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AMOR - rom com

Summary:

Questa è la storia di come un professore di latino, Lauro De Marinis, e un professore di educazione fisica, Edoardo Manozzi, si sono innamorati tra versioni e affondi bulgari.

“Professor Edoardo Manozzi. Educazione fisica.”
“Professor Lauro De Marinis. Latino. Lei è nuovo?”

Chapter 1: Prologo

Notes:

Ciao stellina!
Se vieni dalla bolla twitterina già sai, ma se sei nuova (userò il femminile universale perché siete tutte delle stelline) beh scoprirai questa storia, un po’ romantica e tanto scemotta, direttamente leggendola. È la prima ff LaurEdo che pubblico... in realtà erano secoli che proprio non scrivevo storie in generale, quindi abbi pietà. Spero che questo AU professori ti piaccia. Buona lettura!

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

AMOR
per te che mi fai sempre quell’effetto della prima sera

Lauro se ne stava in aula professori con una pila di fogli sul tavolo.
Stava disponendo ordinatamente in fila le sue temute bic: la blu per gli errori meno gravi da correggere a chi scriveva con quella nera, la nera per gli errori meno gravi da correggere a chi scriveva con quella blu, la rossa per gli errori gravissimi e la verde con la quale era solito segnare il voto sul retro del foglio a protocollo.
Si era mentalmente programmato di passare la pausa tra la prima e la quinta ora a correggere il compito sui verbi irregolari dei suoi alunni di seconda liceo. Infatti, il giorno precedente si era presentato in classe con un complicatissimo test a sorpresa che aveva suscitato parecchie polemiche.

“Ragazzi è inutile che vi lamentate.” Aveva tuonato. “Siete al penultimo anno, il prossimo avete la maturità, e ancora alle interrogazioni sento degli strafalcioni da terza media, ovvero come quelli che potrebbe fare chi non ha mai studiato latino!”

Ed è così che in quel momento si era, appunto, ritrovato a dover correggere ben 23 compiti sui quali, era sicuro, avrebbe messo sì e no qualche sufficienza… scarsa.
Dopo essersi lisciato la camicia bianca, indossata sotto la giacca aperta del classico completo nero, si sistemò a sedere. Prese il foglio che si trovava in cima alla pila. Già con la prima occhiata individuò due errori.

“Che disastro…” Sussurrò tra sé e sé. Impugnò la penna rossa, quella da errori gravissimi perché non sapere il paradigma di fero a quel punto della carriera scolastica era un errore gravissimo, pronto a scrivere un bel NO cerchiato.

“Scusami, è questa l’aula professori?” Domandò una voce, interrompendolo.

“Prima di tutto ai professori si da del lei” Disse Lauro senza alzare la testa dal foglio. “Comunque sì, sei nel posto giusto. Devi prendere un libro?”

“Anche tra colleghi ci si da del lei?” Rispose l’altra presenza. “E no, non devo prendere nessun libro.”

Lauro sentì del calore all’altezza degli zigomi, rendendosi conto che non era entrato uno studente, ma quello che probabilmente era un suo collega. Solo allora sollevò lo sguardo e i suoi occhi incontrarono quelli dell’altro. Furono cinque lentissimi secondi in cui per la prima volta due tonalità di verde si mescolarono. 

“Professor Edoardo Manozzi. Educazione fisica.” Si presentò l’altro, porgendogli la mano. Una presa decisa, un anello d’oro al dito medio e smalto rosso sbeccato.

“Professor Lauro De Marinis. Latino. Lei è nuovo?” Domandò Lauro dal momento che non lo aveva mai incrociato per i corridoi, o in altre occasioni, da quando aveva iniziato a lavorare in quel liceo. Scelse di mantenere il lei in modo da cercare di nascondere quella che dentro la sua testa era già stata catalogata come figuraccia.

“Sì, oggi è il mio primo giorno qui. Sostituirò, a tempo indefinito, Rossi che è caduto dalla bici durante la gara di mercoledì. Si è rotto tibia e perone. Brutta storia.” Rispose Edoardo, guardandosi un po’ intorno con l’idea di iniziare ad ambientarsi.

Indossava una canottiera nera, la quale gli lasciava scoperte le braccia toniche e tatuate, e dei pantaloni della tuta giallo limone. Alla vita aveva legata una felpa rosa pastello e delle sneakers bianche e viola completavano l’outfit. Mentalmente Lauro se lo descrisse come un pugno in un occhio. Coloratissimo e stiloso, ma pur sempre un pugno in un occhio.

“De Marinis, giusto? Ma dobbiamo seriamente darci del lei tra colleghi?” Lauro non ebbe il tempo di rispondergli che il borsone di Edoardo fu violentemente posato sul tavolo. Il caffè lungo con latte, ancora caldo e integro, che poco prima aveva preso da asporto al bar si rovesciò su tutti i compiti di latino.

“Ao ma porco due!” Esclamò Lauro tra la sorpresa e la rabbia già percepibile nel tono di voce.

“Okey, allora non sei tutto d’un pezzo come volevi apparire.” Concluse la conversazione Edoardo, ridendo e già pronto a fuggire dalla stanza.

Notes:

Eccoti arrivata a fine di questo breve prologo in cui fanno la loro prima comparsa i nostri prof del cuore. Ti è piaciuto? Fammelo sapere nei commenti, grazieeee!

PS. Un saluto speciale ad Alcatraz perchè senza di voi non avrei mai ripreso a scrivere e alle altre compagne di cella, soprattutto alla mia collega Mary <3

Chapter 2: Caffe e piña colada

Summary:

“È colpa del tizio nuovo. Manotti. Mazzotti. Manuzzi o come cazzo si chiama. Insomma, quello di ginnastica che sostituisce Rossi...”

---

“Ah ragà quello se ne stava lì con tutte le sue minchia di pennine colorate, una leccata di mucca in testa e il diamoci del lei ficcato su per il culo. Niente, non ho resistito…”

Notes:

Stellina ben tornata in classe!
Mi fa un sacco piacere che il prologo di Amor abbia avuto successo, grazie ancora per il tuo supporto.

Questo è il primo vero capitolo della rom com, quindi è doveroso fare delle premesse:
- la storia si svolge a Milano anche se alcuni personaggi parleranno, ad esempio, un po’ romano… dopotutto le assunzioni dei docenti sono incasinate e non si sa mai in quale parte d’Italia possano capitare;
- oltre al latinista e al ginnasta, ci saranno anche altri personaggi più o meno fissi. Alcuni sono totalmente di mia invenzioni, altri invece fanno parte della scena musicale italiana;
- devo ancora decidere se rendere canon o no una ship (poi capirai quale in questo capitolo eheh), quindi non ti allarmare se la cosa non ti aggrada oppure non urlare già di gioia. Non lo so ancora il loro destino;
- ho inserito alcuni minuscoli inside joke per le stelline twitterine.

Detto questo, buona lettura <3
(specialmente a Edo) (scherzo) (spero)

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

“Ma come mai qui è tutto appiccicoso?” Chiese Alessandro, sollevando di scatto, e con un’espressione schifata, la mano dalla superficie dove l’aveva appena posata.


“Che sarà Ale? Cos’è secondo te che ha reso tutto così appiccicoso se ti ho chiesto aiuto per pulire del caffè?” Gli rispose. “Sarà proprio il famoso caffè, no?” Lauro non voleva fare l’antipatico con il professor Mahmoud, ma in alcune situazioni il suo collega, e amico, non gli rendeva la vita facile.

“Ah zi’ ma che ne so? È ancora mattina presto.” Rispose l’altro.


“Mattina presto?” Lauro controllò l’orario sul cellulare. “Sono le 11:40. Ora che scusa hai?”


“Sempre la stessa. Le 11:40 è mattina presto a casa mia.”


“Sì, va bene Signor Fusorario. Renditi utile e, cortesemente, dammi più carta.”


Alessandro prese il rotolo e gli passò qualche foglio in più di carta assorbente.
“Senti… ma come ci è finito tutto questo casino liquido sul tavolo e, soprattutto, su quelli che sono… cioè erano… dei compiti in classe?” Ad Alessandro quasi tremò la voce, mentre indicava i protocollo zuppi e macchiati di un intenso marrone scuro. Sapeva che si stava addentrando in un territorio pericoloso perché poche altre cose infastidivano l’amico come la non possibilità di mettere qualche bassissimo voto ai propri alunni.


Lauro chiuse gli occhi e con l’indice e il pollice si strinse il ponte nasale. Respirò profondamente.
Aveva passato i precedenti dieci minuti a maledire interiormente quello di ginnastica, il quale era arrivato, aveva creato scompiglio per poi essersene andato ridendo senza neanche aiutarlo.
Dopo aver recuperato un minimo di lucidità, Lauro aveva preso il telefono e digitato un messaggio ad Alessandro, pregando che quel giorno avesse lezione e proprio un’ora libera in quel momento.


Aleeee porca troiaaaaa! Sei a scuola? Se sì, corri immediatamente in mio soccorso in aula professori. Danno. Emergenza. Accidenti al caffè di tutto il mondo.


Ed è così che anche Alessandro si era ritrovato lì, con un rotolo di scottex in mano, a sostenere moralmente il collega più che ad aiutarlo in modo pratico.

“È colpa del tizio nuovo. Manotti. Mazzotti. Manuzzi o come cazzo si chiama. Insomma, quello di ginnastica che sostituisce Rossi. Ha preso il suo borso-” Fu interrotto.


“Che è successo a Rossi?” Chiese scioccato Alessandro. “Oddio… È morto?”

“Macché morto! Ma che te frega ora di Rossi scusa? Dai Ale che fatica pure tu!” Lauro sospirò rumorosamente per la seconda, o forse già ventesima volta. Non era giornata per lui.
“Stavo dicendo. Quello nuovo di ginnastica che sostituisce Rossi, che non è morto e sì dopo ti dico che ha fatto, ha pensato bene di utilizzare tutta la sua grazia corporea per scaraventare il suo borsone sul tavolo. E questo è il risultato.” Concluse Lauro, chinandosi a recuperare da terra la sua penna verde.
“Ora che mi invento con i miei alunni? E soprattutto dovrò passare questo venerdì sera a preparare nuovamente un altro compito.” Lo disse come se avesse di meglio da fare, ma in realtà avere la testa impegnata lo avrebbe tenuto lontano da pensieri spiacevoli, come ad esempio quello di non avere effettivamente nessuno con cui condividere un weekend romantico.


“A proposito di questa sera! Non hai nessun test da preparare perché verrai con me a una serata a Loreto. Con me, Elo e Ricky.” Disse Alessandro in modo allegro e con un sorriso gigante sulle labbra.


“Seriamente Alessandro?” Lauro lo guardò storto. “Seriamente mi stai proponendo una serata con te e Riccardo?”


“E Elo.” Puntualizzò l’altro, alzando il dito indice e socchiudendo gli occhi.


“Non è questo il punto. Stai ancora uscendo con Riccardo? Ma è un bambino! Alessandro per piacere non farmi proseguire il discorso che poi finiamo a litigare come sempre.” Continuò Lauro. Già era scocciato per la questione caffè: non aveva nessuna voglia di bisticciare con colui che considerava più simile ad un migliore amico.


“Ma Ricky non è un bambino. Ti ho già detto che ha ventidue anni, sta facendo il conservatorio e poi non è nean-” Cercò di concludere Alessandro, prima di essere zittito da uno schiocco di dita di Lauro che ne aveva abbastanza di quella conversazione sul piccoletto.

“Sì, va bene Ale. Poi quando mi chiamerai chiedendo aiuto per trovarti un buon avvocato me ne ricorderò di tutti questi discorsi sul finto maggiorenne.” Scherzò. “Comunque… dov'è che andate stasera?” Chiese, cercando di usare un tono più disinteressato possibile.





A Edoardo piaceva uscire a divertirsi, soprattutto se si trattava di passare il venerdì sera in un qualche locale in zona Loreto. Per questo aveva detto sì, senza esitazione, all’invito di alcuni suoi amici.
Aveva passato il pomeriggio prendendosi cura di se stesso. Si era fatto una maschera viso antiossidante al mirtillo, si era sistemato lo smalto (nero e lucido) e, preso da un’improvvisa vena artistica punk, si era addirittura dato qualche sforbiciata ai capelli cercando di accorciarsi un po’ il mullet.
Prima di chiudersi la porta di casa alle spalle si era guardato allo specchio. Attillatissimi jeans neri, crop top fucsia a rete e stivaletti con fibbie ai quali aveva aggiunto delle catene del medesimo colore del top. Per i suoi gusti si era anche troppo limitato con gli accessori. Infatti, aveva indossato solo un girocollo di perline colorate e un singolo orecchino argentato a pendente. Infine, si era calzato in testa, ad uso di cerchietto da capelli, un paio di occhiali da sole dalla montatura spessa e bianca. Chiavi, portafoglio e telefono sarebbero stati compressi in una qualche tasca della giacca di pelle che poi sarebbe stata lasciata al guardaroba.
Aveva impiegato più di un’ora per arrivare al locale e a trovare un posto dove parcheggiare la macchina, ma alle 00:30 si trovava in fila alla cassa per pagare il suo primo cocktail.


“Allora? Che mi raccontate di bello? È un casino che non esco con voi.” Aveva chiesto Luca, cercando di sovrastare con la voce la musica che rimbalzava, altissima, da una parete all’altra.


Samuele aveva risposto con una scrollata di spalle e un “Mah… le solite cose. Solita routine: casa, ufficio, litigate con Chiara, sesso riappacificatore con Chiara, qualche flirt casuale con clienti fighi e via in loop. Niente di che. Tu, Edo, sempre in cerca di un posto di lavoro?”


“No! Proprio oggi è stato il mio primo giorni in un liceo. Devo sostituire il professore di ruolo. Avevo solo due ore di lezione. Una in una quinta e una in una terza, classi abbastanza svogliate. Vabbè ci sta, se anche tutti gli altri professori sono pesanti come il tizio di latino che ho conosciuto… povere stelline.” Rispose Edoardo tra l’entusiasmo di intraprendere la nuova esperienza e l’animo in pace sul fatto che avrebbe avuto a che fare sia con colleghi impegnativi che con studenti pigri.


“Ma vedrai quelli che insegnano latino sono tutti due palle.” Concordò Luca, concludendo con “Immagino sia pure un vecchio decrepito.”


Edoardo rise di gusto. “No, almeno vecchio non è. Che poi, se proprio ve la devo raccontare tutta, mi sono pure comportato un po’ da stronzo con lui…”


“Eccalà. Che hai combinato Edoardo il tuo primo giorno?” Chiese Samuele.


“Ah ragà quello se ne stava lì con tutte le sue minchia di pennine colorate, una leccata di mucca in testa e il diamoci del lei ficcato su per il culo. Niente, non ho resistito. Potrei, quasi intenzionalmente, avergli rovesciato tutto il caffè sopra a dei compiti in classe. E poi me ne sono pure andato ridendo.”


Samuele e Luca lo guardarono basiti. Conoscevano Edoardo da una vita e sapevano che aveva questo comportamento un po’ strafottente nei confronti di chi gli stava antipatico a pelle. E chi veniva classificato come antipatico da Edoardo poi difficilmente sarebbe riuscito a staccarsi di dosso tale etichetta.


“Non ho parole. Inizio con il botto.” Ridacchiò Luca.


“Che merda che sei!” Infierì, seppur sempre ridendo, Samuele.

I tre riuscirono a trovare un tavolo libero le cui sedute, però, davano le spalle al palco.
Era la serata karaoke e ogni tot la musica del dj veniva interrotta da qualche stonata esibizione. C’era anche chi si era impegnato un po’ di più, come ad esempio un ragazzetto, a Edoardo sembrò di aver capito si chiamasse Riccardo, che aveva portato un suo inedito. una canzone mezza urlato e tutto saltata senza t-shirt addosso. Edoardo per lui si era girato, colpito dall’energia che trasmetteva, ma poi aveva continuato la sua serata alternando il parlare con i suoi amici e qualche ballo improvvisato.
Fu la seconda piña colada ad andargli quasi di traverso quando rivolse nuovamente gli occhi in direzione del palco, incuriosito dai brusii “eccoli, eccoli” e dall’improvviso silenzio appena partì la base.


🎵 A mano a mano ti accorgi che il vento ti soffia sul viso e ti ruba un sorriso.
La bella stagione che sta per finire ti soffia sul cuore e ti ruba l’amore.
Oh a mano a mano so scioglie nel piano… 
🎵


Edoardo notò solo lei. Bellissima. Una dea stretta in un tubino nero e décolleté vertiginose rosse lucide. Capelli scuri, lunghi e ondulati, e un trucco semplice, ma deciso.
Quando però la base cambiò, e con essa l’intera atmosfera del locale, solo allora fece caso anche all’altro che si stava esibendo nel duetto.


🎵 Albe di cemento. Notti di cristallo…
NONOSTANTE TUTTO NON VOGLIO ANDAR VIAAAAA! 🎵

Edoardo rimase con il bicchiere a mezz’aria e la bocca aperta che non trovò mai la cannuccia del drink.
Non poteva credere che quella persona sul palco fosse la stessa incontrata in aula professori. I capelli pieni di gel della mattina erano ora liberi di ricadere, ricci, sulla fronte. Al posto del classico completo, aveva addosso una camicetta viola in tessuto metallizzato con riflessi argentati con maniche lunghe a sbuffo e polsini arricciati. Camicetta che, nonostante le scenografiche rouches, lasciava intravedere mezzo petto in quanto pressoché completamente sbottonata.
Il resto dell’outfit, Edoardo, non fece neanche in tempo ad analizzarlo perché quando si soffermò sul volto dell’altro fu subito catturato dal marcato eye-liner argentato che gli incorniciava lo sguardo. Spesso sulla rima superiore, l'eye-liner si ricollegava al kajal nero, volontariamente sbavato, della rima inferiore.


“Edo tutto bene?” Luca gli scrollò una spalla.


“No, non va per niente bene.” Rispose Edoardo, alzandosi di scatto. “Lo vedete quello?”

I due annuirono all’unisono.


“Beh… quello è De Marinis. Il professore di latino di cui vi ho parlato prima.” Disse indicandolo.


“Quello con le pennine colorate, la leccata di mucca e il diamoci del lei su per il culo?” Chiese, sarcastico, Samuele. 


“Edoardo tu stamani avevi già bevuto più di stasera.” Chiosò Luca.

Notes:

Alloraaaa come è andata? Ti è piaciuto il capitolo e/o hai da segnalarmi qualche critica? Fammelo sapere nei commenti che ci tengo tanto ai pareri sinceri.
Grazie e bacini.

PS. Sempre un saluto speciale alle mie compagne di cella e vvb! <3

(Edo... tu fammi sapere dalle storie ig se ti va bene o no il tuo personaggio. Però con calma che mi fai paura.)

Chapter 3: Fitta alla testa e fitta al cuore

Summary:

“Scusa Lauro, ma più chiaro di così? Che altra spiegazione vuoi avere?”

---

"Venerdì non so cosa mi sia preso per far accadere ciò che è accaduto.”

Notes:

Hola stellina!
Mi fa tantissimo piacere che tu stia ancora seguendo Amor. Spero che questo secondo capitolo non deluda le tue aspettative.
Una persona che lo ha già letto (ciao Nicole!) mi ha detto: sembra di essere sulle montagne russe. Beh allora ti consiglio di allacciare la cintura di sicurezza che non si sa mai…

BUONA LETTURA <3

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Lauro fu svegliato da una fitta alla testa, seguita da un doloroso ronzio alle tempie che lo fece riscuotere e mugolare. Allungò il braccio destro per afferrare il cellulare sul comodino. Problema: la sua mano tastò l’aria e non trovò né il cellulare né tantomeno il comodino.
Aprì gli occhi di scatto. Intorno a lui l’ambiente era semi buio, ma quella non era sicuramente la sua camera. E quello in cui aveva dormito non era sicuramente il suo letto. L’adrenalina lo svegliò del tutto e lo fece balzare in piedi.

“Okay, almeno ho le mutande addosso.” Sussurrò, rivolgendo lo sguardo al propio corpo e tastando la stoffa per assicurarsi che fosse reale al tatto.

Inciampando più volte nei vestiti lasciati a terra e, guidato dalla fioca luce che filtrava, arrivò alla finestra. Aprì la tapparella e il giorno irruppe nella stanza. Una camera che, anche rischiarata, si confermò non essere la sua.
L’ansietta, tipica di chi sa di aver fatto un casino e di non ricordarselo, si presentò al suo stomaco.

“Dove cazzo sono?” Si massaggiò gli occhi. “Che cazzo è successo stanotte?” Si domandò.

I suoi vestiti erano distribuiti alla rinfusa sul pavimento e sembravano essere un palese indizio di cosa fosse accaduto dopo il locale. Oltre ai suoi, ulteriore problema, c’erano anche altri indumenti maschili. La stanza era disordinata e lo era così tanto da non riuscire a capirne il proprietario.
In casa non si udivano rumori e Lauro intuì di essere solo.
Si fece coraggio e si avventurò per l’appartamento alla ricerca del bagno. Lo trovò e vi entrò. Appena si vide riflesso allo specchio ebbe quasi un malore. Non si era struccato: il kajal, così perfetto la sera precedente, era ora bistrattato su metà viso. I ricci erano appesantiti da una difficile nottata. Infine, Lauro, notò un enorme marchio violaceo alla base del collo. Un succhiotto, capillari ancora freschi di rottura, gli diede il buongiorno.
Proprio in quel momento sentì delle chiavi tintinnare, una porta aprirsi per poi richiudersi e dei passi.

“La’ sei sveglio?” Disse colui che doveva, indubbiamente, essere il proprietario della casa. “Ho preso la colazione. Dopo questa notte… sono sicuro che avrai una gran fame.” Concluse.

Lauro riconobbe subito quella voce. La conosceva e anche fin troppo bene. La situazione non gli piacque per niente, infatti, l’ansietta iniziale lasciò posto prima al panico e poi alla negazione.

“No no no. Ti prego fa che non sia come penso.” Continuava a ripetersi sottovoce.

Cercò di darsi un contegno, ma il mal di testa non lo rendeva lucido.
Si guardò un’ultima volta allo specchio e cercò di sistemarsi, con la mano bagnata, le nere occhiaie di trucco colato. Respirò profondamente e andò incontro al suo destino.
Camminò strusciando i piedi con la stessa espressione che probabilmente avrebbe avuto un condannato a morte verso il patibolo perché era proprio in quel modo che si sentiva.
Quando giunse in cucina e lo vide, confermando la sua ipotesi su chi fosse, allora sì che pregò tutto il pregabile.

“Riccardo…” Disse con flebile voce e grattandosi la nuca per il nervoso.

Lauro rimase lì impalato, vestito solo da neri slip, davanti a Riccardo.

Riccardo di Alessandro.

Riccardo di Ale.

Ricky di Alessandro.

Ricky di Ale.

RICCARDO L’APPENA MAGGIORENNE.

Riccardo, invece, se ne stava completamente a suo agio con ancora la giacca sulle spalle e un sacchetto bianco di pasticceria in mano.

“Buongiorno splendore.” Il ragazzino gli si avvicinò con un sorriso tutto denti. “La’ questo, beh, coprilo. Scusami. Forse ho esagerato e non avrei dovuto lasciarti segni.” Disse, indicando il succhiotto e facendogli l’occhiolino.

Lauro rimase pietrificato anche mentre l’altro gli dava un bacio sulla guancia e una pacca sul culo.
Se prima pensava di stare per avere un malore, ora era certissimo di averlo in corso. Percepì della debolezza alle gambe e un brivido freddo lungo la schiena

“Riccardo, ti prego e ti scongiuro, dimmi che c’è una spiegazione a ciò.” Balbettò, sentendo il sangue fluire ovunque tranne che al cuore. Cuore che stava per fermarsi.

“Scusa Lauro, ma più chiaro di così? Che altra spiegazione vuoi avere?” Riccardo gli rispose, voltandosi di spalle per avvicinarsi con calma al tavolo della cucina. Si sfilò la giacca e la sistemò alla sedia. Poi guardò nuovamente Lauro e con nonchalance pronunciò una frase che gli diede il colpo di grazia.

“Lauro riesci a camminare? Non pensavo di averti fatto così male stanotte.”
Riccardo riuscì a rimanere serio solo pochi altri secondi dopo aver detto ciò.
“No Lauro, giuro dovresti vedere la tua faccia in questo momento. Sembri un cadavere.” Aggiunse e scoppiò in una sguaiata risata.

Queste furono le ultime parole che Lauro sentì prima di, bianco come il muro, accasciarsi sul pavimento strusciando la spalla sinistra lungo lo stipite della porta. Riccardo corse nella sua direzione, cercando di riprenderlo prima che sbattesse la testa a terra.

“Ricky! Ricky! Alzagli le gambe!” Urlò Alessandro che per tutto il tempo era rimasto nascosto nell’altra stanza. “Minchia zi’, mi sa che stavolta lo scherzo è andato un po’ oltre.” Disse preoccupato, ma per niente pentito.




Quel lunedì Edoardo si diresse a scuola con un gran giramento di coglioni perché, lui, quello che era successo lo scorso venerdì sera se lo ricordava. Eccome se lo ricordava e, infatti, aveva anche una discreta paura. Per questo si era affacciato in aula professori con tutta la discrezione possibile per poi rilassarsi solo una volta essersi assicurato che non fossero presenti né il collega di spagnolo né, soprattutto, quello di latino.

“Buongiorno!” Salutò i presenti, porgendo la mano a coloro che non aveva ancora avuto modo di conoscere.

La sua mattina trascorse veloce con ben quattro ore occupate da lezioni. Arbitrò due partite di pallavolo e una di calcio. Infine, fece il benevolo con una terza i cui alunni lo avevano supplicato di concedergli almeno gli ultimi trenta minuti per ripassare l’argomento di una successiva interrogazione. Edoardo, ricordandosi studente, aveva acconsentito e, fidandosi, aveva lasciato i ragazzi soli in classe per dirigersi alle macchinetta nel corridoio.

“Edoardo?”

Si sentì chiamare da una voce. Quando si voltò alla sua destra vi ci trovò il collega Mahmoud.

“Oh, ciao Alessandro.” Rispose al cenno della testa dell’altro. “In queste macchinette non c’è un cazzo.” Aggiunse ispezionando i prodotti del distributore.

“Lo so, sono anni che, sia noi insegnanti che gli alunni, chiediamo di cambiare un minimo le opzioni. Tipo, guarda lì.” Disse Alessandro indicando ben due file interamente occupate da del succo. “Chi è che prende il succo d’ananas? Nessuno. Meglio il tè freddo, ma quello non lo hanno messo.” Proseguì. “ E tutte quelle barrette proteiche al mirtillo? È una scuola: sarebbero state più adatte barrette a gusti più cioccolatosi.”

“No, non nominarmi quel succo. Ho ancora la nausea per colpa della piña colada di venerdì.” Lo stomaco di Edoardo, infatti, fece una capriola. “A proposito di quella sera…” Si fermò per soppesare le proprie parole. “De Marinis c’è oggi a scuola?” Chiese tutto d’un fiato, mangiandosi mezze parole.

“Ah! Almeno tu ti ricordi di venerdì.” Gli rispose Alessandro fissandolo, serio, negli occhi. “Puoi stare tranquillo oggi aveva solo la prima ora ed è già andato via.” Concluse.

“Menomale.” Edoardo tirò un sospiro di sollievo. “Ehm… come sta?”

“Bene, ma non lo so con certezza. Non lo sento da sabato perché io e Riccardo, il ragazzetto che era con noi a Loreto, gli abbiamo fatto uno scherzo e ora sta girato malissimo nei nostri confronti. Vabbè, ma su ciò sorvoliamo.” Spiegò Alessandro, trattenendo una risata. “Però non penso si ricordi molto. Anzi, azzarderei che non si ricorda niente di venerdì sera. E te lo dico perché, almeno il tempo che è stato con me, era convinto che quel coso gigante.” Alessandro si indicò la base del collo per far capire all’altro di cosa stesse parlando. “Facesse sempre parte dello scherzo che gli abbiamo fatto. Onestamente non ho avuto il coraggio di dirgli che in realtà non eravamo stati noi a farglielo.” Si interruppe per poi aggiungere “Ma tu.”

Ascoltato ciò, Edoardo si appoggiò con una mano al vetro della macchinetta per sostenersi.

“Alessandro tu non puoi capire con quale terrore io sia venuto oggi a lavoro. Venerdì non so cosa mi sia preso per far accadere ciò che è accaduto.” Edoardo scosse la testa. “Avevo bevuto troppo e probabilmente Lauro più di me. Quando si è reso conto che fossi io la persona che aveva rimorchiato… mi ha tirato un ceffone così forte che sono stato tutto il fine settimana con il ghiaccio sulla guancia per paura che mi rimanesse il segno rosso delle cinque dita.” Pronunciando tali parole, si portò di riflesso la mano sulla parte offesa del viso. “È colpa mia se quel cretino non mi aveva riconosciuto? Ha sclerato tutto d’un tratto blaterando che non mi sarei dovuto permettere e che a scuola aveva una reputazione da mantenere.” Finì di raccontare il suo punto di vista sulla vicenda.

“Mi dispiace per lo schiaffo. Io ho visto la scena da lontano mentre ballavo, ma Elodie, la nostra amica, mi ha riferito l’accaduto in modo dettagliato.” Alessandro posò la propria mano sulla spalla di Edoardo. “Zi’ permettimi di dirti una cosa dato che conosco Lauro. Lascialo perdere." Per poi proseguire. "È tra i miei migliore amici, gli voglio un bene dell’anima ed è un’ottima persona, ma ha dei problemi con l’accettare se stesso. Non voglio assolutamente giustificare il suo gesto, però penso sia stato dettato dal panico di aver visto improvvisamente collidere la sua vita privata con quella lavorativa. Un conto è con me che lo conosco da anni, ma un altro è riuscire a mostrare tutte le sue sfumature alle persone nuove come te. Specialmente, ripeto, se la sua privacy, della quale è gelosissimo, si trova esposta all’improvviso.”

Edoardo ebbe una fitta al cuore non tanto perché gli interessava provarci realmente con Lauro, ma perché gli dispiaceva pensare che l’altro avesse problemi ad accettare se stesso.

 

Notes:

Eccoti arrivata alla fine di questo capitolo.
Piaciuto? Non ti è piaciuto? Hai riso? I plot twist hanno plottwistato?
Se ti va, lasciami un commentino con la tua opinione. GRAZIE!

ps. ogni volta che rileggo la parte di Edo mi viene da pensare alla frase: “fa ridere, ma anche riflettere” LOL

Chapter 4: latino VS ed. fisica

Summary:

“Stiamo dando commedia romantica con questo imbarazzo..."

---

“Signorina a chi?”

Notes:

✨ Buongiorno o buonasera stellina!
Le vacanze sono finite e si inizia già a sentire aria di nuovo anno scolastico quindiiii pure i prof sono tornati.

Durante la scrittura di questo capitolo mi sono sentita come Virgilio che si è ispirato a Omero. Infatti, pure io ho preso spunto da un grandissimo classico della letteratura odierna: "Non volevo ma lo sono". Non ti apprezzo per niente, ma Tony grazie per quelle tre fondamentali pagine su Lauretto che ci hai regalato. Leggendo, capirete questo assurdo ringraziamento ahaha

E ora non mi resta che augurarti buona lettura!

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

A Lauro era perfettamente tornato in mente cosa era successo il venerdì a Loreto. Aveva anche, quasi, fatto pace con quei due simpaticoni di Alessandro e Riccardo. Lo scherzo era stato, a suo avviso, di pessimo gusto, ma almeno con l’appena maggiorenne non ci aveva fatto sul serio niente e quel violaceo succhiotto non era opera sua. Non che il ricordo delle labbra del suo nuovo collega di educazione fisica sul collo lo facesse stare meglio, però almeno si era tranquillizzato sul fatto che non stesse rischiando pure la galera.

Lunedì sera, mentre si stava preparando la cena, aveva avuto un flash. Aveva preso il telefono e scritto al suo amico.

Alessandro Mahmoud…

Alessandro gli aveva risposto con due punti interrogativi dai quali Lauro aveva fatto passare dieci minuti prima di continuare a digitare.

Mi sa che mi sono ricordato quello che è successo venerdì sera.
Avrei preferito vivere con il vuoto di memoria.
Come è possibile che tra tutti coloro che erano lì presenti sia finito a BACIARE, a farmi fare un SUCCHIOTTO e poi a SCHIAFFEGGIARE proprio LUI??
Ma perché tutte a me? PERCHÈ???

Poi si erano sentiti in videochiamata anche insieme a Elodie, mentre a Riccardo non era stato concesso tale onore.
Lauro, durante le due ore passate a parlare, aveva attraversato tutte le fasi emozionali possibili ed immaginabili via via che venivano aggiunti dettagli sull’accaduto. E alla fine, stabilito il proprio umore sulla vergogna, sulla rabbia e sul senso di colpa, aveva concluso con: 

“Contemplare l’idea di farsi fuori è troppo esagerato?”

I giorni seguenti era andato a lavoro con l’angoscia di incontrare il professor Manozzi. A guadagnarci erano stati i suoi studenti perché, troppo preso dalla questione, non aveva né interrogato né tantomeno ripreparato quel fantomatico test sui verbi che aveva dato inizio a tutto quel casino.
Mercoledì, però, la fortuna di Lauro si esaurì e lo fece nel più classico dei posti dove non si vuole incontrare una persona indesiderata: in bagno. E nello specifico tra il lavandino e la porta del cesso del bagno professori al secondo piano. E ancora più nello specifico tra il lavandino dove Edoardo si stava sciacquando il viso e la porta del cesso dal quale lui era appena uscito.
Manozzi si asciugò in malo modo la faccia nell’incavo del gomito, lasciando che la sua felpa, stranamente di colore grigio scuro, assorbisse frettolosamente le gocce di acqua più evidenti. Solo allora alzò lo sguardo verso l’altro. Dall’espressione che fece appena lo vide, Lauro capì di non essere il solo a star affrontando un momento di difficoltà.

“Ehm…” Dissero all’unisono.

Lauro si maledì per star rendendo una situazione imbarazzante ancora più imbarazzante.

“Ciao, come stai?” Gli chiese l’altro tutto di un fiato con una voce piuttosto stridula. 

“Ben- bene. Tu?” Rispose, pensando al diavolo il darsi del lei, tanto ormai.

“Senti…” Parlarono, nuovamente, sovrapponendo le loro voci.

Fu ancora una volta Edoardo a riprendere per primo la parola.

“Oddio. Che situazione di merda.” Fece una pausa. “Stiamo dando commedia romantica con questo imbarazzo. Cioè, De Marinis, non voglio nessuna commedia romantica con te. È un modo di dire e io intendevo… vabbè lascia stare. Ci siamo capiti.” Fece un piccolo sorriso. “Beh dal tuo comportamento immagino che ti sia ricordato.” Concluse, incrociando le braccia al petto e facendosi più serio.

“Sì.” Si limitò a dire Lauro, sentendo improvvisamente le pareti del bagno accartocciarsi sopra di lui. “Scusami per il ceffo-” Non riuscì a finire la parola perché, notando l’alone rosa che aveva Manozzi sulla guancia, gli si chiuse la gola. Era un segno ormai fortunatamente chiarissimo e quasi impercettibile per chi non sapeva, ma c’era. “Oh mamma mia.” Lauro sgranò gli occhi, avvicinandosi per vedere meglio. “Scusami sul serio, io non so come… non so manco cosa dirti. Scusami, davvero.” Istintivamente sollevò la mano con l’intento di sfiorare con la punta delle dita lo zigomo del collega, ma poi fece ricadere il braccio appena si accorse di ciò che stava per fare. Anche perché, da aggiungere alle cose che si palesarono nella sua testa in quel momento, non si era neanche lavato le mani.

“Fa niente. Diciamo che… siamo pari?” Pronunciò Edoardo con un sorriso tirato e indicando timidamente il collo di Lauro.

Era appena iniziato l’autunno e, essendo ancora troppo caldo, l’unica soluzione che aveva messo in atto per mascherare la macchia violacea era stata quella di coprirsi con del correttore e del fondotinta. Una gran quantità di correttore e fondotinta che necessitavano di ritocchi continui. Ci mancava solo che qualche studente si accorgesse della cosa e poi Lauro si sarebbe sul serio fatto fuori. All’idea il panico si impossessò di lui e inoltre, c’era qualcosa in Manozzi che lo infastidiva veramente tanto.



“Manozzi.” Disse con fermezza Lauro. “Ora che mi sono scusato e che abbiamo stabilito questa imbarazzante parità, quello che è accaduto venerdì non dovrà accadere mai più. Anzi non è neanche mai accaduto. Appena queste fisiche prove rosee…”

“La tua, da quello che si intravede, è più tipo violacea. Tipo color mirtil-.” Edoardo si sentì letteralmente trafitto dallo sguardo che gli lanciò De Marinis dopo che ebbe pronunciato quelle parole. “Scusami, finisci pure.” Si ammutolì.

“Dicevo.” Disse Lauro, portandosi la mano a coprirsi il collo. “Quello che è accaduto venerdì, non è mai accaduto. Insegno latino. Sono severo e ho una reputazione da mantenere. Non come te che… che fai? Due tiri a pallone quando ti impegni ad insegnare?”

Edoardo si accorse del ghigno che aveva appena incurvato le labbra del suo collega, il quale aveva anche radicalmente cambiato modo di rivolgersi a lui. I suoi occhi poi sembravano più scuri e Edoardo aveva anche percepito un guizzo di sfida ad illuminarli. Come se l’attaccare fosse il suo modo di difendersi in un momento che non sapeva gestire.  

“Inoltre, nessuno sa di me. Nessuno sa della mia vita privata. Solo Alessandro e doveva rimanere a saperlo solo Alessandro. Poi sei arrivato tu e hai rovinato tutto.” Concluse Lauro con tono accusatorio.

Edoardo aveva ascoltato e aveva cercato di mantenere la calma pensando soprattutto a ciò che il professor Mahmoud gli aveva detto sulla privacy dell’altro, ma quando si sentì incolpato non resistette al rispondere.

“Prima di tutto non ti devi permettere di giudicare il mio lavoro e poi in quale modo io avrei rovinato tutto?” Fece un ulteriore passo in avanti, diminuendo la distanza che lo separava dal collega. “Uno non è libero neanche di andare a passare una serata fuori perché tu non vuoi essere visto?” Drizzò le spalle, pronunciando ciò.

“Certo che sei libero di uscire, ma non nei miei posti. E, soprattutto, di fare certe cose con me. A me.” Ribatté Lauro, allungando anche lui il proprio corpo in modo da sfruttare quei pochi centimetri di altezza che aveva in più.

“Fare certe cose con te? A te? Guarda bello che sei stato tu ad avvicinarti a me. Tu che mi hai preso il bicchiere di mano e poi, sempre tu, mi hai baciato.” Gli diede una leggera spinta alla spalla per farlo allontanare. “Quanto sei bono. Chi lo ha detto? Ti prego facciamolo qui davanti a tutti. Ti prego scop-” Edoardo non riuscì a terminare la frase perché Lauro lo spinse via da sé con entrambe le mani e alzando il tono della voce.

“Stai zitto. Cretino. Quanti anni hai? Dieci che ti devi mettere a scimmiottarmi quando ti ho appena detto che non lo deve sapere nessuno qua dentro?”

Edoardo tornò a parlare anche dell’altro argomento che lo aveva fatto incazzare. “Dieci anni? Scimmiottarti? Ma se prima tu hai detto che il mio lavoro vale meno del tuo. Come cazzo ti sei permesso?” E poi “Insegni ai tuoi studenti frasi come amor est amor o ubi amor ibi libertas e poi? Poi hai paura di essere quello che sei? Ma fammi il piacere.”

Edoardo era consapevole che non avrebbe dovuto usare la carta del pronunciare le parole che Lauro gli aveva detto venerdì, ma si sentiva ferito nell’orgoglio e in quel momento non gliene fregava proprio niente di far del male all’altro. Infatti, non solo gli aveva fatto il verso, ma aveva anche mostrato la sua cultura da ginnasta studiato ed era andato a colpire dove sapeva di far più male: sull’accettazione di se stesso.

“Manozzi vuoi fare a botte? Ti ho già tirato un ceffone una volta. Ti avverto anche che ho fatto cinque incontri di kickboxing. Non ti conviene.” Abbaiò De Marinis.

“Ma dove vai che sei una signorina. Te voi menà co’ me? Meniamoci.” Edoardo si riavvicinò nuovamente a Lauro sempre più nero in volto.

“Signorina a chi?” Lauro gonfiò il petto.

E fu un attimo che si misero le mani addosso sul serio. Lauro girò intorno a Edoardo e lo prese da dietro, stringendo il collo del collega nell’incavo del proprio gomito. Una presa non troppo stretta che non mirava a far male, ma con il solo scopo di intimorirlo.

“Che. Presa. Blanda. Del. Cazzo.” Edoardo scandì parola per parola, un po’ per ribattere il concetto e un po’ perché faticava sul serio a prendere aria. Poi con un’agile mossa, prese l’altro di sorpresa e ribaltò la situazione. Con tutta la forza che aveva spinse Lauro contro la porta del cesso più vicino. Gli piazzò l’avambraccio sul pomo d’Adamo, facendolo ansimare a causa del contraccolpo. Lo fissò, stringendo gli occhi. Due fessure socchiuse che non preannunciavano niente di buono. I visi erano così vicini che i loro nasi si stavano sfiorando e i loro respiri unendo.

“Manozzi lasciami immediatamente” Lauro abbassò lo sguardo, cercando di divincolarsi.

“Prima facevi tanto il duro e ora hai paura che ti spacchi il culo?” Edoardo finì di pronunciare la frase quando la porta principale del bagno si aprì e Alessandro Mahmoud fece il suo ingresso.

“Zii io non ho parole. Ho sentito solo duro e ti spacco il culo. Sono entrato e vi trovo in questa ambigua posizione. Boh. Volete che vi prenoti una stanza?”

 

Notes:

Io più rileggo e più sento le loro voci nella mia testa fare questo dialogo ahahah C’è della tensione sessuale nell’aria, ma poca poca…

Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e che ti abbia fatto un po’ ridere. Se ti va, lasciami pure un commentino per farmi sapere cosa ne pensi.

Grazieeeee ❤️