Chapter Text
Charlie era rimasta tutto il tempo nella sua stanza da quando aveva involontariamente dato fuoco alla cucina. Nella frenesia del momento si era perfino portata via ciò che rimaneva del grembiule di Alastor e in quel momento era seduta sul letto a fissarlo penzolare da un angolo della cassettiera di legno fornita di specchio ovale.
Tornò a puntare gli occhi sulle assi di legno sotto di lei, mentre dondolava le gambe oltre il bordo del materasso, per poi guardare la stanza. Era abbastanza asettica, per quanto impeccabile e più grande di quanto si sarebbe aspettata. Una finestra ampia e dai vetri scintillanti spiccava su una parete, davanti ad essa un divanetto in pelle sui toni del verde scuro e morbidi cuscini dello stesso colore, le tende pesanti e in velluto legate da dei cordini dorati che permettevano alla luce mattutina di non filtrare. Al soffitto era appeso un lampadario a goccia molto simile a quello che c’era nella sala del locale. I muri erano bianchi, privi di qualsiasi quadro o decorazione, come se stessero aspettando che fosse lei a mettere qualcosa. Il letto a baldacchino aveva delle lenzuola chiare di lino come quelle degli hotel e i cuscini odoravano di lavanda. Oltre alla cassettiera, aveva anche una piccola cabina armadio, ma lei ancora non aveva disfatto l’immensa valigia rosa che si era portata dietro. La stanza era fornita anche di un bagno personale completo sia di vasca che doccia, la rubinetteria era scura e i sanitari color avorio; era l’unica stanza a non avere un pavimento di pietra e non di legno. Quando era arrivata si era stupida che Alastor le avesse riservato una stanza tanto grande e gli fu grata per quella premura, per quanto non lo ritenesse necessario.
Nonostante fosse solo un piano sopra al locale, non aveva sentito alcun rumore provenire dai piani sottostanti; probabilmente il Signore Supremo si era premurato di insonorizzare la stanza in caso di eventuali ospiti. La sera prima aveva camminato avanti e indietro per ore, indecisa se provare a scendere o meno, ma alla fine aveva rinunciato alla sua idea e si era buttata di faccia sul letto sperando di essere catturata dal sonno. Niffty era stata gentile e le aveva portato qualcosa da mangiare e da bere per cena prima di cominciare il servizio serale e osservò il vassoio d’argento ancora appoggiato al comodino, la cloche poco lontana lasciando scoperto quel poco che aveva lasciato nel piatto.
Il suo stomaco gorgogliante la costrinse a tirarsi su dal letto per andarsi a procacciare qualcosa per la colazione, magari avrebbe trovato del latte e dei cereali per evitare altri disastri.
Si diede una veloce lavata alla faccia e si infilò le sue pantofole di peluche che aveva avuto l’accortezza di portare via da casa. Si guardò nello specchio della cassettiera, mentre si pettinava i capelli per darsi almeno una sistemata. Non conosceva ancora le abitudini di quel posto, ma a casa sua lei era solita scendere a fare colazione ancora in pigiama e si chiese se anche lì sarebbe stato lo stesso.
Tanto vale tentare pensò, stirando con le mani la maglia rossa a maniche lunghe, prima di prendere il vassoio per portarlo al piano inferiore.
Nel corridoio fuori dalla sua stanza regnava il silenzio. In totale c’erano sei porte posizionate lungo il corridoio, tre per lato. Quella dal lato opposto rispetto alla sua stanza era quella di Alastor, che si trovava in fondo verso l’unica finestra che faceva passare la luce esterna. In quello stesso angolo c’erano le scale che portavano ai piani superiori e, probabilmente, anche alla sua torre radio. La sua invece era la stanza più vicina alla scala che portava al retro del locale e la sua finestra dava sul cortile interno. La vista, infatti, era forse l’unica pecca della perfetta stanza che lui le aveva riservato. Non si vedeva molto se non il vicolo dietro al locale e le finestre dei vicini.
Di fronte a lei c’era quella che identificò come la stanza di Husk, dato che troneggiava un cartellino di plastica attaccato al pomello con scritto “Non rompermi i coglioni, sono in pausa”.
- Chiaro – commentò osservandolo, per poi prendere la via del retro.
Entrò in cucina e con sua somma gioia notò che il pavimento era di nuovo immacolato, delle bruciature non era rimasta la benché minima traccia. Appoggiò il vassoio sul lavello, ci avrebbe pensato a lavarlo una volta finita la colazione.
Sentiva distintamente il profumo di caffè arrivare da qualche parte, ma in cucina non c’era traccia di nessuna caffettiera o macchinetta e seguì l’odore fino a quando non si rese conto che arrivava dallo studio di Alastor.
Sbirciò oltre l’uscio semiaperto e notò che il Signore Supremo era seduto alla scrivania che sorseggiava da una tazza, mentre aveva aperto il giornale davanti al viso.
Avrebbe voluto entrare per salutarlo, ma si rese conto che lui era già perfettamente vestito, mentre lei era ancora in pigiama e non voleva farsi trovare in quel modo indecoroso.
- Niff, mi passi l’aranciata? -.
La voce di Angel proveniente dalla sala del locale attirò la sua attenzione e si decise a tornare più tardi per parlare con lui, almeno avrebbe avuto il tempo di sistemarsi.
Quando arrivò nella sala fu felice di constatare che gli altri coinquilini non condividevano l’impeccabilità del loro ospite. Erano ancora tutti in pigiama esattamente come lei, perfino Husk.
- Buongiorno – li salutò alzando la mano.
Angel ricambiò il saluto con un cenno della testa. – Dormito bene? -.
Annuì, anche se in realtà era stato un sonno decisamente agitato. Ancora non si capacitava del fatto di essere letteralmente scappata di casa per rifugiarsi nella tana di un Signore Supremo, ma prima o poi ci avrebbe fatto l’abitudine.
Su uno dei tavoli della sala era appoggiato un quantitativo spropositato di brioches e pasticcini, insieme al caffè, succo d’arancia e di mirtilli. Gli altri erano seduti intorno e si servivano da sé e quindi pensò di fare la stessa cosa, prendendo una sedia e mettendosi lì con loro.
- Li hai preparati tu? – chiese a Niffty, mentre prendeva un croissant che sembrava colmo di marmellata.
Questa scosse la testa. – Arrivano tutte le mattine dalla pasticceria qua vicino -.
- Già, la demone che ci lavora ancora non ha capito che Mr. Sorriso odia i dolci – commentò Angel, addentando una pasta alla frutta. – Non sa cosa si perde -.
- Lei sicuramente nulla – commentò atono Husk, mentre beveva dalla tazza.
Li guardò tutti con aria perplessa. – Volete dirmi che glieli fa avere tutte le mattine? E lui? -.
Il barista alzò le spalle. – Lui ringrazia e poi declina i suoi inviti ad uscire -.
Guardò il cibo che aveva davanti con disappunto. – Beh potrebbe almeno farlo una volta, almeno in amicizia per ricambiare la cortesia -.
Angel ghignò divertito. – È più probabile che un cammello passi per la cruna dell’ago, che Alastor esca con un essere maschile o femminile che sia -.
Si segnò mentalmente di parlargli di quella faccenda, si sentiva a disagio a mangiare qualcosa che in teoria non era neanche riservato a lei, magari preparato con cura e affetto, e sapere che il demone della radio neanche si prendeva la briga di offrire alla poveretta un caffè. Il croissant però era talmente buono che non riuscì più a pensarci e si ritrovò a mangiarlo serenamente, mentre sorseggiava del succo d’arancia.
- Allora, come andrà questa faccenda della redenzione? – domandò Angel a bruciapelo.
Lei quasi si strozzò con il succo che stava bevendo e Niffty cominciò a picchiettarle sulla schiena in un disperato tentativo di aiutarla. Non ci aveva pensato per nulla tanto era stata presa dalla lite con suo padre e Vaggie e poi dal rischio di dare fuoco al locale. Sera aveva detto che avrebbero dettato loro le condizioni e che le avrebbero richiesto delle informazioni sulle anime che voleva tentare di redimere, ma avrebbe comunque dovuto cercare anche da sola un modo per aiutarli in quel processo.
La dura realtà, però, era che non aveva idea di come cominciare. Era stato tutto talmente veloce che a malapena aveva avuto modo di rifletterci, per quanto avesse già alcune idee.
- Beh, in realtà non sono ancora sicura – balbettò, cercando di sembrare serena. – Insomma, magari stamattina andrò in libreria a cercare qualcosa al riguardo -.
Husk allargò gli occhi. – Non per offendere, ma siamo all’Inferno; non penso che nessuna libreria venda una qualche sorta di sacra scrittura -.
- E non penso neanche che esista in “Manuale del buon peccatore”, a meno che non voglia essere tu la prima a scriverlo – aggiunse Angel, sistemandosi il nodo della vestaglia di seta nera che portava.
Trattenne il sospiro rassegnato che stava per uscirle dalle labbra e cominciò a versare lo zucchero nella tazza di caffè che si era appena versata. Non avevano torto, ma sperava che magari ci fosse qualcosa che potesse darle qualche idea, magari dei libri sulla meditazione o sulla crescita personale.
Niffty saltò improvvisamente giù dalla sedia. – La doccia è mia! – sibilò con tono di sfida, prima di dileguarsi di corsa.
Angel scattò in piedi. – Non finire di nuovo l’acqua calda maledizione! Sei un criceto e ne consumi quanto un elefante! -.
Li guardò entrambi con aria interrogativa. – Non avete il bagno nella stanza? -.
Husk scosse la testa. – Bagni in comune al piano superiore, perché tu ne hai uno? -.
Si sentì avvampare a quella domanda e non seppe cosa rispondere. Non voleva mettere in difficoltà Alastor, ma allo stesso tempo avrebbero tutti notato il fatto che lei non entrava mai in quello in comune e si ritrovò a strafogarsi per evitare di rispondere, anche se l’occhiata esasperata di Angel sembrò essere abbastanza eloquente.
- Non gli bastava mettermi nella stanza davanti alla fottuta luce al neon che mi tiene sveglio tutta la notte, manco il bagno mi ha dato – commentò stizzito, mentre si accendeva una sigaretta.
Husk allungò una mano verso il demone ragno. – Me ne offri una? Non ho voglia di salire -.
Questo gli rispose con un’occhiata ammiccante. – E tu cosa mi dai in cambio? -.
- Fanculo, me le vado a prendere – rispose, alzandosi dalla sedia e facendola strusciare rumorosamente a terra.
Sospirò, mentre prendeva atto di quanto sarebbe stato difficile provare a redimere il gruppo che aveva di fronte. Nessuno di loro sembrava realmente interessato per il momento, ma probabilmente era anche dovuto al fatto che non avevano idea di ciò che avrebbero dovuto fare da quel momento in poi e in tutta onestà neanche lei ne era del tutto certa. Avrebbe dovuto mettersi al lavoro quanto prima, già da quella mattina.
- Vado di sopra a vedere se Niff ha finito, non voglio che Husk finisca definitivamente l’acqua – disse Angel alzandosi in piedi.
Charlie lo fermò. – Puoi usare la mia doccia, per me non è un problema -.
L’amico le rivolse un sorriso grato. – Grazie! Allora ne approfitto -.
Sparì dalla sua vista e lei si ritrovò da sola nella stanza, a farle compagnia solo il ticchettio dell’orologio a parete dietro di lei e il rumore delle sue mascelle che trangugiavano l’ennesimo croissant ripieno. Faticava a mettere in ordine le idee in quel momento, aveva talmente tanto cose da organizzare che le sembrava impossibile.
Ho bisogno di una lista si disse convinta, alzandosi in piedi pronta per la giornata. Guardò il tavolo con ancora sopra tutte le tazze e posate usate dagli altri e si disse che almeno avrebbe dovuto portarle via. Ne prese quante più possibile e si diresse verso la cucina, spingendo con la schiena la porta a ventola e facendo una piroetta per voltarsi.
Trasalì quando si rese conto di essersi ritrovata davanti Alastor, un sorriso smagliante come al solito e perfettamente pronto per la giornata. La porta tornò indietro finendole addosso e alcune tazze le scivolarono dalle mani e lei chiuse gli occhi pronta a sentirle infrangersi sul pavimento e preparandosi psicologicamente all’ennesima figuraccia in meno di ventiquattro ore.
Nessun suono arrivò alle sue orecchie e quando aprì gli occhi vide che alcuni tentacoli scuri sbucati dal pavimento avevano afferrato le tazze prima che si infrangessero al suolo.
- Bonjour Charlie – proferì sereno Alastor. – Non c’è bisogno che ti scomodi con le faccende, se ne sarebbero occupate le mie ombre a breve -.
Ingoiò a fatica la saliva, mentre tentava di non farsi cadere altro dalle mani e cercava di sforzare un sorriso. – Bu-buongiorno Alastor – mormorò. – Non lo sapevo, pensavo che ognuno facesse da sé -.
Il demone le levò alcune posate pericolosamente in bilico dalle sue dita, per appoggiarle sul ripiano della cucina dietro di lui. – Ma certo, chérie. Ti ci vorrà un po’ di tempo per abituarti alla routine della casa – rispose.
Appoggiò a sua volta tutto sul ripiano e notò che quella mattina lui non portava il suo solito papillon rosso e la camicia era aperta per alcuni bottoni. Dei segni delle dita di suo padre non rimanevano praticamente tracce, ma, come il giorno prima, notò che sul petto sporgevano alcune cicatrici scure che probabilmente si allungavano lungo tutto il petto e si ritrovò ad arrossire di nuovo. Avrebbe voluto chiedergli come se le fosse fatte, ma non gli sembrava davvero il caso. Alastor sembrava una persona decisamente riservata e ficcanasare nella sua vita già i primi giorni di convivenza sarebbe stato controproducente, avrebbe avuto modo di farselo raccontare in futuro.
Distolse lo sguardo e si diede mentalmente una pacca sulla fronte, rendendosi conto che lei era impresentabile. Aveva ancora il pigiama rosso e ai piedi portava delle pantofole che raffiguravano due coniglietti bianchi con tanto di orecchie che strisciavano sul pavimento, ad una mancava perfino un occhio e sull’altra il naso. Doveva sembrargli una bambina incapace.
- Allora, quale sarà il tuo programma di oggi? Avrai bisogno della mia presenza? – le chiese, appoggiandosi con la schiena e con i palmi delle mani al ripiano dietro di lui.
Si riscosse, continuando a cercare di non guardare le cicatrici scure. – Ehm…non lo so…cioè…non vorrei disturbarti -.
Alastor piegò la testa di lato. – Mi sembri nervosa Charlie, qualcosa ti turba? -.
Quelle cicatrici, come te le sei fatte? È stato un demone? È successo da vivo? Perché non mi sono cambiata prima di scendere? Formulò tutti quei pensieri mentre all’esterno cercava di rimanere impassibile e di continuare a mantenere il sorriso, anche se le facevano male le guance per lo sforzo.
- Oh no! Solo che non ho dormito molto bene. Sai, un letto nuovo – rise fuori con voce fin troppo stridula anche per le sue orecchie.
Il demone continuò imperterrito con le domande. – Pensi che sia necessario cambiare il materasso? -.
Avrebbe voluto seppellirsi, come faceva a non capire che si sentiva a disagio per il modo in cui era conciata in quel momento? Tentò di fare qualche passo a sinistra per raggiungere la porta che portava ai piani superiori, ma il Signore Supremo sembrò seguirla.
- No assolutamente! Cioè mi ci abituerò, sono adattiva! Sai, come gli animali, tipo i cervi. Capisci no? -.
Ma. Come. Mi. È. Venuto. In. Mente? sillabò internamente, mentre la voglia di prendere a testate il ripiano di metallo di fronte a lei si faceva strada nella sua mente. Se lo avesse avuto più vicino sarebbe stata capace di condire quell’infelice uscita con una gomitata amichevole.
Gli occhi cremisi di Alastor si allargarono, mentre le orecchie si tiravano indietro e il sorriso si chiudeva. – Come…prego? -.
A quel punto era certa che il suo viso scottasse al punto da poterci mettere a cuocere delle uova e il suo outfit imbarazzante diventò l’ultimo dei suoi problemi. – Niente! Ora vado a cambiarmi, parliamo dopo che ne dici? -.
Sparì prima che lui avesse modo di risponderle e salì le scale di legno ad una velocità disarmante, entrando poi dentro la sua stanza e chiudendosi la porta alle spalle, lasciandocisi scivolare contro e crollando con il sedere per terra. Era assurdo come con Alastor riuscisse sempre a sembrare una povera decerebrata incapace di formulare una frase di senso compiuto, senza contare che aveva rischiato di fare l’ennesimo disastro rompendo anche le tazze.
Lasciò crollare le gambe a terra cominciando a muoverle in preda all’isteria e nascondendo il viso dietro le mani. – Ma perché?! Perché?! -.
- Ehm…Charlie…tutto bene? -.
La voce di Angel la raggiunse e lo trovò che sbucava dalla porta del bagno, in testa aveva un asciugamano arrotolato e un accappatoio addosso. La fissava con aria spaesata e preoccupata al tempo stesso e lei lasciò cadere la testa contro la porta, il conto delle figuracce non faceva altro che aumentare di minuto in minuto.
- Abbastanza…cioè no…o meglio…perché faccio solo danni?! -.
L’amico sospirò, prima di richiudersi la porta alle spalle. – Finisco la doccia e ne parliamo, va bene? -.
Alastor era rimasto letteralmente gelato. La principessa cominciava ad urtare ogni secondo di più i suoi nervi già tesi dalla presenza di Angel Dust e sembrava perfino vittima di una costante diarrea linguistica che le impediva di mettere in ordine frasi di senso compiuto. Come se non bastasse, continuava a mantenere quell’atteggiamento assurdo con lui e non riusciva davvero a capacitarsene.
Si massaggiò le tempie ripensando all’interazione appena avuta, ma non riusciva davvero a capire dove avesse sbagliato. Strinse i denti e respirò profondamente; lui non aveva sbagliato proprio niente. Il problema era che quella demone aveva reazioni spropositate e per lui imprevedibili e questo sarebbe stato un vero problema per i suoi progetti. Aveva sottovalutato l’uragano che si era infilato volontariamente nella sua stessa casa e ora avrebbe dovuto farci i conti, l’unica nota positiva era che era un caos propedeutico ai suoi obbiettivi finali e quindi avrebbe potuto accettarlo o almeno avrebbe dovuto fare del suo meglio per provarci.
Evocò i suoi servi in modo che sistemassero la sala del locale, mentre lui tornava nel suo studio per esaminare alcuni rendiconti. Continuava a rigirarsi i foglio tra gli artigli, ma il pensiero di avere sotto il suo stesso tetto la principessa lo stava rendendo nervoso ogni secondo di più. Aveva ingenuamente pensato che sarebbe stato tutto molto più semplice; invece, lei continuava a seppellirlo di assurde situazioni a cui non era decisamente abituato. Era sempre stato un uomo organizzato, con una rigida routine e ancora più rigide regole di comportamento che si aspettava che gli altri rispettassero. Si era creato un equilibrio perfetto inserendovi Niffty ed Husk e, in qualche modo assurdo, perfino il demone ragno che tanto odiava. Ora che però lei era arrivata, quell’equilibrio sembrava essere stato messo a dura prova e avrebbe dovuto fare del suo meglio per inserircela a forza e prevedere le sue assurdità.
Riappoggiò i fogli sulla scrivania e lasciò che la sua ombra gli sistemasse il papillon al collo, mentre lui valutava le mosse della giornata. Avrebbe dovuto rinunciare alla sua passeggiata, dato che Charlie non gli aveva ancora fatto sapere cosa avesse intenzione di fare e voleva sembrarle disponibile per lei in caso di necessità. Questo per lui era già un problema, amava quelle ore di solitudine che si riservava per camminare lungo le strade di Pentagram City, magari fermandosi a Cannibal Town per procurarsi della carne di prima scelta per il suo pranzo che avrebbe consumato o sul posto o al suo locale. Ogni tanto si fermava a chiacchierare con Rosie per essere messo a parte delle ultime novità, organizzando poi la scaletta del suo programma radio pomeridiano. Il giorno prima aveva già dovuto rinunciare a causa dell’interruzione di Charlie e ringhiò al pensiero dell’ennesimo cambio all’ultimo secondo che aveva dovuto operare alla sua abituale organizzazione.
La sua ombra sembrava già pronta ad uscire, ma la bloccò con lo sguardo. – Non oggi amica mia, abbiamo un ospite e dobbiamo essere pronti a soddisfare le sue richieste -.
Questa sembrò mettere su un’aria risentita, incrociando le braccia e sparendo di nuovo dietro di lui. Ci mancava dover sopportare le turbe della sua stessa ombra, nessuno dei due era abituato a quelle nuove follie.
- Alastor? Sei qui? -.
È già tornata pensò prendendo un profondo respiro e socchiudendo gli occhi. Si massaggiò le palpebre, prima di rimettersi il monocolo sul naso e riprendere il piglio che le aveva sempre mostrato.
- Entra pure, chérie – la chiamò, attendendo che facesse il suo ingresso.
La testa di capelli biondi fece capolino oltre l’uscio. Doveva essersi sistemata, dato che non aveva più addosso quell’orribile pigiama e quelle ciabatte inguardabili. Indossava un tailleur rosso accesso con un papillon nero e una camicia bianca e si ritrovò a chiedersi se non avesse scelto quel tipo di abbigliamento in una sorta di pallida imitazione del suo. Era però altamente improbabile dato il modo sicuro di muoversi che aveva recuperato, doveva essere qualcosa che portava spesso da ben prima del loro incontro e che la faceva sentire a suo agio.
Sembrava più rilassata e lui la invitò con un gesto garbato della mano a prendere posto di fronte a lui.
La principessa si mise seduta, mentre si lisciava le pieghe della giacca e guardava poi i foglio sulla sua scrivania. – Se sei alle prese con i conti non voglio portarti via tempo, possiamo vederci più tardi -.
Trattenne il tic all’occhio a fatica. Non solo lo aveva fatto rinunciare alla sua passeggiata, ma ora tentava di mettere becco perfino nel suo pomeriggio. Doveva mettere dei paletti a quella situazione per evitare che lei rovinasse la sua assodata routine rigenerante prima del lavoro serale.
Si appoggiò meglio con la schiena alla sedia prima di parlare. – Non preoccuparti, sono cose che possono aspettare. Mi sono preso una pausa dai miei impegni mattutini per aiutarti -.
Bene, in quel modo le aveva messo la pulce nell’orecchio, ora doveva solo sperare che fosse abbastanza sveglia da coglierla.
Come prevedibile, lei allargò gli occhi. – Non devi cambiare le tue abitudini per me! Io al momento non ho molto da fare se non pensare ai prossimi passi; quindi, possiamo organizzarci in base a ciò che devi fare fino a quando non decideremo come procedere! -.
- Charlie, sono ben felice di cambiare la mia agenda per poterti sostenere – mentì talmente bene da stupirsi di sé stesso.
Lei scrollò le mani e la testa. – Insisto Alastor, sei già stato abbastanza paziente e gentile con me – esordì, mentre tirava fuori un’agenda di un vibrante color pesca con degli sticker di orribili faccine sorridenti attaccati ovunque. – Io ho preparato un’ipotetica lista di cose da fare, però dimmi come sei organizzato di solito in modo da parlarne -.
Organizzata, comincia a guadagnare punti pensò, mentre l’angolo sinistro della sua bocca si tirava maggiormente. – Se proprio insisti, però ci tengo prima a precisare che sarò ben felice di modificarla nel caso ti risulti maggiormente congeniale -.
La principessa allargò solo un angolo della bocca. – Dai, spara! – disse allegra, mentre cliccava sulla penna per prepararsi a prendere appunti.
- Di solito al mattino mi prendo un paio d’ore per una passeggiata, ma ieri per esempio per attenderti la ho ritardata al pomeriggio come avrai notato -, ci teneva a precisare anche quel punto e in quel modo voleva anche comunicarle velatamente che aveva atteso il suo arrivo in modo da inculcarle in testa che lui, almeno in apparenza, teneva ad avere i suoi riscontri.
Charlie vibrò sulla sedia e alzò gli occhi dall’agenda. – Grazie! – esordì con un tono lievemente tremante. – Comunque va bene, hai degli orari precisi in cui ti alzi? Così mi segno un ipotetico slot off-limits -.
Adorabile pensò soddisfatto. – Sono particolarmente mattiniero, ma diciamo che puoi ritenere occupati gli orari che vanno dalle nove alle undici – rispose, sistemandosi il monocolo sull’occhio. – L’ora di pranzo qua è libera per tutti, ma io sono solito fermarmi fuori o tornare per prepararmelo da me. Sono libero solitamente fino alle quattro, mi riservo un’ora per il mio programma o due in caso di novità particolari -.
Lei continuava a scrivere mentre teneva la lingua tra i denti. – Programma radio dalle quattro – mormorò, per poi alzare gli occhi su di lui. – A proposito di programma, dici che magari potremmo sponsorizzare la mia iniziativa? È uno dei punti che ti avrei chiesto a breve – continuò, voltando l’agenda e mostrandogli l’infinita lista che aveva buttato giù.
Si ritrovò a sbarrare gli occhi, mentre la saliva gli si incastrava in gola. Aveva stupidamente sperato che le tre anime che le aveva procurato le bastassero, ma era conscio che una richiesta come quella sarebbe potuta arrivare, nonostante sperasse con ogni fibra del suo essere che lei non avanzasse tali pretese. Per sua sfortuna, la principessa era più sveglia di quanto avesse inizialmente pensato e quindi avrebbe dovuto ricalibrare i suoi modi. Dirle un no secco avrebbe potuto incrinare il rapporto che stava iniziando a costruire; perciò, avrebbe dovuto optare per una via più diplomatica.
Si schiarì la gola prima di parlare. – Certamente, però penso che prima sia più importante strutturare una strategia chiara e sapere cosa ci verrà richiesto, in modo da essere perfettamente pronti a qualsiasi evenienza -.
Charlie annuì convinta. – Giusto, hai ragione! – esordì riprendendo l’agenda. – Il locale poi apre alle otto, giusto? -.
Lui rispose con un cenno del capo. – Di solito per le sette faccio un controllo generale con Husker e Niffty per essere tranquillo che sia tutto in ordine -.
- Sei un tipo preciso – commentò a mezza voce. – Ma meglio così, c’è bisogno di ragionare lucidamente su tutte le sfide che si presenteranno -.
La osservò scrivere freneticamente, tenendo l’agenda appoggiata sulle gambe e gli occhi concentrati, per poi aprire un evidenziatore con i denti e cominciare a sottolineare alcune cose in maniera precisa. Sembrava un’alunna che prendeva appunti durante una lezione e si ritrovò ad osservarla incuriosito; dopo i recenti avvenimenti non si sarebbe certo aspettato una tale attenzione da parte sua. Continuava a rivelarsi una costante sorpresa e questo era un chiaro campanello d’allarme; avrebbe dovuto fare del suo meglio per metterla sotto il suo controllo. Inizialmente l’aveva valutata come una ragazzina sprovveduta, ma quel nuovo atteggiamento rivelava una mente più acuta di quanto pensasse, anche se sicuramente non paragonabile alla sua.
- Bene – esordì soddisfatta. – Direi che ora non ci resta che cominciare ad organizzare tutti gli altri -.
Alastor annuì, alzandosi in piedi, forse sarebbe comunque riuscito a prendersi un’ora d’aria prima del pomeriggio se avevano già finito. – Ritengo che in questo campo, tu sia la più esperta chérie. Sarò però lieto di vederti questo pomeriggio per parlarne meglio -.
Lei alzò il pollice. – Dalle due alle quattro – disse alzando il mento. – Segnato ogni cosa, sarò pronta -.
Prese il suo soprabito e se lo infilò, lasciando che lei uscisse per prima oltre la porta del suo studio e seguendola a breve distanza. Notò però con disappunto che lei stava uscendo insieme a lui e che si dirigeva verso la porta d’ingresso al locale.
- Esci anche tu? Pensi ad una passeggiata per schiarirti le idee? – domandò, tentando di non farle notare quanto la cosa lo stesse irritando.
Lei annuì ancora, mentre lasciava l’agenda sotto il bancone insieme alla penna e all’evidenziatore. In un punto dove non avrebbe dovuto lasciare nulla nessuno! Il tic all’occhio rischiò di farsi prepotente e lo massaggiò per cercare di non farlo notare alla principessa, che nel frattempo prendeva l’uscita con fare allegro e solare.
- Possiamo fare un pezzo di strada insieme a magari parlare ancora, volevo passare in una libreria – rispose.
Maledizione, ancora tra i piedi pensò irritato, ma allargando il sorriso e seguendola all’esterno. Purtroppo per lui, la via che prendeva di solito era proprio sulla strada di una delle tante librerie della città e non voleva cambiare strada solo per quell’imprevisto, sarebbe sembrato sospetto se lei per sbaglio l’avesse incontrato poco dopo.
- Ottima idea – commentò, mentre le teneva la porta per farla uscire.
Le strade erano ancora stranamente vuote e la vide osservare la attività nei dintorni come alla ricerca di qualcosa e si interrogò a lungo su cosa stesse cercando in quel momento, ma ogni suo dubbio venne dissipato in fretta.
- “Inferno di zucchero” – sussurrò guardando la pasticceria poco lontana. – È quella che ti manda tutti i giorni i dolci? -.
Dannata piattola petulante pensò, ritenendo ovvio che fosse stato proprio Angel Dust a metterla a parte di quella spiacevole situazione. La proprietaria lo tormentava da mesi e lui la lasciava fare perché gli evitava che Niffty ed Husk svuotassero la cella almeno al mattino. Era un compromesso che poteva accettare, contando che la demone in questione non sembrava afferrare il banale concetto di no.
Annuì cercando di sembrare disinvolto. – Camille ha aperto recentemente e per una questione di buon vicinato mi sembrerebbe scortese rifiutare ogni volta i suoi doni -.
Charlie cominciò a mordersi l’unghia dell’indice, mentre si faceva pensierosa. – Però magari potresti offrirle un caffè o chessò, invitarla al locale e offrirle la cena per ricambiare -.
Rischiò di bloccarsi in mezzo alla strada per quel commento alla sua vita privata. Il fatto che ancora non avesse fatto a pezzi la proprietaria della pasticceria per la sua insistenza gli era già sembrato un gesto abbastanza magnanimo, quello che gli stava chiedendo era assurdo e inconcepibile! Avrebbe dovuto avere per ore tra i piedi quell’insopportabile essere? Era escluso!
- Non vorrei alimentare false speranze – rispose evasivo, mentre allungava il passo sperando di arrivare il più in fretta possibile alla libreria.
La principessa sembrava faticare a stargli dietro e la vide quasi fare una sorta di corsa per affiancarlo. – Però si può offrire la cena anche ad un’amica, con me l’hai fatto -.
Perché tu mi servi, lei no! rispose mentalmente, mentre teneva lo sguardo puntato davanti a sé. – Valuterò quest’opzione – sussurrò, cercando di trattenere il tono irritato.
- Magari potremmo proporre anche a lei il nostro progetto, potrebbe essere felice di partecipare -.
Questa volta non riuscì a trattenere il suono statico che gli uscì dalla bocca, così come il colpo di tosse che ne conseguì. Stava diventando fin troppo pressante con quella faccenda ed era fin troppo sveglia per i suoi gusti. Pensava giustamente di fargli sfruttare l’ascendente su Camille per coinvolgerla nel suo sconclusionato piano di redenzione e ottenere maggiori partecipanti. Piuttosto che averla in casa sua, però, si sarebbe fatto piantare degli spilli ardenti negli occhi! Sarebbero stati meno fastidiosi di quella pasticcera mielosa e svenevole.
- Ti ripeto, non mi attrae l’idea di dare false speranze. Non sarebbe una cosa carina nei confronti della povera Camille – provò ancora, mentre riprendeva a camminare facendo finta di nulla.
La sentì sbuffare. – Potrebbe essere l’inizio di una bella amicizia, cosa ti dice che in realtà tu non abbia solo bisogno di conoscerla meglio? -.
A quel punto il tic all’occhio era diventato incontrollabile e perfino la sua ombra sembrò sfotterlo. – Il fatto che sono sei mesi che siamo vicini di casa e non mi è mai sembrata una buona idea -.
Era stata eccessiva quella risposta, ma quella conversazione stava diventando decisamente snervante e voleva porvi fine il più in fretta possibile. Sperava che quel taglio netto mettesse un punto a qualunque tentativo della principessa, ma era più tenace di quanto si sarebbe aspettato.
Accelerò ancora di più il passo e lo fissò negli occhi mentre continuavano a camminare. – Tu prima di conoscermi magari non pensavi saremmo potuti diventare soci e amici, potrebbe succedere la stessa cosa con Camille -.
Prese un profondo respiro mentre socchiudeva gli occhi. Lei non aveva idea di quanto tempo avesse passato ad osservarla da lontano ogni qualvolta ne avesse l’occasione. Allungava sempre volontariamente la strada per passare davanti alle residenze dei reali e quella fatidica mattina l’aveva vista correre in maniera trafelata e si era messo sulla sua strada di proposito quando lei era abbastanza lontana da casa da non destare sospetti. Lei aveva fatto il resto grazie alla sua goffaggine arrivandogli addosso, dandogli l’opportunità perfetta. Quella demone non immaginava neanche lontanamente quanto ogni minima cosa per lui fosse calcolata in maniera maniacale ed era meglio così, preferiva che lo reputasse in quel modo. L’unica piacevole “coincidenza” di quel giorno era stato il fatto che lei gli desse modo di infilare il biglietto in maniera così particolare, per il resto era già stato tutto calcolato o quasi. Si rendeva conto solo in quel momento di quanta fortuna avesse realmente avuto, contando quanto assurde fossero in realtà le abitudini di Charlie. Erano un disegno intricato difficile da dissipare, ma lui era convinto di essere abbastanza esperto da poterci mettere un ordine.
Per sua fortuna, arrivarono davanti alla libreria e lui tornò a sorriderle allegro. – Ci farò un pensiero, chérie. Ora penso che tu sia arrivata a destinazione – esordì, indicandole con la mano il negozio.
La principessa sembrò riscuotersi e mise su un’espressione rattristata. – Oh, grazie – mormorò.
Maledizione pensò irritato, rendendosi conto che si stava già facendo scivolare le cose dalle mani. Non doveva darle modo di pensare di essere in qualche modo scortese o non convinto delle sue idee.
Le bloccò il passo con un braccio, sorridendole nella maniera più calorosa possibile. – Charlie, non pensare che non prenderò in considerazione la tua opinione – cominciò con tono caldo. – Credo molto nel nostro progetto, ma proprio per questo motivo penso che dovremmo valutare bene chi ne entra a far parte; non vorrei che Camille vi partecipasse spinta da un secondo fine rovinando tutto -.
La principessa puntò lo sguardo altrove, mentre però la sua espressione sembrava rasserenarsi. – Non hai tutti i torti…non vorrei che ti creasse problemi -.
Era riuscito a recuperare in fretta il terreno perso, ora era il momento di finire il lavoro. – Io voglio dimostrarti che tengo davvero alla riuscita della nostra nuova attività, per questo sono così attento anche ai più minimi dettagli come questo – esordì, osservando ogni minimo cambio d’espressione di lei. – Dopotutto, tu sei la prima che non ha creduto a priori sulle orribili dicerie sul mio conto -.
Gli occhi di lei si allargarono e a quel punto seppe di aver colpito nel segno. – Beh…tu sei il primo che ha creduto nella mia idea al punto da offrirsi di aiutarmi – rispose lei con un sorriso dolce.
Si stupì di essere riuscito a recuperare così in fretta quella sua piccola svista e non dovette fingere lo sguardo sereno e che le rivolse. – Ci vediamo più tardi, attendo con impazienza di sapere come vorai procedere -.
Dette quelle parole le voltò le spalle riprendendo la sua passeggiata, mentre la sua ombra sorrideva maligna davanti a lui.
Charlie aveva girato tutta la libreria indicata da Alastor, ma non aveva trovato nulla di adatto al suo scopo così ne aveva visitate altre tre nel tentativo di trovare qualcosa di utile. Il gestore dell’ultima era un demone lumaca dall’aria annoiata e che stava leggendo un fumetto, a malapena l’aveva notata quando era entrata. Il negozio era praticamente vuoto e gli scaffali erano colmi di polvere, probabilmente erano pochi i clienti che ci passavano. Non che si stupisse, era forse l’unica libreria a non avere il cartello di qualche rivista pornografica in vetrina e quindi probabilmente attirava meno clienti.
Gli scaffali erano colmi di vecchie riviste polverose più che di libri e girò intorno ad essi alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarla, anche se neanche lei era certa di cosa stesse realmente cercando.
Si decise a chiedere consiglio al proprietario e si avvicinò timidamente. Il demone aveva un guscio di un nero spento, il resto della pelle grigiastra. Stava evidentemente perdendo la sua bava ovunque, dato che anche da lontano era visibile lo spesso strato acquoso presente sul bancone e trattenne il conato che quella vista le procurò.
- Buongiorno – provò a salutarlo alzando la mano.
Questo non alzò neanche le antenne su cui erano posizionati gli occhi da quello che stava leggendo. – I porno sono finiti, ma ci sono rimaste alcune copie di “Cinquanta Soffocature di Succubi” – rispose con noncuranza, voltando la pagina del fumetto.
Lei arrossì visibilmente. – Oh no, non stavo cercando quel genere di lettura – provò a dire.
Questo alzò una sola antenna per guardarla. – Non vendiamo romanzi rosa -.
Sbatté le palpebre alcune volte prima di avere di nuovo la forza di aprire bocca. – Io starei cercando qualcosa riguardo la crescita personale, qualcosa che serva ad elevarsi spiritualmente -.
- Abbiamo la biografia da vivo e da morto di Charles Manson se ti interessa. Quell’hippie sotto acidi ci credeva in queste stronzate -.
Si massaggiò le tempie con gli indici cercando di non esplodere. – Ti ringrazio, ma volevo qualcosa che spingesse a qualcosa di diverso dall’omicidio – sussurrò con voce acuta.
Finalmente, il proprietario si decise a mollare il fumetto che stava leggendo e la squadrò con aria indagatoria. – Tu intendi quelle puttanate sul miglioramento dell’essere del tipo “belli dentro e anche fuori”? -.
A quel punto era esasperata e annuì per evitare di gridargli addosso, sperando che in qualunque sezione il tipo intendesse avrebbe trovato qualcosa di utile. – Sì, vanno bene anche quelli -.
- Al piano di sopra, nella sezione fantasy – rispose, per poi riprendere a leggere.
Si trascinò per le scale affranta per quella risposta. Nessuno sembrava credere nella possibilità di migliorarsi al punto che qualunque libro al riguardo era stato regalato nella sezione dedicata ai racconti di fantasia. Se possibile, quel piano era ancora più polveroso e malconcio di quello inferiore e starnutì parecchie volte a causa della polvere, alzandone però altrettanta e scatenando una reazione a catena. Ad ogni starnuto, corrispondeva una nuova nube e di conseguenza si ritrovò ben presto con gli occhi lacrimanti e il naso rosso per il fastidio.
Tirò fuori un fazzoletto per soffiarsi il naso gocciolante e si decise a prendere coraggio per osservare i vari titoli che aveva davanti agli occhi. Oltre ai reali libri fantasy, la sezione pullulava di libri su “Addominali da urlo in dieci secoli” o “Glutei di Marmo; la guida al workout di Satana”. Se quello era l’unico miglioramento a cui potevano aspirare i dannati, non stentava a credere che l’Inferno stesse andando letteralmente a rotoli.
Dopo mezz’ora di ricerca in mezzo a scaffali e scatoloni e dopo aver rischiato più volte il soffocamento a causa dei conigli di polvere che la seguivano ovunque, riuscì a trovare qualcosa di vagamente utile. Erano libri riguardo al team-building aziendale, ma erano sempre meglio di niente. Riuscì perfino a trovarne uno il cui titolo era “La meditazione guidata: il modo migliore per risvegliare il mio io interiore”, anche se l’immagine della copertina era vagamente pornografica dato che la demone stava facendo un saluto al sole in bikini.
Prese almeno sei libri e li portò al piano inferiore e quasi le venne un mancamento quando si rese conto che le mani bavose del demone lumaca avrebbero dovuto toccarli. Osservò con angoscia le copertine rese lucide dalla bava che veniva persa ovunque e quando le passò la busta di plastica in cui li aveva infilati dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per evitare di emettere un grido strozzato per lo schifo.
Uscì dalla libreria e controllò l’orologio, in tutto quel suo forsennato girare era arrivata vicino all’ora di pranzo e prese la via per l’Onda Scarlatta.
Prese il cellulare e controllò i messaggi. Vaggie le aveva scritto la sera precedente, ma lei non era riuscita neanche a leggere quel messaggio e aveva anche ricevuto un paio di chiamate da suo padre. Non era però ancora pronta per quel nuovo scontro, voleva mantenere la mente lucida e libera per riuscire ad organizzare le attività di redenzione e una volta fatto si era ripromessa di contattarli. Inutile negarlo a sé stessa, le mancavano terribilmente. Quella notte sapere che aveva dormito senza averli a poche stanze di distanza era stato terribilmente difficile e più di una volta aveva rischiato di cedere alla voglia di chiamarli per poter sentire almeno la loro voce. Ogni volta, però, gli tornava in mente la discussione che avevano avuto il giorno prima e ricacciava indietro il desiderio per evitare che la soffocasse. Si sentiva in colpa per com’erano andate le cose, ma al tempo stesso sentiva la necessità di mantenere quel punto con loro.
Alastor si stava rivelando più gentile del previsto, anche quella mattina quando era stata insistente con la questione di Camille lui non l’aveva liquidata come una follia, le aveva solo giustamente fatto notare che poteva essere controproducente invitare una demone che, come interesse primario, aveva quello di sedurre il demone della radio. Non riusciva davvero ad immaginare qualcuno di così folle da tentare un approccio con uno come lui, soprattutto visto il modo in cui rifuggiva il contatto fisico. Era evidente a chiunque lo incontrasse che non era tipo da lasciarsi andare a certe cose, figuriamoci per una che teoricamente lo conosceva da ben sei mesi. Si ritrovò a chiedersi che aspetto potesse avere, ma ricacciò indietro la voglia di entrare nella pasticceria con una scusa.
Continuava a non avere totale fiducia nel Signore Supremo, ma sicuramente era riuscito a guadagnarsi il suo rispetto. Sapeva di dover tenere la guardia alta, ma lui continuava ad essere talmente accomodante da farla quasi sentire in colpa per quei pensieri nei suoi confronti. Senza contare che, a dispetto di ogni pronostico, lui non aveva risposto all’attacco di suo padre e le storie sul suo conto le descrivevano come un demone sempre pronto a rispondere in caso di offesa. Forse, il problema principale, era che nessuno si era mai realmente preso la briga di conoscerlo come stava facendo lei in quei giorni. Le tornarono alla mente quelle cicatrici scure che l’avevano lasciata spiazzata e si domandò se prima o poi lui si sarebbe aperto abbastanza da raccontarle cosa gli fosse successo.
Voltò l’angolo che portava al locale e rimase gelata e si nascose di nuovo appiattendosi contro il muro della via parallela. Era quasi del tutto certa di aver visto il cilindro bianco di suo padre.
Si sporse di poco oltre il muro ed ebbe la certezza che Lucifero si trovava di fronte alla porta del locale e stava parlando con Husk. Questo sembrava parecchio agitato e il padre continuava imperterrito a porre domande sulla soglia della porta, anche se da quella distanza non riusciva a capire di cosa stessero parlando.
- Qualcuno che non vuoi incontrare? -.
La voce di Alastor la riscosse e si ritrovò a tremare al punto che la busta di libri le cadde dalle mani. – Oh cazzo! – urlò con il fiatone, ritrovandoselo praticamente ad un palmo dal naso.
Il demone della radio la guardò perplesso. – Se è qualcuno che ti crea problemi, me ne occuperò personalmente – disse serio, appuntandosi il petto con una mano.
Era in preda al panico, non poteva permettere che quei due si incontrassero di nuovo, avrebbero rischiato di mettersi le mani addosso e lei non poteva permetterlo. Prima che il Signore Supremo potesse fare un passo lungo la strada lo afferrò per il bavero della giacca e lo riportò indietro rischiando perfino di farlo cadere a terra e lui quasi la fulminò con lo sguardo.
Lasciò immediatamente andare il soprabito, mentre tentava di rimanere più calma possibile. – C’è mio padre – disse con aria trafelata. – Ma al momento preferirei evitare discussioni -.
Gli occhi di Alastor sembrarono brillare per un istante, prima di tornare tranquilli e allegri. – Non c’è nulla di cui tu debba preoccuparti Charlie. Non ho intenzione di metterti in difficoltà – proruppe sereno porgendole il braccio. – Spiegheremo con calma al sovrano la situazione, sono sicuro che sarà più accomodante dell’ultima volta -.
Ne dubito fortemente pensò mentre ingoiava a fatica il groppo che le si era formato in gola e recuperando da terra la busta di libri. Notò solo in quel momento che lui continuava a tenere il braccio piegato nella sua direzione, come se stesse aspettando che lei lo prendesse.
Guardò prima la sua mano e poi lui con aria perplessa. – Non mi sembra il caso, già così sarà furioso -.
Alastor allontanò il braccio e chiuse il sorriso. – Dici? Mi sembrava un modo per fargli capire che non ho cattive intenzioni -.
Credeva davvero poco a quelle parole, era anzi convinta che lui volesse farlo per dare ancora più fastidio a Lucifero e lo guardò con aria ironica. – Non fare finta di non capire, non ti si addice -.
Il demone della radio sembrò colpito da quella sua risposta e per un attimo i suoi occhi si allargarono, ma riprese quasi immediatamente il suo solito sorriso. – Hai ragione, non ti si può nascondere nulla. Ammetto che avrei gradito una piccola rivincita per la spiacevole situazione in cui mi ha coinvolto -.
Sospirò mentre buttava di nuovo l’occhio oltre il vicolo. Suo padre era ancora lì davanti anche se Husk era rientrato, probabilmente gli aveva detto che era uscita e che non sapeva quando sarebbe tornata e lui aveva deciso di aspettarla. Se ne stava impettito davanti alla soglia, ma aveva l’aria preoccupata e stanca e il cuore le si strinse in una morsa al vederlo in quel modo e si sentì una figlia orribile.
Alastor rimaneva in attesa accanto a lei, mentre ticchettava ritmicamente le dita sul bastone da passeggio a forma di microfono. – Non vorrei sembrarti scortese, ma dobbiamo rimanere qui ancora a lungo? Vorrei rientrare per il pranzo – commentò lui senza guardarla.
Charlie appoggiò la testa al muro e prese un profondo respiro. – Scappare non servirà a nulla, devo almeno provare a parlargli -.
Il demone della radio si voltò verso di lei, anche lui appoggiato con la schiena al muro. – Se ritieni necessaria la mia presenza, sarò ben felice di accompagnarti -.
Gli rivolse un sorriso grato, dato che forse sarebbe stato il caso che quei due si chiarissero una volta per tutte. Magari se suo padre avesse visto Alastor sotto la stessa luce che mostrava a lei sarebbe stato più magnanimo.
Uscirono entrambi dal loro nascondiglio e si diressero verso l’ingresso del locale. Ad ogni passo, Charlie sentiva il cuore martellarle sempre di più nelle tempie e la bocca farsi secca. Lucifero ancora non li aveva notati e per un attimo il suo istinto la pregò di fare dietrofront e scappare di corsa.
Rallentò involontariamente il passo, ma un lieve tocco sulla schiena la ridestò. Alastor l’aveva appena sfiorata con quella che per lui doveva essere una sorta di carezza incoraggiante e si era voltato verso di lei per sorriderle, ma non il solito sorriso che sembrava avere stampato in faccia. Sembrava terribilmente dolce, come se volesse trasmetterle la sua stessa calma con la sola forza dello sguardo. Quel contatto durò meno di una frazione di secondo, ma bastò per spronarla ad essere maggiormente risoluta e puntò lo sguardo nella direzione del padre.
Lucifero sembrò sentire i suoi occhi su di sé e si voltò nella sua direzione. Inizialmente le rivolse uno sguardo felice, ma venne velocemente sostituito da uno irritato non appena notò il Signore Supremo che le camminava accanto con la schiena dritta e uno sguardo sicuro e fiero.
- Ciao papà – pigolò lei quando furono abbastanza vicini, mentre stringeva la busta di plastica con entrambe le mani per cercare di sfogare sulle maniglie l’ansia del momento.
Il serafino distolse lo sguardo da Alastor e la fissò con gioia. – Charlie, sono felice di vedere che stai bene! -.
Prima che potesse rispondere, il demone della radio aveva preso la parola. – Ma certo Maestà, non permetterai mai che le succeda qualcosa -.
Charlie trattenne il respiro nel rendersi conto che, dopo neanche due secondi da quando si erano incontrati, stavano già cominciando una discussione. Alastor non aveva detto nulla di male, di quello doveva dargliene atto, ma allo stesso tempo sapeva quanto potesse essere geloso e protettivo suo padre e il fatto che il Signore Supremo si fosse presentato come una sorta di nuovo custode lo aveva visibilmente irritato.
Il serafino assottigliò lo sguardo, puntandolo verso l’avversario. – Nessuno ti ha interpellato, non hai dei tavoli da pulire? -.
- Papà! – lo riprese Charlie.
Alastor emise una risatina, mentre giocava con il suo bastone. – Sono felice che anche lei tenga ai miei impegni quanto sua figlia, proprio oggi parlavamo di come organizzare le nostre giornate per avere modo di parlare del nostro comune progetto -.
Charlie non sapeva cosa fare in quel momento. Per assurdo, non poteva dire nulla al demone della radio, che anzi si stava comportando in maniera garbata almeno in apparenza, anche se non le sfuggì quel tono passivo aggressivo che stava usando. Non poteva però biasimarlo, l’ultima volta Lucifero aveva tentato di strangolarlo.
Un gorgoglio innervosito risalì la gola del sovrano, che però sembrò recuperare la calma e si voltò verso la figlia. – Possiamo parlare in privato? -.
Non seppe neanche lei il motivo, ma si ritrovò a voltarsi verso Alastor come se volesse chiedergli il permesso. Una mossa che non sfuggì al re, che strinse maggiormente il bastone da passeggio come se fosse sul punto di spezzarlo.
Alastor le regalò un sorriso ancora più largo dei precedenti, appoggiandole una mano sulla spalla con fare amichevole. – Chérie, se lo ritieni necessario potreste andare alla pasticceria di Camille a mio nome, un modo per sdebitarmi della sua cortesia mandandole dei clienti. Pensi che sia un modo consono di ripagare le sue gentilezze? -.
Il volto di Lucifero a quel punto era una maschera colma d’irritazione e i suoi occhi stavano cominciando a prendere sfumature vermiglie e lei si sentiva tra l’incudine e il martello. Avrebbe realmente voluto che quei due appianassero quell’assurda rivalità sul nascere e allo stesso tempo trovare un modo per parlare con suo padre di ciò che desiderava e di come pensavano di muovere i prossimi passi.
Guardò più di una volta prima il padre e poi Alastor prima di rispondere. – Sentite, che ne dite se ci andiamo tutti e tre? Penso che sia il caso di risolvere la situazione una volta per tutte -.
I due sembrarono gelarsi a quella sua proposta e per un millesimo di secondo la presa di Alastor sulla sua spalla si fece più intensa, come se fosse stato preso alla sprovvista.
- Non vorrei essere di troppo – mormorò il demone, come se all’improvviso fosse diventato meno sicuro.
Lei gli rivolse uno sguardo serio. – Siamo soci in questa cosa, giusto? Insieme ne parleremo sicuramente meglio e così farai vedere a Camille che anche tu apprezzi ciò fa -.
- Chi è questa Camille? La sua fidanzata? – domandò Lucifero, che nel frattempo teneva le braccia incrociate al petto e sembrava molto divertito dal disagio del demone.
Lo sguardo di Alastor si assottigliò, puntandosi in quello del serafino. – No, la definirei una vicina di casa -.
Charlie fu la prima ad incamminarsi, facendo cenno agli altri due di seguirla. – Dai forza, andiamo – cominciò per poi guardare Alastor. – So che non ti piacciono i dolci, ma sono sicura che troveremo qualcosa di tuo gusto -.
L’unica cosa di suo gusto in quel posto sarebbe stata la testa di Camille servita su un piatto insieme a delle patate e ad un buon bicchiere di rosso fermo.
Si erano seduti ad uno dei tavoli interni, lui non aveva intenzione di rischiare di farsi vedere da qualcuno seduto a chiacchierare con Lucifero e sua figlia come se si fosse trattato di una mielosa e noiosa riunione di famiglia. Come se non bastasse, gli arredi pacchiani e l’odore di quel posto gli stavano facendo venire l’orticaria. Ovunque voltasse lo sguardo era un tripudio di rosa, carta zucchero e stuoli infiniti di dolci zuccherosi che avrebbero potuto cariare i denti al solo guardarli.
Abbassò lo sguardo sul tavolino bianco rendendosi conto che perfino la tovaglia era rosa e con degli orrendi motivi a cuore stampati sopra, neanche si fossero trovati nella casa di una ragazzina di dieci anni alla prima cotta. In mezzo al tavolino, regnava un centrotavola con delle rose – guarda il caso, rosa pure quelle – che almeno gli coprivano la vista del re in miniatura che aveva di fronte. Alla sua sinistra se ne stava seduta Charlie, che osservava il menù con interesse.
- Tu non prendi nulla? – domandò.
Tentò con tutte le sue forze di ricacciare indietro la rabbia che stava montando ogni secondo di più per quell’assurda situazione. – No chérie, purtroppo nulla incontra il mio gusto -.
La principessa si sporse verso di lui indicandogli una delle pietanze. – Beh le crepes non sono necessariamente dolci, potremmo chiederle di fartela salata -.
Oppure potrei chiederle di cuocere te e tuo padre in padella con le cipolle pensò, mentre scrollava la testa e manteneva al meglio delle sue possibilità il sorriso. – Ti ringrazio per la premura, ma attenderò di essere a casa. Mi concederò un caffè, amaro -.
Come diavolo aveva fatto a farsi convincere, il suo piano gli si era ritorto contro. Aveva pensato di spegnere i tentavi della principessa riguardo alla proprietaria della pasticceria mandandocela con il padre in modo da farlo apparire non solo come una persona attenta alle attività altrui, ma che ci teneva ai suoi spazi personali abbastanza da farsi da parte. In un modo assolutamente assurdo e imprevedibile, lei aveva rigirato quella situazione costringendolo a prendere parte a quel teatrino e lui si ritrovava a dover studiare ogni sua singola risposta per evitare di uscirne sconfitto. Inoltre, doveva tenere sotto controllo questa fastidiosa demone dall’aspetto di scoiattolo fastidioso che non faceva altro che lanciargli occhiate ammiccanti dal bancone. Non poteva mandarla al diavolo davanti a Charlie, avrebbe perso di credibilità. Doveva essere gentile e sorbirsi quelle fastidiose moine senza battere ciglio.
Camille arrivò al tavolo, la coda ambrata e vaporosa che si muoveva dietro di lei e gli si mise accanto. – Finalmente ti fai vedere Alastor, pensavo che non avrei mai avuto il piacere – commentò questa.
Strinse la mascella e cercò di rispondere in maniera cortese. – Ho pensato di portare i miei nuovi amici al tuo locale, a differenza mia apprezzano i dolci – rispose, guardando Charlie.
La demone sembrò stizzita alla vista della principessa. – Mmh, capisco – commentò atona. – Cosa posso portarvi? – domandò tirando fuori il taccuino per le ordinazioni dal grembiule bianco che portava.
Il cilindro bianco del sovrano sporse maggiormente oltre il centrotavola floreale. – Per me una fetta di torta foresta nera -.
Charlie si mordicchiò l’unghia prima di parlare, rivolgendo alla demone un sorriso. – Avete la possibilità di fare un ripieno salato per le crepes? -.
Camille sembrò irritata. – Siamo in una pasticceria – borbottò. – Comunque, se proprio ci tieni posso metterci dei funghi, forse ne ho qualcuno -.
- Andata! – esclamò allegra, passandole il menù.
- E per te, tesoro? -.
Trattenne a malapena il brivido che sentirsi chiamare in quel modo gli procurò, mentre tirava indietro le orecchie. – Un caffè amaro, ti ringrazio -.
Questa si mise una mano davanti alla boca ridendo in maniera acuta e fastidiosa. – Permettimi di farti provare qualcosa, non puoi sapere se una cosa non ti piace se non l’hai mai assaggiata – proferì con un tono strano, come se volesse sottintendere qualcosa che a lui sfuggiva completamente.
Solo il visibile rossore sulle gote di Charlie riuscì a dargli un indizio evidente di ciò che era appena accaduto. Quella maledetta si stava riferendo ad altro e non al cibo e la voglia di strapparle a morsi la testa si fece ancora più forte e un ringhio innervosito gli risalì la gola. Per sua fortuna, Camille sparì dalla sua vista o avrebbe rischiato veramente di farla a pezzi da un momento all’altro.
Le mani di Lucifero passarono in mezzo al centrotavola allargandolo e i suoi occhi rossi sbucarono all’improvviso. – E comunque, non siamo amici -.
- Papà per favore – si intromise Charlie, prendendo il centrotavola e spostandolo di lato in modo che non fosse di troppo. – Siamo qui per cercare di risolvere la situazione -.
Alastor trovò il primo modo per giocare le sua carte. – Charlie non devi preoccuparti, per me è tutto dimenticato. Capisco perfettamente le preoccupazioni di un padre, perciò non gli recrimino nulla di ciò che è accaduto -.
La principessa sembrò rasserenata da quel commento, ma il padre invece emise uno sbuffo irritato, incrociando le braccia al petto e accavallando le gambe. – Per favore, ti ho a malapena toccato –.
Allungò la mano verso di lui in un segno di pace, avendo già calcolato che lui sicuramente non l’avrebbe ricambiato. – Possiamo ritenere tutto dimenticato e ricominciare? -.
Come aveva previsto, il serafino si scansò e gli allontanò la mano in malo modo. – Non mi fido di te, sei solo l’ennesimo dannato che tenta di scalare la vetta. Ne ho visti tanti come te nei secoli! -.
Oh, non penso proprio Maestà pensò, mentre allargava il ghigno. Lui era decisamente diverso dagli altri dannati, anche se per diventare ciò che era aveva dovuto pagare un caro prezzo. Scacciò il pensiero, non era il momento di indugiare su altro, doveva rimanere lucido e sfruttare anche quella situazione, per quanto la trovasse terribilmente irritante.
Charlie rivolse al padre uno sguardo severo. – Ti prego papà, io voglio sul serio continuare questo progetto e lo farò con o senza il tuo appoggio -.
Tutto procedeva meglio che nei suoi piani. La principessa si stava involontariamente schierando dalla sua parte aumentando l’irritazione del padre e dandogli modo di sottolineare quanto lui fosse più calmo, posato e maggiormente incline nell’aiutarla. Si rilassò perfino sulla poltroncina per godersi meglio quella scenetta.
- Tesoro, io voglio che torni a casa – cominciò il sovrano, levandosi l’orrido cilindro. – Io e Vaggie siamo davvero preoccupati per te e vogliamo cercare di fare del nostro meglio per sostenerti da ora in poi -.
Era il momento di buttare l’ennesima esca. – Saremo ben lieti di farvi partecipare insieme a noi, dopotutto siete la famiglia di Charlie e non mi sognerei mai di sostituire la vostra presenza -.
Ancora una volta, la reazione del serafino fu quella che si aspettava. – Ma perché ancora parli? È ovvio che stai cercando di ottenere qualcosa da Charlie anche se non mi è ancora chiaro cosa! Stai pur certo che però la sua anima non te la darà mai, la ho istruita bene -.
La principessa sospirò. – Alastor sta cercando veramente di aiutarmi, ha perfino trovato tre anime per il nostro progetto e si è offerto di ospitarle nel suo locale! Non mi sembra l’atteggiamento di qualcuno che ha un secondo fine, contando che ci rimette pure dei soldi ospitandoci a titolo gratuito -.
Qualcosa nel tono di voce di Charlie era incrinato e lui notò da come aveva mosso gli occhi che non stava dicendo tutto. Probabilmente, ancora non era del tutto certa di potersi fidare di lui. Non che si aspettasse qualcosa di diverso, d’altronde non era così stupida come aveva pensato all’inizio, ma questo rendeva la situazione ancora più intrigante. Sarebbe stato decisamente piacevole vederla capitolare alla fine.
Era certo che lo stimasse, ma da lì ad arrivare a fidarsi ciecamente c’era un abisso e stava a lui colmarlo con le giuste mosse. Forse, non avrebbe dovuto essere così scontento di trovarsi in quel posto, era solo l’ennesimo modo per rendersi bello ai suoi occhi.
La conversazione venne interrotta dall’arrivo di Camille e lui fece del suo meglio per non guardarla, non aveva intenzione di ricevere l’ennesima occhiata da parte della demone, era già snervante non poterle dire di andare al diavolo.
Notò che Charlie stava dividendo a metà il pasto, ma imputò quel gesto al volerla far raffreddare e lui tornò a rivolgersi ad entrambi. – Maestà, le assicuro che non ci sono secondi fini. Come ho detto prima, sia lei che la cara amica di Charlie potrete venire quando volete per averne la prova -.
- Non hai capito, lei con te non ci rimane – sibilò Lucifero, anche se la sua minaccia era resa ridicola dal fatto che aveva un angolo della bocca sporca di cioccolato.
Charlie ingoiò il boccone prima di parlare. – Mi dispiace dirtelo, ma non tornerò a casa -.
Il serafino rimase gelato e si voltò lentamente verso la figlia. – Co-cosa? -.
La principessa si pulì la bocca prima di riprendere a parlare. – Al momento penso che io debba imparare a camminare con le mie gambe e ho bisogno di stare a contatto con le anime che ho intenzione di redimere e se tornassi non potrei farlo -.
Il re si sporse verso di lei prendendole le mani. – Tesoro, ti ho già detto che potranno venire da noi -.
In quel momento, non c’era neanche bisogno che si intromettesse, vedeva dagli occhi di Charlie l’esitazione per quella proposta. La crepa che aveva aperto tra loro aveva fatto il suo lavoro e a lui non rimaneva altro che osservarla allargarsi, darle solo una lieve spinta se fosse stato necessario.
- Io ti voglio bene papà, ma in questo momento penso che un po’ di tempo lontani ci farebbe bene – mormorò, abbassando lo sguardo sul tavolino. – Ho più di duecento anni, prima o poi avrei comunque dovuto imparare a vivere da sola -.
Lucifero ingoiava a fatica la saliva e lui si godette ogni singolo singulto del sovrano, nascondendo il sorriso dietro la tazza di caffè fumante. – Allora permettimi di mandarti da un’altra parte, in una casa tua dove potrai organizzare ciò che vuoi -.
Era il suo momento, poteva dare il colpo finale. – Maestà, io sono veramente felice di poterla ospitare per tutto il tempo che riterrà opportuno. Non mi crea nessun disturbo e ovviamente lei sarà sempre il benvenuto -.
Il re perse definitivamente la pazienza e le corna cominciarono a crescergli sulla testa. – Chiudi quella dannata bocca e smettila di intrometterti! -.
Bastò solo che lui fingesse un minimo di preoccupazione per quella risposta violenta per smuovere il dolce e fragile cuore della principessa, che si alzò in piedi interponendosi tra loro. Ora che gli stava dando la schiena e non poteva vederlo, non riuscì a trattenere la soddisfazione che gli si stava dipingendo sul volto. Era fatta.
- Ora basta! – scattò lei. – Direi che non abbiamo altro da dirci! Avevi la possibilità di dimostrarmi che avevi capito e che credevi in me, ma hai preferito metterti a litigare con lui! -.
Il re sembrò vacillare per un secondo e tornò ad avere le sue classiche sembianze, gli occhi sgranati. – Charlie, mi dispiace – sussurrò. – È che io sono seriamente preoccupato, prova a vederla dal mio punto di vista -.
Questa scosse la testa. – Lo ho fatto e ti sono davvero grata per ciò che hai fatto fino ad ora, ma è il momento che io faccia le mie scelte e nel caso ne paghi le conseguenze. Non posso continuare a vivere sotto una campana di vetro, devi lasciarmi andare -.
Commovente commentò a sé stesso, mentre riprendeva a bere il caffè. Doveva ammettere che non si aspettava che quella fastidiosa situazione si sarebbe rivelata tanto divertente e si ritrovò a ringraziare Charlie per averlo costretto a prendervi parte.
Il serafino, probabilmente per non subire l’ennesima umiliazione di fronte a lui, si rinfilò il cilindro sulla testa e si alzò in piedi. – Molto bene tesoro – commentò atono. – Sappi solo che…ci sarò sempre se avrai bisogno di me -.
- Lo so papà, ti ringrazio – sussurrò lei, mentre il suo corpo ancora voltato sembrava percorso da una scarica elettrica.
Il serafino si congedò con un cenno del capo e la principessa tornò a sedersi e Alastor la osservò attentamente. Gli occhi cremisi erano persi nel vuoto e fissava la restante metà di crepes nel suo piatto senza realmente vederla. Quella discussione doveva averla provata particolarmente, ma il fatto che fosse così vulnerabile gli dava modo di essere di nuovo nel posto giusto al momento giusto.
Che deliziose e fortuite coincidenze pensò ironico, spostando la sua poltroncina per avvicinarsi a lei e abbassando la testa per cercare di catturare il suo sguardo. – Chérie, stai bene? -.
La principessa sembrò riscuotersi e si voltò verso di lui con aria seria. – Guarda che lo so che facevi tutte quelle moine per irritarlo -.
Trattenne a malapena il singhiozzo che gli risalì la gola. – Charlie, io davvero pensavo ciò che ho detto – rispose cercando di sembrare il più sincero possibile, doveva eliminare quel pensiero dalla sua mente in fretta. – Sono così convinto che ci riuscirai che…voglio partecipare anche io al tuo progetto di redenzione -.
La sua ombra sotto i suoi piedi sembrò gelarsi e il sorriso luminoso che aveva costantemente si spense all’improvviso. Aveva dovuto spararla grossa per dissipare i dubbi di Charlie, ma era necessario per i suoi fini. Sapeva che quella sua bugia avrebbe avuto delle ripercussioni pesanti sulle sue abitudini, ma era pronto a tutto per ottenere ciò che voleva. Arrivato a quel punto, doveva giocare tutte le carte in suo possesso nel migliore dei modi.
Charlie spalancò gli occhi e dai movimenti della sua mascella era evidente che stesse cercando di trattenerla. – Tu? Tu proveresti a farti redimere da me? -.
Avrebbe voluto risponderle che non ci sarebbe riuscita neanche in mille secoli, ma si portò una mano al cuore e socchiuse le palpebre. – Se mi hai convinto a partecipare al tuo progetto parlandomene quando non eri al meglio di te, sono sicuro che sarai in grado di fare anche questo. D’altronde, siamo soci e…amici? -.
Quanto odiava dover essere così sdolcinato, ma aveva capito che quello era il genere di cose che toccavano le giuste corde dell’animo della principessa e quindi doveva sfruttarle a suo vantaggio.
Gli occhi della principessa presero a luccicare e lui si ritrovò a fissarli del tutto spiazzato da quella reazione commossa. – Alastor…grazie – mormorò con voce tremante.
Si allontanò tornando ad appoggiarsi allo schienale e congiungendo le mani sul grembo. – Grazie a te per avermi dato la tua fiducia -.
Charlie si morse il labbro inferiore e sorrise imbarazzata. – Su quella ci lavoreremo – rispose in una risata, per poi passargli il piatto. – Tieni, l’altra metà è per te -.
Si ritrovò a fissare il piatto con aria sconvolta. – Per…me? -.
Lei annuì. – Mi dispiaceva aver fatto ritardare il tuo pranzo, così ho pensato di ordinarla io anche se avevo voglia di dolce. Almeno potrai provarla e magari ti piacerà -.
Cos’era quella strana sensazione che stava provando all’altezza dello stomaco? Nausea? Reflusso acido? C’era qualcosa che si stava muovendo nelle sue interiora e non riusciva bene a darvi un nome. Quel gesto così disinteressato per lui era strano, anzi del tutto assurdo e fuori luogo. Era stato chiaro, non voleva mangiare nulla e farsene da sé una volta tornato al locale. Eppure, lei si era negata qualcosa per non scombinare la sua agenda e quella semplice e assurda premura lo aveva lasciato basito. Se si fosse trattato di chiunque altro, avrebbe spinto il piatto indietro e se ne sarebbe andato, ma si costrinse a ringraziare di quel gesto cortese e cominciò a mangiare.
Qualunque fosse quella sensazione che gli aveva smosso le budella, finì nell’esatto momento in cui cominciò a mangiare e la principessa iniziò ad elencare alcune idee che le erano venute in mente quella mattina.
Probabilmente, aveva solo fame.