tazza da thè con tutte le proprie forze, mandandola a spaccarsi in un milione di piccoli pezzi sul primo gradino.

 Il suo vicino non seppe mai cos'era successo, solo che qualcosa per poco non lo centrò in fronte. Vide con stupore che era una frammento di coccio viola pallido. Attaccò ad urlare contro la gente sporca e maledetta che voleva accopparlo, ma Severus non lo sentì mai. Aveva già richiuso la porta di casa, in preda al panico. 

D'altronde quello era solo un mendicante babbano e per lui l'appartamento di Spinner's End nemmeno esisteva.

 

*

"Lei fa parte di un ordine Anti-Voldemort?"

Bastò solo il tono di Potter ad offenderlo, ma Severus non poteva urlargli addosso ad ogni parola. Non lo guardò mentre gli rispondeva a denti stretti: "Si, Potter. Io ed il tuo amato padrino e molti, molti altri maghi. Come stai per scoprire, se stai zitto e mi segui."

* *

Inutile illudersi, quel momento sarebbe arrivato.

Arrivava dopo una settimana che era stata come un sanatorio, per Potter. Snape glielo leggeva in quel suo colorito più vivido, in quei suoi occhi verdi che di nuovo brillavano, anche se l'ombra che si era depositata non se ne sarebbe forse mai più andata.

E se la gente in quel quartier generale dell'Ordine della Fenice non notava alcuna differenza sostanziale, forse Potter doveva scegliersi meglio gli amici.

Ma non era a quello che Severus doveva pensare.

Era venuto a prenderlo perché la festa era finta. Doveva dirgli che Albus Silente lo aveva momentaneamente rimosso da casa dei suoi zii.

L'aria di Grimmauld Place, fetida, sollevava il mantello nero del Potion master. Era lì, sul primo gradino. Dalla casa Potter e Black lo fissavano come se fosse un evento funesto venuto a turbare l'armonia.

Ma Black sapeva. Severus era stato  rassicurato su quello almeno, da Silente. Sirius non conosceva i motivi e disapprovava con tutto se' stesso, ma non lo attaccò.

Il problema era Potter.

"C-come sarebbe a dire, é venuto a prendermi?"

Sirius Black- di questo Severus addirittura lo ringraziò - si chinò a bisbigliargli qualcosa nell'orecchio. Meglio lui che io, pensava Severus.

Tanto la reazione di Potter fu tremenda.

Il ragazzo si trasformò nel duro blocco di granito che Severus ben conosceva. Poi, sorprendendo tutti oltrepassò con decisione il primo gradino di Grimmauld Place. Baule e civetta lo seguirono. Evidentemente si erano trovati già nell'ingresso, visto che la mattina dopo anche gli amici di Potter se ne sarebbero andati da lì.

"Harry..." Lo chiamò Sirius, supplicando, ma Harry gli rispose solo con un rapido cenno del braccio ed una voce stranamente alta.

"Ti scrivo. Adesso posso scriverti!"

"Scrivi ogni giorno! Harry, non abbiamo finito di parlare, sappi che..."

Ma Harry si era allontanato troppo e Gimmauld place sparì tra le due case che la fiancheggiavano.

*

Potter l'aveva presa con troppa calma.

Severus avrebbe dovuto aspettarselo. La porta dell'appartamento di Spinner's End si era appena richiusa sulla cucina ombrosa che Harry aveva lo stesso atteggiamento molle ed arrendevole che terrorizzava il Potion master fin nelle midolla.

La poca luce che filtrava dalle persiane socchiuse non bastava ad illuminarlo, ma Severus sapeva che Potter si era appoggiato al tavolo.

"E va bene." Fu la sua soave, pragmatica chiosa.

"Tanto ho capito. Silente non vuole parlarmi ne' vedermi di persona. Non sono stupido. Non serve insistere, visto che adesso ha addirittura preso una decisione del genere per me, senza neppure degnarsi di guardarmi in faccia. Però mi dica una cosa, professore. Per caso é per via di ciò che mi ha fatto mio zio?"

Il professore in questione non vide perché mentirgli.

"Si."

"Lui sapeva? Silente, voglio dire? No, perché ho saputo che sono stato sorvegliato, giorno dopo giorno, tutto questo tempo. Da un sacco di gente dell'Ordine, lei compreso. Ma lei non sapeva niente, professor Snape. Quindi qualcuno ha visto tutto e non ha fatto un cazzo? Non é intervenuto per ordine di Silente?"

Per quella volta, Severus Snape non commentò la scelta di linguaggio di Harry. Anche perché doveva dargli ragione. Aveva pensato la stessa identica cosa quando Silente era venuto lì una settimana prima.

"Ascolta, Potter... il professor Silente é venuto qui una settimana fa, mentre tu dormivi, chiedendomi se io sapessi della faccenda di tuo zio. Ed anche per dirmi che devo tenerti qui fino a data da destinarsi."

Harry, figuretta forse un po' troppo esile ma quanto mai adulta, si spostò su una sedia. La luce lo svelò un po' di più, luccicava sul lavello, sulle scodelle e scivolava sul delicato profilo di Harry.

"Lei che cosa gli ha risposto?"

"Che l'ho visto con la Legilimanzia."

Anche se entrambi sapevano che non era andata proprio così.

"Bene. Allora, ricapitolando, l'Ordine della Fenice mi vede subire l'inferno in terra, ma su ordine di Silente non fa assolutamente niente per aiutarmi."

"Potter, guarda che la sorveglianza non funziona mica così. Non é che spiino le camere da letto della gente, o il loro salotto. Si limitano a tenere d'occhio gli spostamenti delle persone, ma..."

"Allora Silente lo sapeva già perché lui, invece, ha fatto così. Ha guardato dentro casa dei miei zii. E non ha mosso un dito per aiutarmi."

Purtroppo, Severus era giunto alla stessa identica conclusione diverse sere prima.

Non vedeva come contraddire Potter. Era così interdetto che si dimenticò di nuovo di rimproverarlo per tutte quelle parolacce.

"Va bene, fanculo. 'Fanculo, allora."

 Harry si alzò in piedi. Severus Snape vide lame di luce disegnare a tradimento il profilo del suo braccio, cogliendo le dita dinoccolate nell'atto di slacciare la camicia di flanella che il ragazzo portava quel giorno.

"Che cosa fai?"

"Che cosa faccio?"

Poi il ragazzo si avvicinò tanto che Severus Snape si accorse di quella sua mezza nudità sconvolgente.

"Visto che dovrò restare qui per un po' mi metto a mio agio."

"Potter..." Già una volta Severus lo aveva bloccato così, quando aveva preso lui l'iniziativa. Ma quella sera era diverso. Molto diverso.

Potter gli parlava con voce smorta, terribile, ragionevole.

"Volevo solo essere gentile. Un po'."

"Non ne hai nessun bisogno."

"Se dovrò stare qui finché Silente decide che cosa fare della mia vita, tanto vale sia qualcosa di piacevole."

"Che cosa pensi di... Potter..." Ma Severus non poteva nemmeno ritrarsi, perché il ragazzo aveva appoggiato la testa al centro del suo petto, abbandonandosi.

Severus Snape gli abbassò lentamente le braccia, sentendo i polsi sottili fremere nella sua stretta, in trappola come se fosse Potter a tenerlo così e non viceversa.

"Lei si crede una specie di mostro. Tipo un pervertito. Ormai ne so abbastanza. Ma non é così. Io non le piaccio, non le sono piaciuto dal primo momento che mi ha visto e lei mi sta ancora un bel po' sulle palle."

"Giuro che la svuoto, la clessidra di Grifondoro. Aspetta solo di..."

"Però adesso vediamo di andare di là e ficcarci a letto. Non dorma sul pavimento o sul divano. Se no divento matto sul serio."

* * *

Le stesse lame di luce della cucina piovevano sul letto dalle tapparelle semi aperte della camera da letto.

Severus Snape era esausto. Non stava per addormentarsi. Si trovava steso sul letto, sotto le coperte, in pigiama, con Potter che gli teneva la faccia premuta contro il petto. Non vedeva molto, ma sentiva che era così.

Potter gli si era praticamente rannicchiato contro. Difficile non sentirsi il cavallo dei pantaloni gonfio, difficile credere alle parole di Potter, a quel 'non é così'.

Lo spazio non era certo immenso e l'uomo era convinto che Potter se ne fosse anche accorto. Ma lui, Severus, era il solo a concentrarsi su quel dettaglio - e per forza - diminuendo ulteriormente la pochissima stima di se' che era riuscito a ricucire.

Potter respirava piano, come se fosse in pace.

Anzi, non 'come se fosse'. Guarda in faccia la realtà, Severus.

Potter gli si era rannicchiato in petto come un cazzo di pettirosso terrorizzato.

Faceva freddo, quindi tanto valeva passargli un braccio sopra le spalle per coprirlo bene. In qualche modo Severus contava che sarebbe riuscito ad addormentarsi, anche con il respiro tiepido di Potter contro di se', mentre veniva usato come un nido.

Non aveva intenzione di trasformare tutto quello in un abbraccio impacciato. Stava solo sistemando meglio la coperta dietro i loro colli. Solo che in quel caldo, confortevole buio gli giunse un suono flebile, acuto.

Potter aveva iniziato a piangere.

Fu subito chiaro che Severus Snape aveva solo sentito l'incipit di una cupa valanga di disperazione.

Gli finì tutta contro il cuore, glielo inchiodò.

Istintivamente lo abbracciò, forse in un antico riflesso di quando anche lui, molti anni prima, aveva ceduto così all'ennesima carezza coi piedi ricevuta da Tobias Piton.

Non si poteva piangere così. Potter si sarebbe spaccato. Doveva tenerlo insieme come poteva, Snape. Al momento stava usando le braccia, accarezzandogli la nuca senza la minima obiezione interna.

E cercava di non pensare in che situazione mi trovo? Dove mi sono messo?

E sentiva sorgere in lui un pensiero, che puntualmente lo tormentava : Non ti illudere, é solo che alla fine é crollato. Preferirebbe che ci fosse chiunque altro al posto tuo, anzi, il suo padrino. Il suo secondo padre. Invece ha solo uno che odia e per di più se l'è scopato, proprio come tutti i porci che ha incontrato finora.

"Sh, sh, sh..."

Severus, inconsciamente, faceva come sua madre un tempo aveva fatto con lui. Non serviva a Potter, o forse si. A lui aveva arrecato conforto dopo le botte di Tobias Piton, ma lui aveva avuto sette, otto anni.

Forse c'era qualche magia anche in quell'onomatopea del silenzio, però. Potter poco a poco si calmò. Severus si ricordava anche che sua madre lo baciava sulla fronte e sugli zigomi in quelle occasioni. Lui baciò Potter sulle guance umide, poi sulle labbra, dove invece di certo Eileen Prince non aveva mai  baciato suo figlio.

Potter prese una serie di respiri acquosi, tirò su con il naso e troppo tardi Severus si accorse che il ragazzo aveva già le labbra aperte.

Severus tollerò solo l'inizio di quel letale bacio salato, gliene posò invece uno sull'angolo delle labbra.

Fai schifo. Ha solo bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui, e tu fai schifo.

Severus represse quel pensiero mettendo di nuovo la mano sulla collottola del ragazzo, per spingergli la testa più giù, verso il collo. Al sicuro, dove doveva essere prima.

Ma era difficile non accarezzarlo metodicamente, non massaggiare la sua schiena. Forse Potter avrebbe ricominciato se lui avesse smesso. Era meglio concentrarsi su quei movimenti cadenzati, via via più diluiti. Non faceva nulla di male, con quello.

Non era un male, perché serviva per farlo calmare.

Soprattutto perché stava funzionando. Andava tutto bene, era passato. Potter diventò un morbido blocco di cera contro il petto del Potion Master.

Russava piano. Fu come un segnale per Severus Snape. Serrò le braccia intorno al ragazzo. Poco dopo dormiva.

 

 

Chapter 12: Lezioni

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Il ragazzo era sveglio, sveglie erano anche certe parti del suo corpo. Severus Snape lo vedeva bene attraverso i lisi pantaloni del suo pigiama. Buon segno. Pensò con distaccato tecnicismo che era un ottimo segno.

Potter se ne stava sdraiato con le braccia discoste dal corpo come un naufrago. Non ebbe un singolo sguardo per l'uomo che lo osservava dall'alto, l'uomo al cui petto aveva dormito abbracciato. Forse per questo teneva la testa girata verso la finestra.

Severus Snape lo osservava, anche lui sveglio da troppo poco tempo. La luce era dirompente, pura. Illuminava la stanza. Svelava quel figlio di nessuno nel letto di Severus.

Questo era diventato Potter. O forse, era sempre stato. Da figlio di tutti a figlio di nessuno, il passo era breve e forse la differenza del tutto illusoria, pensava il Potion Master.

Per resistere doveva pensare a quello. Al dovere. A proteggerlo, questa volta corpo a corpo - non in senso osceno, ma inteso come 'da vicino'. Si. Era il compito che gli era stato dato e non poteva permettersi debolezze.

Non poteva permettere a Potter di afferrargli la mano, o  di premergli quella sua erezione mattutina contro la coscia. Non voleva neppure colpirgli la mano o spingerlo via. Si limitò a sottrarsi al contatto.

Quando si girò verso il ragazzo colse il suo sguardo remissivo, troppo docile.

Ma doveva comportarsi come si deve, come un mentore. Trovare un compromesso tra la bestia che sentiva di essere e ciò che era semplicemente corretto fare.

Chiedere a Potter: "Cosa?" Mentre lo vedeva pizzicarsi tra le gambe e girarsi di nuovo sulla schiena con un smorfia.

"Niente..."

"Non esiste 'niente' se devo essere responsabile di te."

Harry, che si stava accarezzando distrattamente il petto, si fermò.

Non gli rispose. Fu allora che Severus Snape gli sfiorò l'orlo dell'elastico del pigiama.

"Posso?"

Harry non diede nemmeno segno di averlo sentito.

"Guarda che se non mi rispondi non mi muovo, Potter. Posso abbassarti questo pigiama per vedere che c'è?"

"Non c'è veramente niente..."

Harry gli rimosse il problema, abbassandosi da solo elastico e mutande.

"Posso insegnarti qualcosa di utile, Potter."

"Non vedo l'ora..."

"Non sto scherzando. E non é niente di quello che stai pesando tu. Sto parlando di qualcosa di fondamentale. Niente di magico."

Harry, incuriosito, si girò finalmente verso il suo professore di Pozioni e lo vide in piedi.

*

Non avrebbe mai e poi mai dovuto assecondarlo, solo limitarsi a spiegare a voce. Anche se Potter si era spogliato tranquillamente come se il corpo non fosse nemmeno il suo, anche se l'unica cosa grande ed accogliente di Spinner's End era la vasca da bagno. Però era successo. Peggio per lui, Severus. Non avrebbe concesso a se' stesso la minima indulgenza.

Potter aveva finto per usare il suo petto nudo come un sedile. Severus sentiva il tenero contatto con la pelle della sua schiena. Buon per lui che da quella posizione potesse vedere ben poco. Poteva sentire con il tatto, ma si stava concentrando sullo stretto indispensabile.

"Ruta, camomilla e salvia. Devi usare questa lozione, non il bagnoschiuma normale. Non é la stessa cosa."

La voce di Severus Snape non era che un sussurro. La sua mano destra lavorava senza alcuna concessione all'istinto. Potter era docile come un cucciolo, ma Severus Snape si imponeva di non pensarci neppure.

"Devi partire da sopra ed arrivare fino a quest'osso qui, che si chiama coccige." Un altro sussurro, diretto alla testa del ragazzo. Lo stava facendo di persona, pulendolo, insegnandogli. Dopo avrebbe provveduto da solo a se' stesso. Adesso doveva semplicemente prendersi cura di lui. Questo era il compromesso migliore e meno dannoso per uomo spregevole, come Severus Snape si considerava.

Ma meglio di cedere del tutto alla follia del suo osceno desiderio.

"Non é uguale...?"

"No. Dall'alto verso il basso, sempre."

Severus Snape poteva indugiare e dare una fredda enfasi a suoi movimenti, ignorando la naturale reazione del corpo del ragazzo. Aveva controllo su questo. Ignorò anche quando lui si toccò un paio di volte. Se non rispettava un compromesso avrebbe finito per implodere definitivamente.

Nessuno in quindici anni di vita si era degnato di spiegare al ragazzo quelle basilari pratiche di cura di se'. Doveva concentrarsi su quello. Sulla sua salute e sul suo benessere.

"Ecco fatto. Per tutte le prossime volte, farai così."

Poi acqua pulita, corrente.

"

"Adesso qui..." Con infinita dolcezza e voce inaudibile.

"Si, certo le palle..."

"Si chiamano testicoli. Non essere volgare."

Potter emise un lungo, letale sospiro e gli abbandonò la testa sulla spalla.

Severus Snape aveva bisogno di due soli rapidi movimenti per fare ciò che doveva e quelli usò. Subito dopo passò a coronare le parti più delicate, in punta.

L'erezione del ragazzo doveva essere sul punto di fargli male, ma Severus non si aspettava che lui gli dicesse quanto.

"Questa si può considerare tortura..." Fece all'improvviso Potter.

"Semplicemente, é come pulirti correttamente le parti intime, l'ano e il pene. Niente di più. Capito?"

"Perché, pensa che io non lo sappia?"

"Perché non lo sai ed é evidente. Ma é mio compito anche questo."

"Oh certo... gran bel compito, pozioni e come..."

"Per tua informazione, sono un Guaritore certificato."

Harry decise di averne abbastanza e gli afferrò il polso, perché tornasse dov'era, perché placasse quella sua dolorosa, insopprimibile eccitazione mattutina. Con uno forzo sovrumano, Severus gli prese il braccio e portò invece la mano del ragazzo in quella direzione.

"Non é quello che vuoi veramente, Potter. Ho già fatto troppo e tu lo sai. Sono qui dentro solo perché hai insistito in modo irragionevole. Ti ripeto, non voglio violarti. Questo sarebbe violarti di nuovo."

"No... le giuro che é piacevole... nessuno mi aveva mai... così." Se il ragazzo diceva un'altra di quelle parole sconnesse sarebbe stata la fine. Doveva tacere e subito. Erano i lombi a farlo parlare così. Severus iniziò a guidare il suo braccio perché andasse su e giù, su e giù. Maledizione, non avrebbe dato retta a quel sussurro che gli giurava niente.

"A-ahi, ahi...!"

Severus Snape, sentendosi degno di marcire in un'eternità di tormento, lasciò ricadere la mano nell'acqua, lontano da quella del ragazzo. Ma era solo successo che, per il suo nervosismo, aveva forzato troppo il suo ritmo naturale. "N-no... é solo, qui, non so come si chiama..."

"Frenulo, quella parte del tuo corpo si chiama frenulo... scusami, é stata colpa mia." E Severus Snape gli bagnò le spalle, lo guardò finire solo per assicurarsi di non aver fatto danni con la sua stupidità. Lo guardò e basta, gli buttò addosso un asciugamano caldo e basta.

Non lo aspettò, filò in camera a vestirsi. Che Potter lo seguisse se voleva fare colazione. Severus aveva deciso che non ci sarebbe stato nient'altro tra di loro.

Si sarebbe dato una regolata d'ora in poi.

 

Chapter 13: Piacere e rimorsi

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Harry mangiò. Non molto, non con lo stesso gusto che doveva provare in compagnia dei Weasley e del suo padrino - anche se Severus si guardava bene dal cenare con Black, di questo fatto era convinto.

Ricordava bene la luce di gioia che aveva avuto in viso quella sera, un attimo prima che Severus Snape venisse a prenderlo. Severus Snape aveva seriamente atteso l'ennesima scenata, ad un tratto era arrivato a pensare che Potter lo avrebbe addirittura attaccato.

Invece, forse era accaduto qualcosa di ben peggiore.

Mentre Potter si alzava e metteva il suo piatto a lavare, il Potion Master lo osservava. Pensava alla notte precedente, poi alla tortura che si era auto inflitto al mattino.

Se Potter avesse insistito per rannicchiarsi ancora sul suo petto sarebbe stato lui, Severus, a scappare a gambe levate.

Guardava i jeans sdruciti di Harry, ancora più lisi se paragonati alle scarpe ed alla maglia nuovi.

C'erano veramente più buchi che stoffa ormai. I suoi zii non si erano mai neppure degnati di comprargli abiti nuovi. Gli avevano sempre e solo dato quelli smessi del loro figlio.

E Petunia Dursley...

Severus non aveva detto - e non avrebbe detto mai a Potter - che conosceva piuttosto bene Petunia Dursley.

All'improvviso, mentre Harry lavava i piatti, Severus si ricordò di quanto detestava Petunia.

Da prima quella bambina gli era stata solo indifferente, era una Babbana.

Ma poi, man mano che Severus e Lily diventavano amici, Petunia si comportava come una piccola stronza.

Alcuni degli insulti di quella Petunia, Severus se li ricordava ancora.

Ma non la credeva capace di vestire il figlio di sua sorella con gli stracci smessi di un altro ragazzo.

Non la credeva capace di punire suo nipote, se lui fosse venuto a dirle...

"C'è qualcosa che non va?" Severus riemerse da quel lungo ragionamento e si trovò Potter in piedi accanto. Il ragazzo lo guardava, uno strofinaccio ancora stretto in mano.

"Cosa? No, Potter. Niente di cui tu debba preoccuparti." Severus indugiò ancora qualche istante ed Harry posò lo strofinaccio vicino al frigorifero. Era arrossito, come se avesse appena fatto qualcosa  di vergognoso senza rendersene conto in tempo.

"Potter. Perché ti sei messo a lavare i piatti a mano, invece di lasciar fare a me?"

"Mi é venuto automatico." E Potter si era infilato a fondo le mani nelle tasche di quello straccio di Jeans come se intendesse proteggere il resto.

Però Severus Snape aveva l'occhio troppo allenato per non fare due più due.

Era evidente che Potter veniva trattato come uno schiavo da quei suoi zii Babbani, tanto che ormai certe cose erano radicate in lui.

Una parte di Severus era felice, gongolava ad immaginare il figlio dell'arrogante James Potter che veniva trattato come un elfo domestico, con tanto di abiti smessi.

Aveva gongolato fino a qualche giorno prima, almeno. Adesso, senza neppur rendersene conto, si sentiva a disagio a notare quei segni così evidenti di trascuratezza.

*

Una tazza di decotto fumante, su insistenza di Severus, Harry la stava sorbendo. Una sola aveva subito detto. Non era certo cattivo quel decotto, ma Potter si era offeso nel sentirsi dire che stava diventando pelle e ossa.

Beh, era vero: quindi il Potion Master controllava che bevesse mentre lui, seduto allo stesso spartano tavolo della cucina, sorbiva il caffè.

Guardava Potter bere ed improvvisamente c'erano solo segreti da scoprire nelle sue spalle curve, nella zazzera spettinata dei capelli.

Segreti che Severus Snape voleva scavare, perché lui era fatto così.

Non fosse altro che per ingannare il tempo in attesa delle prossime notizie da parte di Silente sulla fine di quella terribile situazione. Quella era solo una speranza alla quale Severus si aggrappava.

Che lo mollassero a Weasley o a Black, quel ragazzo che gli stava solo scombussolando l'esistenza.

"Come mai tu e tuo cugino non avete rapporti, Potter?"

Harry alzò gli occhi verdi dalla tazza fumante, colto di sorpresa. Fu uno stupore di breve durata. La sua espressione si fece scaltra, quasi amara.

"I mie zii non hanno mai voluto. Nel senso, prima ancora di imparare a camminare lo incoraggiavano a prendermi a pugni, oppure quando mi colpiva chissà come mai non lo vedevano mai."

"Capisco."

"Si." Harry tornò ad abbassare gli occhi con l'impercettibile ombra di un sorriso sul volto affilato. Severus Snape si ritrovò a fissarlo, come ipnotizzato.

"Dudley ha i suoi amici. Piers e Malcom, principalmente. Amici che vivono a qualche isolato di distanza da casa. Loro hanno... preso le sue abitudini. Voglio dire, quando frequentavo il terzo anno ad Hogwarts, mio zio giustificò la mia assenza dicendo ai vicini di avermi iscritto al centro di massima sicurezza San Bruto per giovani criminali irrecuperabili."

"Come, scusa?"

Ancora quell'ombra di sorriso, ma questa volta era come se Potter sorridesse al suo passato.

"Centro di massima sicurezza San Bruto per giovani..."

"Potter, non esiste nessun centro del genere. Neppure tra i Babbani."

"Lei come..."

"Lo so e basta. Vai avanti."

"Avanti?"

"Si, se non ti dispiace. Cos'è successo dopo che i tuoi zii hanno detto che frequentavi il... centro...?"

Harry si strinse nelle spalle.

"Oh, niente di particolare. Dudley sapeva la verità, ma era uno dei motivi per cui i miei zii gli avevano detto di evitarmi come la peste. I suoi amici di certo non cominciarono a temermi perché frequentavo un riformatorio. Quando loro passano i pomeriggi estivi a casa dei miei zii, io di solito scappo. Vado a farmi un giro per Magnolia Crescent."

"Come la sera in cui siete stati attaccati."

"Si. Non volevo vedere Piers e Dudley, ma ero costretto. C'è solo una strada per tornare a casa. Io venivo dalla parte del Professore."

Snape si mosse a disagio sulla sua sedia a sentir nominare quell'individuo, ma Harry non stava guardando.

"Com'è successo che ti ha agganciato?"

"Gliel'ho detto no? Avevo bisogno di soldi. Un giorno sono passato di fronte al suo giardino mentre Dudley e gli altri mi inseguivano in bici. Il professore mi ha tirato dentro casa sua al volo."

Già, doveva essere andata così. Severus Snape si sentiva rimescolare il caffè nello stomaco. Così il porco aveva agganciato l'elemento più debole ed isolato, quello che faceva proprio al caso suo. Potter era sempre solo, schernito dagli amici di suo cugino, in casa detestato dai suoi zii... vestito di stracci come la Cenerentola di quella fiaba Babbana. Che occasione ghiotta doveva essere stata, per quel lurido essere in agguato.

"Gli altri ragazzi non avevano il permesso di avvicinarsi al giardino di quella casa e neppure di salutarlo, il professore. Nel vicinato si sapeva, insomma... si sapeva che tipo era."

"I tuoi zii lo hanno mai saputo?"

Harry si bloccò improvvisamente, come se avesse ricevuto uno schiaffo.

Prese un lungo sorso del suo tonico fumante.

Ancora, Severus era ipnotizzato dal modo in cui le sue mani si muovevano ed i suoi occhi lo evitavano.

"Si. Certo. In particolare mio zio. Di mia zia non so, ma é improbabile che i vicini non glielo abbiano detto. Forse é stata lei ad incaricare mio zio di venire a parlarmi per dirmi di non andare più a falciare il prato o a lavare l'auto del professore. Si, ci scommetto che é andata proprio così. Invece mio zio..."

Severus rispettò quel silenzio, appeso ad esso. Prese un altro sorso di caffè.

"Ma quello che é successo lei lo sa già. Lo ha visto."

"E tuo cugino?"

"Mio cugino cosa?"

"Potter, perdonami. Ma per essere uno che ti ignora, mi sembra che te lo sei ritrovato spesso tra i piedi. Per esempio, la notte dell'attacco dei Dissenntori..."

Harry reagì con inaspettata asprezza.

"Oh, all'inizio Dudley cercò di vendermi ai suoi amici, si interessò di quello che facevo  in casa del professore. Sapeva che non falciavo solo il prato. Una volta mi vendette ad uno dei suoi amici per dieci sterline."

"Per Salazar..."

"Si, però io non volevo. Entrarono nella mia... stanza... in piena notte e quel tipo voleva mettermelo dentro. C'era anche Dudley. Quello mi diceva che non mi avrebbe fatto male e di calmarmi. Ad un certo punto Dudley gli diede un cazzotto. Litigarono. Dudley lo cacciò via. Poi... quando mi inseguivano, non era più per prendermi a calci. Si. Tutta Privet Drive mi conosceva così. Mi conosce così, suppongo. Non saprei, forse sono già passati al prossimo pettegolezzo e se ne sono dimenticati..."

Severus gli impedì di divagare.

"Perché non hai scritto nemmeno una riga di questo per lettera? Perché, Potter?"

Harry si strinse nelle spalle.

"Qualcuno mi avrebbe forse risposto? Forse avrei fatto la figura di quello che vuole attirare l'attenzione a tutti i costi. E poi non volevo."

"Non volevi? Potter perché non hai... usato la magia per difenderti?"

Severus si sentiva bruciare di collera, dispetto, impazienza. Quel resoconto lo stava colpendo più del previsto.

"Non riuscivo. E poi sarei finito nei guai, no? Il Ministero già sostiene che mi sono inventato tutto su Voldemort. Si, ho finalmente letto il giornale da cima a fondo, professore."

Harry appoggiò la tazza ormai vuota sul tavolo.

Lo guardò. Severus non era sicuro di riuscire a sopportarlo.

"Però lei non mi ha mai fatto male. Gli altri mi hanno fatto male. Lei no."

"Potter, smettila."

"Perché? Non sto dicendo una bugia."

Ti ho strattonato, sollevato di peso, minacciato, terrorizzato e schernito. Le labbra di Snape erano ridotte ad una linea sottile.

"Quando me lo ha messo dentro ho sentito uno strano calore, intendo... dentro di me, in fondo. Lo sa che con il professore mi veniva da ridere? Era come una specie di solletico. Invece quando lei me lo ha messo dentro ho sentito che mi piaceva quello che stava facendo. E sono venuto, forte. Era bello."

Solo una persona al mondo poteva essere contemporaneamente disgustato da se' stesso ed insieme eccitato profondamente. Severus Snape.

"All'inizio ho pensato che mi avrebbe colpito. Avevo paura. Non lo nego. Ma poi..."

"Potter" Sbottò Severus all'improvviso. "Ti dispiacerebbe mettere la tazza nel lavandino?"

Harry si alzò e il Potion Master si sentì sollevato. Perché non avrebbe potuto dirgli quanto seguiva se ce lo aveva seduto davanti.

"Potter, che tu te ne renda conto o no, la verità é che dovresti denunciare anche me. Ho approfittato di te proprio come tutti gli altri."

Harry gli dava le spalle. Sembrava impassibile.

"Se vuole pensare questo, allora va bene. Però... cioé... io lo rifarei. Anche questa mattina, quando mi ha... pulito... volevo che mi toccasse. Lo volevo sul serio. Non so che cos'è, non l'ho mai sentito prima. Mi scusi. Forse é solo piacevole, tutto qui. Si, credo che sia così. Quando lei mi tocca mi sento bene, é così bello. Lei sa come toccarmi, e..."

"Potter, smettila, santo cielo, smettila."

Harry si era voltato. Severus non osava guardalo.

"Perché? Che cosa ho detto di sconvolgente?"

"Hai quindici anni e mezzo, potresti essere mio figlio, sei un mio studente, hai visto e subito cose inenarrabili, se ti assecondassi mi sentirei lo scarto della società."

E del tutto all'improvviso, il tono di Harry cambiò.

"Però non si sente lo scarto della società quando mi tratta come feccia a scuola, vero? Non si sente lo scarto  della società quando rompe i coglioni tutto l'anno, vero?"

Severus Snape era balzato in piedi, il viso completamente cambiato - un cambiamento impressionante, le sue guance erano color mattone. "Quello che stai dicendo non é assolutamente vero."

"Mi prende in giro per caso? Non ha fatto altro che fare lo stronzo con me."

"Dì un'altra parolaccia, Potter, e ti toglierò tanti di quei punti che dovranno mettere il segno 'meno' vicino alla clessidra di Grifondoro."

"Non ha fatto altro che fare lo stronzo con me. Addirittura fino a pochi giorni fa. Anche se di quello, almeno, conosco il motivo."

Harry si era avvicinato troppo e lo fissava dritto negli occhi. Una sfida intollerabile.

Severus Snape rabbrividiva, malediceva Silente, non riusciva a smettere di smantellare James Potter pezzo pezzo nel riflesso di Harry.

Stava venendo fuori il ragazzo, non suo padre. Ed il ragazzo era infuriato con lui. Stava dicendo molte delle cose che Severus aveva fatto pesando di vendicarsi ancora insensatamente di James Potter.

"Ma di tutto il resto invece no. Non so perché si comportava così schifosamente con me."

Severus Snape diede fuori all'improvviso, un riso pieno di amarezza.

"Credimi, é meglio che tu non lo sappia. Credimi sulla parola."

"Mentre io le ho raccontato tutto quello che mi hanno fatto, molto corretto."

Harry era troppo, troppo vicino al Potion Master. Severus Snape si rovesciò su quella sua intollerabile faccia di bronzo, non fuggendola più.

"Vuole altri dettagli?"

"No!"

"Altri dettagli di come mi sento quando mi tocca. Mi creda, stronzo com'è stato con me, se le dico una cosa del genere ha un certo valore."

Ancora quel tono di voce tremando, quegli occhi adulti, scheggiati da mille esperienze, catapultati fuori dalla purezza troppo, troppo presto.

Quindici anni. Potter. Studente. Severus, smettila. Siediti.

Ma Harry si era appoggiato contro il piano di marmo della credenza.

"Lei ha delle mani delicate, sapienti." Potter guardava in terra, verso le sue stesse scarpe, poi si voltò verso la finestra, come se stesse soltanto isolando certi ricordi da altri,

"Mi aspettavo veramente che mi facesse male, che non sapesse usare le mani. Invece sa esattamente dove toccarmi."

"So dosare gli ingredienti ad esempio, una cosa della quale tu sei disperatamene  incapace."

Ma Potter lo ignorò. Ed il peggio era che Severus Snape non poteva nemmeno andarsene, chiudersi in stanza o nel laboratorio casalingo.

Potter lo guardava ancora in quel modo, solo che adesso Severus Snape ce l'aveva ad un centimetro da se'. Un centimetro scarso. Severus Snape lo afferrò per le spalle e Potter gli indirizzò un sussurro sincero, urgente.

"Quando mi ha pulito , nella vasca... non volevo che smettesse. Mi ha fatto male quando ha smesso. Non é stato soddisfacente dopo e non perché lei mi ha fatto un po' stirare. Volevo che continuasse lei. Stavo quasi per venire, se..."

E va bene.

Va bene.

Severus Snape lo voltò come la pagina di un libro, il ragazzo era così leggero che la scena sarebbe risultata comica in altre occasioni. Appoggiò il mento nell'incavo della sua spalla e subito la mano di Harry arrivò a guidarlo, impaziente.

Era quello che era. Nessuno tanto voleva proclamarlo santo.

Severus Snape gli abbassò la zip di quei pantaloni lisi. Raggiunse ciò che Potter desiderava con le sue mani sapienti. Il ragazzo gli si abbandonò completamente addosso.

Il primo tocco lo fece gemere forte e Severus Snape decise di sospingerlo contro il bordo del tavolino, finché goffamente lo raggiunsero.

Mise di peso a sedere Potter. Gli levò del tutto quello schifo di pantaloni. Il ragazzo l'aveva così duro che era quasi difficile accarezzarlo. Severus Snape gli massaggiò delicatamente i testicoli, lunghi gesti circolari per sentirlo gemere senza ritegno ancora una volta.

Poi non ce la fece più e si tuffò in avanti. Potter prese praticamente ad urlare, un crescendo di dolci e taglienti suoni liberatori. Severus Snape lo assaporò dalla base alla punta, cosa che gli necessitò di una notevole perizia, perché non era proprio piccolo.

Due, tre rapidi colpi e Severus Snape sentì la fine. Il seme del ragazzo letteralmente gli esplose in bocca.

*

Evidentemente Potter gemeva così proprio di default. Fatto interessante. Erano sul letto - ancora sfatto tra l'altro. Potter, steso per traverso sulle coltri, doveva solo starsene sdraiato e dimostrargli quanto gli piaceva. Erano passati nemmeno dieci minuti di torpore dalla prima volta, avvenuta sul tavolo della cucina.

Severus Snape lo ascoltò godere, perché adesso il ragazzo aveva naturalmente la capacità di resistere più a lungo. Severus Snape stava esplodendo, ma voleva che Harry restasse concentrato sull'estasi che lo travolgeva, gli occhi socchiusi, abbandonato. Qualche attenzione aveva cercato di dedicargliela, ma Severus Snape non lo aveva permesso.

Ad un tratto si sollevò per stenderglisi accanto - sostituì alla bocca le sue sapienti mani.

E c'era perversione nelle parole che sussurrò all'orecchio del ragazzo e Severus Snape lo sapeva benissimo, ma se le godeva. Le sue mani erano entrambe occupate. Una accarezzava il ragazzo sulle cosce e sui testicoli, l'altra andava metodicamente, velocemente su e giù intorno alla sua erezione.

Potter respirava sempre più forte, il lungo, bel collo rovesciato sul cuscino.

"Stai per vuotarle, di nuovo... si, le palle, in questo caso possiamo dire le palle."

Potter lo mise  a dura prova premendogli il profilo contro la spalla, un'espressione quasi sofferente. "S-si... si signore, si..." E molti altri 'si' a raffica che colpirono  fondo Severus Snape sotto la cintola.

Poi Potter si mise a sussurrare qualcosa di diverso, ma così piano che Severus Snape sulle prime - concentrato com'era - non capì.

Ma poi il ragazzo gli prese la mano che gli accarezzava delicatamente le cosce e se la premette forte in un punto. Ed iniziò a contorcersi. Ed a mettere alla prova Severus Snape seriamente.

"D-dentro... per favore, dentro..."

E Severus Snape - che fatto di carne in delirio a sua volta, non ragionava più - gli schiacciò il naso contro il profilo leggermente sudato mentre faceva quanto richiesto, prima inumidendosi velocemente le dita con la saliva. Finì che sussurrava a propria volta parole incandescenti.

"Mi chiedi per favore di spingerti dentro in culo qualcosa in particolare, ragazzo?"

"Le dita... se non vuole mettere altro mi... mi accarezzi anche dentro, la prego..."

E mentre Severus affondava delicatamente nella sua tenera apertura con due dita, fu il delirio. I fianchi di Harry si sollevarono e Severus Snape se lo rovesciò addosso, insinuandogli la mano sotto le natiche delicate.

Le dita lo massaggiavano all'interno mentre Severus Snape ignorava un accenno di indolenzimento all'altro braccio e sincronizzava sapientemente i suoi movimenti,

"P-più forte, per favore, lì, sento un punto, d-dentro di me..."

Severus Snape, che ci aveva girato intorno apposta, si decise a colpire con regolarità il punto di cui parlava Potter.

Lui lanciò un urlo e capitolò.

Venne molto più copiosamente della prima volta, un piacere abbondante che stupì lui per primo.

*

Forse era vero il detto secondo cui non c'era due senza tre.

Avevano cenato, si erano lavati, parlandosi pochissimo - per scelta di Severus a dire il vero.

Ma quella notte, alle undici passate, si erano coricati insieme. Solo che questa volta l'abat jour era accesa e Severus era riuscito a far mettere prono un recalcitrante Potter.

Recalcitrante perché appena chiusa la porta della stanza aveva deciso di salirgli sopra a cavalcioni, con tutta l'intenzione di cavalcare il suo insegnante di Pozioni. Solo che quello per Severus era fuori discussione.

Harry gli offriva la forma mozzafiato delle natiche, con la tenera apertura che lo chiamava. Ma Severus Snape gli stava massaggiando delicatamente l'erezione e i testicoli, anteriormente, mentre posteriormente stava massaggiando la sua entrata con un olio adatto.

"C-che senso ha? Lo v-voglio dentro..."

"L'erba 'voglio' non cresce in nessun giardino, Potter." Il ragazzo protestò, ma in quel momento Severus Snape gli affondò due sapienti dita dentro, facendole scivolare come un coltello nel burro.

Poi riuscì a non impazzire alla reazione di Potter, il che era una buona cosa. Anche se non sapeva fino a quando avrebbe resistito.

"Questo punto che si gonfia un po', qui, esiste apposta per farti provare piacere. Qui, a metà strada tra i tuoi visceri e l'orlo del tuo ano..."

"F-forte, c-colpisca f-forte, maledizione!" I suoi fianchi presero a roteare. Severus Snape strinse forte i denti. "Ti faccio male..."

"A-allora ci metta qualcosa di più g-grosso!"

"Se non la pianti, smetto."

"N-no! Va bene... p-però più forte, per favore. Solo un po' più forte..."

Severus Snape capì che si trovava in un vicolo cielo. Lo assecondò.

Mentre lo faceva gli si rovesciò sulla schiena delicata, ma senza schiacciarlo, sapeva quello che faceva. Voleva solo raggiungere l'orecchio del ragazzo. Il problema era che anche Potter sapeva quello che faceva in quel momento.

Iniziò a muovere il fondoschiena in modo da sbatter contro le dita di Severus forte, senza freni, secondo le sue esigenze. "Ti piace, eh?" Non poteva evitare di dirlo, Severus, come non poteva non aver bisogno di inserire anche un secondo dito in quel momento.

Potter si dimenò così forte che ebbe seriamente paura di ferirlo con le unghie o qualcos'altro, ma non accadde.

Alla fine Severus spense la luce e sperò che il ragazzo fosse così stanco da addormentarsi all'istante. Beh, si. Era arrivato al capolinea, per così dire.

Ma mentre lo teneva tra le braccia, lo sentì cercare la sua erezione  con il suo contatto.

"Ma perché lei no..."

Gli disse, ormai prossimo al sonno.

Severus Snape gli passò un braccio intorno alle spalle - Harry gli si abbandonò completamente addosso. Severus Snape, nel buio, gli affondò il volto tra il collo e la spalla. Finalmente si infilò una mano nel pigiama ed iniziò furiosamente a darsi piacere da solo.

Potter non se ne accorse, del seme perlaceo che gli finì sul fianco e sul ventre, perché dormiva già.

Adesso anche il Potion Master finalmente poteva riposare.

 

Chapter 14: Udienza

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Poi Severus Snape capitolò.

Almeno, cedette la parte di lui che fino a quel momento aveva cercato disperatamente di comportarsi in modo retto, secondo quanto egli stesso aveva stabilito.

Successe nel segreto di quel misero appartamento di Spinner's End che era diventata la nuova casa di Potter fino a data da destinars. Non era che Severus Snape non pensasse a come diavolo avrebbe fatto, una volta che Potter fosse tornato ad Hogwarts.

Solo che, semplicemente, ogni richiamo, ogni invito era riassunto in Potter. Gli occhi di tutti i giovani maghi che avevano cercato di ammaliare, sedurre ed attirare senza successo Severus divennero i soli possibili, quelli di Potter.

Severus Snape non si tormentò prima di entrare in bagno per ritirare il bucato mentre Potter era nella vasca.

Non si bloccò più nel guardarlo.

Non che avesse deciso di sfogare i suoi istinti più bassi. Quello no. Aveva raggiunto un compromesso.

*

"Non sei nemmeno un po' in ansia, Potter?"

"Le sembra che non lo sia?"

"Beh... non é stato l'argomento di conversazione principale. Mi sembra che tu te lo sia dimenticato, addirittura. Eppure la lettera eccola qui."

Severus spinse sul vecchio tavolo della cucina la convocazione di Harry per aver usato la magia alla presenza dei babbani. Già, per salvare se' e suo cugino Dudley dai Dissennatori.

Gli occhi verdi di Harry fulminarono la pergamena ed il ragazzo, senza volere, offrì al Potion Master l'ennesimo scorcio delle clavicole e dell'esordio del petto delicato.

Harry rilesse velocemente la pergamena del Ministero, le labbra strette in una piega troppo vulnerabile.

"Hermione Granger sostiene che non possono espellermi da Hogwarts, se il Ministero si attiene alle sue stesse leggi."

Finalmente, in quella lunga estate strampalata, ne parlavano.

Severus Snape lo fissava come a sfidarlo, come a chiedergli se non si ritenesse come al solito superiore alle leggi ed alle regole.

Ma non era come le altre volte, quando aveva potuto vedere James Potter di fronte a se', con immenso piacere nel vendicarsi. James non aveva mai avuto quella carnagione traslucida, quello sguardo basso eppure penetrante ed ora Severus vedeva il ragazzo e solo il ragazzo.

La voglia di rivangare le innumerevoli volte in cui Harry, e non James, aveva infranto le regole gli passò.

Harry lasciò tremare la tazza tanto che Snape intervenne con la bacchetta per non farla rovesciare.

Harry, imbarazzato, si scusò.

"In teoria la signorina Granger ha ragione, Potter."

Harry afferrò il bordo della pergamena, come ad osservare le firme ufficiali alla fine di quel documento più da vicino.

"Però, ultimamente c'è qualcosa che il Mondo Magico non mi perdona."

Lo disse con una tale tranquillità, senza la minima traccia di vittimismo, come se fosse un semplice fatto. Nessuno di loro due specificò di cosa potesse trattarsi, visto che lo sapevano fin troppo bene.

Fu il Potion Master ad avvertire una fitta sgradevole dentro, mentre il ragazzo si alzava finendo di bere il suo caffè.

"Potter." Iniziò, pragmatico. "Voglio essere assolutamente chiaro, con te. La fuori non c'è uno straccio di nessuno disposto a schierarsi pubblicamente dalla tua parte, eccetto Albus Silente. Come avrai letto, il professor Silente sta ricevendo la sua buona parte di odio, per questo. L'udienza é tra due sole settimane. E sinceramente io non so..."

"...Neppure se Silente si trovi nel paese." Lo interruppe Harry, finendo al posto suo.

Severus Snape detestava essere interrotto e si infuriò per poi calmarsi immediatamente, alla vista delle pallide gambe e del sedere del ragazzo nei suoi boxer.

"Potter, non potresti metterti addosso qualcosa?"

Il ragazzo si voltò con un'espressione così candida da fargli male.

Non aveva fatto niente, era solo rientrato in maglietta e mutande dopo la doccia.

Non era nudo, non c'era niente di sbagliato in lui.

Il Potion Master si alzò e gli si avvicinò da dietro, cedendo all'impulso di mettere tutte e due le mani su quei lombi delicati.

Potter si rilassò, ma quella non era una giustificazione. Del resto, al Potion Master non serviva più.

"La cosa importante é che non perdi la testa, al Ministero. Prometti di non dire parolacce." Gli ingiunse, con un voce assolutamente contrastante con i movimenti delle mani.

Potter sospirò. "Non sono ancora arrivato al punto da mandare a quel paese il Ministro in persona..."

Severus Snape sentì un sorriso nascere e poi sbocciare, buon per lui che Potter non potesse vederlo in faccia.

Il ragazzo però intuì qualcosa.

"Che cosa c'è?"

"Non sei ancora arrivato a quel punto, ma credimi che il Ministro si impegnerà."

E poi il Potion master si godette la debolezza vergognosa che non riusciva ad estirpare.

*

Potter gradiva le sue carezze e quei contatti, il che forse rendeva tutto peggiore, per Snape.

Docilmente si faceva baciare sui lati del lungo collo delicato, aveva permesso al Potion master di sfilargli di nuovo i vestiti di dosso.

Non lo impensieriva vedere l'uomo nella sua solita tunica nera, vestito di tutto punto.

Fu Snape ad essere assalito da una brutta sensazione per quel contrasto ed a togliersi almeno la pesante casacca, rimanendo in maniche di camicia.

Aveva le lunghe, tornite gambe da Cercatore del ragazzo intorno, una per lato.

Potter era sdraiato così, sotto di lui.

Docile, tremendamente a suo agio, come se ogni carezza lo deliziasse.

"Voglio controllarti un attimo, se non ti spiace."

I baci e le lunghe carezze sul petto non erano parte del controllo.

Lo era qualcos'altro, e quando Harry capì sollevò i fianchi snelli, facendogli vedere proprio tutto. Aggiunse un sommesso: "Ah, deve controllarmi qui sotto..."

Severus Snape però si impose di smettere di distrarsi. Teneva un mano vicino alle anche del ragazzo e tastava sapientemente quella carne tiepida, soda.

Potter se ne stava semplicemente steso sulla schiena a lasciarsi fare tutto, ma il Potion Master notò qualche piccola smorfia. La luce del mattino era pura, dirompente nella camera da letto. Rendeva molto facile leggere le sue espressioni, anche se Harry teneva il suo pericoloso sguardo verde nei pressi del muro di mattoni.

"Qui ancora senti male?"

E naturalmente era per via di quello che quei bastardi gli avevano fatto, cose che normalmente avrebbero richiesto una visita al San Mungo. In quelle circostanze però non era la cosa migliore da fare.

Severus Snape richiamò nella mente l'incantesimo mentre Potter rispondeva: "Si, un po'..."

Una fredda luce azzurrina divampò dalla Bacchetta, seguita da una rossa.

Quando Severus tornò a massaggiarlo ancora, Potter non fece nessuna smorfia.

Più che altro, il suo corpo aveva reagito agli stimoli. Severus vide la punta del suo membro umida di umori e la sfiorò, languidamente. Forse più del dovuto, perché l'obbiettivo era controllargli il tenero rigonfiamento dei testicoli.

Era difficile concentrarsi quando Potter sembrava godersela come una specie di felino intento a fare le fusa. Se non altro dopo le smorfie di dolore era un fatto positivo.

Severus però non era certo di potersi sentir dire: "Lei é così delicato... mi sta piacendo."

"Non ti ha mai strizzato? Colpito qui? Niente del genere?"

Nessuno dei due aveva voglia di nominare Vernon Dursley, Severus per non sporcare quel momento con istinti omicidi, Harry per altre ovvie ragioni.

Ma la voce del ragazzo, così limpida, portò comunque quegli istinti omicidi per il Potion Master.

"No. Non inferiva lì. Solo quando sanguinavo, più sotto, e voleva pulirmi. Per non lasciare tracce, cose così."

"Va bene. Adesso, qui." Severus lo agganciò sotto le ginocchia e lo fece scivolare più vicino.

Harry lo guardò ungersi le dita, studiandolo con quei suoi occhi così solenni.

Il Potion Master lo vide ancora docile, il volto abbandonato sul cuscino.

Quando finirono, Harry si portò le ginocchia al petto con un gemito e finì sul fianco, una cosa assolutamente letale per la sanità mentale del Potion Master.

"Che hai?" Ma naturalmente era inutile chiederlo, no Severus?

Harry lanciò un'occhiata in basso.

E poi disse una cosa assolutamente Babbana ed assolutamente oscena, con quella sua voce imperturbabile, molle.

"Mi tira..." E per forza, la sua erezione era completa.

Severus fece per alzarsi, ma Harry lo bloccò. Subito dopo ebbe evidentemente paura d'aver esagerato, perché si scusò. "Io... mi scusi, magari ha altro da fare. Solo che..."

Severus gli afferrò un ginocchio e lentamente prese a spostarlo. Harry finì per offrirgli fluidamente la vista di tutto ciò che c'era da vedere.

"Solo che ti é diventato un blocco di marmo."

"S-si." E Poi Potter gli fece capire molto, molto efficacemente cosa voleva da lui.

Snape, ormai steso su quel corpo caldo come il suo peggior inferno, lottò contro i fianchi del ragazzo, contro l'emolliente che sapeva renderlo predisposto.

"P-perché?" Sussurrò Harry, quasi addolorato, mentre gli passava le braccia dietro la schiena in modo estremamente pericoloso per tutti e due.

"Con un'udienza che deciderà del tuo futuro a breve, Potter, possibile che tu non pensi che a questo?"

"Deciderà, ha usato le parole giuste. Io non deciderò proprio niente, quindi é inutile soffrire e preoccuparmi adesso."

Spiazzato, Severus si bloccò con il volto immerso nel suo collo.

Un errore, perché il ragazzo aveva allungato le mani improvvisamente libere in basso, slacciandogli i pantaloni in modo assurdamente facile, facendo entrare in contatto le loro carni.

"Potter..." Ringhiò Severus Snape sentendo l'orlo delicato della sua apertura baciarlo timidamente, là sotto.

"Ha d-detto che sto bene... che é tutto a posto, no? Ora non avrà paura di danneggiarmi..."

"Il tuo corpo non c'entrava assolutamente niente, sciocco..." Ma era un sussurro addolcito quello del Potion Master, soggiogato da quella mano sottile e nervosa.

"Ha fatto il s-suo esame dentro ed ha deciso che sto finalmente b-bene, per cui..."

Severus Snape finalmente cedette e gli scivolò dentro. Piano, centimetro dopo centimetro. Era come affondare dolcemente in un morbido, sconfinato delirio.

Si odiò quando Potter si morse le labbra, evidentemente per l'inevitabile dolore che la posizione gli procurava. Severus si affrettò a riprendere il controllo, afferrandolo per i fianchi sottili ed iniziando a dirigere le prime, liquide spinte.

"P-può fare f-forte, se vuole..." Un mormorio contro la guancia. Snape lo sopportò a malapena.

"Credo di essere pronto, adesso, d-dentro... e lei non mi fa mai male..."

Oh si, dentro aveva tutto il necessario, tutto quello che la natura metteva al suo posto. Una magnifica giustificazione per quando, Severus ne era convinto, si sarebbe reso conto di essere stato usato dall'ennesimo spregevole depravato ed inevitabilmente, giustamente lo avrebbe odiato.

"Stai zitto, ragazzo, zitto..." Severus gli circondò l'erezione con la mano e sperò di farlo tacere, cosa che in effetti funzionò.

*

Il Ministro della Magia si comportava da pazzo in quei mesi, ma quello era comportarsi in modo spregevole, senza nessuna scusa.

Si impegnò come se avesse preso Severus Snape in parola, ma Harry non lo mandò a quel paese. In effetti Harry non disse nemmeno una parolaccia, non alzò mai la voce ed alla fine dell'udienza ammutolì.

Ne' la paura ne' la codardia si leggevano nell'orrido sorriso indulgente del Ministro

Il Ministro della Magia aveva appena tirato in ballo di fronte a tutto il Wizengamot, testimoni compresi, le tristi abitudini di Harry presso i Babbani.

Come diavolo facesse a saperlo, naturalmente non era dato sapere.

Silente insorse - alla fine si era presentato in aula per prendere le difese di Harry, un vero colpo di scena - ma non servì a nulla.

Visto che nonostante tutto avevano dovuto assolvere Harry ed ammettere che forse qualche Dissennatore nei pressi di Privet Drive doveva essersi aggirato, Cornelius Caramell chiosò la fine dell'arringa con il difficile recente passato di Harry.

Disse che gli abusi e la prostituzione presso i Babbani dimostravano ampiamente le teorie più in voga al momento, parlando come se Harry non fosse nemmeno lì.

Lo dipinse come un ragazzo perduto, tolto alla custodia dei suoi parenti Babbani a causa della negligenza e della crudeltà di cui era fatto oggetto.

Lo disse di fronte allo sconvolto, oppure avido pubblico della giuria, dei giornalisti presenti in aula. In pratica lo urlò al mondo magico intero.

Parlò di perdono per le condizioni di evidente perdizione in cui si trovava il ragazzo Potter, dedito com'era alle bugie ed a ogni sorta di vizio, a causa delle sue critiche condizioni fisiche e mentali.

Sottolineò e rimarcò la misteriosa informazione di cui era in possesso, il Ministro, chiamando Harry 'ragazzo perduto', anche se dovette farlo tra le voci stupite, scandalizzate, o solo curiose del suo pubblico.

Harry così non era solo un bugiardo, ma ufficialmente un povero ragazzo traviato.

Assolto.

 

 

Chapter 15: Non vai da nessuna parte

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Sirius Black cercò di spingerlo via a spallate, ma Severus lo anticipò.

Lo respinse con la Bacchetta levata in alto, tenendolo sotto tiro come se non gli servisse che un pretesto. Solo un'altra parola di Sirius.

Però adesso l'uomo taceva.

Taceva anche il Potion Master.

Poi Sirius Black si guardò intorno ancora una volta, come se volesse imprimersi bene in mente la modesta cucina di Spinner's End, col suo frigorifero ormai antico.

"Povero ragazzo traviato. Ma immagino che a te non faccia ne' caldo ne' freddo, come l'hanno definito." Severus Snape non disse niente, continuò a fissar Black senza abbassare la bacchetta di un solo millimetro.

L'odio tra di loro non si era affievolito affatto, inutile sperarlo. Sirius Black era il re dei colpi bassi e secondo Severus lo stava dimostrando ancora una volta.

"Hai una vaga idea di cosa significhi per qualcuno che tiene ad Harry, sentire il Ministro della Magia in persona parlare di prostituzione? Di abuso? Eh?"

"Smetti di supporre continuamente cosa pensa il prossimo, Black. Non ne hai le facoltà. Inoltre, hai già fatto troppo."

"Non ho fatto niente di ciò che avevo in mente di fargli, puoi starne sicuro!"

Ringhiò Sirius Black, non troppo diversamente da come, poche ore prima, aveva ringhiato a Vernon Dursley.

Un grosso cane nero era spuntato dal nulla, deciso a sbranare il signor Dursley non appena fosse sceso dalla sua auto. Quando i babbani terrorizzati avevano chiamato l'accalappiacani, però, il randagio si era volatilizzato nel nulla.

Al momento, Sirius insisteva perché Harry venisse a vivere con lui, alla vecchia dimora dei Black. Voleva che Severus ne parlasse a Silente, visto che a lui, Sirius, il vecchio ostinato non dava retta.

Aver passato il pomeriggio in compagnia del suo figlioccio sembrava renderlo quanto mai ostinato.

Severus avrebbe anche accettato, di perorare la causa presso Silente. Lo avrebbe anche pregato in ginocchio, di sollevarlo da quel gravoso compito.

Però era inutile, Silente non lo ascoltava. Inoltre, ormai mancava una settimana all'inizio della scuola.

"Posso provare ad insistere almeno per le vacanze." Concesse alla fine Severus, la voce gravida di tensione. Alla fine stava riabbassando il braccio della Bacchetta.

Era notte fonda, Harry dormiva nella sua... no, non nella stanzetta ammuffita che il Potion Master gli aveva destino all'inizio. Dormiva nella camera da letto di Severus, non doveva sapere che il suo padrino si trovava in cucina e se Black lo avesse svegliato allora si che Severus avrebbe smesso di rispondere delle sue azioni.

"Sarà meglio che si convinca. Non ha senso che stia con te."

Sirius Black mise su un'espressione cupa, dura. Affondò le mani nelle tasche del soprabito. Masticava pensieri amari e per la prima volta dopo anni Severus Snape non ne era il fulcro.

E non sa del professore di Privet Drive, santo cielo. Salazar benevolo, non sa i dettagli, ma guardalo, se li rode dentro.

Erano i concitati pensieri del Potion Master.

Quanto ci avrebbe messo Black a farsi altre domande?

Poco.

Una, in effetti, la sparò immediatamente.

"Perché Silente sapeva di quello schifo con suo zio e non ha fatto niente?"

"Me lo chiedo da mesi e non riesco a spiegarmelo."

"Tu glielo hai chiesto?"

Severus si bloccò.

Aveva realizzato improvvisamente che no, Silente non gli aveva mai dato modo di scendere in dettagli. Con Potter, però, erano giunti all'amara conclusione che probabilmente Silente sapeva, ma non aveva fatto nulla per impedirlo.

In tutto ciò, Severus stava sostenendo la sua prima vera conversazione con Black.

Ed era difficile. "Ultimamente il professor Silente é strano, con Harry. Subito dopo l'udienza se n'è andato, rifiutandosi ancora una volta di parlargli. A quanto pare, non é reticente solo con Potter."

"Una cosa così... é da pazzi. Mi piace pensare che non lo abbia saputo. Che il Ministero... non so, il Ministero ormai non é certo lo stesso. No, Severus?"

"Precisamente." E basta, perché Severus Snape sentiva un crescendo di disagio.

Non era solo perché voleva spogliarsi e ficcarsi finalmente a letto dopo aver riordinato il programma scolastico di Pozioni del nuovo anno.

Era perché voleva spogliarsi, ficcarsi finalmente nel letto che condivideva come nulla fosse con Potter.

"Se penso che là fuori c'è gente così schifosa... santo cielo, é un ragazzo. Un ragazzo con miliardi alla nostra banca, costretto a prostituirsi per un paio di scarpe decenti, tenuto in cattività dai babbani." La voce di Black era un crescendo di rabbia tenuta a freno a stento. Severus Snape si sfogò sull'Incantesimo insonorizzante.

Si sentiva male. Non avrebbe mai lasciato che Black lo intuisse.

Voleva liquidarlo, dirgli che non aveva risposte alle sue domande, andare nella stanza attigua e ficcarsi a letto, accanto al figlioccio di Black.

Si sentiva peggio che mai.

"Dirlo così in un'udienza pubblica... tutto il mondo magico saprà. Come hanno potuto fargli questo?"

"Magari non si tratta necessariamente di un male."

Black lo fulminò con un'occhiata assassina, ristabilendo immediatamente il tenore dei loro rapporti. Per nulla impressionato, il Potion Master concluse: "Voglio dire che ci sono persone pronte a crederlo pazzo e perfino pericoloso, Ministero in primis. Il fatto che sia una vittima..."

Ma Severus non poté proseguire. Sirius Black lo aveva afferrato per il bavero della camicia. 

"Ma che cazzo dici?" Sibilò Sirius, dando l'impressione di soffrire fisicamente, per non poter urlare. "Ha bisogno di altro, perché quei rincoglioniti capiscano che é una vittima? C'era bisogno di fargli una cosa del genere? Buttare questa disgrazia, questo schifo alla mercé di tutti?"

Severus Snape si svincolò dalla stretta di Black, ma non alzò di nuovo la Bacchetta per attaccarlo. Spalancò invece la porta dell'appartamento, come a significare che per lui quella visita non era più desiderata.

Sirius Black se ne accorse e sembrò rassegnarsi all'idea che Harry dovesse rimanere in quella casa. Scosse amaramente la testa. "Non riesci proprio a capire." Sussurrò, disgustato.

Severus Snape registrò il tutto come se Black lo avesse schiaffeggiato. Se avesse saputo cosa succedeva tra lui ed il suo figlioccio, altro che disgusto.

"Me ne vado. Secondo Silente, é meglio così."

*

Già, se Black avesse saputo. Ma Black non sapeva.

Severus Snape scivolò nel letto trovando la parte di Harry calda. Si avvicinò a quel calore, con la scusa ideale che la sua parte di letto era fredda. Ormai erano quasi le quattro del mattino.

Harry rispose a quel contatto immediatamente. Il figlio di nessuno si mosse come una presenza calda, irresistibile nell'oscurità. Gli rovesciò addosso tutto quel calore e Severus lo cinse con tutte e due le braccia. Chiuse gli occhi.

Nel buio, Harry gli insinuò un ginocchio tra le gambe e Severus Snape ricominciò a lottare per controllarsi.

A lottare contro se' stesso perché ad una cosa la visita di Black era servita, a farlo sentire ancora più miserabile.

Così cercò l'orecchio di Potter, nel buio, mentre il ragazzo lo avvolgeva con quel suo calore, lo risvegliava.

"Vorresti andare con Black? A vivere da Black?" Gli rispose subito, Harry. Gli rispose con una voce ancora impastata di sonno e Severus Snape sentì il suo calore vagargli addosso, tentarlo come un profumo delizioso.

"Silente non vuole."

"Ma tu vuoi?" Harry sospirò. "Che senso ha chiedermelo adesso? Si, certo che vorrei."

A sorpresa, il Potion Master di Hogwarts la prese male. Male, come se ne avesse avuto tutto il diritto. Strinse ancora di più l'abbraccio intorno quella presenza flessuosa, non potè impedirselo. La parte che più deprecava di se' stesso rispondeva mentalmente ad Harry: ma tanto non andrai da nessuna parte.

Poi iniziò a baciare il suo lungo collo, a cercare ancora più in profondità il calore dolce e confortante di quella carne pulita, leccò dolcemente le sue ferite. 

Lo baciò dove Potter non era mai stato baciato e lo sentì gemere. Sentì il ginocchio del ragazzo salire verso l'alto, incontrare la sua erezione. Lasciò che Harry iniziasse ad accarezzarlo, a manovrarlo anzi come meglio credeva. Se il ragazzo lo voleva dentro, glielo avrebbe dato. Non c'era ragione di abbandonare quel calore.

Potter iniziò il tutto con movimenti incredibilmente, crudelmente esperti.

Il Potion Master reclamò il suo respiro dolce e caldo, la forma delle sue labbra, le saggiò con la lingua, risucchiandole dolcemente. Un bacio osceno che gli valeva altri mille anni di dannazione, e lui non poteva farne a meno.

Mancava solo una settimana alla fine di quelle notti.

E dopo? A Severus sembrava impossibile, l'esistenza di un 'dopo'.

Non vai da nessuna parte.

 

 

Chapter 16: Custodia

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Aveva perduto ogni forma, ogni espressione infantile, fino a diventare un estraneo.

Il ragazzo d'oro, il Bambino che é Sopravvissuto, si era trasformato in un giovane con disordinati capelli scuri, membra affusolate che si muovevano spesso in modo impacciato. 

Assumeva involontariamente certe pose impacciate quando era convinto di non essere osservato; collo abbassato perché Potter si guardava i piedi immerso in chissà quali pensieri, le spalle curve in una posizione di difesa. Il Potion master coglieva queste visioni di straforo, mentre Harry indugiava vicino al suo baule, oppure dava distrattamente da mangiare alla sua civetta bianca.

Potter raddrizzava immediatamente la schiena quando pensava di dover incontrare l'altro coinquilino, ed allora Severus vedeva il volto di quello sconosciuto farsi risoluto, i suoi verdi occhi riflettere il bisogno di autocontrollo.

Potter non avrebbe potuto assomigliare a James più di così.

Potter non avrebbe potuto essere più diverso da James di così.

Mai James Potter aveva avuto quell'aria di fragilità e strafottenza combinate, lasciando andare un fascio di lettere vecchie di mesi e chiedendo se adesso poteva scrivere ai suoi amici, al suo padrino.

"Non c'è ragione perché tu non lo faccia."

Ma un brivido segreto aveva fatto scempio del Potion Master, in quella chiara mattina di Agosto.

Potter gli aveva offerto una visione di quanto fosse lontano dal ragazzo d'oro di un tempo, accarezzandosi distrattamente il petto nella maglietta lisa.

Era evidente che non voleva scrivere a nessuno.

Non voleva raccontare i dettagli di quel che stava accadendo tra di loro a nessuno, ovviamente, ed anche solo temerlo era sciocco da parte di Severus Snape.

Ma ormai, con l'inizio della Scuola dietro l'angolo, Severus si sentiva costantemente bruciare.

"Meglio accertarsene." Quel mugugno però era facile, da leggere.

"Il tuo padrino ha i suoi metodi di comunicazione, suppongo te ne abbia parlato."

"Si. Lo ha fatto."

Harry si versò un bicchiere d'acqua - sfilando di fronte al Potion Master in t-shirt e lisi pantaloni di una tuta. Era reticenza quella che Severus sentiva? Ma d'altronde Potter non poteva sapere quanto bene lui, Severus, conoscesse i metodi di Sirius per mettersi in contatto con la gente senza Gufi.

Il ragazzo si mise a sedere, docile, sull'unico divano del salotto. Come sempre scandagliava il telegiornale dei babbani, solo attraverso la radio. A Spinner's End non c'erano televisori.

Non potevano parlare di Voldemort, ma a Potter non interessava.

Severus Snape si impose di smettere di fissarlo, non riuscì. Potter dondolava distrattamente un piede. Indossava le scintillanti converse che aveva guadagnato qualche settimana prima. Improvvisamente Severus desiderò sfilargliele e buttarle fuori dalla finestra. Potter aveva inclinato il profilo delicato, la mano a sorreggere la testa.

Il Potion Master non poteva non pensare a domande inopportune di fronte a quella sciatteria così provocante.

Era folle, anzi quanto meno sadico ed insensato domandarsi se Potter avesse trovato il modo di fare i compiti dell'estate. Come poteva... e poi un movimento improvviso interruppe il filo dei suoi pensieri.

Potter aveva iniziato a girare la manopola della vecchia radio, che naturalmente poteva raggiungere frequenze invisibili ai babbani.

Un istante dopo la voce cinguettante dell'annunciatrice della Gazzetta Radio si diffuse nell'aria.

Oh no. Quello no. Perché Potter doveva farsi questo? Era peggio che leggere il giornale. Harry aveva ignorato il giornale, perché cercarsi la radio adesso?

E non aveva avuto ancora il tempo di parlargli, Severus.

Però ormai era inutile distogliere Potter dalla radio.

Puntuale, l'Annunciatrice virò nella consueta, crudele divagazione. "... non si direbbe, d'altronde, che il Ministero se ne stia con le mani in mano! Con lo sconvolgente esito dell'ultima udienza per l'uso della Magia Minorile, provvedimenti importanti sono stati presi sull'operato di Albus Silente..."

Harry aveva cambiato espressione. Si era fatto di vetro, metallo, via l'espressione blanda dalla faccia. "... é risultato evidente il pessimo influsso che Silente ha avuto sul Ragazzo che é Sopravvissuto, esponendolo alla barbarie dei Babbani ed alle loro ripetute violenze..." Parole come coltelli, intollerabili.

Ora era Potter a fissare il Potion Master mentre l'uomo evitava con cura di incrociare il suo sguardo.

"L'Influenza di Albus Silente ha sicuramente messo Potter in situazioni pericolose ed inadatte, dall'estate scorsa non abbiamo fatto altro che assistere alle fantasiose farneticazioni di cui abbiamo ampiamente discusso nelle puntate precedenti. Ma ora, la linea ai nostri ascoltatori..." 

Ci fu un denso ronzio, la voce dell'Annunciatrice venne immediatamente rimpiazzata da quella di un uomo. L'ascoltatore disse di chiamarsi Arcus. Sembrava avere l'età del signor Weasley. Ti immaginavi quell'uomo intento a parlare alla radio con la moglie intenta a servire la colazione ai figli.

"Silente ha affidato il ragazzo a quei babbani e quelli gli hanno fatto le peggiori porcherie, ecco com'è andata. Ve lo dico io; Silente sapeva che quelli lo facevano prostituire e sa il cielo che altro, ma finché le cose non si sono messe davvero male per lui non ha fatto niente, ecco cosa. Potter é il giocattolo di Silente, e di chissà quanti altri..."

"Arcus, ti prego di mantenere un tono consono..."

L'uomo si schermì.

"Certo, certo... scusatemi, ma sapete com'è. Il ragazzo mi sembrava palesemente in cerca di attenzioni l'estate scorsa, ma forse va bene che mettono Silente sotto inchiesta, per averlo affidato a quelli là. Suo zio ha confessato, no?"

Ci fu uno schianto secco. Harry aveva lasciato cadere la tazza che aveva in mano.

La voce alla radio riverberò su quella rovina, illuminandola mentre il Potion Master riparava il danno senza nemmeno vedere ciò che faceva... "Suo zio ha buttato giù tutto no, quindi nessuno avrà cuore di lasciar fare tutto a Silente come la prima volta.."

Un colpo di bacchetta e la radio tacque.

Severus Snape alzò finalmente gli occhi in quelli verdi del ragazzo.

*

"Quando pensava di dirmelo? Quando c'è stata l'udienza?"

"L'altro ieri, Potter."

"Risponda. Quando pensava di dirmelo?"

Severus strinse le labbra riducendole ad un filo.

"Il professor Silente voleva parlartene di persona."

Harry sospirò. La collera che Severus si era aspettato non veniva. Invece Potter si era ficcato le mani in tasca. Ed ecco di nuovo quell'espressione remota, la curva delicata del collo che accompagnava lo sguardo basso.

"Oh, per favore. Silente non intende avere niente a che fare con me. Che significa, che non dovrò tornare dai miei zii? Che secondo il Ministero é tutta colpa di Silente?"

"Con ogni probabilità il Ministero della Magia revocherà definitivamente la custodia ai tuoi zii oggi stesso, Potter. Ormai si tratta solo di firmare qualche incartamento."

"Non finirà nei guai con la legge... la legge dei Babbani, vero? Non gli faranno niente."

"Certo che ci finirà. Cosa pensavi?"

"Andrò da Sirius."

Severus si trattenne dall'imprecare, ma non perché Potter aveva nominato Black.

Per quel tono sospeso, quasi rassegnato. Per quel torace esile nella t-shirt azzurra e l'espressione persa nei suoi occhi verdi.

"Il tuo padrino é ancora ufficialmente ricercato dal Ministero della Magia, Potter."

Potter pretese i suoi occhi in modo intollerabile.

Ed accorciò di qualche fatale passo le distanze tra di loro.

"Finirò alla sua custodia, vero?"

"Ma come ti salta in mente?!"

Potter si strinse nelle spalle.

"Non sarebbe male"

"Potter..."

Ma c'era qualcosa di inarrestabile nel modo in cui Potter sfidò quell'avvertimento, sfiorandogli l'austera tunica nera al centro del petto.

Poi un mormorio, poco più di un sussurro riflessivo. "I miei zii sono gli unici parenti che ho in vita... se mi aspetta l'orfanotrofio, vorrei saperlo."

A quel punto il Potion Master di Hogwarts, maledicendosi, gli afferrò il polso delicato. 

"Non finirai in orfanotrofio. No. E va bene, tanto cercavo solo il momento più adatto per dirtelo. Si, mi sono proposto per la tua Custodia. Ed a quanto pare il Ministero mi ritiene idoneo."

Il Potion Master si odiò per quel che vide sul volto del ragazzo, per quel sollievo venato di accettazione, per la sua stessa meschinità. Si, Potter aveva davvero rischiato l'orfanotrofio.  Naturalmente, Silente contava sul suo insegnante di pozioni per scongiurare quell'evenienza.

La sua custodia Severus aveva potuto chiederla in virtù del fatto che Silente gli aveva fatto fingere davanti a tutti di essere agli antipodi dalle sue 'farneticazioni'. Non ci aveva pensato due volte. Aveva lasciato vincere l'avidità, la cupidigia, il tutto ben celato sotto la sua abile maschera.

In quattordici anni aveva pur fatto molto per dimostrare al Ministero che la parola di Albus Silente non era il suo solo viatico per una vita retta. Quindi era stato facile dissociarsi dalle 'farneticazioni' sul ritorno di Voldemort, risultare la persona più adatta e neutrale per prendersi cura di Potter.

Maschere, Severus non faceva che indossarne una diversa di volta in volta.

L'unico suo vero volto era quello che si chinava su Potter per impedire che il ragazzo gli si avvinghiasse addosso. E falliva.

Non vai da nessuna parte.

E gliene diede dimostrazione.

*

Erano di nuovo nella grande vasca ovoidale, il Ragazzo che é Sopravvissuto si dibatteva tra le sue braccia. Severus Snape aveva rifiutato qualsiasi contatto frontale, si beava di quel calore, la schiena di Potter contro il suo petto. 

Voleva solo passare la spugna personalmente su quel corpo snello, sentirlo gemere senza alcun ritegno.

Lo teneva per la vita, spandendo schiuma ed essenze delicate.

Dandosi sfogo.

"Apri le gambe. Voglio assicurarmi che tu sia pulito." Non é che avesse intenzione di affermare il contrario, stava solo impazzendo di desiderio. Potter gli obbedì senza pensarci due volte.

Severus Snape non cercava di mascherare le sue intenzioni, non lì al riparo dagli occhi del mondo, sotto lo sguardo di quelli del ragazzo.

Il Potion Master sorvolò quell'esame lascivo con tocchi ruvidi, stranamente rapidi.

Gioì in silenzio della reazione di Harry, che dimostrava fino al parossismo quanto gradisse. Tuttavia Severus non andò oltre.

Fu Harry a dirgli, con i gesti, che ne era impaziente. Poi con le parole, tremende per la loro assoluta purezza.

"Mi faccia... come l'altra volta... per favore?"

Severus Snape gli appoggiò il mento sulla spalla e nel farlo non potè reprimere la tentazione di leccargli l'incavo del collo, scatenando nel ragazzo un lungo brivido.

"Allora apri di più... così, bravo. Anche le natiche."

Non andò come l'altra volta. Il Potion master allungò il primo timido tocco, la mano a coppa. Scelse la lozione più delicata e lenti, completi movimenti circolari.

Sentì l'erezione del ragazzo guizzargli contro il braccio. Strinse i denti per non sciupare quel momento. Indugiò a lungo sulla sua apertura, prima di includere il perineo ed i testicoli. Poi, con uno sciacquio, iniziò ad occuparsi dell'erezione. 

La schiuma, serica, amplificava ogni minimo tocco. Severus massaggiò con cura ogni centimetro di pelle, sincronizzando il più possibile i suoi tocchi. 

Potter iniziò a gemere così forte che Severus lo scambiò per dolore, ma poi vide le sue labbra aperte in una molle voragine di piacere. Vi affondò la lingua, avido, sconvolto. Potter sulle prime si irrigidì. Poi iniziò a ricambiarlo furiosamente.

Il Potion Master non trascurava nulla, lavorando alacremente con acqua e schiuma, massaggiando i testicoli e scorrendo l'intera lunghezza dell'erezione, senza altra scelta che soffocare quei suoni lascivi in una miriade di baci ancor più osceni.

Così, quando Potter si staccò, forse per prendere fiato, sentì quel suo pugno dritto nello stomaco. "I-io... godo troppo così... mi f-faccia finire, per f-favore..."

Il Potion Master si concentrò su quella carne ormai liscia e lucida, perché anche lui si sentiva al limite. Non lo aveva previsto. 

Dolcemente, si lasciò scivolare contro la morbida apertura del ragazzo, da prima bussando dolcemente, poi infrangendola.

Non era sua intenzione entrargli dentro così, ma c'era troppa serica, ingannevole schiuma. Cercò subito di attutire l'impatto e Potter ancora una volta non urlò di dolore.

Dentro di lui fino alla radice ed ai testicoli, il potion master strinse i denti e si arrese. Sentì il ragazzo dimenarsi scompostamente mentre doveva accadergli lo stesso, lo sentì venire quasi nello stesso momento in cui gli esplodeva dentro.

*

L'unico inconveniente fu che dopo fu necessario lavarsi di nuovo, ma non era poi una grossa seccatura. Questa volta il ragazzo giacque abbandonato mentre Severus Snape gli faceva scorrere acqua pulita sul ventre e nel delicato solco delle natiche. 

Potter, al solito lo stava usando come un comodo letto. "Adesso sei molto sensibile, lì... faremo in questo modo." Il ragazzo annuì, esausto.

"Ti ho fatto male?"

"No."

"Prima non volevo entrare così, ma la schiuma..."

"Non mi ha fatto male. Credo che mi piaccia, quando... quando lei é un po' più energico."

Bella conversazione, per un tutore inappuntabile. Ma erano pensieri che lambivano la mente del Potion Master senza riuscire a contare veramente, in quel soddisfatto torpore.

Il resto non fu troppo diverso dal solito. Potter non tornò più sull'argomento custodia, come se avesse accettato le scarne spiegazioni del Potion Master. Pranzarono, Potter ancora una volta lavò le poche stoviglie e Severus non glielo impedì.

A metà pomeriggio fu evidente un fatto.

Potter non stava scrivendo proprio a nessuno, nemmeno a quei due suoi compari di malefatte di Weasley e della Granger.

Steso sul letto con un libro di scuola davanti che sfogliava tutto assorto, Potter non guardava nemmeno in direzione della scrivania.

Il Potion Master lavorava al suo programma. Potter non era una tentazione al momento, perché i suoi istinti erano stati particolarmente placati dal bagno di quel mattino.

Più che altro Potter in quel momento era una condanna inappellabile per lui, Severus, mentre si rovesciava sulla schiena e si stirava, inerme.

Vedeva ciò che ne aveva fatto ed il modo in cui voleva continuare a farlo, Severus.

Vedeva la dolcezza innominabile del ragazzo e si sentiva uno schifo, ma anche così placato.

Ad un certo punto il programma di Pozioni non bastò più.

"Potter. Perché non mi denunci?"

"Oh, santo cielo. Non di nuovo. Che senso avrebbe?"

"I Weasley... i Weasley sarebbero stati più degni di me. Arthur Weasley ci ha provato, ad ottenere la tua custodia."

Ci fu un attimo di sospensione, all'interno del quale Harry si rovesciò nuovamente sul fianco.

"Ma non gliel'hanno data, no? Il Ministero non ha pensato che fosse più idoneo di lei."

"Questo é scorretto."

"Insomma, dove vuole andare a parare? Si sente in colpa? Come funziona? Gode ma poi piange?"

A sorpresa, Severus Snape si infuriò, perché Potter aveva detto proprio la verità.

"Questa situazione non é moralmente sana!  Tu... tu non capisci, io..."

"Io capisco solo che devo trovare un modo, per quando sarò a Scuola."

"Un modo? Che stai dicendo, Potter?"

"Un modo per la notte. Non sono per niente sicuro di essere ancora capace di dormire da solo."

 

Chapter 17: Nothing wrong

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Trovare un compromesso tra la bestia che sentiva di essere e ciò che era semplicemente corretto fare.

Solo che l'unica cosa corretta da fare, già in quelle due prime settimane di scuola, sarebbe stata sbattere fuori a pedate il Ministero da Hogwarts.

Ed era praticamente impossibile, visto l'andazzo che stavano prendendo le cose.

Vedere Potter esposto così era la cosa peggiore, per Severus Snape.

Lui aveva cercato il migliore dei compromessi, si era addirittura fornito di due nuove tuniche nere e di un bel po' di mantelli da viaggio, curando ossessivamente il suo contegno in pubblico.

Ma era dura, rimanere con la stessa espressione sulla faccia anche mentre Potter e la sua vita venivano sezionati, sviscerati, discussi.

L'unica cosa che il mondo magico non discuteva era la sorte dei parenti Babbani di Potter, ed ovviamente - grazie al cielo - la questione della sua nuova tutela.

Ci sarebbe mancato solo che si sapesse che lui, Snape, aveva a tutti gli effetti adottato Potter.

Ma anche così, le cose andavano male.

Se la Scuola intera non avesse sussurrato il nome di Harry o fatto allusioni piene di scherno, per Severus sarebbe stato tutto più semplice.

Ma no.

Potter, in sostanza, aveva finito per dedicarsi a passatempi tossici che gli avevano fatto prendere una brutta strada, inducendolo a spararla veramente grossa sul ritorno dell'Oscuro Signore.

Potter, povero ragazzo traviato, si prostituiva, mentiva, rubava. Secondi alcuni era una vittima, secondo altri un manipolatore arrogante pieno di vuoto narcisismo.

Ad Hogwarts, Potter aveva tirato fuori una grinta che il Potion Master non credeva possedesse. Adesso affrontava le folle a muso duro, come al solito accompagnato da Ron Weasley ed Hermione Granger. Lungo i corridoi tirava dritto e non guardava nessuno. A volte, con occhi penetranti ed assorti, guardava il suo professore di Pozioni, ma solo per pochi istanti.

Non abbastanza perché i due amici di sempre gli domandassero 'dove guardi, Harry?'

*

Se lui fosse stato ancora l'irritante replica in miniatura di un James Potter redivivo agli occhi di Severus, le cose sarebbero state più semplici.

Ma no.

Allo scadere della seconda settimana di scuola Harry fece ciò che tutti si aspettavano facesse.

Urlò in faccia a Dolores Umbridge e si beccò una punizione.

Severus si trovava casualmente fuori dall'aula di Difesa contro le Arti Oscure quando successe.

Rischiò di inciampare e benedisse il corridoio vuoto. Un silenzio denso di pericolo accolse le urla di Potter.

Io c'ero, va bene? Io l'ho visto! Secondo lei Cedric Diggory é morto così, per caso?

Almeno il ragazzo non aveva detto parolacce. Non aveva detto 'cazzo'...

Severus si era fermato giusto in tempo prima di spalancare la porta e correre dentro.

Lasciò andare la maniglia come se scottasse. La Umbridge aveva risposto a voce bassa, flautata ed inaudibile per lui.

Aveva odiato non poter sentire la risposta.

Con i muscoli delle mascelle contratte come se fosse sul punto di urlare a sua volta, il Potion Master era schizzato via, in direzione del sotterraneo.

Non era il direttore di Grifondoro, lui.

Non aveva pretesti per irrompere così nell'aula.

Convocò Potter la sera stessa, quando realizzò di non riuscire più a trattenersi.

*

Era la prima volta che Potter metteva piede nello studio di Snape dall'inizio del quinto anno.

Era anche la prima volta che si trovavano faccia a faccia, dopo il primo settembre.

Il povero ragazzo traviato alzò i suoi occhi verdi come fossero un'arma - come sempre, così Severus si sentiva quando lo guardava.

"Allora?"

Potter lo guardò, disorientato.

"Che cosa ti ha detto la professoressa McGonagall?!"

Aveva saputo che lei lo aveva convocato immediatamente dopo la fine della lezione di Difesa.

"Mi ha offerto dei biscotti."

Toccò al Potion master restare senza parole. La luce come al solito lasciava a desiderare. Lui non accendeva mai il caminetto nello studio, se ne dimenticava sempre perché ricalava magicamente la stanza.

Così Potter era solo un gioco di luci, capelli più scuri dell'ombra, scintillio di lenti.

"Vieni avanti. Siediti. Per quando é la punizione?"

Potter gli obbedì con insolita riluttanza, facendo scricchiolare la sedia.

E, lo notò solo in quel momento Severus, non togliendo mai la mano sinistra dalla tasca.

Non sapeva perché dovesse farci caso. Forse era l'aver imparato a memoria i movimenti tipici di Potter durante l'estate, ad acuire il suo spirito di osservazione.

C'era qualcosa di insolito nel ragazzo.

"Potter, metti le mani sulla scrivania."

"No."

Severus Snape si alzò e girò intorno all'ultima pila di verifiche, arrivando ad Harry.

Gli fece scivolare un braccio dietro la schiena, poi sui fianchi. Rabbrividì. Potter non reagì.

Senza sapere ciò che faceva, guidato solo dall'istinto e dimentico del contegno che aveva imposto a se' stesso, Severus Snape gli afferrò delicatamente il polso.

Tirò. Subito si maledisse per l'inerzia che gli rispose, per quella specie di costrizione.

Ma pochi istanti dopo ebbe poco di cui biasimare se' stesso ancora una volta.

La mano sinistra di Potter era massacrata da una scritta rossa, incisa come una ferita fresca.

Non devo dire bugie.

Era come le avesse scoperte sulla sua di mano, come se avesse annusato il loro venefico odore nell'aria.

Aveva afferrato il ragazzo senza tante cerimonie e lo toccava ovunque, il volto, la fronte, era arrivato ad aprirgli il colletto della divisa quando Harry lo frenò: "No, no, solo lì! Mi ha fatto scrivere con una specie di piuma nera, che..."

Snape lo interruppe con un ringhio sordo, perché sapeva benissimo come funzionassero quegli aggeggi osceni. Sapeva anche che fino a qualche tempo prima erano vietati come 'manufatti oscuri'.

Il suo esame arrivò allo sguardo verde del ragazzo. Il Potion Master gli teneva il volto tra le mani. Che per lui quello fosse un pretesto, che la coscienza già lo biasimasse per aver azzerato così le distanze, non gliene importava niente.

Cercò collera, voglia di vendetta, qualsiasi cosa nello sguardo di Potter che gli facesse da specchio. Cercò addirittura disperazione, ma non trovò niente.

Solo quella consapevolezza muta e pulita del dolore.

Dolores Umbridge lo aveva torturato per mezzo di un manufatto oscuro misteriosamente ammesso di nuovo ad Hogwarts, ma sembrava non gliene importasse niente.

"Dobbiamo pulirle. Adesso. Ti fanno male? Te le senti gonfie?"

"Beh, ho avuto di peggio..."

Severus Snape si infuriò come non gli capitava da molti anni. E dal momento che la gestione della rabbia non era il suo forte, ne fecero le spese due nuovi set di ampolle pulite e numerosi compiti.

Non si sentì esattamente bene quando tutto fu ridotto ad un viluppo di vetri rotti e carta straccia, ma almeno non aveva ammazzato Dolores Umbridge.

Potter, però, si era ritratto terrorizzato a quel suo scatto e lo fissava esterrefatto.

"Non... scusami. Siediti."

E si mise a riparare con un colpo di Bacchetta il disastro, dando le spalle al ragazzo finché non trovò l'essenza di Purvincolo.

*

Il Purvincolo migliorava molto le cose, anche se quella porcheria non poteva essere rimarginata con la magia.

Se si fosse messo a pensare alle possibili cicatrici, Severus Snape avrebbe fatto qualcosa di stupido.

Così mentre sedeva molto vicino a Potter, si concentrava solo sul rossore che spariva minuto dopo minuto.

"Ecco... così va molto meglio."

Passarono lunghi, tremendi istanti in cui contò solo rimettere al suo posto il barattolo di Purvincolo.

Doveva essere così, perché ora che rabbia e dispetto erano passati in secondo piano, il Potion Master vedeva ancora Potter entrare mezzo nudo nel bagno di Spinner's End.

Lo vedeva sedersi sul divano con le ginocchia all'altezza del mento, nelle sue converse nuove.

Lo vedeva entrare nella doccia e poi uscirne pulito e distratto, alla ricerca di qualcosa da mangiare.

Non c'era rimedio per quello, per quando Severus Snape prese di nuovo posto nella penombra accanto a Potter.

"Hai poi risolto quel problema?"

"Quale?"

Una fitta di innominabile ed egoistico dolore, nel sentirselo domandare.

"Il dormire da solo."

Erano due settimane che lui, Severus, si rigirava nel suo comodissimo baldacchino come se gli si fosse aperto un precipizio sotto.

Due settimane che non riusciva a prendere sonno che alle prime luci dell'alba, perché la metà del suo letto era fredda e vuota.

"No."

La risposta era così dolce, un tale sollievo che il Potion Master non ebbe il tempo di vergognarsi di se' stesso.

*

In fondo non faceva niente di male. Aveva solo fatto riempire il letto giù alla torre di Grifondoro di cuscini e tirare ben bene le tende. La mattina tutti erano troppo occupati ad arrivare in orario, per rendersi conto dell'assenza di un compagno. Senza contare, poi, che Potter era solito andarsene in giro per Hogwarts, di notte. Avrebbe potuto dire a quel Weasley che era la sua nuova strategia contro la Umbridge, dormire sotto qualche armatura cigolante dopo il corpifuoco. Almeno per quella notte. Poteva funzionare.

O no? E comunque, non stavano davvero facendo niente di male. Potter gli si era accomodato tra la spalla ed il petto mentre lui, da bravo nozionista ed insegnante, leggeva qualche compito ancora da correggere.

Non era un male accarezzargli metodicamente, silenziosamente una parte di schiena mentre Potter gli si accoccolava addosso. O no? Il Potion Master poteva vederlo e sentirlo su di se', nella piccola oasi di luce dell'abat-jour. Vedeva la sommità dei suoi spettinati capelli neri e quella mano che indugiava piano al centro del suo petto la sentiva come una corda di fuoco.

Come due amanti, pensò senza poterselo impedire.

Già, questo erano, due amanti.

O forse vittima e carnefice sarebbe stato più opportuno, no, Severus?

Smise di leggere quello scempio di tema ed ebbe tutte e due le mani libere. Per circondare Potter con entrambe le braccia.

Il modo in cui il ragazzo trovò il suo posto nell'incavo del suo petto lo spezzò.

Si rese conto solo in quel momento di una cosa.

Fino ad allora, Potter era stato un fascio contratto di muscoli.

Da quando erano scivolati insieme sotto le lenzuola ogni doloroso nodo si era sciolto.

Non fare niente di male, secondo Severus, finì quando si chinò a baciarlo, silenziosamente. Non baci casti da tutore o da patrigno, ma languidi guizzi che il ragazzo ricambiò per poi tornare a riabbassare la testa.

Severus Snape chiuse gli occhi e benedisse il buio. Tenero, tenero, ecco cos'era quel figlio di nessuno bistrattato da tutti, e poi morbido. Molto morbido, arrendevole e già addormentato.

*

La stanchezza di Potter sembrò sparire per lasciarlo fresco come una rosa intorno alle cinque e dieci del mattino, quando anche gli occhi del Potion Master si aprirono per un impulso difficilmente ignorabile.

Potter si dondolava contro di lui, forzando al massimo i fianchi magri per fargli sentire quanto si fosse svegliato proprio in ogni parte del corpo.

Severus Snape si destò completamente, mentre anche l'alba piovosa si levava. Sentiva l'umidità triplicata. Nel muoversi, si tirò dietro il morbido viluppo di coperte fino ad avere Harry sotto di se'.

Quella visione mattutina avrebbe potuto benissimo appartenere al sogno, non fosse che Severus era assolutamente certo non fosse così.

Potter, gli occhi verdi ancora velati di sonno, aveva aperto le ginocchia per accoglierlo.

Il Potion Master frugò sul comodino alla ricerca di un olio, facendo cadere più di una delicata ampolla.

In pochi istanti il ragazzo fu pronto, morbido e ancora morbido come se non aspettasse altro.

Severus Snape lo prese da sopra, stabilendo un ritmo perfetto. Erano probabilmente le sole due persone della scuola già sveglie dopo Hagrid. Molte volte Potter sobbalzò, con le spalle nude che raggrumavano le lenzuola e soccombevano alla cascata dei baci del suo tutore ad ogni spinta.

E poi lo mandò a lavarsi, senza concedersi il tempo di provare paura e rimorso per quanto aveva fatto.

Lo mandò a togliersi di dosso il suo odore ed i resti della sua furia, prima di un'altra giornata di scuola. Sarebbe riuscito a scivolare nel suo letto prima che chiunque si svegliasse.

Ma i delicati segni rosei che le sue labbra avevano lasciato non li avrebbe tolti l'acqua, quelli sarebbero rimasti sotto i suoi abiti. Quelli avrebbero tormentato il Potion Master per tutto il giorno.

Non devo dire bugie, così uno gli sfregiava le carni. Ignobile.

Oh e poi c'era lui, Severus, che lo insozzava in un altro modo. Ignobile.

Povero, sfortunato ragazzo.

 

 

Chapter 18: Povero sfortunato ragazzo

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Povero sfortunato ragazzo che aveva gli occhi di tutti addosso e poteva contare solo sulla mancata diffusione delle informazioni.

Sulla carta, il motivo della sua udienza erano quei maledetti Dissennatori. Nessun ragazzo in età da Hogwarts ascoltava certi noiosi programmi alla radio magica, ne' tanto meno aveva acceso alle aule dei processi magici. Ma la Gazzetta del Profeta la leggevano tutti, proprio tutti.

E non c'era nessun segreto a proteggere Harry, non quella volta.

Severus Snape aveva ottenuto - tramite Silente - di non essere mai più citato per nome e cognome, quindi nessuno sapeva che aveva finito per ottenere la custodia legale del giovane Potter.

Ron ed Hermione - soprattutto quest'ultima- palesemente sapevano tutto, ogni dettaglio, sullo zio di Harry, sulla custodia e sui cambiamenti a Privet Drive, ma i due ragazzi erano l'oasi di pace. Fingevano di non saperne niente, fingevano di non leggere gli articoli di giornale, si comportavano come se Vernon Dursley non avesse fatto nient'altro che angariare Harry per sedici anni.

Non potevano sapere com'era andata a finire con la battaglia tra Sirius e Silente per la custodia di Harry, Harry non voleva dirgli di Snape e loro non chiedevano.

Per Harry era meraviglioso.

In loro compagnia quelle fitte alla cicatrice sulla fronte sembravano più sopportabili, un male dovuto forse a tutto lo stress.

Harry poteva ignorare quella lunga estate da incubo vissuta a Privet Drive in compagnia dei suoi amici, focalizzarsi sulle prossime mosse di Voldemort, su dove fosse finito.

Poteva evitare di parlare a Ron ed a Hermione del suo blocco, di quando non era riuscito a difendersi con la magia, della storia delle sue converse nuove, acquistate con i suoi primi soldi Babbani.

Loro lo avrebbero rispettato il suo silenzio senza bisogno di spiegazioni.

La situazione con la Magia sembrava essersi sbloccata, forse anche per via del ritorno ad Hogwarts.

Harry buttava via quel senso di impotenza, lo relegava in un angolino oscuro e andava avanti.

Sicuramente Dolores Umbridge era tra quelli che lo riteneva un piccolo narcisista infido e calcolatore, era così palese.

Sicuramente metà della scuola lo compativa, l'altra metà invece aveva deciso di aver capito tutto di lui.

Aveva addirittura ricevuto delle proposte, Harry, una mezza specie. Da parte di ragazzi. Ragazzi più grandi che pensavano fosse uno svitato in cerca di attenzioni ma lo avevano avvicinato con fare furtivo ed occhiate penetranti tra una lezione e l'altra. Le due cose potevano coincidere, dunque: lo si poteva considerare uno svitato ed anche una troia.

A volte Harry si sentiva ancora come a Privet Drive, quando i vicini trascinavano i figli piccoli in casa al passaggio di Potter.

La maggior parte delle volte, però, per tutti quei primi due mesi di scuola Harry si sentiva come avrebbe dovuto sentirsi ad Hogwarts. A casa.

Poi le cose cambiarono.

Impercettibilmente e subdolamente da principio, lasciando ad Harry la possibilità di mantenere l'ennesimo segreto con i suoi amici.

I giorni trascorrevano identici, tra occhiate sbieche e continui attacchi alla sua credibilità.

Le notti si riempirono di nuovo deli incubi di Privet Drive, ma più contorti.

Ma Voldemort lo inseguiva così come lo aveva inseguito Piers in sogno, solo non per chiedergli di succhiaglielo, o forse era Harry a scovare sempre Voldemort in quei sogni, come la lingua che batte sul dente cariato.

Harry si svegliava sudato e sconvolto.

Harry si sarebbe tranquillamente tenuto tutto per se' ancora una volta.

Ma c'era quel dolore alla cicatrice.

E poi, maledizione, dormendo di nascosto negli appartamenti del suo professore di Pozioni, mantenere un segreto si rivelò più difficile del previsto.

Come spiegazione, il suo 'stress', che non bastava più.

Albus Silente, il solo al quale avrebbe potuto chiedere informazioni o rassicurazioni, era nessuno nella vita di Harry e da molti mesi.

Harry non lo avrebbe cercato per dirgli della cicatrice e del ritorno degli incubi, non dopo essere giunto alla conclusione che Silente non era intervenuto per fermare i Dursley.

Però essersi svegliato sudato e urlante nelle braccia di Severus Snape fece precipitare gli eventi.

E così alla fine, Silente fece qualcosa per lui. L'ennesima cosa che Harry non capiva.

"Perché devo prendere lezioni di Occlumanzia da lei? Non potrebbe..."

Ma Severus non lo aveva lasciato finire. Non lo avrebbe lasciato dire qualcosa di così prevedibile.

"Il professor Silente ha delegato me. L'ultimo incubo é stato veramente preoccupante, Potter. Tu non ti sei visto."

Già, ma ci aveva pensato lui, Severus, ad accorgersi della qualità singolare ed inquietante degli incubi di Harry.

"La cosa deve rimanere segreta. Nessuno dovrà sapere che stai prendendo lezioni di Occlumanzia."

Ed era toccato ad Harry guardarlo senza parlare. Un segreto, proprio come il fatto che ogni tanto Harry non dormiva nel suo letto ma laggiù, vicino al sotterraneo umido di Pozioni.

*

Sirius aveva quasi rischiato di fare a botte con Snape, proprio a pugni, niente magia, perché una sera Sirius aveva apostrofato Severus come 'il fedele cagnolino di Lucius Malfoy.'

'Come sta Lucius Malfoy in questo periodo?' Per poco non si erano azzuffati.

Una cosa Harry si era dimenticato, se ne ricordò quel pomeriggio.

Lucius Malfoy e Severus Snape erano amici per davvero.

Harry spalancò la porta dello studio, ignaro, perché aveva bussato e gli avevano detto 'avanti'.

Si bloccò, raggelato.

All'altro lato della scrivania del Potion Master, le lunghe gambe accavallate, i piedi calzati in costose e Lucide scarpe di pelle di Drago, sedeva Lucius Malfoy.

L'ultima volta che Harry aveva visto quei pallidi occhi grigi, era stato attraverso la fessura di un cappuccio da Mangiamorte, in un cimitero.

Severus Snape lo fissava intensamente.

Così stava facendo anche Malfoy.

Harry si sentiva addosso il peso glaciale di quegli occhi grigi ed in Occlumanzia si era rivelato a dir poco maldestro.

In due lezioni non aveva fatto alcun progresso, per di più Snape gli faceva saltare i nervi di continuo. Aveva preso il suo incarico di insegnante extra molto sul serio.

Lucius Malfoy spadroneggiava di nuovo nella scuola grazie al regime della Umbridge ed ora che Harry se ne ricordava, doveva aver assistito per forza alla sua udienza.

"Immagino che Potter sia così muto per via dei compiti di Pozioni che non ha finito."

Lo punzecchiò Lucius con la sua lenta voce strascicata.

Già, ufficialmente Harry faceva così schifo in Pozioni da dover prendere ripetizioni.

Sentire la sua voce spedì ad Harry una serie di brividi lungo tutto il corpo. Qualcosa lampeggiò negli occhi di Severus, ma forse era solo una sua impressione?

Lucius si alzò, il suo mantello gli frusciò vicinissimo alla spalla, altri brividi.

Snape disse qualcosa che Harry non colse.

"In questo caso, vi lascio. Sai, non ci tengo ad assistere."

*

Due ore più tardi, con le mente accartocciata e strizzata come un panno umido, Harry sedeva all'interno di una nicchia di pietra del quinto piano, senza voler vedere nessuno.

Quando finiva con l'Occlumanzia era così. Per un bel po' non voleva ne' vedere ne' sentire nessuno, neppure Ron ed Hermione. Quel corridoio, quella nicchia, facevano al caso suo quel pomeriggio.

Correva sempre via e Snape, che doveva sapere bene come ore di tentativi di violare la tua mente ti facevano sentire, non lo fermava mai.

Il grosso del tumulto passava in fretta, a patto di essere soli in un posto tranquillo.

Era già passata mezz'ora, ma Harry si sentiva così bene circondato da quel fresco rifugio di pietra.

Il ragazzo poteva sentire gli indistinti rumori di Hogwarts che riposava dopo le lezioni, le lontane grida dei suoi compagni in cortile, risate lontane, addirittura il tonfo della scopa del custode, Argus Gazza.

Quiete, silenzio, passi.

Passi lievi e cadenzati.

E poi quel tocco, strisciante, lento, mentale che orma Harry non poteva non riconoscere.

Balzò in piedi senza alcun rumore, più che guardandosi intorno tendendo le orecchie dal suo nascondiglio.

Chiunque gli avesse sfiorato la mente si era limitato a quello. Che Snape avesse deciso di venirlo a cercare?

Harry attese. Il silenzio, quasi identico a quello rilassato, parlava di una verità inequivocabile. C'era qualcuno con lui in quel corridoio, dall'altra parte dell'arazzo.

Qualcuno che stava giocando con lui come un gatto gioca con una preda.

Harry tornò lentamente a scivolare nella nicchia, seduto, la mano affondata nella tasca della Bacchetta e le dita intorno all'impugnatura di legno.

L'arazzo era troppo lungo, non poteva vedere niente, nemmeno un centimetro di pavimento.

L'arazzo era immobile, ma ad un tratto una mano lunga ed affusolata lo spostò bruscamente di lato.

Harry era così sicuro che si trattasse di Voldemort che aveva immediatamente sfoderato la Bacchetta, invece vide il piccolo sorriso beffardo di Lucius Malfoy.

E si sentì molto, molto idiota quando il suo sguardo pallido gli scivolò addosso.

"Booh, Potter."

Forse non era Voldemort, ma la verità non era poi così diversa.

Però Voldemort non lo avrebbe mai guardato divertito dopo averlo stanato, Voldemort non indossava abiti così raffinati e soprattutto chissà dov'era nascosto al momento, maledizione.

Ma Voldemort forse mandava quella sua affascinante facciata a cercare le sue prede.

Perché doveva venirgli in mente di definire Lucius Malfoy proprio così, affascinante, Harry non lo sapeva e non voleva saperlo, non mentre di ristabiliva dall'Occlumanzia.

"Queste ripetizioni di Pozioni devono essere proprio estenuanti, Potter."

Harry lo guardò. Nessun brivido questa volta. Era stato rivederlo il problema, certo.

"Che cosa gliene frega? Lei, piuttosto, perché accidenti é qui?" E poi, senza potersi trattenere Harry aggiunse: "Fingere di non essere ciò che realmente é, quello si sarà estenuante, signor Malfoy."

Lucius se l'era evidentemente aspettato, così decise di ignorare quella frecciatina.

"Io mi trovo qui, Potter, perché l'Inquisitore Supremo di Hogwarts tiene in gran conto il mio parere. Mi vedrai spesso, in giro per Hogwarts temo."

"Che gioia." Commentò Harry in tono lugubre.

Beh, e poi? Malfoy poteva usare quel tono di voce tronfio e mellifluo finché voleva, ma non avrebbe osato niente contro di lui sotto il naso di Albus Silente.

Harry non lo stava neppure guardando. Si rese conto troppo tardi di cosa stava guardando, mentre registrava il suo buon odore, il suo completo nero trasudante ricchezza.

Harry si stava fissando le scarpe. Le sue nuove, ormai non più così nuove 'converse'.

*

"Dimmi una cosa, Potter. Cosa c'è di vero, nella tua storiella sui Dissennatori?"

Harry non poté fare a meno di alzare di scatto la testa per guardarlo finalmente. Forse era proprio ciò che quei pallidi occhi grigi volevano da lui, che venisse raccolta la loro occhiata traslucida e penetrante.

Harry sostenne il suo sguardo senza esitazione. Era la prima volta che si trovava per così tanto tempo in compagnia di quell'uomo. "Tutto. Tutto quanto era vero."

Considerando che secondo Snape era stato proprio il Ministero a mandare i Dissennatori a Privet Drive, Harry pensò una volta di più alla faccia tosta di Lord Malfoy.

Non pensò che quella domanda dalla risposta ovvia potesse essere solo un mero aggancio.

Il successivo tono di voce mandò Harry su tutte le furie. Gli parve pura condiscendenza.

"Capisco. D'altronde in situazioni di grande pressione, la mente spesso scambia per verità proiezioni dell'angoscia e con quello che ti ha fatto tuo zio, Potter..."

Fu come ricevere una coltellata, uno Schiantesimo ed un potente Expelliarmus tutti insieme.

Harry reagì come un serpente calpestato, lungi dal sentirsi preso alla sprovvista.

"Ah si? Ma mio zio non ha fatto proprio niente."

Assaporò l'espressione scioccata e calcolatrice di Lucius, la contemplò bene.

Giusto per incasinargli un po' quell'aria così sicura e strisciante, per scomporre quel suo pallido volto affilato, per fargli capire che non era affatto scaltro, quel suo balletto sadico. Era stato un errore appartarsi lassù, coi tempi che correvano. Però ormai era successo.

Harry non poteva guardare Lucius Malfoy con l'innocenza di un anno prima, nemmeno volendo.

Non vide niente di innocente nel modo in cui se ne stava lì, di traverso all'imbocco della nicchia di pietra come a volergli tagliare ogni via di fuga.

E non vide e non pensò nemmeno a Voldemort, non più.

Tornò a fissarsi le scarpe e l'orlo della divisa con una durezza tale nello sguardo che Lucius suo malgrado sussultò.

"Non é vero niente, che l'ambiente dei Babbani era degradato e corrotto e mi abusavano e bla bla bla. Semplicemente non mi davano mai soldi, non potevo avere accesso al mio oro e dovevo cavarmela in qualche modo, così ho... ho fatto dei piaceri ad alcuni signori."

Harry sentì quella versione della realtà bruciargli la gola e le visceri mentre usciva, quella bugia così palese detta solo per il gusto di incasinare Lucius Malfoy.

E non solo.

No, non solo per incasinarlo.

Perché non si meritava di sapere la verità, non lui, e poi per la prima volta Harry sperimentava la paura lì, ad Hogwarts. Senza l'adrenalina della fuga, senza la priorità di correre per salvarsi la vita, la paura la faceva da padrone.

Ed Harry sceglieva l'unico modo al quale si sentiva di avere accesso, contro una paura del genere.

"Ho fatto tutto di testa mia." Continuò, inclinando un po' il collo per spedire al signor Malfoy una sola, terrificante occhiata da sotto in su.

E di colpo pensò al professore, il solo 'signore' con cui avesse avuto a che fare per soldi più o meno di sua spontanea volontà. Ignorò il sobbalzo dello stomaco quando Lucius Malfoy oscillò in avanti, per avvicinarsi, come a rendere quelle dichiarazioni una calamita. 

Lo ignorò anche se minacciava di spezzagli le parole in bocca, il suo stupido stomaco accartocciato.

"Solo che sono minorenne, no? Questo é un problema per la legge se ti scoprono, no? Facevo tutto..." E senza nemmeno sapere, il ragazzo spedì lungo la figura dell'altero Lord Malfoy un altra di quelle occhiate.

Il ragazzo si era rannicchiato nel vano di pietra, sempre senza rendersene conto a pieno, in quella sua dinoccolata e dolente grazia di cui era sempre così inconsapevole, quella che aveva crudelmente spazzato via ogni residuo di infanzia.

E Lucius Malfoy si dispiacque. Ma non per se' stesso, per lui. Durò lo spazio di un attimo, un battito di ciglia, quella fitta di pena.

Lord Malfoy voleva ascoltare, avido di informazioni sul ragazzo, ma non sapeva più cosa stesse davvero sentendo. Non riusciva a penetrare la mente di Potter per di più, non gli riusciva che quel lieve sfioramento dell'inizio. Questo era importante, una brutta notizia ed importante, che Potter fosse in grado di resistere comunque alla Legilimanzia. Ma Lucius non riusciva a concentrarsi solo su quello.

"Faccio tutto." Rimarcò Harry a tradimento. Non aveva più le mani strette intorno alla Bacchetta in posizione d'attacco ma vicino ai fianchi, strette sul bordo della nicchia.

"Faccio proprio tutto quello che serve, con la bocca, con le mani, dietro, potevano farmi tutto. Mi piace, c'è qualcosa di male? Finché non venivano io non smettevo mica..."

Ancora una di quelle occhiate, che non colpivano mai nel segno ma forse era anche peggio perché si sentiva il gelo della lama smussata.

"Era questo che voleva sapere? Beh, ora lo sa. I Dissennatori erano verissimi, ma non quella roba che hanno detto su di me... perciò non ero per niente confuso o roba del genere. Lo posso succhiare anche per due ore, il cazzo. Anche dietro, posso sopportarlo per ore e a volte mi piace, dietro. Anche se uno ci mette tanto a venire, non mi stanco... "

E poi Harry si fermò un secondo prima di sbattere contro la dura pietra, ma era tutta colpa sua: aveva fatto un balzo mostruoso all'indietro quando aveva sentito avvicinarsi la mano di quel coglione.

Harry seguì la traiettoria del movimento di quel braccio, sconvolto, la mano di nuovo stretta intorno alla Bacchetta, ma rimase sorpreso di vedere che Lucius Malfoy era disarmato e guardava dall'altra parte.

E a meno di essere un paiolo di formaggio, Harry avrebbe potuto giurare che quella cazzo di mano affusolata gli avesse fatto una carezza. Harry sorrise e poi riprese: "Ah, ho capito, pensavo volesse attaccarmi, mentre..." Ma Lucius Malfoy agitò una volta le dita, un 'basta' senza parole mentre si allontanava.

Un 'basta così' che nascondeva il viso e il gesto vergognoso di una carezza.

 

 

Chapter 19: Strane Conversazioni

Chapter Text

Draco Malfoy aveva la faccia tronfia e soddisfatta di chi sta vivendo il suo miglior anno scolastico e tutto per via della 'Squadra Scelta'.

Che lui, Tiger, Goyle e la Parkinson facessero parte di una squadra scelta di studenti incaricati di far rispettare l'autorità dell'Inquisitore Supremo non sorprendeva per nulla Harry.

Solo Snape aveva l'aria di uno che ha sempre mal di pancia.

Iniziò ad impartire ad Harry istruzioni precise, perché la sua paranoia era al parossismo.  Harry era d'accordo con lui. Sapeva di essere un bersaglio. Gli occhi malevoli di Dolores Umbridge scrutavano la vita del castello e le sue braccia arrivavano ovunque, anche se tramite la maldestra 'squadra'. Ma nessuno era sotto tiro come il Golden boy, il povero sfortunato ragazzo farneticante.

Era stato il Ministero ad attentare all'indipendenza di Hogwarts ed a vincere quella prima battaglia, sottomettendo la scuola.

Severus diceva che la vecchia rospa era a conoscenza delle novità sulla custodia del 'minore Potter' e non voleva sentire ragioni sulla sicurezza. Per la prima volta a memoria d'uomo incoraggiava Harry nell'uso del Mantello dell'Invisibilità.

Quella sera aveva piovuto ed Harry aveva dovuto evitare di passare per il parco, tagliando per raggiungere i sotterranei.

Si tolse il mantello e guardò Snape, un muto saluto dei suoi tremendi occhi verdi. Il Motion Master, ancora vestito di tutto punto, sentì il fuoco innominabile risvegliarsi nelle reni.

Tra lui e Potter non era cambiato niente, sotto quel punto di vista.

Severus si era vergognato di se' stesso, nel sentirsi arrabbiato perché dopo tutto Potter si era abituato a dormire da solo. Almeno qualche volta, o meglio la maggior parte delle notti.

Però quelle sere tra di loro erano diventate una specie di appuntamento regolare.

Non avrebbe permesso a Potter di presentarsi lì quando voleva, si era imposto all'inizio. Invece, il ragazzo aveva finito per fare esattamente così.

Severus non aveva mai avuto la forza di respingerlo, nemmeno a parlarne.

Harry ripiegò con calma il mantello, sotto il quale indossava il pigiama. Sempre senza una parola, si avviò pigramente verso una porta dietro la scrivania, oltre la quale si trovavano gli appartamenti privati di Snape.

Non sapeva cosa aspettarsi, mentre si lasciava cadere a peso morto sul grande e lugubre letto a baldacchino, l'unico letto di Hogwarts con le cortine verde e viola scuro.

Non sempre facevano sesso, a volte dormivano insieme e basta.

Non sempre Harry aveva voglia, quanto alla voglia di parlare quella non la prevedeva proprio, poi.

Non aveva detto a nessuno, tanto meno a Snape, di aver incrociato Lucius Malfoy.

A nessuno avrebbe mai detto che cos'aveva fatto, praticamente offrirsi a quell'uomo mentre il terrore lo divorava e lui, Harry, sentiva ancora intorno a se' la puzza di terra smossa del cimitero.

Severus Snape lo raggiunse sul letto, anch'egli in camicia da notte. Senza nemmeno un cenno, gli strinse forte le braccia intorno al petto e lo attirò a se'. Harry trovò la strada contro il collo scarno del Potion Master, chiuse gli occhi e sentì un senso familiare di pace calargli addosso.

La mano scarna e dinoccolata di Severus Snape prese a scorrere il suo petto, in un gesto che trovava spazio solo in quell'oscurità.

Solo quella settimana, aveva sentito dieci frecciatine, calunnie e motteggi diretti a Potter. Si chiese se il ragazzo lèggesse i giornali o avesse ancora ascoltato la radio.

Iniziò a baciargli la nuca. Potter si rigirò nella sua stretta e gli passò le braccia intorno al collo.

Severus Snape chiuse gli occhi ed inalò lentamente il suo odore. Non c'era spazio per la vergogna e neppure per la decenza, ma si assicurò che Potter almeno lo volesse.

Si, si assicurò di come fosse messo Potter e quando lo scoprì più che disposto non si sentì meglio, solo sul punto di rovesciarlo sotto di se' per il desiderio.

Harry gli infilò la mano sotto l'elastico delle mutande e l'uomo lo lasciò fare.

Ancora, depose piccoli baci ardenti lungo il collo sottile del ragazzo, lo sentì sospirare le sue fusa. Il Potion Master gli si rovesciò addosso, non poteva più farne a meno.

Colse lo sguardo traslucido ed arreso di Potter, le sue labbra schiuse.

Con tutto quello che stava passando, il suo professore, l'adulto, lo aiutava così. Severus Snape scacciò quell'ennesimo pensiero molesto e si chinò a baciarlo.

Potter esitò, poi si aprì, venendo lentamente incontro alla sua lingua.

Severus scelse quel momento per incrociare il suo sguardo.

Non osò dire il suo nome, chiamarlo Harry e neppure Potter.

Studiò attentamente i suoi occhi, nel silenzio ovattato di quella camera da letto nera e verde e viola. Poi scese con tocchi sapienti fino in basso, sfiorandolo tra le gambe, solo per assistere alla sua reazione. Potter socchiuse gli occhi con evidente piacere e Severus proseguì, liberandolo dei larghi pantaloni del pigiama.

*

Che Malfoy volesse dire Ministero e Ministero della Magia Umbridge non avrebbe potuto essere più chiaro di così. Fu chiaro a tutti durante quella prima settimana di attività della Squadra Scelta, quando Malfoy tolse dieci punti a Grifondoro e si piazzò davanti ad Harry, Hermione e Seamus con aria di sfida.

Hermione non smise di insultare la Umbridge per quello, ma perché Malfoy quasi li travolse.

"Sicura di voler proseguire, Granger?"

La ragazza si svincolò in fretta e Malfoy allora puntò Harry, il sorriso ormai cancellato dal volto appuntito. Harry, che non lo vedeva da vicino praticamente da mesi, lo guardò con calma adamantina. Il sorriso di Draco spuntò, un guizzo maligno.

"Come ti va, Potty?" E si leccò lentamente, eroticamente le labbra. Tiger, Goyle e Pansy scoppiarono in una risata volgare.

"Adesso ti spacco la faccia!"

Ma Harry afferrò Ron per il retro della divisa e lo trascinò via con se'.

*

Harry uscì nella gelida aria novembrina di Hogsmeade sentendosi molto meglio di quanto non si fosse sentito nell'ultimo mese. Accadeva dopo che Malfoy l'aveva deriso lanciandogli baci e mordendosi le labbra in modo allusivo per tutta la settimana appena trascorsa, arrivando al punto da fargli perdere la calma.

Non che Harry l'avesse davvero persa, la sua calma adamantina, quella sua nuova terribile faccia di bronzo, però Malfoy si era impegnato ed il peggio era accorgersi del numero di persone che rideva, per quelle esibizioni.

Molti di quei ragazzi erano lì solo per sentire Potter il pazzo farneticare in prima persona, Harry ne era convinto, ma alla fine della riunione qualcuno interessato al nuovo progetto di Hermione c'era.

La ragazza era così incoraggiante da farlo sentire tutto strano.

Lui, Potter il pazzo, il 'povero ragazzo', insegnare Difesa Pratica contro le Arti Oscure.

Sembrava uno scherzo, non lo era.

Sembrava che quei ragazzi fossero lì perché gli credevano, no tutti va bene - ma quasi la metà.

Harry risaliva da solo il vialetto che lo avrebbe portato a Mielandia, mettendoci molto più del previsto e camminando lentamente.

Avevano finito per sparpagliarsi, dalla 'Testa di Porco', per non dare sospetti. Hermione e Ron erano lì da qualche parte, forse già nel calore ristoratore di un pub.

I passanti divennero più frequenti, maghi dall'aria affaccendata. Solo un piccolo numero faceva caso al ragazzo e lo riconosceva apertamente, la maggior parte gli inviava occhiate che Harry non ricambiava.

Il ghiaccio era friabile sotto le suole degli stivali. Da un piccolo pub dall'aria dimessa venne l'odore forte del cioccolato appena versato nelle tazze ed Harry, che dopo tutto aveva ancora metà  pomeriggio di fronte, si lasciò tentare.

Il pub era enorme, ben più grande di quanto non sembrasse dalla strada. Harry si chiese come mai nessun ragazzo di Hogwarts ci andasse mai, ma gli bastò qualche occhiata al bancone per capire. Lì non c'erano burrobirre e bevande analcoliche, si serviva scotch liscio, alle pareti lignee erano appese insegne gallesi e bandiere dell'Irlanda.

Il locale era quasi deserto, tranne che per due anziane streghe che sorseggiavano cioccolata bollente ed un vecchio mago intento a leggere un enorme tomo rilegato.

Harry si avvicinò al bancone, dove un ometto straordinariamente piccolo lo studiò.

Era così evidente, l'ingresso di un minorenne? A quanto pareva, si. Quando Harry chiese una tazza di cioccolato, l'ometto gli ricordò che non vi avrebbe aggiunto nemmeno una goccia di alcool, come se Harry fosse lì sperando di bere di nascosto.

Harry prese la sua tazza dall'odore inebriante e si avviò verso il fondo del locale. Il barista aveva aggiunto della panna.

Harry trovò il tavolo più in fondo, quello più vicino ai bagni, e si sistemò.

Per la verità aveva bisogno di pensare, di starsene un po' da solo.

Il cioccolato era delizioso, amaro, forte, migliore ancora di quello di Mielandia.

L'unica cosa in grado di guastarglielo sarebbe stato alzare lo sguardo nel locale senza aspettarsi di vedere nessuno e scoprire invece Lucius Malfoy in piedi di fronte al suo tavolo.

No, dannazione, non aveva intenzione di chiedergli che cosa ci facesse lì. Harry aveva intenzione di ignorarlo, anche se Malfoy si stava sedendo, appoggiando i costosi guanti neri tra di loro.

La sua cioccolata era liquorosa, a giudicare dall'odore.

Harry non aveva neppure intenzione di dare battaglia a quell'uomo, non lì, non mentre era così palese che il Ministero lo stava usando per fargli saltare i nervi.

Non dopo, soprattutto, aver capeggiato una riunione studentesca illegale secondo le nuove regole del regime.

Harry si sentiva così immensamente calmo, sicuro come una calcolatrice. E Lucius Malfoy indossava una camicia priva di spilla ed un odore come di ambra e muschio. Nuovi dettagli si svelavano agli occhi verdi del ragazzo, che ancora una volta si rifiutava di guardare direttamente Lucius Malfoy.

Si era mai accorto di quei dettagli? Della forma della mascella di lord Malfoy, del modo in cui appoggiava le mani sul tavolo?

Harry rivide le provocazioni di Draco, quei gesti allusivi, osceni, ma li accantonò come l'inutile e sgradevole associazione di idee che erano.

Harry inalò odore di cioccolato, ancora. Quello con panna ora si mescolava alle note floreali della bevanda ben più corroborante di Lucius.

"Vado in bagno."

"Cos'è, un nuovo modo di salutare?"

"Lei entra dopo di me. Le faccio un pompino."

La tazza che non conteneva panna oscillò come se qualcuno l'avesse colpita, ma si fermò un istante prima di rovesciarsi.

Imperturbabile, Harry mescolò lentamente la sua mentre lord Malfoy rimetteva lentamente dentro il cucchiaio. Poi continuò a parlare come se fosse di compiti o del tempo. Così sommessamente, così tranquillamente.

"Perché é venuto a sedersi al mio tavolo, con tutto lo spazio che c'è?  Vuole incantarmi qui, in pubblico, quando chiunque potrebbe dire di averci visto insieme? Non credo, sarebbe stupido da parte sua, dopo il Cimitero. Se vuole, possiamo andare nei boschi... anche se non posso fare troppo tardi."

"Mi trovavo semplicemente ad Hogsmeade per affari che vanno ben al di là del tuo interesse, Potter."

Ma quella voce glaciale non ebbe alcun potere di persuadere Harry.

"Vuole vedermi da vicino per poterlo raccontare al suo Padrone?"

Poté sentire Lucius sussultare. Harry sorrise.

"In qualsiasi posto si trovi, comunque. Giocatore esperto di nascondino, eh? Ma non importa. Visto? Sta andando bene. Non mi crede nessuno."

"Forse, se evitassi di raccontarle così grosse, Potter..."

"Lei sa benissimo che non ho mentito. Lei, quella notte c'era. E non sto mentendo nemmeno adesso."

Harry bevve un sorso caldo di cioccolato, poi appoggiò con cura il cucchiaino al margine del piattino bordato d'oro.

"E comunque non mi riferivo a quella notte." Era rarissimo sentire Lucius Malfoy scoprirsi così palesemente, ma Harry se lo ricordava fin troppo bene sotto quel cappuccio per sconvolgersi.

"Le faccio un certo lavoretto con la bocca... che la manderà in estasi, garantito."

"Potrebbero mandarti in un riformatorio, Potter."

"Me lo hanno già detto."

"Fingerò di non aver sentito nessuna... nessuna delle tue oscenità."

Harry, le guance calde per via della cioccolata, si scoprì caldo anche sul collo e sulle labbra. Prese un bel sorso abbondante e guardò lord Malfoy da sopra il bordo della tazza.

Quegli occhi verdi inchiodarono Lucius Malfoy alla sedia. Lo fecero infuriare anche, perché al Cimitero non aveva avuto modo di accorgersi di quanto letale fosse quello sguardo. O magari non era così, prima. Qualsiasi cosa fosse successa a Potter negli ultimi mesi, Lucius aveva solo finto di bersi le sue bugie sull'innocenza dello zio babbano.

Che cos'era di preciso a metterlo così a disagio, Lucius non poteva saperlo.

L'ultima volta che aveva rischiato una tale vicinanza con Potter aveva vinto un impulso umano, troppo umano, di cui Lucius Malfoy si vergognava.

Gli era sfuggito un gesto di commiserazione, di tenerezza, anche se non aveva mai raggiunto la meta. Si offriva addirittura a lui in quel modo, con quella navigata e professionale rassegnazione, quel ragazzino poco più grande di suo figlio che aveva già gli occhi spaventosi di un adulto, ma di fronte ad una carezza aveva fatto un salto di mezzo metro.

Harry leccò con studiata naturalezza un dolce, voluminoso fiocco di panna, a beneficio dell'altero, bisessuale ( anche se il mondo lo ignorava) Lord Lucius Malfoy.

"Fingere é la sua specialità, non la mia." Harry vide che quel gesto innocente stava soggiogando lord Malfoy e lo ripeté, solo finale ed assai più discreto.

"Non spreco nemmeno la sua panna."

Lord Malfoy fu sul punto di picchiare il pugno sul tavolo. Si fermò appena in tempo.

"Perché accidenti, Potter, per tutto l'amore di Merlino, stai facendo questo? Perché una tale sfacciataggine, perché una tale..." Disponibiltà? Come doveva parlare a quello spaventoso ragazzo con mille anni di dolore negli occhi di un verde così scuro?

Harry appoggiò con cura la tazza ormai quasi vuota nel piattino e si decise a spiegaglielo, anche se Lucius non voleva ammettere di capitargli di proposito tra i piedi.

"Perché beh, che alternativa ho? L'estate scorsa lei mi avrebbe volentieri fatto la pelle assieme al suo padrone, mi pareva. Poi non ci siete riusciti... e adesso é come se non stesse succedendo niente, Voldemort é sparito ma spunta lei, in tutta la sua gloria, a incasinare la Scuola. Addirittura mi si mette alle calcagna. Non lo neghi, perché non sono stupido.

Mi ha chiesto che cosa c'era di vero in quello che si dice di me ed io gliel'ho detto."

"Il mondo non gira intorno a te, Potter. Non lo hai notato?"

Harry leccò lentamente il cucchiaino, solo per vedere gli occhi di Lucius perdere un po' del loro ghiaccio.

Poteva essere giovane, più giovane di loro, ma non era stupido.

Giusto cielo, non avrebbe mai dormito con Lucius Malfoy, non gli avrebbe mai permesso di accarezzarlo, non avrebbe mai abbassato la guardia, ma avrebbe usato con successo il suo intuito.

Forse Snape era uno che si teneva a freno e si vergognava, ma Harry non poteva credere lo stesso di Lucius.

No, di lui avrebbe sempre e solo pensato il peggio, Harry.

Il peggio del peggio, per antonomasia.

E poi Harry, quasi sedici anni, decise di buttare al vento l'indugio. Perché, se loro facevano e dicevano sempre quello che gli pareva, non avrebbe potuto farlo anche lui a quel punto?

"Mi piace il suo profumo. Mi piacciono le sue mani e qui, tra il collo e la mascella. Quel punto, che ne so come si chiama. E mi piacciono i suoi occhi."

"Smettila, Potter."

"Suo figlio é uno stronzo testa di cazzo. Penso lo stesso di lei, in più che é un Mangiamorte e magari pure un assassino. Però le garantisco che non mi dispiacerebbe, se decidesse di farsi fare un lavoretto. Glielo farei e poi potrebbe pure uccidermi."

Lucius Malfoy scosse impotente la testa, sorprendendo Harry.

"Ma chi me l'ha fatto fare..."

"Cosa?"

"Ti sei fatto l'idea sbagliata, Potter, in ogni caso. Io non sono quel genere di uomo."

"Quale genere di uomo?"

"Il genere spregevole."

"Quindi aiutare ad ammazzarmi va bene, quello non rientra nelle cose 'spregevoli',  ma se voglio morire contento invece no?"

"E quello ti farebbe contento?"

"Non capisco perché gli adulti debbano essere così complicati. Mi piace anche quella sua pelle così candida..."

"Non complicati, ma sensati, Potter."

"Secondo me lei ce l'ha bello grosso. Ma se non ama proprio l'articolo..."

"Non amo quando l'articolo ha la metà dei miei anni, non ha ancora sfiorato i diciassette e soprattutto é un completo svitato."

"Io non sono svitato. Quello pazzo sembra lei, con tutti i suoi balletti viscosi e le sue inutili allusioni maliziose. Pensa che non mi sia reso conto di cosa sta facendo? Avete cambiato piano, adesso volete il potere così. Tramite Hogwarts."

Lucius Malfoy ammutolì.

"La sorprenderebbe sapere una cosa."

"Che cosa, Potter?"

"Mi sa che non me ne frega un cazzo, di quello che state facendo, tanto finirà in un altro modo per cercare di uccidermi."

Lucius Malfoy raggelò.

"Adesso voglio fargliela io una domanda, signor Malfoy. Gli specchi funzionano, in quel castello che ha per casa? Lei si specchia mai?"

Lucius stava pensando a tutto meno che a ciò che intendeva Harry, infatti gli vennero subito in mente sortilegi spia e quel dannato Ordine della Fenice, ma no. Potter non parlava di magia e di spionaggio.

"Se devo essere torturato dal suo padrone e poi ucciso, prima almeno mi piacerebbe farmi dare una ripassata da lei, poco ma sicuro."

Questa volta fu solo un bene che la tazza di Lucius fosse vuota, altrimenti avrebbe versato cioccolato bollente dappertutto.

 

Chapter 20: Segni

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I Mangiamorte lo avevano deriso e qualcuno l'aveva abbrancato per i fianchi per sbatterglisi oscenamente addosso, almeno finché i burloni non erano stati richiamati all'ordine.

Tutto per prendergli quella maledetta sfera dalle dita.

Solo che Harry non aveva intenzione di dargliela vinta e questo a qualsiasi costo.

Per questo era stato in grado di ignorare le conseguenze di quell'agguato in piena regola, per quella fragile sfera di vetro piena di fumo vorticante e per la vita di Sirius.

Aver riacquistato brandelli essenziali di sicurezza bastevoli a non vomitare quando i Mangiamorte lo avevano preso in giro sbattendoselo sui fianchi non poteva averlo portato a questo.

Era troppo crudele, troppo assurdo, come un incubo sotto effetto di alcool.

E soprattutto fu inutile.

Perché Sirius quella notte morì.

*

Harry si sentì stringere, bloccare, qualcuno cercava di trattenerlo ma lui se ne liberò con uno strattone. Correva.

Correva dietro a Bellatrix Lestrange, guidato dalla sua folle risata, la collera ed il dolore come unica guida. Per puro miracolo non inciampò lungo il pavimento disseminato di detriti e la parte più feroce di lui esultò quando la raggiunse.

Bellatrix Lestrange rideva come se la maledizione Cruciatus di Harry le avesse fatto il solletico.

"Gli volevi bene, Potty?"

Harry ruggì di nuovo la maledizione e questa volta Bellatrix lanciò un urlo diverso dai soliti, più un guaito.

Harry ebbe appena il tempo di guardarla in quei suoi folli occhi scuri, poi la sua mente si rovesciò e il dolore alla cicatrice fu così forte da costringerlo carponi sul pavimento, la nausea che lo travolgeva ad ondate.

La Bacchetta rotolò da qualche parte, nel buio disastrato dell'Ingresso del Ministero della Magia.

Il mondo era un insieme di odori rivoltanti e suoni cacofonici, piedi calzati in scarpe nere gli girarono intorno, qualcuno rise, una voce strascicata piena di rabbia sibilò una minaccia, ma Harry se ne rese conto a malapena, mentre Voldemort lo invadeva ridendo di lui.

Harry sentì la sua coscienza aggredita come da artigli di fuoco, sospinta di lato a forza e si sentì rispondere, solo senza parole.

Era stanco. Sotto tutta quell'adrenalina, Harry era solo e semplicemente stanco.

Ma che cosa vuoi da me? Santo cielo, lasciami in pace, in pace, IN PACE!

Ancora quelle dita roventi lo lambirono e questa volta con promesse di gloria così elementari che Harry rise della loro ingenuità, della loro puerilità.

Che cosa dovrei farmene?

E sentì la sua mente iniziare a chiudersi come le valve di un crostaceo, spingendolo fuori.

Non voglio niente di tutto ciò. Non voglio il mondo ai miei piedi ne' tanto meno l'immortalità, NON MI ROMPERE I COGLIONI!

Harry non poteva sapere che, nel frattempo, un Voldemort in carne ed ossa si trovava davvero lì nell'atrio del Ministero della Magia, mentre la giornata di lavoro iniziava e tutti inesorabilmente scoprivano la verità.

Non si accorse mai di Albus Silente, perché era impegnato a vomitare ed a sentirsi trascinare via di peso, perché era di nuovo padrone della sua mente ma non del suo corpo.

Il suo corpo venne tirato su a forza e sfrecciò verso una meta oscura, verso un odore stranamente familiare, un sottotono all'afrore denso di sudore e sangue.

Nel campo visivo di Harry apparve all'improvviso il volto pallido di Lucius Malfoy.

Ehi. Ehi che cazzo, dicevo per dire... commentò tra se' e se' Harry, mentre Lucius Malfoy lo afferrava senza tanti complimenti per le spalle e Harry si sentiva sbatacchiare come un guscio vuoto, un fiotto di remoto imbarazzo a pungerlo a causa di ciò che un giorno aveva detto a quell'uomo in un pub fuori mano ad Hogsmeade.

Per tutto il tempo non ci aveva mai pensato, ma ora si.

Qualcuno scagliò un sortilegio di potenza incredibile per separarli, ma era già troppo tardi.

Nelle visceri del Ministero della Magia non era possibile Materializzarsi o Smaterializzarsi, ma nell'atrio si.

E fu precisamente ciò che accadde.

*

Ecco fatto.

Che bel finale del cazzo per una nottata schifosa.

Il vuoto lasciato dall'assenza di Sirius era ancora così vivo, carne dell'anima fatta a brandelli, che Harry non riusciva a realizzarlo.

Sedato, era il termine giusto. Si sentiva sedato.

Trovarsi all'interno di una camera da letto sconosciuta, nel bel mezzo di una casa immersa nel silenzio e nel frinire lontano di grilli oltre le imposte sbarrate era definibile solo come 'finale del cazzo'.

Sempre che fosse un finale.

In verità Harry era certo di aver dormito, o meglio il suo corpo ne era certo.

Chiuse gli occhi e si rimangiò in un fiotto acido gli avvenimenti dell'ultima notte. Sentì il vuoto spalancarsi, pronto ad accoglierlo, ma in qualche modo il silenzio assoluto di quella stanza con le tapparelle abbassate lo aiutò.

Se Harry avesse saputo di trovarsi a Little Hangleton, al secondo piano dell'antica dimora dei Riddle, sarebbe stato peggio. Ma pietosamente il ragazzo sfortunato aveva visto solo il salotto, così non aveva idea di come fosse fatta casa Riddle.

Sentì lo stomaco gorgogliare nello stesso momento in cui realizzava di essere semplicemente steso sul letto, non immobilizzato. A giudicare dalla luce doveva essere pomeriggio inoltrato.

Provò a fare mente locale, ma questa volta si ricordò del momento in cui aveva preso mentalmente a spallate Voldemort intimandogli di 'non rompere i coglioni' e gli tornò la nausea.

Decise di provare a mettersi seduto e ci riuscì.

Inevitabilmente si guardò intorno.

Quella era una casa vecchia, indubbiamente. Era arredata secondo la moda di inizio secolo, per quello che Harry ne sapeva e di sicuro era almeno un decennio che nessuno dormiva in quel letto matrimoniale così incredibilmente piccolo rispetto a quelli più moderni.

Le tappezzerie erano di uno smorto color crema che un tempo doveva essere stato un raffinato color oro pallido e sicuramente quella era una casa di Babbani. C'era una abat-jour dall'aspetto fragile, con una di quelle vecchie spine fuori uso che avrebbe fatto impazzire di gioia il signor Weasley. C'era anche un lampadario ed Harry notò due prese della corrente in basso, lungo il muro.

Stava ancora decidendo in che razza di posto potessero averlo scaraventato quando la porta si aprì ed entrò chi ce lo aveva trascinato.

*

Anche nelle lame di luce di una stanza in penombra era impossibile non riconoscere i suoi vistosi capelli biondi.

Lucius Malfoy indossava abiti puliti, portava un vassoio d'argento ed era il proprietario dell'antica casa dei Riddle, o meglio lo era con il suo pseudonimo Babbano. La teneva per 'ragioni fiscali', il misterioso nuovo proprietario di quella sinistra villa padronale.

Harry portò istintivamente la mano al fianco, ma era disarmato.

Allora il panico salì e lui indietreggiò fino ai cuscini. Lucius Malfoy non fece una piega e poggiò sul comodino il vassoio che aveva portato fin lì come un Elfo Domestico.

Harry lo guardò.

Guardò il suo profilo cesellato da quel gioco di luce morente.

La sua lunga mano affusolata non era più coperta di polvere per via della battaglia e stava alludendo al vassoio pieno di cibo dall'odore suadente.

Lo stomaco di Harry protestò più forte, mentre indugiava un secondo di troppo sull'alta figura di Lord Lucius Malfoy.

Ehi, ehi, io dicevo per dire - aveva formulato la sua mente in un raro momento di lucidità, scavando il fondo più di quanto Harry non desiderasse.

Diceva per dire, affermando che 'se il suo padrone doveva farlo fuori non gli sarebbe dispiaciuto farsi un giro su di lui'. Non aveva affatto intenzione di morire.

Lucius si raddrizzò, una scultura a grandezza naturale, di nuovo visibile così chiaramente oltre la furia della battaglia appena sostenuta.

Harry aveva così tanta fame che si stava già infilando in bocca del pane caldo, nonostante la voce di Hermione che lo pregava di non farlo.

Harry sei pazzo potrebbe essere piena di pozioni terribili, o...

"Dove cazzo sono?"

Domandò Harry, deglutendo e raggiungendo un succo di fragola.

Ma Lucius si limitò a guardarlo con enorme gravità. Harry lesse nei suoi occhi qualcosa che lo distolse dal suo impulso più forte, la fame.

Era paura.

Ma Harry stava realizzando qualcosa di diverso, qualcosa che forse lo rendeva svitato per davvero, altro che le incursioni mentali dell'Oscuro Signore.

Non voleva - davvero non voleva - essere un tale casino da sentirsi fisicamente attratto da quell'uomo, eppure quella era la verità ed in quel momento non gli restò che ammetterlo.

Forse giù al Ministero non c'era stato spazio per quello e Lucius era solo lo spregevole bastardo che gli aveva teso una trappola insieme ad una decina di altri Mangiamorte, l'importante era stato fuggire e non dar loro ciò che volevano, ma in quella camera da letto antiquata Harry non poteva smettere di spiare ogni dettaglio di Lucius Malfoy. 

Le spalle ampie nella camicia elegante, il collo eburneo, quella sua mascella affilata, i fianchi inguainati dalla tunica aderente, addirittura quel suo mento appuntito, non poteva perdersi niente di tutto quello. Niente.

In quel pub fuori mano ad Hogsmeade avrebbe fatto davvero ciò che prometteva ed avrebbe dato seguito alle sue provocazioni, o promesse, o quel che erano

Si sentì così male quando quella consapevolezza improvvisa evocò il pensiero di Sirius che faticò a deglutire ancora.

"Dove sono gli altri? Che ne é stato di Luna, Neville, Ron e..."

La voce di Harry deragliò fino a spezzarsi ma la risposta di Lucius fu pronta.

"Al sicuro alla Scuola, a chiedersi dove sei finito tu."

Ed Harry sentì lo stomaco restringersi all dimensioni di una pallina da golf.

"E... e dove sono finito, io?"

"In un letto vecchio ma morbido e pulito." Fu l'enigmatica, spiritosa risposta di Lucius, ma quell'uomo era preoccupato per qualcosa. Harry non poté non accorgersene, visto che non intendeva smettere di guardarlo.

Quello che provava non bastava assolutamente a cancellare la sua nuova, grande consapevolezza.

"Quindi é tutto, bravi. Ce l'avete fatta. Devo aspettare qui che lui venga ad uccidermi?"

Lucius lo trafisse con uno dei suoi sguardi gelidi ed Harry afferrò un altro panino per evitare di incrociare quei freddi occhi grigi.

A che cosa serviva ormai mangiare? Stava per morire per mano di Voldemort, senza che nessuno gli chiarisse nessun doloroso enigma, che gli spiegasse il perché della fine di Sirius.

"Lo prendo per un si." Fece Harry, colmando il vuoto della risposta di Lucius.

"Sarebbe già successo, Potter. Non so che cosa vuole farsene di te, ti confesso."

"Come sarebbe a dire?"

"Il compito secondario era catturarti."

"Il primo era la profezia?"

Lucius esitò.

"Si."

Ah già. La profezia si era sbriciolata nel corso della battaglia. Ecco perché Lucius aveva quella faccia. Harry non evitò di gongolare.

Per quel che poteva valere.

Si voltò verso Lucius Malfoy e questa volta scivolò un po' di più verso il bordo del letto. Verso di lui.

Gli occhi di Lucius lampeggiarono ma lui non si mosse.

Harry prese un altro sorso d'acqua, ne aveva bisogno, lo ripulì. Poté agganciare l'attenzione di Lucius, questa volta in pieno.

Ora era l'uomo in piedi di fronte al letto a non poterlo ignorare.

"Grazie per il cibo."

Silenzio.

"Immagino che sia tipo il mio ultimo pasto, una roba del genere." Harry si guardò ancora una volta intorno, ma sbadatamente, come se il suo sguardo potesse andare ben al di là delle mura anguste di quella camera da letto obsoleta.

Tornò a guardare dritto davanti a se', sull'uomo dagli abiti puliti che era riuscito almeno un po' nel suo intento, la notte prima.

Nel farlo, Harry si era massaggiato distrattamente il collo, chissà da quanto giaceva là disteso.

Forse non voleva nemmeno dire quello che le sue labbra stavano spingendo fuori, ma qualcosa di più profondo, goloso ed insensato aveva la meglio sul resto.

"Ho anche l'ultimo desiderio, se mi é concesso. Visto che il letto c'è, venga a letto con me."

Tra le cose che Harry non sapeva c'era anche di aver spaventato seriamente Lucius, la notte prima, per la facilità con cui aveva sbattuto Voldemort fuori dalla sua mente, come fosse un ospite molesto ad un ricevimento.

Lucius Malfoy per la verità non vedeva niente che non fosse di suo estremo gradimento, a cominciare dalle lunghe gambe snelle del ragazzo per finire al suo profilo cesellato nell'ambra.

Peggio di tutto erano quei suoi occhi verdi, forse erano stati proprio quelli a bandire Voldemort come un allibratore molesto la notte prima.

Forse proprio per questo mentre fingeva di chinarsi semplicemente a perdere il vassoio vuoto finì per fare quello in cui non era riuscito tempo prima. Toccare Potter. Arrivò a toccarlo, solo non tanto innocentemente quanto in precedenza.

Harry sentì quella presa gentile e salda plasmargli il profilo del collo, stringerlo in un improbabile strattone cameratesco - e poi sentì solo respiro caldo, profumo di menta e solletico di capelli sul viso.

Lucius Malfoy non pensava che si sarebbe spinto fino a quel punto, non sul serio.

Voleva solo fare qualcosa per scuoterlo, per risvegliarlo da un incantesimo, per indurlo ad allontanarsi con un fremito d'orrore rivelatore, smascherando il suo gioco.

Ma il ragazzo aprì la bocca quasi prima che arrivassero le altre labbra più beffarde e sottili e lo aggredì con quella sua lingua, facendola saettare sapientemente fin nei recessi del suo autocontrollo. 

Lucius Malfoy si sentì rispondere con uguale profondità, il volto trascinato all'insù. Quando Potter passò a cercargli avidamente il collo con la scia di quei baci lo staccò da se' con forza.

Harry rinculò morbidamente sul letto.

Lucius, le guance esangui arrossate e non per la corsa, si sentiva pungere la pelle e lo sguardo ferito e desideroso di quegli occhi verdi peggiorò il tutto.

"Sei pazzo..."

Ed era certo che quello svitato ragazzo pazzo gli avesse lasciato il segno, se lo sentiva bruciare sul collo in una scia languida. 

Lord Malfoy si era appena preso un succhiotto e non poteva permettersi di restare lì quando Harry si alzò.

Lui si alzò, Lucius si mosse in senso opposto.

Rideva - mentre realizzava che Potter gli aveva appena mollato un bel succhiotto sul collo e che non aveva niente per nasconderlo, maledizione.

Ma quello era un pensiero secondario.

"Per tutti i Gargoyle, Potter. Siediti, da bravo."

"Mi dispiace per quello. Non volevo."

"Sei solo sconvolto."

"Torni qui a calmarmi, allora. Io... mi sono lasciato trasportare."

"Temo di doverti deludere."

"Nemmeno come ultimo desiderio? Che crudeltà."

"Pensavo che in fin dei conti stessi solo facendo lo sbruffone."

"E invece no."

E fu allora che Lucius Malfoy si rivelò per il serpente che in fin dei conti era.

"Potter. Hai appena perso il tuo padrino, e ti ricordo che ero presente. Ma forse non era poi così importante per te, come sostenevano in molti?"

Harry crollò sul letto, come se gli avessero azionato un misterioso interruttore interno.

Iniziò a piangere in silenzio.

Lucius distolse lo sguardo come se il solo vederlo lo imbarazzasse, mentre dall'alto del suo gelido zelo sentiva il collo inviargli ancora qualche debole e dolce pulsazione che si mescolava a sconvolti ragionamenti.

Dannazione, come funzionava Potter? Chi gli aveva scritto le istruzioni si sbagliava e di grosso.

Era Severus a prendersene cura in teoria, a sapere che cosa farsene. Tutte le supposizioni dell'Oscuro Signore erano sbagliate. Il ragazzo di qua, il ragazzo di là, macché. Non ci aveva capito assolutamente niente.

Perchè poi Severus si fosse preso una simile seccatura Lucius lo ignorava, lui sapeva solo che per mettere alla prova il ragazzo si ritrovava con un succhiotto probabilmente grosso come l'Australia sul collo, roba che avrebbe dovuto trovare il modo di nascondere a Narcissa Malfoy.

Non che la donna fosse la compagnia più assidua del suo letto, anzi, non lo cercava più dalla nascita di Draco.

Però accidenti, a tutto c'era un limite. Così lord Malfoy commentò: "Beh, meglio fuori che dentro..." Di fronte a quel pianto muto e rassegnato, ed uscì dalla stanza tormentando nervosamente il colletto della camicia.

 

 

Chapter 21: Riddle house

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Certo che anche lui, scappare via come un Babbano qualunque.

Lucius usò un rapido 'Epismendo' per quella specie di livido sul collo che, scoprì nello specchio del bagno del primo piano, non era affatto grande.

Prima però ci indugiò sopra più del necessario, come se solo vedendolo potesse crederci davvero.

Non ho niente con cui nasconderlo! Che cosa voleva? Cipria, fondotinta, terra?

Lord Malfoy sospirò. In fondo era stata dura anche per lui. I rubinetti di quel bagno preitorico fischiarono in modo sgradevole quando chiuse l'acqua. Ci mancava che i tubi di quel rudere esplodessero per una bolla d'aria, attirando la polizia Babbana. Dopo essere riuscito a scappare per un soffio quella si che sarebbe stata ironia.

Era quasi l'alba, Lucius non era assolutamente andato subito a preoccuparsi del livido, dopo aver richiuso Potter dentro.

Per la verità aveva cercato disperatamente istruzioni circa cosa fare del ragazzo, ottenendo davvero una serie di orride conferme ai suoi presentimenti.

L'Oscuro Signore voleva davvero condurre degli esperimenti sul ragazzo, per testare la loro 'connessione'.

Stando a quello che Lucius aveva capito la notte scorsa, Potter non aveva davvero idea del contenuto della Profezia.

Davvero Silente non gli aveva detto la verità, su quello.

Lord Malfoy si pettinò, con gli effetti personali che aveva riposto nel brutto armadietto del bagno mesi prima, giusto in caso di emergenza. Giusto nell'improbabile eventualità che oltre alla Profezia gli riuscisse di procurarsi anche Potter.

C'erano un buon numero di creme e balsami per il corpo ed oli che non contava davvero di usare, perché non contava di riuscire a catturare Potter.

Se l'Oscuro Signore fosse venuto a sollevarlo da quell'onere sarebbe stato molto meglio, così Lucius avrebbe potuto ritirarsi in tutta calma, tornarsene a casa.

La presenza delle sue creme e del rasoio da barba stava diventando sinistra dopo che Voldemort gli aveva intimato di aspettarlo senza osare protestare, ma sempre meglio dell'alternativa, un soggiorno ad Azkaban. Laggiù, poco ma sicuro, non gli sarebbe stata concessa nessuna crema per il corpo.

Questa volta il suo coinvolgimento con i Mangiamorte era innegabile, quindi quella roba avrebbe dovuto farsela bastare per un po'.

Lord Lucius Malfoy non era nemmeno lontanamente simile al Potion Master di Hogwarts e suo amico Severus Snape.

In condizioni simili, lui passava in rassegna l'armadietto del bagno per assicurarsi di aver preso l'olio al rosmarino e si sentiva un po' meglio trovandolo.

Era a Severus Snape che il ragazzo steso sul letto del secondo piano pensava, mentre nel piccolo bagno del piano terra lord Malfoy sorrideva di un guizzo segreto che emanava 'perché no?' E stappava una fiala contenente un olio dal profumo suadente, per metterselo in un punto particolare del corpo.

Harry era sveglio, leggermente infreddolito per non aver voluto dormire vestito. La coperta che lo avvolgeva come in un bozzolo era troppo vecchia e troppo sottile per riscaldarlo veramente ed in quelle prime, sospese ore del giorno il ragazzo non sapeva nemmeno bene dove si trovava, gli ci volle un po' a connettere.

Pensava a Severus Snape con una zona di se' che era ancora tutta istinto, tutta dolore per l'immane perdita di Sirius, e quella zona invocava che Severus Snape fosse lì con lui.

Quando il peso lieve di un altra presenza sollevò il suo bozzolo di coltri chiuse gli occhi, rilassandosi come per un antico riflesso automatico.

Ma non erano le mani nervose di Snape quelle che lo raggiunsero intorno alla vita e non fu il peso di Snape quello che gli si rovesciò addosso.

Perché no, si era detto Lucius Malfoy, al quale solo quella scenetta avrebbe valso quindici anni di Hogwarts presso un giudice particolarmente onesto.

Ma non c'era nessun giudice nelle vicinanze, little Hangleton era solo un villaggio di bifolchi babbani e nessuno aveva modo di collegare casa Riddle al mondo magico.

Potter però stava avendo modo di collegare la realtà allo sguardo pallido che guizzò su di lui nella penombra della stanza.

*

Lord Lucius Malfoy era vanitoso, estremamente vanitoso e non importava quanto si impegnasse a nasconderlo, dopo un po' saltava fuori.

I suoi undici inches non contribuivano ad abbassare affatto la sua vanità, che quella mattina si mise a ronfare a tutta potenza quando Potter gli abbassò i pantaloni del pigiama senza complimenti.

Oh, maledizione, maledizione. Che asso era nel cacciarsi in quelle situazioni, vero?

Non poteva semplicemente tornarsene nella sua stanza a riflettere.

Invece di recuperare l'uso della parola per fare altre domande il ragazzo glielo prese tra le dita con il verso deliziato che avrebbe potuto fare una zitella di fronte ad un cucciolo tanto carino.

E poi, Merlino benedetto, ci si avventò sopra e si scatenò.

Lucius fu costretto a spingerlo indietro, forzandolo ad intrerrompere i suoi baci per studiarlo in faccia.

Il ragazzo ricadde contro il cuscino, le braccia aperte, con i gomiti piegati all'insù e lame di luce liquida negli occhi verdi.

Lucius Malfoy era celebre per la sua danza dell'acqua.

No, certo, non negli ambienti 'perbene', ma in altri ambienti, dove si recava di tanto in tanto per rilassarsi un po'. Per svago.

Così la chiamavano, la sua danza dell'acqua. Ma nessun ragazzo - maggiorenne, maggiorenne - gli si era mai offerto con una tale prontezza.

Solo i più navigati e brucianti protendevano le reni così, rotolando in un baleno e beccando al primo colpo l'inclinazione giusta.

Lucius Malfoy portò la mano destra al centro della schiena del ragazzo, la sinistra all'altezza del suo fianco.

Adesso avrebbe urlato, dimenandosi e scacciandolo.

Adesso avrebbe iniziato di nuovo a piangere e magari avrebbe chiamato aiuto, attirando il villaggio intero su villa Riddle.

Non si mosse neppure quando Lucius appoggiò timidamente la punta. Un solo piccolo scatto in avanti, e lord Malfoy sprofondò completamente in un condotto morbido ed accogliente.

Il ragazzo gli si gonfiò sotto all'improvviso come torba allagata dall'acqua e Lucius Malfoy lo afferrò per i fianchi con tutte e due le mani.

Potter lanciò un gemito.

Ed un secondo, seguito da un terzo.

E poi iniziò a liberare l'ansia e lo stress così, evidentemente, gemendo come se ci fosse solo lui al mondo.

Lucius Malfoy aveva dato inizio alla sua 'danza dell'acqua', ossia oscillava avanti e indietro come se danzasse, come se ne stesse facendo un esercizio ginnico molto ben calibrato.

Dentro e fuori, dentro e fuori, dentro e fuori, a diversi livelli di profondità, sapientemente.

Potter si torse e si girò nel tentativo di poterlo vedere - voleva guardarlo, era questo che voleva, liberarsi della vista del muro color crema dietro al letto. Ci riuscì senza mai farlo uscire da se' e lord Malfoy aspirò rumorosamente aria tra i denti quando capì.

Il ragazzo pazzo lo voleva molto in profondità e faceva di tutto per ottenerlo.

Lucius Malfoy gli sorrise in modo così laido che per poco quel sentimento nuovo gli fece perdere il controllo, ma Potter era impegnato a trovare il punto giusto e quando lo trovò, rovesciò il collo e ricominciò a gemere forte.

Solo che questa volta gemeva come se ogni affondo di Lucius gli cavasse il fiato da dentro e questo era un po' troppo da sopportare.

Lord Malfoy si ritrovò perso in considerazioni oscene, sentendo il ragazzo bagnare le lenzuola.

Una di queste era sulla prostata del ragazzo, che evidentemente si trovava molto in fondo là dentro.

Il ragazzo non aveva detto poi molte bugie.

Non stava soffrendo nemmeno un po'. Non era esattamente alle prime armi o forse aveva molto talento, ad ogni modo il risultato era lo stesso.

Lord Malfoy non aveva scrupoli morali o dibattiti interni che durassero abbastanza da resistere a certe provocazioni ed in fondo non gliene era mai fregato niente del ragazzo.

Il ragazzo aveva una storia ed un passato per il suo padrone, in fin dei conti.

Per lord Malfoy questi contavano solo nella misura in cui contavano per l'Oscuro Signore, dopo tutto.

Per lord Malfoy, al momento, il ragazzo quasi maggiorenne era uno con la prostata molto in fondo al delizioso culetto, caratteristica che contraddistingueva i più allupati.

Fu sul punto di farglielo notare, un impulso quasi inarrestabile a sciorinare oscenità mentre Potter lo ingoiava fino alla radice. 

Dove diavolo ce l'hai, ragazzo pazzo? Ci sono alcuni che iniziano a piangere appena arrivo a metà e mi tocca consolarli, ma qui non c'è fondo.

Però poi Potter gli infilò le dita tra i capelli e gli ghermì la pelle bianca del collo lasciandogli altri segni e lui se ne dimenticò, perché nello stesso momento il ragazzo alzò ancora di più le ginocchia.

Potter sapeva bene dove metterselo. Ogni volta che lo capiva e Lucius lo seguiva  di conseguenza si lamentava eloquentemente.

 

A molti uomini lord Malfoy rischiava seriamente di fare male. Con molti di loro doveva modulare accortamente quella danza dell'acqua.

Ora rimbalzava contro il corpo del ragazzo in totale libertà, affondando freneticamente in quel suo abisso.

Iniziarono a scaldarsi seriamente quelle sue guance pallide ed a chiazzarsi di rosso mentre Potter continuava a lamentarsi forte, proprio al centro del suo cervello.

La danza dell'acqua divenne furia, collera di grandine. Ad un certo punto il ragazzo venne come una bottiglia di burrobirra sotto pressione, tremando da capo a piedi e serrando forte le ginocchia.

Ecco. Ecco fatto.

Proprio un bel risultato, Lucius. Peccato tu non possa vantartene in giro...

Potter si stava serrando così forte intorno alla sua erezione che anche per Lucius divenne impossibile non soccombere a quelle ritmiche, segrete contrazioni.

Ecco.

Ecco fatto...

dilagò la sua mente, mentre dilagava nel corpo del ragazzo pazzo.

 

 

Chapter 22: I suoi metodi

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l ragazzo aveva una storia ed un passato per il suo padrone, in fin dei conti.

Per lord Malfoy questi contavano solo nella misura in cui contavano per l'Oscuro Signore, dopo tutto.

Non avrebbe potuto esserci nulla di più vero. In aggiunta a questo, la fedeltà di Lucius Malfoy era da sempre tutta per una sola persona, a dispetto della sua storia.

Se' stesso. Di se' stesso gli importava in primis e poi di molto, veramente molto poco altro.

Il ragazzo giaceva sulla schiena, le braccia un po' discoste dal corpo, nudo e con un lembo di lenzuolo aggrovigliato sotto al corpo nudo. I suoi occhiali erano sul comodino. Lui respirava dolcemente, inerme e molle in ogni parte del corpo. Un velo leggero di sudore gli imperlava la fronte sfuggente.

Non aveva occhi per Lucius Malfoy, era come se avesse cessato di esistere.

Tra le sue gambe, innegabile ed oscenamente evidente, la sua intimità era lucida di fluidi. Altro gli usciva da sotto il corpo, rendendo ancora più molle la sua posa.

I suoi capelli erano un groviglio scuro contro la federa antiquata del cuscino.

Lucius Malfoy, nel vederlo così mentre si ritraeva dal letto, fu travolto da pensieri che solo nel segreto di quell'antico rifugio ed in compagnia di se' stesso potevano esistere, altrimenti l'Occlumanzia li avrebbe addirittura soppressi.

Oh, santo cielo. Guarda se non ho atterrato Potter. Non ci é riuscito lui, in tutta la sua furiosa sete di vendetta...

Gli angoli delle sue labbra beffarde si incurvarono all'insù in un sorrisetto che lord Malfoy si affrettò a reprimere.

Però si, Potter sembrava annientato.

Lord Malfoy allungò le lunghe dita eleganti e gli afferrò il mento per voltargli la testa. Le palpebre del ragazzo ricaddero in basso, mentre evitava il suo sguardo. Tenere, lucide e morbide come petali languenti. Oh Merlino. Lucius puntò la bacchetta contro di lui ed ancora Potter non reagì. Il letto spermoso tornò immacolato.

Beh, rifletté Lucius mentre usciva dalla stanza e richiudeva piano la porta, se vuole lavarsi ha un bagno tutto per se'. Sempre che non esca ruggine dai tubi.

*

Scopri dov'è.

Scopri dov'è la sede dell'Ordine della Fenice, il quartier generale. Io ho dei sospetti, ma mi serve una conferma. Trovamela.

Lucius Malfoy si passò nervosamente le dita tra i capelli, mentre consumava un pasto frugale in cucina. Un compito facile facile.

Non poteva farlo lui? No? Che stava cincischiando l'Oscuro Signore invece di venirsi a prendere Potter e lasciarlo tornare a casa?

Ma in fin dei conti Lucius si sentiva bene solo quando poteva sfogare quei suoi pensieri senza paura di essere intercettato, anche se ci avrebbe impiegato ancora diversi anni a realizzarlo. Il soggiorno a little Hangleton era al quarto giorno ed ogni ora che passava rendeva Lucius più inquieto.

Meglio di Azkaban, quasi qualsiasi cosa era meglio di Azkaban, ma... era come se l'Oscuro Signore l'avesse chiuso all'interno di un cerchio di prova, dopo che aveva fallito il primo compito.

Il ragazzo se n'era stato buono e tranquillo per un giorno ed una notte. Naturalmente per riavere la Bacchetta avrebbe dovuto incontrare l'Oscuro Signore in persona, da lì non si scappava.

Lucius aveva spedito al piano di sopra cibo con regolarità, recuperando vassoi vuoti. Non era più andato lassù, non sapeva nemmeno bene lui perché.

Forse perché questa volta aveva esagerato.

Lucius allontanò il piatto con i resti di un pasto frugale, le due parche ma dignitose uova al tegamino che aveva dovuto cucinarsi da solo. La dispensa era stata rifornita di generi alimentari, anche.

Rifletté se pulire il piatto per non lasciare tracce e decise di si, con una smorfia di disgusto. Lui di solito sporcava e basta, a pulire ci pensavano gli Elfi Domestici. Non era proprio sicuro di gradire un cambiamento del genere. Il piatto non venne fuori immacolato naturalmente, non era mica una massaia.

C'è un alone, unto. Pazienza, se lo uso nuovamente ci penso. Ed ora dove accidenti lo metto?

Ma poi individuò la dispensa dalla quale lo aveva evocato e ce lo rispedì, senza romperlo.

Si era sbattuto Potter, come un ovetto.

Meglio di quanto aveva cucinato quelle due essenziali uova al tegamino, decisamente uno l'opera di uno chef raffinato, l'altro anche no.

Rise più o meno apertamente rimettendo al loro posto le posate, era la gioia di sapersi in libertà dopo tutto e poi diciamocelo, anche l'effetto di una bella scopata.

Ma adesso aveva bisogno di concentrarsi.

Per ottenere informazioni, rifletté Lucius mentre scovava un bourbon nella consolle dei liquori in salotto e lo centellinava, avrebbe avuto due metodi.

Uno, a dire il vero avrebbe richiesto l'uso di Severus, ma Severus era ad Hogwarts a fingersi ciò che non era e Lucius non aveva proprio intenzione di chiedere di lui all'Oscuro Signore. Quindi la Legilimanzia era da escludere. Così... beh c'era la tortura.

Puro e semplice.

Con una smorfia, Lucius abbandonò il bicchiere vuoto sul caminetto e liberamente pensò: la maledizione Cruciatus lo intestardisce.

Era ciò che pensava ma non osava dire a Voldemort, anche se ne era convinto.

L'Oscuro Signore travolgeva sempre Potter di Cruciatus ma questo lo aveva reso più ostile, addirittura furibondo ed esaltato nella resistenza, secondo Lucius.

Si, il dolore lo annientava. Ma poi passava e scattava l'istinto di sopravvivenza più feroce, aizzato di conseguenza.

Lucius Malfoy se ne stava con i piedi appoggiati sul tavolino, nell'unica poltrona buona della stanza.

Un sorriso soave gli affiorò, enigmatico, sul volto mentre la sua mente si districava tra quei pensieri.

Niente maledizione Cruciatus.

Tortura? Sicuramente. Ma Lucius Malfoy avrebbe fatto a modo suo.

*

Potter tornò ad essere una furia e per forza: Lucius Malfoy apparve sulla soglia ed apparvero anche quattro funi magiche che gli bloccarono gambe e braccia.

Nei suoi occhi verdi c'era tutta la consapevolezza più truce dell'Ufficio Misteri.

Guardò Lucius Malfoy avanzare pigramente fino al letto, con l'aria di uno che mica ha immobilizzato nessuno con funi magiche.

Indossava una camicia bianca e basta sopra, aperta fino all'esordio delle clavicole. Si era tirato su le maniche.

Harry si dibatté, nell'inutile tentativo di prevenire la maledizione Cruciatus.

Non venne nessuna Cruciatus.

Giusto, prima la domanda per la quale evidentemente era finito bloccato così.

Lucius si sedé sul letto con un movimento felino ed aggraziato e suo malgrado Harry si ricordò bene dell'ultima volta che si erano trovati faccia a faccia.

Fu certo, nel modo più assoluto, che quel bastardo avesse scelto quella tenuta in maniche di camicia apposta, per mostrargli più pelle possibile.

"Potter." Esordì Lucius puntandogli in faccia uno sguardo determinato. "Dov'è il Quartier Generale dell'Ordine della Fenice?"

Harry sussultò e poi si girò così bruscamente dall'altra parte da farsi male.

Lord Lucius Malfoy gli sfiorò lentamente, dolcemente il centro del petto, poi le anche protese.

Harry suo malgrado rabbrividì ed invece di torcersi per sottrarsi si immobilizzò.

Lucius richiamò ancora la sua attenzione con voce dolce, talmente sommessa.

"Non devi dirmelo, se non vuoi. Aspetterò finché non te la senti..."

"Non attacca. " Ringhiò Harry.

Lucius schioccò le labbra.

Era lo stesso tono di voce che aveva usato al Ministero per insinuare in Harry il dubbio e cercare di distrarlo. Era tornato lo stronzo di quella notte, non che avesse mai cessato di esserlo. Solo che questa volta Harry ce l'aveva chino su di se', a sottolineare ognuno di quei dettagli che, maledetto lui, gradiva eccome.

Aveva la testa voltata dall'altra parte, doveva tenerla così, qualsiasi cosa Malfoy volesse non doveva dargliela, non più di quanto aveva fatto all'Ufficio Misteri... piuttosto distruggere... distruggersi...

Harry sentì il collo ruotare, attirato da quella tremenda calamita, dal solletico di quel respiro e di quei capelli contro il volto e d'un tratto fu troppo tardi.

D'un tratto vedeva i contorni del sorriso beffardo di Lucius Malfoy e vi precipitava contro mentre l'uomo rideva dolcemente.

Lucius giocò soltanto con lui, insinuando la lingua in fondo per poi ritrarsi e fargli sentire la forma della bocca, il suo sussurro venefico.

"Hai di nuovo caldo, eh Potter?"

Harry chiuse gli occhi, forte. Non che servisse.

"Vaffanculo." Ringhiò, molto sentitamente.

"Mi pareva più vero il contrario." Harry non ebbe nemmeno il tempo di insultarlo di nuovo.

Lucius Malfoy aveva scoperto la sua furibonda erezione.

"Che cos'è? Che accidenti é?" Harry dimenava i fianchi, sotto la mano sospesa di Lucius. L'uomo, imperturbabile, gli stava applicando una sorta di unguento traslucido là sotto.

Harry sentì le sue dita delicate depositare piccole quantità di sostanza, sembrava acqua. Acqua limpida subito assorbita dalla pelle. Solo che era calda. Lucius la applicò tutto intorno all'area delicata dei testicoli, scendendo fino al tenero solco del perineo ed Harry non fu più capace di pensare.

Era diventato la sua erezione, tutto il sangue defluiva in basso, vibrava come un diapason al minimo tocco.

Ogni tocco gli spediva un piacere senza pari contro, talmente forte che gli sembrava di venire. Ma era così strano, nonostante tutto non accadeva.

Lucius Malfoy si protese su di lui, in maniche di camicia più che mai arrotolate. Sfiorò appena la sua erezione prima di impugnarla delicatamente. Harry strinse i denti.

Con l'altra mano Lucius gli tracciava pigri arabeschi sul petto.

"Dov'è il Quartier Generale dell'Ordine della Fenice?"

La voce, già melliflua, gli giunse ovattata. Harry capì eccome la domanda e rispose con il silenzio.

Lucius si concentrò su di lui. Andava piano. Così disperatamente piano. Troppo piano.

Harry lo vide arricciare le labbra mentre si allungava fino a soppesargli dolcemente i testicoli e questa volta la scarica di estasi fu così forte che fu certo di sentirsi arrivare... ma non accadde.

Per di più Lucius aveva smesso. Sul più bello? Quando stava proprio per venire? Harry non capiva. Si sentiva sempre come se stesse per venire, era bellissimo. Terribile, anche. Ogni volta Lucius lo fermava. Quella cosa che gli aveva applicato...

Tornò a circondaglielo con quella sua mano pallida ed affusolata.

Gli aprì la carne delicata che copriva la punta un paio di volte, così lentamente da fargli venire voglia di piangere.

"Dov'è il Quartier Generale dell'Ordine della Fenice?"

Harry sapeva di non dover parlare, di dover fare qualsiasi altra cosa invece che rispondere a quella domanda. Nonostante la situazione, la domanda si faceva largo come un imperativo, era un muro sul quale tornava a sbattere.

Maniche di camicia. Capelli biondi. Lucius fintò come un giocatore di Quidditch provetto, il solo vederlo abbassarsi così con la bocca spedì una nuova, tormentosa fitta di piacere nelle reni di Harry.

Il ragazzo pazzo era ormai coperto di sudore ed implorava, mutamente, una fine. Lucius si prese tutto, proprio il tempo necessario, finché non ci fu bisogno della massima attenzione, perché il piacere aveva infranto la soglia del dolore.

Ormai Potter implorava l'orgasmo con tutto, tranne che a voce.

"Dov'è il Quartier Generale dell'Ordine della Fenice?"

Lucius glielo soffiò ancora mentre gli massaggiava su e giù il perineo e la delicata apertura tra le natiche rotonde, perché più su non poteva toccarlo, Potter non lo tollerava più. Il suo uccello era gonfio come non mai e lucido di preparazione, da almeno tre ore.

Pian piano il grosso dell'effetto della pozione era sparito, ma l'azione di Lucius era più letale ancora, per contro. Lo impugnava e lo scorreva, lentissimamente.

L'occhiata successiva che spedì al ragazzo fu di ammirazione, in un certo senso, per le condizioni in cui ancora, stoicamente, resisteva nonostante tutto.

"Mi basta solo una parola, anzi un indirizzo. Sappiamo già che é a Londra. Proprio non vuoi?"

Lucius sospirò all'ennesimo diniego del ragazzo. Harry si lasciò sfuggire un gemito inarticolato e Lucius gli rispose sfiorandogli allusivamente la delicata ed umida zona del glande, ma nessun suono articolato e di certo nessuna parola seguirono mai.

Lucius sospirò e si alzò definitivamente in piedi. Nel farlo, trascinò di nuovo al suo posto le mutande del ragazzo.

"Peccato." Gli sorrise, viscidamente, lentamente. Harry lo odiò, con quell'erezione che non ne voleva sapere di abbassarsi.

"No... no." Realizzò. "Non può farmi questo, non può!"

Urlò alla schiena di Lucius mentre le corde che lo tenevano fermi finalmente scomparivano con uno schiocco.

"Torni qui!" Gridò, questa volta piangendo. "TORNI QUI!"

Lucius si voltò con quell'espressione contrita che aveva avuto, identica, due notti prima.

"Lo so tesoro, ma per oggi non ti sei comportato mica bene..."

 

 

Chapter 23: Tortura

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Non c'era modo di alleviare quel tormento. Harry provò disperatamente, nell'angusto bagno senza doccia della camera.

Cercò di venire finché capì che non ci sarebbe riuscito e lasciò perdere. Si infilò nella vasca da bagno. I rubinetti protestarono quando li aprì, ma l'acqua uscì, pulita ed utilizzabile. Harry si lavò con cura, l'acqua - quasi fredda - gli schiarì le idee e gli alleggerì la testa.

Ora restava solo la disperata tensione al basso ventre, quella che non voleva saperne di andarsene.

Che cos'era quella robaccia che Malfoy gli aveva messo addosso? Quanto durava l'effetto?

Harry sentì le pareti del bagno farsi su di lui, stritolarlo.

Chiuse gli occhi, respirò a fondo e li riaprì. Non poteva e non voleva permettersi di cedere al panico.

Uscì dalla vasca da bagno, tolse il tappo e tornando in stanza si fermò ad ascoltare.

L'altro inquilino era orribilmente silenzioso. Orribilmente calma l'aria, tranne che per i tonfi distanti dell'aratro e le grida lontane di un uomo nei campi, lì intorno, chissà dove.

Harry aveva capito di trovarsi in campagna.

Un sobborgo, un villaggio, qualcosa. Una terribile sensazione di familiarità si faceva largo in lui, come se dovesse conoscere quell'orribile vecchia casa.

"Dov'è il Quartier Generale dell'Ordine della Fenice?"

Harry chiuse gli occhi e si buttò a peso morto sul letto. Chiuse di nuovo gli occhi e rimase per qualche istante così.

Doveva chiamare qualcuno.

Uscire da lì.

Per andare dove? Alla ricerca di maghi in grado di aiutarlo? Ma probabilmente il villaggio, sobborgo o quel che era, pullulava di Mangiamorte.

Harry si inferocì. Dov'è il cazzo di Ministero quando serve? Ah già. In mano a Voldemort.

Dove cazzo é Silente?

E poi pensò a Severus Snape.

Dov'era Severus Snape? Harry sentì un amarezza dentro che non aveva accompagnato nessun altro pensiero, quando pensò a Snape.

Severus Snape non era lì. Solo questo contava.

Harry era così immerso nei suoi tormentosi, oscuri pensieri che non si accorse subito del cambiamento. Ad un tratto guardò in basso ed un sollievo enorme dilagò in lui.

La tensione al basso ventre era scomparsa.

Gli si era abbassato.

Harry si sollevò a sedere, giusto per esserne certo, poi gli venne un'idea luminosa.

Aveva capito, più o meno, la strategia di Lucius. Quindi doveva toccarsi, adesso che poteva. Venire da solo, in modo che l'indomani Lucius non potesse usare il suo stesso corpo contro di lui.

Harry si infilò una mano nei pantaloni, sicuro che ci avrebbe messo poco, visto com'era ridotto.

Però non aveva calcolato la stanchezza, lo stress, il calo dell' andrenalina e quanto si sentiva piccolo, perso, spaesato e devastato dal provare insieme attrazione ed odio. Si addormentò ben prima di arrivare anche lontanamente al risultato sperato.

*

Lucius Malfoy arricciava le labbra beffarde ed incantevoli verso l'alto, contrariato.

Niente unguento oggi. Harry contava di cavarsela meglio. Ancora quella domanda, unica e martellante, ancora le corde magiche intorno ai polsi ed alle caviglie.

Ad un certo punto, mentre Lucius lo portava alla disperazione ritraendosi per la volta ennesima, Harry iniziò a fare lui delle domande.

"Perché il suo padrone voleva la Profezia? Cosa c'entrava Paciock?"

Lucius sorrise dolcemente e gli massaggiò l'uccello in senso opposto, pigramente.

"Spetterebbe a Silente spiegartelo. Peccato non lo abbia fatto, no?"

Harry strinse i denti e si sforzò di ignorare ogni stimolo esterno, ma era impossibile. Combatteva una battaglia persa. Riaprì gli occhi e vide Lucius Malfoy chino su di lui, una mano intenta a masturbarlo a ritmo serrato, i capelli biondi davanti al volto. Non poté impedirsi di sentire quell'onda di calore risalirgli le reni, Harry, anche se si trattava solo di illusione. Era come cercare di domare un cavallo imbizzarrito. 

Il momento in cui Lucius Malfoy mollò bruscamente la presa fu come trovarsi di fronte ad un muro di mattoni mentre correvi.

"Dov'è il Quartier Generale dell'Ordine della Fenice?" Sorrise l'uomo imperturbabile e quel sorriso sembrò ad Harry un coltellata.

*

"Mi sto facendo i bicipiti, Potter. Altro che volo e corsa, Potter."

Avrebbe fatto ridere, solo in circostanze differenti.

Lucius Malfoy in piedi di fronte al suo letto a guardarlo, Harry che guardava la finestra e solo di tanto in tanto lui. Non c'era niente che il suo povero corpo potesse fare contro quel massacro. Gli piaceva.

Maledetto lui, gli piaceva troppo per volarsene semplicemente altrove. Malfoy lo tendeva come un elastico e poi, poco prima del punto di rottura, lo lasciava andare.

Harry sentì ancora il suo tocco, preliminare questa volta, sul ventre.

Erano passati tre giorni. Ad Harry sembravano tre secoli, si era a malapena alzato dal letto. Lucius? Ah, Lucius gli aveva fatto sapere che poteva andare in avanti all'infinito, a farsi i bicipiti.

Preferiva rispondere all'Oscuro Signore in persona? Sempre che durasse fino ad allora.

Harry era sicuro di no, era sicuro che ogni istante distruggesse il suo corpo, avvelenasse la sua mente, lo riducesse ad un nulla tremante animato solo dal desiderio che finisse.

Venire, venire, venire, come unico disperato orizzonte e speranza.

Ormai aveva capito che Malfoy aveva prevenuto qualsiasi idea utile a cavarsela. Idee come quella che Harry aveva avuto il primo giorno, non gli era stato più possibile attuarle.

Ad un tratto, come per lo scatto di un misterioso timer, le funi comparivano dal nulla e restavano finché cadeva profondamente addormentato.

Ad un certo punto il ragazzo lo guardò direttamente, sbattuto e rorido come un fiore dopo la tempesta.

Era uno sguardo di sfida.

"E se avessi fatto tutto da solo durante il sonno?" Sibilò.

Lucius, preparato a domande del genere, si aprì in un sorriso. I suoi occhi pallidi scivolarono verso il basso.

"Beh, sono stato fortunato Potter, é evidente che non sia successo."

Quando la mano pallida gli si arrampicò ancora addosso, strisciando, Harry si impose di guardare il soffitto.

*

"Povero pistolino... un po' di sollievo lo vuoi?"

Erano passati ai vezzeggiativi. Dopo almeno una decina di molli, indugianti corse culminate conto un muro di frustrazione. Fuori imbruniva.

Comunque il vezzeggiarlo e prenderlo in giro non durò. Harry colse un movimento con la coda dell'occhio e guardò subito Lucius Malfoy.

Ormai era troppo allenato. Ormai lo anticipava.

Vide luccicare sulle sue dita una sostanza simile ad acqua, Lucius se la rigirava tra il pollice e l'indice... Harry capì che l'aveva fatto a suo esclusivo beneficio.

"No." Implorò, con voce languida ed abbattuta. E poi perse il controllo su ciò che diceva.

"No, per favore... no... perché mi sta facendo questo... la prego, la prego... mi fa male..."

E la voce di Lucius, incredibilmente dolce come lo fu il suo tocco, lo accarezzò, lo blandì come a consolarlo.

Harry sentì le sue dita tirare piano le carni, solo per allargare i globi delle natiche.

"Penso che hai bisogno di una dose dentro. Una dose bella generosa ti aiuterà..." E lo prese in giro, lambendo l'apertura, giocando a solleticarlo appena sotto i testicoli. Harry sapeva che quella roba non lo avrebbe aiutato, lo avrebbe trascinato in lunghe ore ancora di tormentoso, ormai doloroso piacere negato.

Lucius indugiava. Esternamente, senza mai affondargli il dito pieno di misterioso unguento dentro, glielo spargevo solo tra le cosce. Intanto il suo viso era vicinissimo all'erezione gonfia e dolorosamente piena di Harry.

Lucius prese a massaggiarli i testicoli ed il perineo con l'arco del pollice in un movimento continuo, Harry prese a gemere così forte che il tutto si trasformò in urla. Aveva le natiche così strette che gli faceva male la schiena, gli dolevano le reni, pregò confusamente Lucius di prendergli quello - quello - in mano - presto, presto, perché non ce la faceva più, presto.

Lucius rise della sua melodiosa e sommessa risata argentina.

"Dov'è il quartier generale dell'Ordine della Fenice?"

"Gwaah..."

"Vuoi venire ancora, in futuro?"

Quella minaccia finale avvolta in velluto scatenò un altro brivido che razziò il corpo di Harry, quasi lo ridusse all'incoscienza.

Non si soffermò a pensare alle implicazioni di quella specie di minaccia. Non pensò che forse Lucius aveva fatto ben di più che tormentarlo, forse il suo era un avvertimento assoluto. La sua mente non era semplicemente in grado di estendersi così in là, al momento.

Un sollievo nuovo quando Lucius lo assecondò ed il ragazzo... il ragazzo questa volta lo vide con il volto vicinissimo alla sua erezione.

Il tocco delle sue dita intorno gli faceva quasi male, per questo Lucius si limitava praticamente a sfiorarlo.

No, la cosa più importante ora erano i suoi occhi glaciali fissi in quelli di Harry e la bocca... a pochi centimetri dalla punta.

"Dov'è il quartier generale dell'Ordine della Fenice?"

"Dov'è il quartier generale dell'Ordine della Fenice, Potter? A Londra, in...?"

Il respiro prodotto raggiunse la pelle del ragazzo come un migliaio di aghi.

Lucius Malfoy diede un guizzo di lingua. Singolo, sulla punta.

Harry saltò un battito.

"Dov'è il quartier generale dell'Ordine della Fenice?"

Lucius Malfoy gli leccò il frenulo, le curve segrete del glande, saettando la lingua come un serpente.

Inclinò il volto affilato di lato per svolgere al meglio quella sua opera e questa volta non venne lo stacco, ci fu solo la corsa verso il rischio, il vuoto. 

Prese a fare sul serio, tutto intorno alla punta, sentendo il sangue pulsare nella carne come un magma intrappolato, il ragazzo urlò quando non lo sentì finire. Urlò un fiume di lacrime, quando sentì la lingua indugiare per appena una frazione di secondo in più.

Poi il suo gemito urlante si trasformò in un grido.

"Al numero 12 di Grimmauld Place a Londra!"

E tutto affogò in pianto dirotto mentre finalmente il ragazzo pazzo veniva.

Veniva con una forza duplice rispetto al solito e senza un attimo di preavviso, proprio mentre lord Malfoy gli prendeva in bocca tutta la punta ipersensibile. 

Veniva su capelli così biondi da sembrare bianchi, sui polsini di una camicia raffinata e di traverso, in uno schizzo alto e impudico, sul volto pallido ed affilato di Lucius.

Veniva gocciolando poi fin sul collo ed obbligando Lucius a smettere per ripulirsi un occhio, anche se lord Malfoy ridacchiava.

Se non altro, nella disperazione di aver ceduto, il ragazzo ebbe quella visione e la trovò in qualche misura confortante.

 

Chapter 24: Pietà

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Era fatto di carne, sangue e fin troppa umanità.

Aveva un Patronus, in fin dei conti. Nessun altro Mangiamorte era in grado di produrre un Patronus.

Per quanto molti accompagnassero agevolmente 'pesanti tratti narcisistici' all'eco del suo nome, Lucius non fu capace di abbandonare la stanza per correre immediatamente a riferire al suo 'padrone'.

Il ragazzo, la mente schiarita ed il corpo momentaneamente esausto, realizzava finalmente ciò che aveva fatto. Lucius Malfoy era riuscito a strappargli l'informazione che voleva. Tutto ciò che poteva fare era giacere sul letto, senza neppure preoccuparsi di proteggersi o nascondersi, nudo tranne che per la camicia madida di sudore ed i calzini ( ancora al loro posto). 

Piangeva ininterrottamente, senza lamenti particolari o suoni, ogni tanto tirava su con il naso. Non si vergognava di quel fiume violento che lo squassava, facendogli sussultare il petto nudo e glabro. 

Le sue dita erano ripiegate verso l'interno, le labbra socchiuse a lasciar uscire il respiro tormentato dalle lacrime.

Non era altro che il post-tortura. Lucius Malfoy torturava raramente le persone in modo cruento o con la Cruciatus, questa era l'incredibile verità. Di solito, preferiva far ricorso ad altri metodi per ottenere informazioni o l'obiettivo. Anche quando faceva ricorso alla tortura che aveva appena applicato a Potter, non gli era mai capitato di farlo con persone così giovani.

Mentre lo guardava riverso sul letto, Lucius si ripeteva questo, che ce l'aveva fatta e che era solo post-tortura. Potter continuava a piangere, come se non dovesse mai finire.

Oh, che sciocchezza, prima o poi avrebbe finito, questo era certo.

Si.

Doveva correre di sotto a dare la lieta notizia all'Oscuro Signore, meglio che si sbrigasse.

Lucius non riusciva a muoversi.

Adesso e solo adesso gli sovveniva un pensiero che non riusciva a reprimere, guadando Potter giacere sul letto in quelle condizioni.

Ha la stessa età di Draco.

Ma no, no, in quella direzione si proibì di avventurarsi: invece evocò qualcos'altro.

Aveva già visto crisi di pianto del genere? Certo, Draco ne era capacissimo ed ogni tanto vi si abbandonava, anche se per sciocchezze.

*

Con Draco aveva sempre funzionato.

Lucius aveva intenzione di massaggiarlo in quel punto magico tra lo sterno e l'ombelico.

Si, ma c'è differenza - pensò subito dopo, quando Potter fece un gesto rabbioso per scacciarlo, nonostante non lo vedesse a causa delle lacrime.

A quel punto avrebbe già dovuto essere fuori dalla stanza, invece riprovò.

Questa volta Potter non si oppose, ma forse perché aveva capito che era inutile esattamente come tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento per cercare di opporre resistenza.

Lucius lo avvolse nelle spalle, immensamente più grandi delle sue. La delicatezza che usò sarebbe rimasta un segreto vergognoso.

Ah, ma Potter per primo non avrebbe mai rivelato le circostanze in cui aveva ceduto informazioni sull'Ordine.

O magari lo avrebbe denunciato, se per caso sopravviveva ancora una volta all'Oscuro Signore.

Comunque era inconcepibile che i suoi compagni potessero accettare l'idea di lord Malfoy steso accanto alla sua vittima nel tentativo di calmarla dopo averla torturata.

Rimasero così per un po', l'uomo alto e biondo con il ragazzo rannicchiato di spalle contro, l'unica vecchia abat-jour della camera da letto ad accogliere l'alba.

Quello lo chiamavano 'massaggino', quando Draco era ancora tanto più giovane.

Si, stava funzionando anche con Potter, il cui pianto languiva, i cui muscoli tornavano a rilassarsi poco a poco.

Era soltanto un ragazzo. Soltanto un ragazzo. Lucius l'aveva tanto vicino che poteva sentire l'odore neutro e pulito del suo sudore, misto a quello tiepido e speziato dei capelli. Sentiva sotto le dita la serica morbidezza della pelle, molto più che in qualsiasi altro momento.

Ad un tratto anche i muscoli della schiena di Potter si rilassarono e Lucius lo sentì cambiare forma contro di se'. Era come stringere un piccolo animale tiepido e riottoso che si calma all'improvviso.

E poi venne la pura e semplice stanchezza. Il corpo di Potter finì a tre quarti, rispetto a lord Malfoy. Gli occhi di un verde stupefacente erano umidi come biglie ma non guardavano niente in particolare.

Lucius Malfoy si intimò di sbrigarsi e mollarlo, ma invece si chinò fino alla tenera curva profumata del suo collo mentre Potter si stirava come una biscia d'acqua, cambiando ancora posizione.

E poi Lucius decise che la situazione era troppo molle per i suoi gusti. Quella crisi lo aveva preoccupato - non si sapeva mai, con i ragazzini - ma ora Potter sembrava decisamente padrone di se'.

Muoviti, forza, prima gli dici dov'è il maledetto Quartier Generale, meglio é.

Però, il profumo del ragazzo pazzo era invitante.

Potter poteva mettersi a scalciare da un momento all'altro, giusto per beccarlo nelle palle.

Non era che Lucius non ci avesse pensato.

Non aveva semplicemente calmato una crisi di pianto devastante in un ragazzino capriccioso.

Non aveva ancora iniziato a fare i conti per bene con il fatto che Potter avesse la stessa età di suo figlio, Lucius, non era ancora arrivato quel momento.

In quel momento, altro gli ottenebrava i sensi e quindi quello era l'ultimo dei suoi pensieri.

Aveva spinto di lato addirittura quello dell'Oscuro Signore.

"Mi meriterei proprio di prenderlo in culo." Soffiò con lo stesso identico tono di voce dell'Ufficio Misteri, ironico e laido.

Abbassò la voce di mezza ottava e si avvicinò all'orecchio del ragazzo.

"Dovresti cacciarmelo tutto dentro senza nemmeno un grammo di pomata, Potter. Vedi, ormai non c'è molto altro che puoi fare. Però scommetto che lo sta pensando...."

Gli rispose una risata che lì per lì non gli destò nessuna preoccupazione, era bassa ed indistinguibile.

Solo che poi il ragazzo parlò.

Non con la sua voce, ma con quella dell'Oscuro Signore.

"Sei un porco depravato, Lucius. Però hai ottenuto ciò che ti ho chiesto. Vedi di darti una mossa, prima che perda la pazienza."

Lucius balzò all'indietro, giù dal letto a scapicollo, infine contro la parete. Fissava la sagoma del ragazzo ancora accoccolata sul letto come una volpe braccata fissa una muta di cani da caccia.

"Mio... mio... Signore, io..."

Balbettava, più pallido del solito.

Ma quando Harry finalmente sollevò la schiena dal letto e si voltò per vedere cosa stava succedendo, i suoi occhi erano verdi, colmi di dolore e spauriti, non rossi.

Vide Lucius Malfoy scaraventarsi fuori dalla stanza senza una parola, correndo come se avesse il fuoco alle calcagna.

Harry lottò contro nausea e terrore, perché si sentiva sporco, contaminato.

No, no, non per via di Lucius, che era già corso dal suo padrone.

La porta della stanza era rimasta spalancata dal suo passaggio.

Harry sentì il tocco freddo e mortifero di Voldemort su di se', sentì la scia metallica e disgustosa che non era paragonabile a nient'altro di altrettanto brutto. E poi arrivò il dolore alla cicatrice, la fitta più potente in assoluto che Harry avesse mai registrato.

Si ripiegò sul letto, la testa tra le mani.

Stava arrivando. L'Oscuro Signore veniva a prenderlo.

 

 

Chapter 25: Profezia

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Eccoli gli esperimenti che l'Oscuro Signore era così ansioso di compiere sul ragazzo.

Provare ad entrare nella mente di Potter, a fondersi con la carne ed il sangue del ragazzo, a violarne ogni barriera...  fallendo, ed ottenendo invece di doversi difendere da Potter.

Poteva toccarlo di nuovo, sfortunatamente per Potter.

Infatti l'aveva praticamente massacrato di botte.

Lucius Malfoy era già pronto a battersela, aveva svuotato l'armadietto del bagno in fretta e furia e recuperato vestiti e spazzole.

Il Ministero probabilmente era ancora ben conscio di averlo beccato con le mani nel sacco - ops - e quindi non sarebbe tornato al suo Manor. Tutta Londra pullulava di manifesti con la sua faccia, quella di Bellatrix e degli altri. Lucius non sapeva quanti fossero rimasti fuori e quanti fossero stati acciuffati e sbattuti ad Azkaban, fu il suo padrone in persona ad informarlo quando finalmente piombò a Little Hangleton.

L'unica cosa di cui poteva dirsi non scontento, Lucius, era che almeno la sua foto segnaletica gli rendeva giustizia. Finalmente se ne andava, si eclissava in luoghi più confortevoli e meno umidi, in attesa che l'ascesa del suo signore gli consentisse di uscire dalla clandestinità.

La voce stentorea dell'Oscuro Signore l'aveva raggiunto proprio sulla porta.

"Dove credi di andare?"

Lucius si era voltato lentamente. L'Oscuro Signore aveva il volto distorto dalla collera. Gli passò vicino come un vento nero, sollevandogli i capelli biondi dalle spalle.

Lucius si era sentito gelare ed istintivamente aveva chiesto... com'era andata.

Voldemort era esploso, con una rabbia tale che era ascoltarlo era come infilare la testa in una stufa:

"Male, ecco com'è andata, mio depravato amico!" 

Lucius Malfoy sperò con tutto il cuore che quello non diventasse il suo suffisso ufficiale. 'Lucius, mio depravato amico, mio carissimo vecchio porco'

"Ho bisogno di te, il congedo é revocato. Occupati del ragazzo!"

E poi sparì in una gelida scia nera facendo vibrare la porta sui cardini. Sarebbe tornato.

*

Lucius gli rimarginò il naso e lo zigomo, poi gli pulì il sangue incrostato dal naso e dalla profonda ferita sul labbro.

Lo guardava accoccolato sul pavimento del bagno della stanza, sentiva ancora il suo odore, ma adesso era simile a quello di un animale molto spaventato.

Lucius Malfoy era seccato, spaventato e preoccupato. Probabilmente non gli era toccata Azkaban, in compenso stava facendo da balia a Potter.

*

Non ebbe altra scelta se non rimettergli addosso gli stessi vestiti che indossava e trasportarlo fino al letto. Poi Lucius si stese nelle vicinanze, senza però toccare il ragazzo.

Nel silenzio che seguì, pensò che Potter ancora non lo sapeva, mentre l'Oscuro Signore si e ne stava traendo vantaggio, innegabilmente.

Non sa che nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive.

Passarono le ore, due, lunghissime, apparentemente infinite. Solo silenzio. Il pomeriggio scolorò nella notte e Lucius accese le abat-jour con un colpo di bacchetta. Nella loro luce arancione si voltò a controllare il ragazzo.

Dormiva un sonno particolarmente inquieto, i suoi muscoli scattavano come se dovesse mettersi a correre da un momento all'altro.

Lucius colse il suo biascicare, quel mormorio indistinguibile nel suo sonno agitato.

Incuriosito e dal momento che c'era un silenzio assoluto tutto intorno, Lucius si chinò leggermente sul ragazzo per ascoltare meglio. Ma 'erus', oppure 'meurs', non significavano niente.

Potter ebbe uno scatto improvviso e Lucius, istintivamente, lo prese per la spalla.

Potter non solo non si svegliò, ma rotolò su se' stesso e gli si gettò contro a peso morto.

Gli buttò le braccia intorno al collo continuando a mormorare, anzi a chiamare.

E Lucius capì che non era ne' 'erus' e neppure 'merus', ma 'Severus'.

Potter gli affondò il volto nel petto dopo aver detto quel nome altre due volte e poi crollò in un sonno profondo ed immobile.

Lucius Malfoy finì incastrato.

Il suo primo impulso fu di scollarselo di dosso e svegliarlo, però non lo fece.

Fissava la parete opposta, colto da un pensiero che gli accendeva una luce acuminata negli occhi grigi.

*

Quando Potter si svegliò, si ritrasse da solo come un gattino spaventato, rendendosi conto di esserglisi abbarbicato addosso.

Lucius attese che si svegliasse completamente, anche se forse sarebbe stato meglio dormire ancora, per lui.

"Hai parlato nel sonno. Hai detto 'Severus'. Io conosco un solo Severus. "

Si limitò a notificare Lucius Malfoy. Non si aspettava che Potter facesse qualcos'altro oltre ad ignorarlo, anzi fosse stato per lui si sarebbe pulito il sangue con la manica della camicia.

Quando parlò, comunque, il ragazzo aveva la voce roca.

"Che cosa ci fa ancora qui?"

"Per badare a te, Potter."

Il ragazzo si rovesciò mollemente su un fianco.

Sembrava così stanco. Così morbido, con un braccio nudo e con ancora l'ombra feroce di un livido. Qualcosa era rimasto, un livido a forma di lunghe, scheletriche pallide dita.

Si portò la mano al volto per strofinarsi il naso. Lucius vide le sue scarpacce babbane in un angolo della stanza, allineate con insolita cura, e per un motivo che non voleva indagare gli si strinse lo stomaco.

"Perché chiami il tuo tutore legale, Potter, e poi mi abbracci con tale trasporto?"

Harry non rispose subito, non reagì nemmeno ad essere precisi.

Quando lo fece, disse: "Per niente. Non voglio che venga qui."

Oh giusto cielo. Potter non sapeva - e Lucius riteneva che non fosse saggio illuminarlo - che il suo tutore legale era sempre rimasto, in realtà, fedele all'Oscuro Signore.

Lucius non poteva avere a disposizione altra versione della verità, se non quella che Severus aveva abilmente confezionato per tutti loro, o meglio anche se aveva la verità sotto il naso, non la vedeva, questo secondo i desideri di Severus Snape.

Perciò ai suoi occhi il tono malinconico di Potter guadagnò il potere di stringergli di nuovo lo stomaco.

Potter era stato trattato con tale dolcezza da fidarsi di Snape, ignorando la realtà dei fatti.

La verità era che Snape non sarebbe mai giunto in suo soccorso, perché era proprio grazie alla sua segreta fedeltà all'Oscuro Signore, che era stato incaricato della custodia del ragazzo.

Lucius stesso aveva dato una 'spintarella' alla pratica, da dietro le quinte, perciò lo sapeva bene.

Tradito, illuso e ferito.

Lord Malfoy cacciò indietro quel pensiero, con forza sempre più vacillante. Si avvicinò al ragazzo e quando non lo vide reagire gli si portò alle spalle, avvolgendolo ed ancora una volta sovrastandolo.

Non era possibile, pensò, che Severus... no. No, era fuori discussione. Non c'era niente tra Severus ed il ragazzo, figuriamoci, solo che il Potion Master doveva essere stato abile, come tutore, per farsi gradire così dal figlio di James Potter.

Tradito, illuso, ferito e abbandonato.

E che cazzo, Lucius - si rimproverò, per l'andazzo dei suoi pensieri.

Un conto era minacciare, inseguire e circuire un gruppo di ragazzini agguerriti nel corso di una missione per l'Oscuro Signore, un conto trovarsi in quella situazione con un singolo ragazzino inerme, fosse anche il temuto e famigerato Potter.

Lui non era l'Oscuro Signore, era umano, debole ed imperfetto. A lui, Lucius, Potter visto da vicino sembrava solo un gattino spaventato. 

Sapeva che il gattino possedeva anche gli artigli, ma non li vedeva al momento.

"Ti da fastidio?"

Gli stava accarezzando lentamente il braccio nudo, Lucius, così. 

Giusto perché poteva e perché la sua pelle era morbida e poi perché nessuno al mondo lo avrebbe saputo mai.

Potter si strinse nelle spalle.

Passò un lungo momento di silenzio.

"Che cosa vuole da me? Non so perché non riesce ad entrare. Prima mi sono arreso, lo sa? Mi faceva così male che pensavo mi avrebbe ucciso ed allora mi sono arreso. Ma lui non é riuscito ad entrare lo stesso. Perché non mi uccide e basta?"

Lucius non dubitava che l'Oscuro Signore l'avrebbe fatto, ma non lo rammentò a Potter.

Vedeva la curva tenera della nuca, i suoi riccioli scuri. Lucius lo attirò a se', quel tepore, quell'ingannevole dolcezza, quell'infanzia che non esisteva più da tempo.

Non era un grande mago, non era il suo padrone, non era l'imparagonabile Signore Oscuro. 

Sentiva un profumo delizioso e la curva ancora più deliziosa delle natiche del ragazzo pazzo gli si era adagiata dritta sul bacino.

Però, Potter non era concentrato sulla faccenda, sull'essere stretto e poi aderire così al lungo corpo di lord Lucius Malfoy.

"Non capisco che cosa vuole da me. Non capisco perché sono ancora qui..."

Lucius Malfoy sospirò.

"Perché nessuno dei due può vivere, se l'altro sopravvive."

Potter si voltò, scivolando sotto il braccio ricurvo di Lucius Malfoy. Quest'ultimo si ritrasse ma in un gesto che non era ne' lussuria ne' tenerezza ne' pena o forse tutte e tre queste cose insieme lasciò la scia di una carezza sul suo zigomo.

Harry non reagì, di nuovo. I suoi occhi, d'un tratto vispi e pieni di allarme, contenevano un imperativo assoluto.

E Lucius gli disse tutto ciò che sapeva della Profezia che lo riguardava, quella che era andata in mille pezzi.

 

Chapter 26: Prima che cambi idea

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S.P.C. a A.P.W.B.S. - "Colui che ha il potere di sconfiggere il Signore Oscuro si avvicina ... nato da coloro che lo hanno sfidato tre volte, nato quando il settimo mese muore ... e il Signore Oscuro lo segnerà come suo pari, ma avrà potere il Il Signore Oscuro non lo sa ... e uno dei due deve morire per mano dell'altro perché nessuno dei due può vivere mentre l'altro sopravvive ... quello con il potere di sconfiggere il Signore Oscuro nascerà quando il settimo mese muore ... "- La profezia di Sybilla Cooman fatta ad Albus Silente.

"Lei come accidenti fa a conoscerla? Quanti altri la conoscono?"

Lucius rispose con un gesto della mano, tre dita sollevate, due abbassate.

"Tre persone al mondo, Potter. Io, che l'ho saputo da Severus Snape."

Il volto sottile di Harry parve incendiarsi ed il ragazzo scattò in piedi come una molla. Lord Malfoy seguì quel suo scatto con gli occhi, senza perdersi un solo movimento. Il suo sguardo vigile ed acuto contrastava con l'atteggiamento del resto del corpo, mollemente disteso sul letto.

"Quattro, adesso, Potter."

Ma Harry, bloccato, cercava invano di dare un ordine ai propri pensieri.

"Snape? Che cosa c'entra Snape?"

Lucius Malfoy lo fissò, questa volta dritto negli occhi.

"Fu Severus a venire a conoscenza della Profezia ed a riportarla all'Oscuro Signore, Potter, ma non in questa forma. Severus portò solo la prima parte, ciò che indusse l'Oscuro Signore ad una mossa molto azzardata. Una mossa fatale... nell'Halloween del 1981"

Se Harry fosse stato più attento, avrebbe colto un ineffabile velo di malinconia in quella voce. Ma ci sarebbe riuscito solo stando molto attento, però, caso che non era di Harry. Il ragazzo sorvolò l'altero lord Malfoy come se non lo vedesse neppure.

Lucius, vedendolo diventare pallido come latte cagliato, pensò che stesse per svenire e quasi si mosse per evitargli di cadere malamente. Harry invece prese un respiro profondo ed abbassò il volto.

Aveva appena scoperto come Severus Snape era stato la causa diretta dell'assassinio dei suoi genitori.

Era corso a riferire a Voldemort la Profezia.

Ea corso a firmare la loro condanna.

"Potter...?"

Le braccia di Lucius lo tiravano indietro, alla fine le sue ginocchia avevano ceduto davvero. Però, il ragazzo non era di una tempra tanto molle da svenire - e su questo, Lucius avrebbe scommesso.

A giudicare dalle sue parole, il suo cervello non era nemmeno da buttare.

"Non... non ci sono solo io con quelle caratteristiche." Disse lentamente Harry, con quello sguardo terribile di colpo svuotato da ogni esitazione, ogni dolcezza.

"Neville Longbotton é nato il nato il 30 luglio 1980. I genitori di Neville... erano Auror, e sono stati ridotti alla pazzia da quella puttana di Bellatrix Lestrange. Ora vivono al San Mungo..."

"Vero." Soffiò sommessamente Lucius, sorpreso, e senza minimamente protestare per l'epiteto che Harry aveva rifilato alla sorella di sua moglie.

Vero, il ragazzo aveva del cervello. Perché mai Neville Longbottom. il Purosangue...

ma fu come se Potter gli leggesse la mente pur senza saperlo fare. In un attimo gli fu addosso, tenendolo per il bavero della camicia, senza rendersi conto di aver avuto successo solo perché Lucius Malfoy era distratto, proprio in quel momento.

Harry lo scosse con rabbia inarrestabile e se non riuscì nemmeno a spettinarlo, Lucius ritenne poco saggio fermarlo in quel momento. Potter aveva i denti scoperti, dalla rabbia.

"Perché cazzo quello psicopatico del tuo capo ha scelto me? Eh? Perché non il Purosangue Longbottom? Come cazzo funziona il suo cervello malato? Eh?"

Lucius Malfoy gli permise di portarlo a pochi centimetri dal bordo del letto con quella rabbia, prima di afferrarlo forte per le braccia e spingere.

Si ritrovò di nuovo a fissarlo negli occhi, ma questa volta c'era una collera sorda e divorante là dentro.

"Non lo so, Potter. Non ne ho la più pallida idea."

Ed a quel punto il ragazzo fece qualcosa che davvero, lo spaventò. Harry scoppiò in una risata amara.

"Non le credo, non le credo nemmeno per..."

"Potter, la scelta deve essere stata fatta in base a chi dei due l'aveva fatto più incazzare negli ultimi mesi. I tuoi genitori avevano fatto ben più di tre sole cose contro di lui, te lo assicuro."

Harry deglutì saliva amara.

"Allora semplicemente gli stavano più sul cazzo i miei dei Longbottom!"

"Se vuoi metterla così."

"E lei?"

Domandò all'improvviso Harry, guardandosi le braccia ed iniziando a cercare di liberarsi. Lucius non allentò la presa.

"Lei dov'era, mentre i miei morivano, quell'ottobre?"

Non era una vera domanda, era più una sorta di accusa impotente, esalata mentre il ragazzo cercava di liberarsi senza riuscirvi.

"Ad Istanbul, a scoparmi la madre di Blaise Zabini, se vuoi saperlo." Harry reagì di nuovo con rabbia a quel mormorio soave.

"Che cosa gliene viene in tasca, dal dirmi tutto questo? Che io muoia o meno al corrente del contenuto della Profezia, cosa cambia?"

Lucius Malfoy lo tirò di colpo verso di se', così vicino e così all'improvviso che Harry si ritrovò a pochi centimetri dal suo naso.

"Ce l'hai quel potere, Potter?"

All'improvviso Harry non sapeva che dire. L'orizzonte si era ridotto a quel pallido sguardo grigio.

"ll potere di sconfiggere l'Oscuro Signore, ce l'hai?"

"Io... io non lo so."

Lucius era così vicino che Harry lo poté sentire umettarsi le labbra e si odiò, per come la cosa non lo lasciava indifferente.

"Ce lo chiediamo in molti, ma solo io posso domandarlo al diretto interessato. Quando mi chiederanno se hai quel potere, Potter, sarà questo che gli dirò, che non lo sai. In altre parole, che sono fottuti. Sono sicuro che anche questa volta troverai il modo di fregarlo."

Harry non vedeva come, ma si concesse qualche istante per elaborare le parole di Lucius, prima di ribattere.

"So che... non riesce ad entrare, non riesce come vorrebbe. Può arrivarci vicino... ma niente di più. Lui non... non riesce."

Silente doveva avergli spiegato il perché nei dettagli quando ancora si degnava di guardarlo in faccia.

Ma Harry non se la sentiva di mettersi a parlare di Lily Potter e del suo particolare sacrificio in quel momento. Non voleva rivangare il cimitero, occasione in cui Voldemort stesso aveva parlato della cosa.

Anche perché Lily Potter era l'ultima cosa alla quale Lucius stava pensando.

All'improvviso lo scosse, con più forza di quanto non volesse davvero.

"Non parlerà più per bocca tua? Confermi che non gli é riuscito più ed è furibondo per questo?"

"S-si, si!"

Rispose precipitosamente Harry, sentendo un'urgenza improvvisa emanare da lord Malfoy.

"Non capisce come l'ha fatto la prima volta, perciò per lui é impossibile."

"Non ascolta?"

"Non ascolta."

*

Lucius vedeva la schiena del ragazzo sobbalzare, le sue braccia strette intorno al cuscino mentre quella sua massa disordinata di riccioli si agitava.

Tra le mani stringeva i globi rotondi delle sue natiche, scorrendo la presa fino alle morbide reni protese. Era dentro di lui fino all'elsa, fino alle palle avrebbe volgarmente detto Potter, che per il momento aveva perso la rabbia e l'uso della parola.

Lucius Malfoy non era tipo da sentirsi in colpa, al momento anzi veleggiava su calde nubi dorate.

A suo vedere se la notizia su Severus aveva sconvolto Potter, questo non impediva comunque di godersi la disponibilità del ragazzo.

Potter non cercava più di guardarlo in faccia come la volta scorsa, non aveva voluto nessun cambio di posizione ed era meno rumoroso - ma Lucius lo sentiva guizzare come un pesce, sotto di se'.

Qualunque cosa ne pensasse Potter, gli aveva rivelato ciò che sapeva della Profezia e di Snape perché non vedeva motivo per non farlo.

Come Lucius sospettava, Potter non aveva la minima strategia contro Voldemort.

Tanto valeva che morisse sapendo almeno perché, anche se Lucius aveva l'orribile sospetto che anche quella volta avrebbe finito per cavarsela.

Ad ogni modo quel ragazzo non gli aveva fatto niente di personale, oltre al godersi ogni minuto di quella cavalcata come quasi nessuno mai.

Quando lanciò un gemito improvviso Lucius arrivò a fermarsi, premurandosi di avergli fatto male. Ma Potter, incurante di una languida carezza sul braccio, lo rassicurò a modo suo. Non soffriva.

E poi, mentre Lucius si curvava su di lui per godere di una presa diversa, fuggirono parole dolci come miele ed amare come assenzio, da quelle labbra.

"I suoi compagni... gli alti Mangiamorte... se sapessero che lei me l'ha s-sbattuto d-dentro davvero..."

Lucius gli circondò la testa con tutte e due le braccia ed iniziò a cullarlo a ritmo sapiente, ma ora poteva spiare quel suo sguardo verde, umido, così arreso.

"Però non voglio che s-succeda con loro. Non voglio a-anche loro!"

Lucius gli prese il mento tra le dita, lo obbligò a guardarlo.

E seppe che il ragazzo era così interrotto, così preda dell'abbandono - e non solo per quel ritmico dondolio, per quella copula serrata - che in quel momento gli avrebbe creduto, qualsiasi cosa potesse dire.

Seppe anche, Lucius Malfoy, che era meglio mantenesse fede alla sua parola il meglio che poteva.

"Che ti viene in mente? Non succederà proprio niente di tutto ciò, con nessuno di loro." Gli mormorò contro il collo delicato, raccogliendo lacrime con la punta del naso.

Poi fece sì che il ragazzo si concentrasse sul piacere, non su quei pensieri.

*

Forse Potter pensava davvero di dover morire, dopo tutto.

Perché stava tipo rendendo a Lucius Malfoy la cronaca della sua estate. Lucius poteva ben vedere come si trattasse di una faccenda molto più articolata dello scarno resoconto del processo.

Si era quasi perso, tra nomi babbani e menzioni di attrezzi e manufatti bizzarri e sconosciuti, però non poteva interrompere Potter per chiedergli ancora cosa fosse un telefono.

E poi non voleva farlo.

Potter parlava guardando il soffitto, nudo, abbandonato tra le lenzuola.

"Non ha mai fatto altro che farmelo capire, il professore. Non mi ha mai costretto a fare nulla. Pulivo le aiuole, falciavo il prato, ma non era per quello che mi pagava. Non mi ha mai fatto male, tute le volte che sono stato lì, non mi ha mai obbligato a fare qualcosa."

"Quindi é per questo, che hai tutta questa esperienza?" Lucius si sentì misteriosamente male non appena quella parole lasciarono le sue labbra.

"No, ma questo non é importante." O non lo é più. Lucius Malfoy decise di lasciar cadere. Voleva ascoltare Potter.

"E poi la gente al supermercato aveva la lingua lunga, ci scommetto. Si."

Supermercato, l'insieme di botteghe babbane. Lucius represse una smorfia di disgusto, solo il dover pensare ai Babbani gli faceva quell'effetto. Ascoltava, scrutando il profilo di Potter. Dovevano essere arrivati ad un punto importante, dopo che Potter gli aveva spiegato come aveva deciso di procurarsi dei soldi babbani.

"Mio zio disse di volermi parlare. Non è mai un buon segno."

"Probabilmente però era solo un pretesto per chiamarmi di sopra, dire a mia zia dello scandalo che avevo procurato e delle voci che giravano, ormai, a Privet Drive. Si, deve essere andata così. Deve aver detto a mia zia Petunia che mi avrebbe parlato, che mi avrebbe 'raddrizzato'. Tanto lei non si intrometteva mai."

"Stai parlando di Petunia Evans?"

Harry annuì.

"La sorella di tua madre non si intrometteva, quando si trattava di te?"

"No."

"Mentre stravede per suo figlio."

"Già."

Lucius decise di smettere di fare domande, osservazioni. Sembrò che Potter si fosse perso, invece dopo qualche minuto la sua voce sommessa si levò ancora.

"Disse che avevo da ripagargli lunghi anni di abiti rubati a Dudley e cibo ingurgitato a tradimento dalla sua tavola. Disse che servivo a quello, che mi aveva trovato finalmente uno scopo. Lo fece. Mi colpì forte in faccia. Urlai. Ma non era la prima volta che urlavo, quando ero molto più piccolo. Mia zia non si intromise. Dopo... dopo mi fece girare la coperta dall'altra parte, perché l'avevo macchiata."

"Non ti é venuto in mente, Potter, di correre a dirlo a Silente?"

Harry esitò.

"Nessuno mi scriveva. L'Ordine si protegge... si proteggeva bene."

Lucius pensò che a quel punto avrebbero divagato, che Potter si sarebbe messo a cercare di chiedere come e se avevano utilizzato l'informazione sul quartier generale che gli era stata estorta con la tortura. Invece non accadde. Potter passò al dipingergli con le parole una stanza, piccola, buia, nel sottoscala.

"Quando furono costretti a farmi stare nella seconda camera da letto di Dudley non erano contenti, ma non potevano fare diversamente. Non successe nella seconda camera da letto di mio cugino, però. Era troppo vicina al salotto."

"Mi faceva male, ma non c'era nessuno a cui dirlo. E poi... poi standomene calmo riuscivo a sopportarlo. Era molto meglio, se evitavo di contrariarlo. Almeno non mi colpiva."

"Quel Babbano ti colpiva con le mani? Tutte le volte?"

"Si."

"E non succedeva niente?"

Lucius in altre condizioni si sarebbe ricordato di provare disgusto, per un mago così impotente di fronte a dei Babbani, per un mago che arrivava a dimenticare i suoi poteri fino a farsi sopraffare così. Invece ascoltava e basta, come percorrendo un sentiero tortuoso.

"Certo, si scottava, come sempre, aveva quella specie di scossa. Però aveva imparato a resistere. Era troppo determinato. Non lo faceva nel sottoscala e nemmeno nella mia stanza, ma nella stanza per gli ospiti al secondo piano, perché nessuno ci andava mai."

Merlino, benedettissimo, era suo zio. Lucius non voleva sovrapporre quel sentiero tortuoso ad immagini della sua vita familiare, perché gli venivano i brividi.

Tutta quella roba, era molto grato che non fosse capitata a Draco.

Lucius non riusciva ad ascoltare con distacco. La voce del ragazzo glielo impediva. Ormai, lord Malfoy lo fissava apertamente, anche se Potter continuava a parlare guardando niente di particolare, se non la caligine bluastra della sera che inghiottiva il soffitto.

"Non hai provato a dirlo a nessun altro, nemmeno ai Babbani? Pensavo che ne frequentassi."

"No. E comunque, nessuno avrebbe voluto frequentare me, a Privet Drive. Si, era là che vivevo. I miei zii si eran impegnati molto, per far sì che tutti quanti pensassero che ero pericoloso. Non ho amici Babbani."

"Tua zia non si é mai posta una sola domanda, Potter?"

"Non credo, no."

"Io ti avrei controllato. Non avrei permesso che qualcuno... che qualcun altro 'risolvesse' con te."

"Mia zia lo faceva sempre. Delegava al marito il compito di... punirmi, sgridarmi."

E stuprarmi. Lucius Malfoy si obbligò a non divagare.

"Quindi vede, é successo davvero, dopo tutto. La sera in cui vennero i Dissennatori, Piers, l'amico di mio cugino, mi aveva appena proposto di succhiarglielo. Mi avrebbe pagato e dopo di che, propose, la banda di mio cugino non mi avrebbe più perseguitato. Avevo accettato, trattando sul prezzo."

"Non mi dispiace... insomma, finire qui. Penso che non lascerò comunque entrare il suo padrone, anche perché non so come si fa e non ho desiderio di impararlo. Alla fine mi ucciderà, un po' per la frustrazione ma soprattutto per la Profezia. Non mi dispiace. Non può essere tanto peggio di cos'è successo fin qui. Tolto... beh, scopare con lei é piacevole."

A quel punto ci fu un piccolo terremoto, che indusse Harry a voltarsi di scatto.

Lucius Malfoy si era alzato in piedi e gli dava le spalle. Harry lo vide sforzarsi immensamente, per raccogliere la voce.

"Potter, sai Schiantare, no?"

Harry rispose di si, certo che conosceva l'incantesimo, eccome.

"Allora Schiantami, poi apri l'armadio all'ingresso, nella tasca del primo soprabito troverai la tua Bacchetta. Usa la mia, Schiantami e vattene. 

Forza, prima che cambi idea."

 

Chapter 27: In volo

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"E lei?"

"Io cosa, Potter?"

"Che cosa ne sarà di lei?"

Seguì un intenso, interminabile istante di silenzio. Lucius Malfoy si voltò a guardare freddamente Potter, come a soppesarlo o forse, nel tentativo di vederlo veramente. Era ovvio che non ci stava riuscendo. Intanto, fuori dalle tapparelle abbassate della camera da letto filtrava un alba incolore.

La risposta mancata di Lucius Malfoy era così eloquente che Harry si schiarì la gola e continuò: "Forse, se oltre alla profezia perde anche me, lui l'ammazza. E se l'ammazza avremo ancora orfani."

Allora lord Malfoy si infuriò. Staccando le mani ceree dal bordo del comò, si voltò inviperito contro il ragazzo.

"Ma che cos'è questa mania di fare l'eroe, Potter? Anche poche notti fa, con quei cinque ragazzini incoscienti che ti seguivano, ti sei buttato allo sbaraglio. Quelli, però, almeno erano tuoi amici."

Harry fronteggiò quell'esplosione senza battere ciglio.

"Non ho nessuna intenzione di lasciarla qui a morire."

Fu allora che lo sguardo di Lucius Malfoy divenne molto, molto serio.

In quell'ora che non apparteneva a nessuno, mentre il sole ancora non sorgeva ma il mondo era già pervaso dalla sua luce, l'uomo accorciò di due passi ancora le distanze tra se' e il ragazzo pazzo.

Harry sostenne il suo sguardo con il suo, così ostinatamente limpido.

Lord Lucius Malfoy lo scrutava così intensamente che sembrava volerlo bucare da parte a parte.

Poi l'uomo allungò il braccio a sfiorare i contorni del ragazzo con le sue lunghe dita delicate.

"Ragazzo..." Esordì, con un tono di voce così mortalmente serio da risuonare come un gong nel silenzio - "Se non te ne vuoi andare a causa mia, stai sbagliando."

Harry aveva già sentito vibrazioni simili nelle parole di qualcun altro, ma Lucius Malfoy non poteva saperlo, ne' poté scorgere l'equivoco nel suo gesto insofferente.

"Non sia ridicolo."

"Ah, però. Devo ammettere, Potter, che non mi aspettavo una risposta così decisa..."

"Non mi va di aiutare il suo padrone a creare altri orfani, che cosa ancora non é chiaro?"

"Almeno non ti stai comportando così perché hai una cotta per me."

Ed in quel momento il ragazzo si voltò di nuovo, a tradimento.

"Ma io ce l'ho, una cotta per lei." Buttò lì.

*

Lucius Malfoy rimase così di sasso che, quando da basso esplose il secco schiocco di una Materializzazione, ci mise qualche istante a reagire.

"Resta qui." Intimò Lucius al ragazzo pazzo, precipitandosi verso la porta con la Bacchetta in pugno. Però, prima che lord Malfoy potesse aprirla, la porta si spalancò.

E sulla soglia c'era Severus Snape.

*

"Prelevarlo? Pensavo che sarebbe venuto di persona. Pensavo non ci fosse posto più sicuro di questo. Severus, é giorno."

"Gli Ordini dell'Oscuro Signore sono cambiati. Ha voluto che agissi immediatamente. Ti confesso che trovare la strada per questo buco non é stato affatto semplice, eppure lui non si sente al sicuro."

"Non... non vorrà portarlo in uno dei suoi laboratori?"

 "Non lo so, ma non lo escluderei. Io propendo più per le montagne, anche se ci aspettano sulla costa."

Severus Snape fissava l'amico così ostinatamente che era palese, come si sforzava di non guardare Harry.

Harry ne era lieto, perché non pensava avrebbe retto il suo sguardo. Tremava di rabbia. Voleva saltargli addosso, farlo a pezzi. Si controllava a stento.

Lucius sospirò.

Poi investì Severus di un flusso di domande così atipico, per lui, che il Potion Master lo guardò stupito.

"Com'è andata, con l'Ordine? Sei certo che non ti piomberanno addosso? Quanti sono con te? Che cosa intende fare, finirla adesso?"

"Una domanda per volta, Lucius."

"Hai ragione, scusami."

"Primo, no non vuole sbarazzarsi del ragazzo, finché non avrà appurato le cose che Potter é così riluttante a svelargli."

Harry si sentì torcere lo stomaco come se fosse pieno di serpi vive.

"Secondo, ci sono Rowle e Macnair con me, ed altri cinque uomini nella retroguardia. Infine, siamo abbastanza sicuri da poter tenere testa  a qualsiasi Auror in vena di eroismo. Il ragazzo verrà con me, adesso."

A quel punto Harry si rianimò.

"Non ci penso nemmeno! Non si azzardi a toccarmi!" Ma Severus Snape gli si era già fatto sotto, con lo sguardo letale e colmo di dolore. Anche se forse, quel particolare era solo una mera impressione di Harry.

Il ragazzo pazzo riuscì a schivare il primo incantesimo, ma era disarmato. Il secondo lo ridusse ad una sorta di salame di funi magiche luminose.

Harry iniziò ad urlare.

"Assassino! Sporco assassino! Non mi toccare, maledetto porco assassino!"

Ma non poteva fare molto altro, mentre veniva trascinato via.

Percorsero un minuscolo corridoio, presero una scala storta che conduceva al secondo piano, ed arrivati al salotto che comunicava con la cucina, Harry si afflosciò nelle sue funi.

Era già stato lì, in sogno. In quel salotto, un uomo aveva accolto e sfamato il relitto di lord Voldemort, mentre Codaliscia accudiva viscidamente il suo antico padrone.

*

La formazione di Mangiamorte venne attaccata quasi immediatamente, non appena oltrepassati i confini del piccolo villaggio. 

Qualcuno urlò che doveva trattarsi di un agguato, Harry vedeva solo la schiena di Severus Snape. Desiderò con tutto il cuore che le maledizioni lo raggiungessero, disarcionandolo dalla scopa. Harry provò a girarsi così tante volte che per poco non cadde a sua volta, fu necessario un rozzo spintone per rimetterlo in sella.

Aveva riconosciuto il profilo provato di Remus Lupin. Sapeva che l'Ordine era venuto in suo soccorso, l'Ordine che lui stesso aveva tradito.

Forse il suo desiderio fu così profondo e così forte che fu accolto immediatamente, perché mentre sorvolavano le campagne e la battaglia infuriava tutto intorno, un lampo rosso centrò in pieno la schiena di Severus Snape.

Forse fu proprio Snape a permetterlo, sembrò offrirsi... il mondo si ridusse ad un vortice di caos, mentre l'Incantesimo che aveva mantenuto la rotta della scopa di Harry si sollevava.

Harry si sentì precipitare, udì mille voci simili a lunghe strida d'uccelli, seppe che sotto c'era un boschetto circondato da duro e mortale scisto, chiuse gli occhi.

Pensò all'ultima volta che Lucius Malfoy gli aveva infilato la lingua in bocca e poi, anche a quando aveva lasciato un livido di passione su quel suo collo di cigno.

Non era male, come finale.

*

Chi lo chiamava non era un Mangiamorte, ne' tanto meno Lucius Malfoy, ma una ragazza con i capelli viola. Il suo volto grazioso era pervaso dall'ansia.

"Si é svegliato!"

"Severus sta bene?"

"Si, si, ma sbrighiamoci. Quelli stanno tornando indietro..." Harry si sentiva così pesante, troppo, era ovvio che lo stavano legando ad un altro manico di scopa.

Solo che questa volta era circondato da membri dell'Ordine della Fenice.

Voleva dormire, non pensare, era facile con quell'incantesimo, qualsiasi cosa avesse addosso.

"Ce la fai a volare da solo, Potter? Perché..."

"Non c'è tempo, Ninfadora!"

La donna chiamata Ninfadora esplose in un turbine di improperi, ma il vento sfrecciava sempre più tagliente e sempre più freddo.

"Li dobbiamo seminare, dritto tra le nuvole!"

Nonostante l'ululato del vento, Harry sentiva la donna impartire ordini. Poteva sentire anche Remus Lupin, la sua spalla destra in volo.

"Tuo zio non c'è?"

"Il mio caro zietto accudiva Harry e se l'è lasciato sfuggire, immagino che avrà altro da fare!"

"Non é stata colpa sua, ma di Severus."

"Già, e tu potresti evitare di riferiti a Lucius Malfoy come 'zio', ricordandomi in continuazione che siamo imparentati?"

La donna sembrò trattenere uno sputo di disprezzo solo perché erano in volo e probabilmente pensava che le sarebbe ricaduto contro.

"Che cosa ti ha fatto, Harry? Che cosa é successo? Sei ferito?"

Harry non poteva certo nascondere il volto nella scopa, guardò Lupin, confuso.

"Sto bene!"

La donna chiamata Ninfadora fece una smorfia disgustata, i capelli viola come una bandiera al vento, e si voltò a guardare Harry.

"Nessuno ti incolpa per il quartier generale, Harry, davvero."

Harry si ritrovò ad urlare, insieme al vento.

"Perdonatemi! Perdonatemi, vi prego! Io meritavo di essere lasciato lì, lo meritavo!"

"Basta, Harry. Non ti fa bene agitarti così. Cerca di calmarti, siamo quasi arrivati."

Harry era certo che non ci sarebbe riuscito. Invece era così esausto che, quando entrarono nello spazio aereo di Hogwarts, dormiva.

 

Chapter 28: La fine dell'anno

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"Nessuno ti incolpa per il quartier generale, Harry, davvero."

Era vero. Tutti lo trattavano come un superstite. L'infermiera di Hogwarts non era la sola ad aver definito Potter 'cagionevole', anche i guaritori del San Mungo lo fecero, ma questa volta Harry non ebbe cuore di ribattere.

Lo visitavano, quando non lo fissavano con tanto d'occhi, come se Harry dovesse essere reduce da orribili privazioni o disumane torture.

Lui si lasciava esaminare, sottoporre a tutti gli incantesimi di controllo, abbracciare dalla madre di Ron, ripeteva sempre le stesse cose, 'sto bene' 'non mi ha preso'. Con riferimento a Voldemort, naturalmente. All'Oscuro Signore, come doveva ancora chiamarlo per non sconvolgere nessuno.

Harry non guardava nessuno negli occhi.

Neppure adesso che tutti sapevano la verità, Harry si sentiva meglio.

Naturalmente di Sirius Black Harry non poteva parlare con nessuno.

Era come se il suo padrino non fosse mai neppure esistito. Il dolore che Harry sperimentava a quest'idea era tanto enorme da togliergli il fiato e privarlo di ogni forza, se lo lasciava andare a briglia sciolta. Cosa, questa, che Harry era ancora troppo travolto per fare.

Nessuno lo incolpava per aver ceduto a quelle torture così indicibili da avergli strappato un segreto fondamentale, però Harry non poteva perdonarsi.

Tutti credevano che avesse subito ore di maledizioni Cruciatus.

Ne cercavano i segni delle maledizioni subite dentro la sua mente, cercavano segni di pugni e percosse sul suo corpo. Come se dovessero essercene, con quasi dieci giorni passati alla mercé dei Mangiamorte.

Harry spingeva in un angolo il pensiero di quei giorni di prigionia nella casa polverosa, nel caso qualcuno trovasse la voglia,prima o poi, di mettersi a sbirciare nella sua mente.

L'unica persona che davvero avrebbe avuto interesse a leggergli la mente, Harry non la vide per due giorni.

Due giorni che passarono al terzo piano dell'ospedale San Mungo, durante i quali Harry si rifiutò di guardare in faccia anche Albus Silente.

Che cosa aveva da dirgli, adesso? E adesso era troppo tardi.

Il ragazzo che non si era opposto quando l'avevano definito 'gracilino' non si oppose nemmeno alla protezione che Silente gli offrì, però.

Per uscire da quell'ospedale senza i flash dei fotografi ne aveva bisogno. Comunque i giornali erano già pieni di fotografie.

Tonks e Malocchio gli fecero da guardie del corpo.

Già, perché non sapevano la verità, che Harry non aveva mai subito la maledizione Cruciatus mentre era stato sequestrato, perché era stato sequestrato da Lucius Malfoy... e Lucius Malfoy non aveva avuto bisogno di torturarlo con la magia, invece l'aveva fatto sbavare come una troia.

Così Harry aveva capitolato. Non per le maledizioni senza perdono o altre orribili torture, no. Perché era una troia fottuta.

*

Harry non gridò. Non avrebbe avuto senso, in fondo Severus Snape era il suo tutore legale e non c'era via di fuga, da quello.

Aveva condannato a morte i suoi genitori, ma anche di provare rabbia per quello Harry era stanco.

Si sentiva così privo di tutto, così stanco, così sicuro di aver lasciato gran parte di se' in quella vecchia casa polverosa.

Severus Snape si aspettava di venire aggredito.

Non accadde. Harry aveva paura che volesse sondare la sua mente, vi avrebbe scoperto come alla fine Lucius era riuscito a scoprire di Grimmauld Place. Era diventata la cosa di cui Harry più si vergognava, in assoluto.

I suoi ricordi, a ben vedere, potevano rappresentare una bomba di proporzioni non indifferenti anche per Malfoy.

Che cosa ne sarebbe stato delle ultime vestigia della sua rispettabilità, se Harry avesse svelato il segreto della casa polverosa?

Già, e poi Harry non aveva dimenticato le parole di Lucius.

Ti sai smaterializzare, Potter?

Aveva detto, come se gli costasse l'infinito e un pezzetto di più.

Disarmami.

Era disposto a lasciarlo fuggire.

Chissà dov'era adesso.

Snape non cercò di insinuarsi nei suoi ricordi. Non provò nemmeno, nonostante fosse ciò che il ragazzo temeva. Forse riteneva di aver visto abbastanza? Forse sapeva già quanto puttana fosse il ragazzo che é sopravvissuto?

Harry gli concesse di scivolare sotto le sue coperte quella notte, lasciò che il Potion Master lo abbracciasse da dietro.

Di notte, nel buio confortevole della stanza, il Potion Master lo stringeva con forza inumana, disperato.

Il resto non contava più.

Come se si fosse trattenuto tutto il giorno, Snape lo agganciò forte in quella sua muta esplosione di disperazione, il suo rilascio di tensione.

Era così felice che il ragazzo ci fosse ancora, della forma tiepida del suo corpo intonso, illeso, che versò lacrime sulla sua schiena, contro il suo pigiama.

Ed Harry, all'improvviso, non capì più niente. Non lo divorò la rabbia, non lo sfregiò la paura  e non lo scavò il dolore per la perdita di Sirius. Chiuse gli occhi e si arrese a quell'abbraccio familiare, la sola cosa rimasta alla quale aggrapparsi.

Snape voleva farselo, in realtà.

Ma non adesso, adesso voleva solo stringerlo fino a farlo addormentare e forse, piangeva.

Harry era troppo esausto per pensare.

E poi lo aspettava l'ultima settimana di Scuola.

*

Il suo rapimento si era trasformato in una serie di leggende, di già. Nessuna di esse era realistica, perché nonostante tutto, nessuno aveva ben capito perché diavolo Harry, Hermione, Ginny, Luna, Neville, fossero finti a Londra in piena notte.

Di Sirius Black non potevano sapere, perciò secondo la versione più diffusa ad Hogwarts, Harry era stato rapito da Voldemort.

Per lo più, chi scherniva un tempo il ragazzo adesso gli credeva, però non aveva davvero la faccia di guardarlo negli occhi.

Harry, fiancheggiato da Hermione e Ron, ignorava tutti.

*

Ma qualcuno che si era fatto l'idea meno realistica di tutte c'era, in effetti. Qualcuno che avrebbe vinto la gara di astio e rancore.

Draco Malfoy, a conti fatti, aveva dedotto che siccome Harry ne era uscito vivo, suo padre era ancora latitante, costretto a nascondersi chissà dove perché ricercato dal Ministero.

Harry avrebbe voluto evitare di pensare a suo padre guardandolo in faccia, ma così era.

Malfoy lo seguì con i suoi pallidi occhi verdi quando Harry entrò nell'antibagno e sfrecciò verso il lavabo di pietra. Troppo tardi il 'povero ragazzo traviato' si era reso conto della presenza di Draco.

Troppo tardi, adesso Draco gli bruciava la pelle con quel suo sguardo gelido.

*

Com'era iniziato, questa volta? Draco aveva detto e poi Harry aveva risposto, e poi Draco era diventato un po' più alto di Harry in quegli anni, ed alla fine era arrivato a prendere il 'povero ragazzo traviato' per le spalle, sbattendolo contro il muro dell'antibagno.

Era successo per ciò che stava dicendo Harry.

Draco lo scosse con rabbia, come se volesse dissipare quelle parole.

Harry se lo lasciava fare solo perché si stava godendo quella sua faccia scioccata.

Provò una fitta di piacere sottile, ma profondo: "E dopo che gliel'ho succhiato, me l'ha messo dentro."

"Stai zitto, pervertito!"

"Io? Si. Ormai, lo sospetto. Sono un pervertito e infatti mi sono fatto tuo padre, Draco."

Con un ultimo strattone, Draco lo lasciò in malo modo contro il muro di piastrelle e poi fuggì dal bagno dei ragazzi.

Alla malora.

Non gli avrebbe mai più dato fastidio. Non gli avrebbe più rotto le palle, Harry se lo sentiva.

Aveva annientato Draco Malfoy. E si sentiva anche incredibilmente, assurdamente tranquillo.

 

 

Chapter 29: Sui tetti di Spinner's End

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Ho sedici anni e mezzo. Ne ho tutto il diritto.

E poi voglio starmene un po' da solo.

Harry, in maniche di camicia color cachi e jeans, passeggiava. Passeggiava e basta per il momento, se così lo poteva chiamare, in una delle vie meno raccomandabili della città. Maggio maturava in un giugno opulente. L'estate si annunciava calda, come la precedente.

Il mondo Babbano girava ancora tutto intorno a lui, ignaro, tiepido ed assonnato. Erano le sette e mezzo di sera. Le sue converse producevano un suono secco e sicuro, sui ciottoli.

Non stava passeggiando per il centro, era oltre il mulino e la fabbrica.

Severus Snape dormicchiava ed Harry si era fatto 'uccel di bosco'. Se l'era svignata, in altri termini.

Oltre la ciminiera nera, i tetti bassi e umidi di rugiada si accatastavano l'un l'altro a perdita d'occhio, tutti parte di abitazioni fatiscenti come quelle di Spinner's End.

Gli argini del fiume erano un ritrovo per la popolazione locale, ed era lungo il corso principale che Harry passeggiava. La ciminiera annerita si stagliava ora alle spalle di Harry.

Oltrepassò gruppi di giovani che ridevano e si scambiavano delle birre, un odore aspro ed arboreo gli solleticò le narici. Non andavano al College, con ogni probabilità, quei ragazzi, ma forse si godevano il loro primo congedo estivo lo stesso.

Avrebbero potuto essere uguali, loro ed Harry.

Non fosse stato per Voldemort, non fosse stato per la Bacchetta nascosta in fondo alla tasca dei jeans.

Un uomo anziano, brillo, agganciò gli occhi verdi del ragazzo quando questi gli passò accanto, Harry proseguì. Lo stesso accadde con un gruppo di impiegati, straordinariamente fuori posto ai tavolini di un caffè. Harry sorrise e strinse le dita nel profondo della tasca sinistra dei jeans.

Nella destra teneva la Bacchetta, a sinistra qualcosa di plastica, freddo ed alieno.

Però aveva fatto bene a procurarseli, il minimo.

I due uomini lo accolsero al loro tavolo, quando il loro collega adescò Harry.

Lo guardavano come l'elefante nella stanza, uno dei due con evidente disapprovazione. Quello che l'aveva richiamato, invece, un bell'uomo sulla cinquantina con un soprabito gessato, ordinò con cura una coca-cola per Harry.

Mitch? Michael? Una cosa del genere. Harry gli osservò l'orologio al polso, i gemelli della giacca, come a valutarlo.

Ad un tratto i bicchieri si svuotarono, i colleghi del suo cliente iniziarono a guardarsi alle spalle per paura che giungesse la polizia, e venne il momento di appartarsi.

Sfacciato, Harry seguì l'uomo nascondendo l'ansia che lo assaliva, con il calar delle tenebre.

Ma quel babbano lo condusse fino alla sua auto, parcheggiata in una sorta di piazzale a ridosso della campagna desolata, e subito gli consegnò le cinquanta sterline che Harry richiese.

Harry non si era sbagliato, su quell'uomo. Quando aveva sviluppato quel senso per i clienti affidabili non lo sapeva, ma magari si trattava solo di fortuna del principiante.

Estrasse dalla tasca sinistra uno dei plasticosi condom Babbani e lo calzò al cliente come se non avesse mai fatto nient'altro nella vita, invece era la sua prima volta.

L'olio per il corpo adatto ce l'aveva lui, nel cruscotto dell'auto.

*

Alle otto e un quarto la situazione del lungo fiume non era diversa, tranne per gli ubriachi che barcollavano e qualche bottiglia che volava. Harry evitò la rissa e sgattaiolò fino a Spinner's End.

*

Harry arrivò alla sua stanza senza colpo ferire, perché Severus Snape non era uscito dal suo studio.

Il ragazzo traviato tese le orecchie di fronte alla porta, ma sentiva lo scricchiolio della penna d'oca sul foglio. Si, era ancora lì dentro, a scrivere, correggere già i compiti, o chissà che diavolo.

No, non sarebbe piombato addosso ad Harry per chiedergli dove diavolo fosse sparito.

Almeno, non nell'immediato.

Con uno strano senso di pericolo, Harry andò in cucina.

E il senso di pericolo si trasformò in un nodo allo stomaco.

Sulla stufa c'era la cena, lasciata in caldo all'interno della pentola.

Stufato.

Harry aveva fame, una fame da lupi, ma si diresse di nuovo verso la porta di casa. Questa volta prese con se' la giacca, perché la sera faceva ancora molto più freddo rispetto al pomeriggio.

*

Al supermercato all'angolo, un posto insolitamente per ricchi al centro di quel degrado, Harry comprò un taglio di manzo, luccicante di fresca grassezza nel bancone macelleria, poi una pagnotta di grano duro, farina per il porridge e castagne avvolte in glassa di zucchero. Quella roba, le castagne, piacevano tantissimo a Snape, solo che non le comprava mai, erano roba d'importazione e costavano un sacco. 

Pagò sotto lo sguardo un po' sbigottito della commessa, che doveva averlo identificato al primo sguardo come una delle giovani puttane minorenni che ogni tanto si vendevano lungo l'argine e di certo non facevano mai spese lì.

*

Tornò a casa, dove la porta dello studio era ancora chiusa, ripose con cura la spesa e solo allora cenò.

Era pensieroso.

Avrebbe dovuto... chiamarlo? No. Magari lo disturbava, era una delle cose che Harry aveva imparato a non fare, disturbare Snape.

Si sarebbe incazzato per la spesa? Forse. Gli avrebbe chiesto da dove venivano i soldi? No. Probabilmente no.

Harry non aveva davvero bisogno di spendere quelle venti sterline babbane per quello, non aveva neppure bisogno di guadagnarsele in quel modo, a dirla tutta.

Voldemort o meno, pensava che avrebbe potuto prelevare il denaro necessario alla Gringott ben prima di settembre. Non credeva che i Mangiamorte ci avrebbero riprovato tanto presto, dopo l'ultimo tentativo andato a male. Per averlo detto, gli avevano dato dell'irresponsabile e del pazzo ed Harry aveva dovuto ammetterlo, non si comportava affatto come uno braccato dal più grande mago oscuro vivente.

Ci sarebbe andato il signor Weasley per conto suo alla Gringott, discorso chiuso.

Intanto non cambiava che Harry era senza soldi.

E che certe cose gli venivano naturali come respirare.

*

Bello, lo chiamavano, e gli chiedevano se andava di fretta, però intanto lo accerchiavano, in quattro.

Harry non li aveva visti sbucare, erano da ogni lato.

Quattro ragazzetti babbani poco più grandi di lui, il più vecchio non dimostrava diciotto anni.

Dopo la richiesta di una sigaretta, che Harry non aveva, passarono a cercare di capire quanti soldi aveva fatto.

Ed uno, che si presentò come Joa, gli spiegò che per battere più di una volta di fila in quella zona bisognava mettersi d'accordo proprio con lui. Dal momento che Harry aveva trasgredito, bisognava che vuotasse le tasche.

Non aveva niente in contrario, no? Aveva sbagliato lui, dopo tutto. Joa portava un lucido orecchìno a forma di spada, che gli lambiva il colletto della camicia e dondolava qua e là ad ogni movimento.

Visto che Harry teneva la mano affondata in tasca, i ragazzi credevano che stesse per prendere i soldi senza protestare.

Senza rischiare l'inevitabile pestaggio.

"Dai, bello, non abbiamo tutta la notte. Adesso hai fatto la cazzata, inutile che piangi sul latte versato." Lo apostrofò, a conferma, una voce sbronza alle spalle di Harry.

"Mica ci vuoi fottere, bello?"

Qualcosa sfiorò le spalle di Harry.

"Ti avverto che non puoi spompinare nessuno di noi per uscire da questo guaio." Lo ammonì una terza voce, suscitando risate ed un cenno d'assenso di Joa.

"Seh, esatto, esatto, dovessimo dire di sì a tutti quelli che sperano di rimediare così dopo aver fatto i furbi, non ci reggeremmo mica in piedi!"

Ma l'ilarità non cancellava la tensione ed il cerchio si stringeva, col temporeggiare di Harry.

Harry si era letteralmente paralizzato, fosse stato un gatto avrebbe avuto il pelo ritto.

Temeva che la magia gli esplodesse così, da un momento all'altro. Di far esplodere qualcuno dei piccoli malviventi, come un tempo era già accaduto. Temeva e sapeva di dover estrarre la Bacchetta ancora una volta di fronte a dei Babbani, anzi per difendersi da loro. Perché se lo avessero aggredito, avrebbe avuto la peggio e non come in qualche rissa scolastica.

In fondo a quelle tasche c'erano un coltello o due, Harry se lo sentiva, poteva quasi vederne la lama meticolosamente affilata.

Magari però i Babbani non sarebbero arrivati a tanto, visto che Joa stava spiegando che dopo voleva una decina di dollari dal guardano di Harry, una piccola somma, una grande protezione.

Harry non voleva consegnare i soldi e non poteva fare l'unica cosa sensata per difendersi, era nella merda.

E poi uno dei delinquenti perse semplicemente la pazienza, lo abbrancò da dietro e gli infilò le mani in tasca.

*

Harry scalciò, un pugno lo colpì di striscio allo zigomo, ne stava nascendo qualcosa di troppo aggrovigliato per una strada pubblica. Non era per i soldi adesso, anche se gli seccava doverli cedere, ma per la Bacchetta. La sola idea che i Babbani potessero toccarla anche per errore gli dava la nausea, un senso di vomito forte ed inspiegabile che prendeva proprio alla gola.

Per questo Harry pensò subito di aver fatto una magia involontaria, quando si sentì schizzare in aria come il tappo di una bottiglia sotto pressione.

.

*

Sbigottito, a strapiombo su un tetto, Harry osservava i delinquenti spintonarsi tra di loro nella strada sottostante. Si premette una mano sulla bocca per non ridere. Era come quando Dudley cercava di pestarlo a scuola, Harry era finito svariati metri più in alto, relativamente in salvo.

Solo che questa volta non era stato lui, la sua magia non c'entrava proprio nulla.

Joa il capo se la prendeva con i suoi scagnozzi e li spediva a spintoni nel vicolo, quando Harry sentì una voce alle spalle e per poco non ruzzolò via per la sorpresa.

*

"Te la ridi, eh, Potter?"

Harry si voltò e vide Lucius Malfoy, con i capelli biondi che ondeggiavano appena per la pungente brezza serale.

Harry si aggrappò al comignolo, e disse la prima cosa che gli passava per la testa.

"Oh, merda."

Non proprio un 'buona sera'.

*

E ora era davvero fritto, un perfetto idiota, prossimo a sparire nelle grinfie di Voldemort, perché questa volta Malfoy l'avrebbe rapito sul serio ed era stato lui, Harry, con la sua stupidità, a renderlo possibile. Altrimenti perché il mangiamorte preferito dell'Oscuro Signore lo seguiva?

Invece, Lucius Malfoy lo agguantò per un braccio ed iniziò a fargli la predica, mentre camminavano lungo l'argine ormai deserto del fiume.

Harry si rese appena conto dei suoi abiti, non Babbani ma nemmeno sgargianti e sfarzosi come nello stile di lord Malfoy, fu solo un dettaglio che gli confermava l'evidenza del pedinamento.

Da quanto Lucius lo pedinava? Probabilmente dall'inizio. Si, stava diventando sgradevole.

Sembrava avesse beccato il suo stesso figlio, mentre...

all'improvviso un lampo ferino negli occhi pallidi del Mangiamorte gelò Harry, come se quel particolare pensiero fosse stato intercettato da Malfoy.

E forse era davvero così, perché l'uomo non lasciò affatto andare il suo braccio, nonostante tutti i tentativi di Harry.

"Non so che cosa ti salti in mente, Potter. Non riesco a immaginarmi perché, e non dirmi che é ancora per i maledetti soldi."

Harry puntò i piedi.

"Beh si! Si, maledizione, non me li preleveranno che tra due mesi!"

Quell'ostinazione quasi infantile disegnò una smorfia sul volto pallido di lord Malfoy, ma non per i motivi che immaginava Harry.

"Oh si, e se le mie informazioni non sono manchevoli, Arthur Weasley si incaricherà di visitare la tua camera blindata. Io controllerei che non sgraffigni nulla, se fossi in te..."

Infuriato per quell'insinuazione crudele, Harry realizzò con qualche secondo di ritardo.

"Si, Potter."

Lucius, sulla sua faccia pietrificata dall'orrore.

"E sappiamo anche di che colore porti le mutande. Almeno, io lo so."

"Dove accidenti mi sta portando?"

"Dal tuo tutore, ecco dove. A casa tua. E mi auguro che tu ci resti, specialmente dopo le otto di sera."

Harry, confuso, ormai teneva il passo anche per non dare troppo nell'occhio con gli occasionali passanti Babbani.

Non voleva che succedesse nulla ai Babbani, neppure a quelli orribili come Joa.

"Io faccio quello che cazzo voglio."

"Disse quello che morì di indigestione."

Harry, scioccato e rosso come un peperone, aprì e richiuse la bocca. Naturalmente, questo offrì a Lucius l'occasione perfetta per riprendere la predica.

"Avere rapporti occasionali con i Babbani, esponendoti a un rischio come quello che hai corso poco fa, a questo punto mi chiedo davvero se sia necessario... farti fuori. Se continui così, ci risparmierai ogni fatica. Il grande Harry Potter finirà accoltellato da qualche 'capo Joa' per non avergli voluto dare cento banconote Babbane."

Questa volta c'era un che di così definitivo e misterioso nella voce di Lucius Malfoy che Harry rallentò il passo, senza più farsi trascinare.

"Però lei mi ha scopato, occasionalmente. Lei si é servito e senza fare complimenti..."

Silenzio.

"E mi sembra che anche nel suo caso, le cose non stessero troppo diversamente. Forse, si tratta solo di capire quale 'capo Joa' mi farà fuori per primo..."

*

Forse Lucius se l'era presa perché Harry aveva parlato di Voldemort come di un piccolo magnaccia di quartiere, probabile. 

Però Harry non pensava che fosse quello il motivo per cui era finito schiacciato contro il muro di mattoni del vicolo nel retro di una pizzeria. Un paio di gatti fuggirono a nascondersi tra i bidoni della spazzatura, Lucius si guardò intorno e fece una smorfia disgustata.

"Guarda che cosa mi fai fare..."

"Torniamo sulla strada principale..."

"Ah, adesso ti preoccupi? Non sarà perché devi rientrare a casa, vero, quando te ne freghi di come ne sei uscito... e soprattutto di chi sta diventando matto, per quello che stai combinando lungo l'argine del fiume di un sobborgo Babbano."

Confuso, Harry pensò alle parole di Sirius, all'amicizia che intercorreva tra Malfoy e il Potion Master di Hogwarts.

"Avanti, la faccia finita e mi porti al suo padrone." Ostinato, Harry tagliò in due l'aria tra se' e l'uomo che lo sovrastava, con quel pallido volto aristocratico. 

Così magari prima di ammazzarmi si fa un altro giro su di me - quello non lo disse ad alta voce, pensava fosse implicito. Lucius Malfoy ormai non poteva più abbrancarlo in modo innocente.

"Ti porto dal tuo tutore legale, Potter."

"Non le credo."

"Certo, abbiamo camminato in questo letamaio invece di smaterializzarci perché mi piace così tanto."

Il sarcasmo nella voce strascicata di Lucius zittì la replica di Harry.

"Non voglio che ti prostituisci mai più."

"Ho voglia di farle un pompino, mica le ho detto che deve pagarmi."

"Potter, smettila immediatamente con questo atteggiamento ed apri bene le orecchie. Non voglio rivedere scene simili, mai più."

"E perché? Che cosa gliene importa?"

"Perché..."

Una pausa.

Harry fissava i gelidi occhi grigi di Lucius Malfoy. Sentiva, stridulo, l'odore della sua pietà in quella esitazione, così forte da dargli la nausea, come quando il Babbano aveva rischiato di scoprirgli la bacchetta.

Lucius lo lasciò andare come se non potesse sopportare un momento di più quella vicinanza.

"Non lo so, Potter."

Il vento gelido della notte ormai faceva rabbrividire, la strada era vuota. L'illusione dell'estate calda cadeva.

"Forse perché non ne hai davvero voglia. Forse perché lo stai facendo solo per distruggerti..."

"Non é vero, lo faccio perché mi va."

"Con me lo hai fatto perché ti andava, Potter. Se adesso dici che é stato lo stesso anche con quel mezze maniche Babbano che ti ha portato a bordo del suo trabiccolo infernale, mi offendo sul serio."

"Mi va ed avevo bisogno di soldi."

"Soldi ne hai e non ti ho sentito soddisfatto."

"Santo cielo, non si é perso un dettaglio!"

Un passo nella sua direzione, l'aria gelida della notte gonfiò il mantello di Lucius.

Harry rimase immobile, inchiodato sul posto.

Abbastanza, un istante, per rendersi conto che era inutile incazzarsi. Che Lucius Malfoy gli stava dicendo esattamente la verità.

*

"Lei é il peggiore dei pervertiti, l'apoteosi dei pervertiti, peggio di tutti quei Babbani!"

Harry glielo sibilava in un orecchio, mentre Lucius Malfoy gli entrava dentro come una lama nel burro, inverdendo sensazioni innominabili, portando a galla la furia segreta consumata in una vecchia abitazione d'inizio secolo.

Più per convincere se' stesso che altro, mentre assorbiva le sue spinte, Harry aveva bisogno di sussurrare improperi contro quel collo eburneo.

Per negare quell'eccitazione folle ed insensata o almeno provarci, non che servisse a qualcosa.

Questa volta la storia era brutale, consumata nel retro di un vicolo squallido all'imbocco di Spinner's End, vicino alla cucina buia di una pizzeria Babbana, con il signor Malfoy che lo teneva per i fianchi e lo faceva aggrappare alla grondaia del palazzo.

Lucius aveva trovato i condom Babbani e li aveva aggiunti alle cose-che-non-capiva di quel mondo, mentre sollevava grandiosi incantesimi di protezione.

Lucius non pensava che quei ridicoli pezzetti di plastica servissero a nulla, ma Harry non era in condizione di spiegargli che si sbagliava.

Gli occhi quasi rovesciati dal piacere, la schiena tremante sotto il tocco avido di Lucius, il ragazzo non pensava più a niente.

"Lei é il peggior bastardo del mondo, dopo il suo capo!"

"E come ti piace..."

*

"Ecco."

Ansimò quella voce strascicata alle spalle di Harry, quando fu tutto finito.

"Questa volta ti é piaciuto, Potter. In caso tu non sappia riconoscere la differenza..."

Chapter 30: La furia di Severus

Chapter Text


 

Chissà con chi sei stato, chissà che malattie hai addosso ora, era un Severus Snape infuriato che gli urlava queste cose ed Harry non sapeva dire se lo pensasse o meno. Sapeva che Snape era solito perdere il controllo, l’aveva visto accadere già prima di essere recuperato da lui a Privet Drive, a dire il vero.

Chissà con quanti lo hai fatto, venduto per poche sterline, e l’aveva preso per le braccia, forte, Harry non aveva osato protestare. Nemmeno lamentarsi, aveva solo chiuso gli occhi aspettando che finisse. Non finiva. 
Lucius Malfoy si era guardato bene dal presentarsi alla porta del dimesso appartamento di Spinner’s End.

Dicendo ‘ti riporto a casa dal tuo tutore’ intendeva che avrebbe accompagnato Harry fino all’inizio del vialetto e basta. Harry, per ovvie ragioni, non avrebbe mai fatto menzione del loro incontro.

Purtroppo per lui, non appena varcata la soglia, Snape l’aveva aggredito con la Legilimanzia.
Harry non aveva la minima opportunità di reggere il confronto.
Quella non era un’esercitazione e Severus l’aveva rivoltato come un calzino appena uscito dalla lavatrice.
Harry si era ritrovato steso sul divano, quando ormai era tutto finito.

Prima erano venute le informazioni più fresche, l’incontro con il Babbano al parcheggio, i soldi e i condom, lo scontro con ‘capo Joa’. Ormai la mente di Harry era un colabrodo, era come se Snape stesse frugando in un cassetto di sua proprietà, rivoltandolo a piacimento.
Harry gli correva dietro, impotente, senza la minima possibilità di fermarlo dal ficcare le mani ovunque.
Erano venute fuori immagini delle sue passeggiate lungo l’argine del fiume, ma Snape le aveva spinte da parte, provocando in Harry un dolore tremendo.
Se pure aveva urlato, Harry, di certo Snape non aveva smesso per questo. Le mani imperiose di Snape cercavano un altro ricordo, infatti, quello che nonostante tutto Harry era riuscito ad allontanare un po’.


Ma non appena Severus Snape si calmò, scovò nella mente di Harry l’incontro con Lucius Malfoy. Sulle prime Harry sentì solo disagio. Ma, man mano che la sua mente veniva consultata, la rabbia di Snape divenne troppo forte anche per lui.

Snape lo schiaffeggiò quando vide che cosa Harry si era lasciato fare e con entusiasmo dal signor Malfoy.
Harry aveva visto gli occhiali volare, ma subito le mani di Snape l’avevano agguatato.

Quel solo ricordo non gli bastava, continuava a frugare, frugare e frugare. Ignorò anche le lacrime che iniziarono a scorrere sul volto del ragazzo, finché non venne fuori tutto.
La cioccolata buona come quella di Mielandia e le provocazioni di Harry nei confronti di Lucius Malfoy, i tremendi giorni del rapimento, la dimora di Little Hangleton… lui, Harry, che si faceva scopare al secondo piano, tutt’altro che sofferente nelle mani di Lucius.

Così Harry aveva ricevuto altri due schiaffi e poi parole dure, impensabili, taglienti. C’era qualcosa sul fatto che di vergognarsi per essersi fatto scopare da un Mangiamorte vecchio abbastanza da essere suo padre, ed a quel punto il ragazzo aveva risposto: “Senti chi parla!”

In quel momento, Severus Snape lo stava involontariamente spingendo spalle al muro. Al muro grigio e squallido della cucina, per essere precisi. Harry lo fissava con occhi lucenti da topolino, il labbro spaccato.
La rabbia di Snape si era sgonfiata come un palloncino a quella vista.

Finalmente, il Potion Master aveva cercato di allungare le braccia.

“No!” E Harry era balzato via, pulendosi rabbiosamente la bocca con la mano. Aveva infilato la porta, Harry,
Severus Snape a quel punto l’aveva raggiunto, abbrancato, che Harry lo volesse o meno.


Prima ancora che Harry potesse  rendersene conto, urla e pianto riempirono il soffitto. Suoni emessi da lui stesso,
Suoni e terribili parole.
Forse il risultato del lavoro così impulsivo e violento di Severus Snape sulla sua mente.
Latrati da animale ferito, quella voce.

“Si, mi sono fatto fottere, si, da Lucius Malfoy, che potrebbe essere mio padre e gliel’ho succhiato e me lo sono fatto mettere nel culo e mi é piaciuto! Lo sa come mi ha tortuato, facendomelo drizzare senza farmi venire per tre giorni! Tre giorni, stavo per impazzire, ma oh, gli ho innaffiato quei suoi bei capelli biondi, alla fine! Si, ho scopato con gli impiegati Babbani, a pagamento, venti sterline la bocca, cinquanta per mettermelo dentro, sono solo un rifiuto, uno scherzo, mi ha scopato il mio stesso zio, a nessuno frega un cazzo! Mi lasci! Mi lasci!”

Ma Severus Snape non lo lasciava.
Si stava prendendo chissà quanti calci negli stinchi, aveva voglia di urlare, ma non lo lasciò.
Non lo lasciò finché Harry non ricadde esausto contro il suo petto, piangendo.
Piangendo e basta.

Poi non ci fu bisogno di parlare, solo di lasciarsi guidare. Severus pulì le ferite che aveva provocato egli stesso, odiandosi non meno di quanto aveva sempre fatto. Infilò al ragazzo un pigiama pulito, indossò egli stesso il pigiama.

Infilò Harry a letto, spense la luce e lo seguì.
Sulle prime sembrò che Harry volesse restarsene congelato, immobile al suo posto. Quando le braccia di Snape lo raggiunsero invece si voltò, e vi si abbandonò.

Severus prese a massaggiarlo dietro la schiena come tanti, tanti mesi prima. Teneramente, sentendo tutta la rabbia ed il dolore fluire lontano, quella volta.

Ecco. Così, bene. Potter era al sicuro. Non era forse lui, Severus, il meno peggio che potesse capitargli? Ma si.

Il Potion Master si sentiva restituito a se’ stesso, dopo giorni di dolore. Potter iniziava a russare contro il suo petto.

Ben presto, Severus iniziò ad assopirsi anche lui.