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L'unione impossibile

Summary:

Dopo che Joffrey è fidanzato con Margaery, prende la crudele decisione di sposare Sansa col Mastino per colpire ulteriormente gli Stark. I novelli sposi vengono poi inviati a Clegane Keep, insieme a Gregor. Mentre è lì, Sansa scopre l'infanzia di Sandor da una vecchia e nodosa Septa. (da un vecchio prompt di bighound-littlebird su Tumblr)

Chapter 1: Joffrey

Chapter Text

Gli enormi occhi di ser Pounce lo fissavano lacrimosi. Joffrey non capiva cosa ci trovasse suo fratello in quella palla di pelo. Era inutile, non aveva nemmeno artigli per difendersi!

«Cosa devo fare di te?» si sbilanciò sulla sedia con aria pensosa «Potrei gettarti dalla finestra, dicono che un gatto cade sempre in piedi… dicono anche che avete sette vite, quindi se ti andasse male ne avresti ancora sei!» 

Mentre soppesava l’idea il gatto miagolò piegandosi di lato, sperando di sbilanciarsi e cadere, ma non aveva speranze di sfuggirgli: le dita poste sotto l’attaccatura delle zampe anteriori gli offrivano una presa salda e tenendolo sospeso sopra di sé poteva decidere quanto comprimere la cassa toracica. Joffrey lo colpì con la mano libera perché la smettesse di agitarsi, non aveva intenzione di lasciarlo andare.

«Oppure potrei portarti nelle cucine e farti spellare come un coniglio.»

Immaginò sua madre spolpare con gusto le cosce del gatto arrostite e Tommen, quel frignone patetico, portare gran cucchiaiate di zuppa alla bocca senza sapere delle interiora di cui era per lo più composta. Finché non glielo avesse detto, ovviamente…
Questa era un’idea!

La porta si spalancò, spazzando via le sue fantasticherie, e lord Tywin Lannister irruppe nelle sue stanze. Il giovane re rischiò di perdere l’equilibrio quando suo nonno gli strappò il gatto di mano e lo lanciò senza cura attraverso la stanza. La povera bestiola emise un miagolio di dolore sbattendo contro un mobile. 

Lord Tywin afferrò i braccioli della sedia e lo riportò a terra.
«Hai davvero fatto quello che hai fatto?» sibilò, protendendosi verso di lui.

Joffrey non gli prestò attenzione, stava ancora fissando la porta lasciata aperta da cui ser Pounce aveva riconquistato la libertà. Una guardia notando il suo sguardo si sporse fino ad afferrare la maniglia e lentamente richiuse la porta. 

«Non ho ancora fatto niente,» ribatté Joffrey alzandosi in piedi «e non farò niente visto che hai lasciato fuggire la mia preda.» Sostenne lo sguardo del vecchio leone sufficientemente a lungo prima di rivolgere altrove la propria attenzione.

«Sei andato o no dal Mastino a offrirgli la grazia?» chiese lord Tywin, anche se dal tono era chiaro conoscesse già la risposta.

«Non gli ho offerto la grazia, gli ho offerto una scelta.»

«E che scelta! La lama di Ilyn Payne o la sottana di Sansa Stark. Sei forse uscito di senno? Sandor Clegane ha disertato la guardia reale, ti ha insultato pubblicamente ed è fuggito con la coda tra le gambe durante un assedio rischiando che altri seguissero il suo esempio.» 

“Anch’io sono fuggito.” rammentò Joffrey ma non sarebbe stato tanto sciocco da dirlo ad alta voce.
Gli era chiaro che sua madre aveva inventato una patetica scusa per tenerlo al sicuro. Anche se aveva accettato quella scappatoia e s’era comportato da codardo, nelle ballate avrebbero parlato del suo coraggio e della sua astuzia, privando il Folletto di ogni merito. Ai suoi occhi il tradimento del Mastino era, se non perdonabile, almeno, comprensibile. Ma non si trattava solo di questo.

«–e tu vorresti dargli in mano la chiave del Nord. Sai quanto potrebbe costarci, questa tua bella pensata?»

Mentre il primo cavaliere continuava il suo tonante monologo, il giovane re ripensò a Sansa: ora che il suo fidanzamento con Margaery Tyrell era ufficiale quella stupida pensava che l’avrebbe davvero messa da parte, forse sperava addirittura di poter riabbracciare quel traditore di suo fratello e l’addolorata lady Catelyn.
Era stato questo a guidare i suoi passi fin nelle tenebre delle Celle Nere.

«A quanto mi è stato riferito, nel condannare Eddard Stark a morte hai dichiarato a gran voce che finché sarai re il tradimento non resterà impunito. Che ti piaccia o no, il Mastino non è altro che un traditore.»

«È un uomo che non ha niente da perdere e tanto da guadagnare, inoltre mi conosce abbastanza da sapere che non concedo facilmente seconde occasioni.» ribatté Joffrey, sfidando nuovamente il vecchio leone «Quindi sì, gli ho offerto la possibilità di dimostrare la fedeltà a cui deve il suo nome.»

«Anche se ha morso la mano che l’ha nutrito, intendi premiarlo offrendogli in sposa la figlia di un traditore?» l’incalzò suo nonno, incrociando le braccia «Mi dispiace, maestà, continua a sfuggirmi il punto.»

Certo che non capiva, era un uomo di politica e come tale ragionava. Joffrey non sarebbe mai stato un uomo di politica ma sapeva di essere spietatamente nel giusto, come quando aveva fatto tagliare la testa a Ned Stark anche se tutti gli avevano detto di non farlo.

«Dimmi, nonno, ricordi come venivano chiamati gli Stark durante la ribellione di mio padre?»

Lord Tywin mantenne un’espressione dura ma un lampo attraversò il suo sguardo. 

«Sembra che tutto il Nord l’abbia dimenticato. Dopo che avrò consegnato la loro principessa al mio cane, non potranno più dimenticare.»

Tanto bastò a catturare l’attenzione di suo nonno e convincerlo che forse non era solo un ragazzino con una corona troppo pesante per la sua testa. Quando però si trovarono nella torre del Primo Cavaliere a discutere con i suoi consiglieri, Joffrey iniziò a capire perché suo padre preferisse evitare quelle riunioni.

Il Folletto fece sfoggio della propria indignazione oltre che delle ferite di guerra; seguito da lord Baelysh, il quale non capiva perché la fanciulla che gli era stata negata per le sue umili origini ora fosse stata concessa a un uomo di origini altrettanto umili. Il vecchio Pycelle fu il più lento a reagire, solo dopo che lord Varys gli ripeté le sue parole all’orecchio spalancò gli occhi e la bocca in uno spettacolo grottesco. 

Joffrey avrebbe di gran lunga preferito vedere le facce di lady Catelyn e del traditore Robb Stark quando avessero saputo ma il Concilio Ristretto non era del medesimo parere: decisero che tutto doveva essere organizzato in modo da non far trapelate la notizia, almeno per il momento. Il Ragno Tessitore avrebbe messo a tacere i sussurri prima che passassero di bocca in bocca. 

«Potrebbe non essere sufficiente» intervenne Cersei Lannister «Sarebbe meglio evitare movimenti sospetti attorno al Tempio di Baelor.»

«Cosa suggerisci?»

«I giardini della Fortezza Rossa sono ancora rigogliosi e lady Sansa è stata vista spesso recarsi al parco degli dei, per l’Alto Septon non sarà un problema unirli dove sorgeva l'albero diga piuttosto che sotto le statue del Padre e della Madre. Certo, lei non potrà indossare un vestito troppo sfarzoso ma ritengo che l’atmosfera nostalgica che aleggia al tramonto le donerà altrettanto...»

«Così risparmieremo anche sui fiori!» commentò il Folletto.

Joffrey non gli prestò attenzione, mai come allora sentì uno slancio di amore incondizionato nei confronti di sua madre. Che magnifica idea! In questo modo lady Sansa si vedeva negare uno dei piccoli piaceri femminili per eccellenza: il vestito da sposa. Inoltre nessuno dei suoi parenti sarebbe stato presente e suo padre non l’avrebbe mai… quasi gli avesse letto nel pensiero, Cersei Lannister sollevò la questione.

«Resta da stabilire chi la accompagnerà dal suo sposo. Dopotutto, suo padre è morto!»

Ditocorto provò nuovamente a farsi avanti, adducendo che presto sarebbe diventato lo zio di Sansa sposando la vedova Arryn. Chi meglio di lui?

«Il padre di tutto il reame, ad esempio.»

Ora che tutto era stato stabilito non restava che aspettare.

Joffrey non era mai stato bravo ad aspettare ma questa volta era deciso ad assaporare ogni istante. Osservò quella stupida che si trastullava insieme alla sua nuova promessa sposa. Probabilmente le sussurrava malignità sul suo conto, cercando di ottenere il suo favore, indubbiamente per trarne vantaggio, senza sapere quanto fossero inutili i suoi sforzi. Come si poteva cadere così in basso?

 

Lady Sansa Stark si presentò a lui come una vittima sacrificale, con i capelli perfettamente acconciati e la collana di pietre di luna che le aveva regalato, accompagnata dalla cameriera che ormai sapevano essere la puttana di suo zio. Oggi era il suo ultimo giorno, poi sarebbe passata al servizio della Regina Madre, ma Joffrey non si curava minimamente del suo insulso destino. Aveva occhi solo per Sansa. Le offrì il braccio e lei lo accettò, educata e composta come sempre. Il suo viso non tradiva emozione alcuna ma i suoi occhi erano leggermente arrossati, non come quando l'aveva condotta sulle mura per mostrarle la testa di Eddad Stark ma abbastanza da indicare che avevano versato lacrime.

Per un po' camminarono in silenzio, Joffrey fece un giro più lungo per gustare ogni momento. 

«Mi mancheranno queste nostre passeggiate.»

«Anche a me, vostra grazia.»

«Sono stato uno sciocco, avrei dovuto trascorrere più tempo in tua compagnia quando ne avevo la possibilità.» sospirò, carezzandole la mano «Potrai mai perdonarmi?»

I loro sguardi si incrociarono e lui dovette sforzarsi con tutto se stesso per non riderle in faccia.

«Mi state accompagnando dal mio sposo o dal boia?» chiese lei, fermandosi di colpo «Oh Dei, non sarà-»

Con sorpresa, Joffrey comprese che sua madre gli aveva riservato un altro piccolo piacere.
«No, mia signora, non è ser Illyn.»

«Allora chi...»

«Tra poco lo vedrai tu stessa.» tagliò corto, tirandosela dietro «Di tutta questa storia, mi dispiace soprattutto che non vi sarà il tempo per la messa a letto»

Lei lo guardò con sollievo e sorpresa insieme. «No?»

«È stato disposto che dopo la cerimonia sarai condotta insieme al tuo sposo fino alla tua nuova dimora, mio cugino ser Lancel sarà tra gli uomini della scorta.»

«È in grado di cavalcare con le ferite riportate durante l'assedio?»

«Si è ripreso perfettamente.»
Questa volta fu lui a fermarsi, vicino a un cespuglio di rose gialle.
«Sarebbe stato un vero piacere, strapparti di dosso questo bel vestito e sbatterti sul letto in attesa del tuo sposo.» disse, percorrendo il bordo della scollatura col dorso delle dita «Questo mi fa pensare che dovrei ristabilire il diritto alla prima notte!»

«Lady Margaery potrebbe esserne ferita.» 

Con una leggera rotazione del polso, Joffrey posò l'indice sulla sua bocca impertinente.
«Lady Margaery sa che un re può fare ciò che vuole.» Si fece più vicino, tentato di darle un ultimo bacio ma all’ultimo ci ripensò e riprese a camminare attraverso il roseto. Ormai mancava poco, doveva prepararla al colpo di grazia!

Chapter 2: Sansa

Notes:

I personaggi citati in questo capitolo appaiono tutti nei libri di George R.R. Martin ma alcuni (escluse Bernadette/Dette e Chella del clan Orecchie Nere) mancano nella serie. Ecco quindi la mia personalissima scelta dei prestavolto, in ordine sparso:
Senelle = Karen Gillan
ser Kennos di Kayce = Moe Dunford
ser Ben Bushy/Ben il Grosso = Tom Cullen
ser Lothor Brune = Idris Elba
ser Shadrich detto Topo Pazzo = Seth Green

Chapter Text

La carrozza sobbalzava a ogni buca, rischiando di farle prendere una testata tanto era vicina al bordo della finestrella. Bernadette le aveva detto più volte di non scostare le tende ma ormai si erano lasciate Approdo del Re alle spalle e lei non ricordava che al mondo esistessero tante sfumature di verde!

Del viaggio verso la capitale Sansa ricordava la scomodità, la lenta attraversata dell'incollatura, la perdita di Lady e il desiderio di arrivare il prima possibile. Questa volta invece il viaggio stesso era per lei un susseguirsi di emozioni. Se chiudeva gli occhi e si concentrava abbastanza, riusciva ad eliminare il cigolio delle ruote e il suono ritmico degli zoccoli in marcia. Così facendo scoprì i profumi del bosco e riusciva a sentire distintamente tutti i suoi rumori: il canto delle cicale di giorno e quello dei grilli al calar della sera, persino il gracidare di un rospo era capace di riempire il suo cuore di gioia! Non poteva definirsi libera, non era tanto sciocca, ma era la cosa più vicina alla libertà che avesse sperimentato da tempo. 

“E devo tutto a lui.”
Ogni volta che accarezzava quel pensiero doveva sforzarsi di mantenere un contegno, Dette e Senelle si sarebbero insospettite se fosse scoppiata a ridere dal nulla.

Le disse che avrebbe lasciato la città, invece era rimasto e questa volta il mantello che le mise sulle spalle portava i colori della sua casa. Giallo e nero. Le disse che l’avrebbe portata con sé. E infatti, dopo la cerimonia, si erano subito messi in viaggio verso Clegane Keep. Nessun banchetto nuziale. Nessuna tradizionale messa a letto, e Joffrey non mancò di rimarcare quanto fosse contrariato da questa mancanza. 

Quando l'aveva accompagnata nei giardini della Fortezza Rossa, il Re l'aveva tenuta allo scuro sull'identità del suo sposo fino a un attimo prima che raggiungessero il luogo della cerimonia e lei aveva valutato ogni possibilità con ansia sempre maggiore. Doveva essere qualcuno di fidato, molto vicino ai Lannister o direttamente uno di loro, ma chi? Suo cugino Lancel? Il Folletto? Aveva considerato persino ser Ilyn Payne, che ora portava Ghiaccio sulle spalle, finché Joff aveva deciso di averla tenuta sulle spine abbastanza.

«Sai cosa si fa con gli scarti, mia signora? Si danno ai cani,» le sussurrò, mentre entravano nel parco degli dei «ed è proprio quello che ho deciso di fare con te. Dopotutto, al tempo della ribellione di mio padre, gli Stark erano chiamati cani dei Baratheon. Ho pensato fosse giunto il momento che lo diventassero davvero! Mio zio Stannis è morto, anche tuo fratello morirà presto e finita la guerra voglio che il Nord impari il significato della parola fedeltà

Sansa si era sentita gelare sul posto.
“Madre proteggimi, sta per farmi sposare la Montagna!”

Aveva sentito dire che ser Gregor cercava moglie, per la terza volta, ma non l’aveva considerato nei suoi ragionamenti poiché il suo lignaggio era nettamente inferiore al suo e non lo rendeva un candidato possibile. Così facendo il giovane Re non solo copriva di vergogna il nome della sua famiglia ma le assicurava un futuro di indicibili sofferenze. 

“E una vita breve.”
Dicevano anche che le sue precedenti spose fossero scomparse misteriosamente. 

Ad aspettarli c’erano il nuovo Alto Septon e pochi testimoni: i membri del Concilio Ristretto e Cersei Lannister, naturalmente. Il Primo Cavaliere, lord Tywin, teneva la mano sulla spalla massiccia dello sposo ma questi benché superasse in altezza tutti i presenti non era abbastanza alto per essere ser Gregor. 

Sansa stentò a riconoscerlo senza l'armatura d'acciaio scuro che aveva continuato ad indossare sotto il mantello bianco della Guardia Reale. 

Una voce dentro di lei, quella a cui si era affidata per sopravvivere, sempre spaventata e diffidente, le diceva che la notte dell'assedio il Mastino aveva cercato di ingannarla e quella ne era la prova! Un'altra, rimasta in silenzio per così tanto che la credeva sparita per sempre, era sicura che facesse tutto parte di un piano misterioso che avrebbe scoperto solo in seguito, come nelle migliori ballate!

Sansa non sapeva quale delle due voci avesse ragione, quale dovesse ascoltare e quale soffocare, sapeva solo che le labbra di Sandor Clegane avevano il sapore del sale e della salvezza, e fu ben lieta di baciarle.

 

La prima notte di nozze, come quelle successive, lady Sansa Clegane la trascorse all’addiaccio, sotto le stelle e in solitudine. Credeva che suo marito l’avrebbe raggiunta non appena si fossero accampati, quantomeno per parlare, lui invece preferì montare la guardia. Il mattino seguente lo vide solo di sfuggita, mentre montava in sella al suo stallone nero.

Col passare dei giorni ci rimase sempre più male ma quando le sue compagne di viaggio salirono sulla carrozza badò bene di non darlo a vedere, concentrandosi sul paesaggio che cambiava piuttosto che sulle loro chiacchiere. Ad Approdo del Re il cielo era d'un blu assoluto, l'estate era ancora nel suo pieno e solo la sera poteva capitare di indossare uno scialle; man mano che percorrevano la Strada dell'Oro le giornate si facevano più fresche e il cielo di un colore plumbeo, nell’aria c’era odore di pioggia ma finora non si era decisa a cadere. 

Ora più che mai sentiva la mancanza della sua amica Jeyne Poole, il cui destino le era ignoto, come quello di sua sorella Arya e di Shae.

Nel comunicarle che si sarebbe sposata il giorno stesso, la Regina s’era anche raccomandata con la cameriera di presentarsi nelle sue stanze a fine giornata.
«Da domani sarai al mio servizio.» disse Cersei Lannister con un sorriso ambiguo.

Quando se ne fu andata, Shae batté il piede a terra e iniziò a riporre le sue cose nel baule con gesti rabbiosi, come se lei non fosse presente, bofonchiando tra sé in una lingua incomprensibile, forse un dialetto di Lorath. 

Eppure, sentendola piangere, la servetta lasciò cadere le sete e le collane rovinosamente a terra e corse al suo fianco.
«Sfogati adesso, bambina. Non dargli soddisfazione a quei balordi!»
Era stato solo il primo di una lunga serie di consigli. Sansa serbava ogni parola gelosamente, anche se sul momento s’era stretta a lei con disperazione e dimentica di ogni contegno aveva chiesto perché non potesse portarla con sé.

«Mia signora,» Dette, la brunetta che era corsa ad avvisare la Regina del suo primo sboccio, attirò la sua attenzione «sembri preoccupata.»

«Soffrite la carrozza? Chiedo loro di fermarsi?» chiese Senelle, i cui capelli era uno scialbo biondo fragola in confronto alla sua chioma ramata.

Anche lei era una spia di Cersei. L'intera scorta era composta da spie, ser Lancel prima di tutti e non era nemmeno il più insidioso! C'erano ser Ben il Grosso e ser Kennos, entrambi provenienti dall'Altopiano ma avevano combattuto su fronti opposti. Il perdente aveva ricevuto il perdono reale inginocchiandosi e quel viaggio era lo scotto da pagare. Se poi fossero al servizio di lord Tywin o di lord Varys, difficile dirlo. Certo era che il silenzioso ser Lothor insieme a ser Shadrich, sornione come il topo bianco sul suo stemma, erano entrambi mercenari al soldo di lord Baelish. Il Folletto avrebbe voluto mandare il suo, di mercenario, ma ser Bronn s'era impunemente rifiutato così i bruti delle montagne avevano preso il suo posto e Sansa era costretta a subire la loro compagnia. Il loro capo, una donna di nome Chella, passò accanto alla carrozza proprio in quel momento. La sua collana di orecchie mozzate oscillava orrendamente attirando lo sguardo.

«È forse il vostro sposo a preoccuparvi?» riprese Dette, e di fronte al suo silenzio scambiò un'occhiata con Senelle.

«Non datevi pensiero, noi conosciamo il Mastino da anni e– Vi assicuro, il suo ringhio è più forte del suo morso.»

«Non pensate vi stia trascurando, è un soldato. Dopotutto, anche Renly ha aspettato a giacere con lady Margaery.»

«Con questo, Dette non vuole certo suggerire che il vostro sposo abbia le stesse inclinazioni

«No di certo! Sandor Clegane è il tipo d'uomo che impugna solo la propria spada.»

Le due ridacchiarono alle loro velate allusioni. Sansa le trovava di cattivo gusto, finse di non cogliere. Che la considerassero stupida e ingenua, tanto meglio!

«Forse il clima da allegra scampagnata vi ha confuso, mie signore. Siamo ancora in guerra e stiamo giusto costeggiando i territori dove si svolge il conflitto. Vi sorprende che un uomo preferisca farsi trovare con la spada in pugno piuttosto che le braghe calate?»
A parlare era stato un cavaliere con i capelli rossi come il manto di una volpe e l’espressione altrettanto furbesca. «Perdonate il linguaggio, lady Sansa.» proseguì ser Shadrich. 

«Come mai ci siamo fermati?»

«La strada è bloccata, pare un albero caduto. Non temete, vostro marito si è già fatto portare un'ascia. È un uomo molto fisico!»

Le porse la mano per aiutarla a scendere dalla carrozza. Una volta a terra Sansa si rese conto che era di molto più basso di lei, la cosa però non sembrava metterlo a disagio. Le offrì il braccio per una breve passeggiata.

«È sicuro, ser? Potrebbe trattarsi di un trucco per un'imboscata.»

Lui rise. «Sarebbe alquanto banale. E prevedibile. Per questo i bruti sono stati mandati in ricognizione.»

Sansa annuì pur non sentendosi tranquilla e non riusciva a spiegarsi il motivo. Era circondata da soldati ben addestrati e cavalieri, uno di loro era giusto al suo fianco. Dunque cos’era quella sensazione?

«La parola “bruti” vi turba?» proseguì ser Shadrich «So che creano non pochi problemi al Nord ma questi barbari, mia signora, al confronto sono ben poca cosa…»

Era evidente che quel cavaliere amava ascoltare il suono della sua voce, quindi lo lasciò parlare e nel contempo gettava occhiate furtive in giro per capire cosa esattamente la rendesse così inquieta.

«Non mi ringraziate per avervi sottratto alle congetture delle vostre simpatiche accompagnatrici?»

«Vi ringrazio molto, ser. È piacevole potersi sgranchire le gambe a metà giornata.»

«Così mi spezzate il cuore! Siete troppo giovane per tanta freddezza, mia signora. Ditemi, cosa avreste risposto se non fossi intervenuto?»

«Non sarete voi troppo vecchio per tanta curiosità, ser Shadrich?»

«Temo che la curiosità mi tenga vivo.» rise lui, ma questa volta c’era una punta d’interesse nei suoi occhi «Di questi tempi è meglio essere un topo che un leone, soprattutto quando i lupi tornano a ululare.»
Sansa tenne lo sguardo basso, per essere sicura che né gli occhi né i piedi la tradissero.
«E poi,» proseguì il cavaliere «un topo può rosicchiare una catena se ha abbastanza fame.»

«Hai finito di giocare al cortigiano, Topo Pazzo?» ringhiò una voce alle loro spalle.

Sansa si volse, incredula come in un sogno, mentre Sandor Clegane li raggiungeva tenendo ancora la scure in mano.

«Solo un po’ di gentilezza per la vostra sposa, ser Mastino.»

«Non sono un ser. E tu dovresti andare a mostrare un po’ di gentilezza al ronzino che monti.»

«Mi avevano avvertito riguardo il vostro disprezzo per i cavalieri.»

«Se è per questo odio anche i fulvi!»

Sansa si irrigidì al sentirglielo dire. Per questo si era tenuto lontano da lei? La odiava sul serio o l’aveva detto solo per togliersi definitivamente ser Shadrich da davanti?

«Grazie delle tue disinteressate premure,» concluse il Mastino «Ora mi occupo io dell’uccellino.»

«Bè, era anche ora!» ghignò ser Shadrich e prima di congedarsi le prese la mano, la sollevò dal proprio braccio e vi posò fugacemente le labbra.

Una volta soli fu lei la prima a parlare.
«Ti credevo ormai lontano, mio signore, dicevi saresti andato a Nord invece–»

«Ho esagerato col vino.» tagliò corto.

Non le piacque che le prime parole che le rivolgeva da giorni fossero tanto brusche, né che la sua attenzione fosse ancora rivolta al cavaliere di Shady Glen.

«E riguardo ser Shadrich? È stato il suo gesto a infastidirti o il fatto che avesse ragione?»

Sandor emise una specie di grugnito, poi si fece più vicino.
«L'uccellino si è accorto di avere le zanne di un lupo nascoste nel suo bel becco.» le sollevò il mento e inclinò la testa di lato «Non sembri più tanto impaurita adesso, cos’è cambiato?»

Il suo sguardo era indecifrabile. Per un momento Sansa credette che stesse per baciarla, portò l’attenzione dai suoi occhi alla sua bocca poi di nuovo ai suoi occhi e quando capì che non si sarebbe mosso si affrettò a trovare una risposta. Lei stessa si chiedeva cosa l’avesse spinta a mostrarsi così spavalda.

«Sono con mio marito, di cosa dovrei avere paura?»

Sandor non rispose subito. «Non lo sai? Credevo l'avessi capito. Eri così silenziosa e guardinga.»

«Mio signore, io–»

«Così silenziosa,» ripeté lui, lanciando un'occhiata attorno, «Anche gli uccellini veri hanno smesso di cantare.»

Sansa prestò attenzione e si rese conto che aveva ragione, per un momento le parve che persino le foglie avessero smesso di muoversi al vento ma prima che potesse dar voce ai propri timori suo marito la cinse con un braccio e la trasse a sé.
«Prendi il pugnale dalla mia cintura,» le sussurrò a fior di labbra, «ma non avere fretta di usarlo.»

«Sta davvero per–»

«Va tutto bene, uccellino.» 

Aveva detto la stessa cosa quando l'aveva tratta in salvo durante la rivolta del pane. Sansa annuì, sapeva di potersi fidare, e a tastoni trovò il pugnale.

«Quando dico corri…»

Ma lei non aspettò, lo sguardo di lui era già puntato altrove e anche il suo atteggiamento era cambiato. Si abbassò per tirare su il vestito ed essere più veloce, mentre il Mastino la spingeva in direzione della salvezza. Il fischio di una freccia fendette l’aria. Ser Kennos diede l’allarme… Poi fu il caos.

 

Chapter 3: Sandor

Summary:

Dopo aver neutralizzato gli assalitori, Sandor riesce solo a pensare a portare Sansa il più lontano possibile, anche se significa farle abbandonare la carrozza con tutti i suoi averi e passare la notte in un capanno di caccia che ha visto giorni migliori. Non la raggiunge nemmeno questa volta, però! Deve parlare con ser Lothor e ser Shadrich per fare chiarezza su quanto appena accaduto…

Notes:

Trigger warning: menzione di sangue e morte violenta.

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Sandor sputò un grumo di sangue, la spada ancora stretta nella mano destra mentre portava la sinistra alla base del collo, dove la prima freccia lo aveva mancato per un soffio. Un leggero bruciore, nulla in confronto al taglio che gli attraversava la coscia. Sentendo il sangue colare caldo lungo la gamba si era messo a ridere, mostrando i denti come una bestia ferita che attacca con maggior ferocia l’idiota che l’ha colpita ed è rimasto nei paraggi per vedere il risultato. Il risultato era che l’idiota era morto e la gamba non voleva saperne di reggerlo ma Sandor non poteva fermarsi. Tirò su col naso, stringendo i denti mentre avanzava zoppicando e il dolore pulsava al ritmo del cuore.

Si guardò intorno e scorse la freccia, quella che ora sapeva averlo graffiato, conficcata nel tronco di un faggio. Ben Busky non era stato altrettanto fortunato, a lui si era conficcata in gola mentre cercava di convincere la sua giumenta a girarsi. Così era la vita o la guerra, di questi tempi erano un po’ la stessa cosa.

La barbara stava ancora finendo un brigante a colpi d’ascia, uno dei suoi guerrieri le porse un orecchio fresco e lei lo aggiunse alla sua collezione come un fiore che completa la corona.

«Dov’è–»
Si fermò, la parola moglie rimase incastrata in gola.

«Lady Sansa è salva, ser.» rantolò ser Lancel.
Il ragazzo era pallido per la ferita alla spalla, vera o immaginaria che fosse. Ancora un paio di battaglie e avrebbe perso del tutto quell’aria da figlio dell'estate.

Sandor seguì la direzione che gli indicava e trovò la ragazza china sulle giovani al suo seguito, rannicchiate e singhiozzanti come bambine. Difficile da quella distanza capire se il suo fosse un tentativo di consolazione o di omicidio, ma visto come impugnava maldestramente il suo pugnale lui propendeva per la prima.

«Fa radunare i superstiti,» grugnì, ogni passo una martellata alla gamba «Non restiamo qui.»

Il giovane Lannister iniziò a urlare ordini, mentre il suo scudiero lo aiutava a salire a cavallo. Senza che Sandor dovesse pensare di chiamarlo, Straniero lo affiancò e lui montò imprecando per la stilettata che gli procurò il movimento.

«Vieni, uccellino.»
La afferrò prima che potesse ribattere e la sollevò di peso sullo stallone nero. Sansa si aggrappò alla mano che ancora una volta le stringeva la vita, provò a girarsi per guardarlo in faccia, forse per dire qualcosa, ma non era il momento delle parole.

«Tutti in sella!» ripeté ser Lancel, offrendo la mano alla brunetta — Odette. Bernadette. O come diavolo si chiamava! «Muovetevi, prima che ne arrivino altri a finire il lavoro!»

Ser Kennos fu più pratico e caricò sia lei che la fulva sulla giumenta di ser Ben, lo scudiero del defunto cavaliere stringeva le redini con gli occhi lucidi ma sembrava in grado di condurla. Un altro fulvo attirò la sua attenzione: ser Shadrich muoveva il suo ronzino attorno a ser Lothor, sbarrandogli la strada, ma bastò il secco «Dopo» del più anziano per convincere il Topo Pazzo a cedergli il passo. Chella e i suoi guerrieri seguirono senza domande, trascinando due cavalli carichi di bottino. 

La carrozza venne abbandonata: le ruote impantanate, il legno spezzato, il contenuto di un baule mezzo rovesciato riverso nel fango e nel sangue — vestiti per lo più, e una bambola. Sansa si voltò di scatto, ma lui spinse il cavallo avanti.
«Era l’ultimo regalo di mio padre…» le sentì sussurrare.

«Non servono cose per ricordare i morti.» 

Lei non cercò consolazione stringendosi al suo petto, nascose le trecce ramate sotto il cappuccio e si aggrappò al crine di Straniero.

Sandor si portò in testa, seguito da ser Lancel e ser Kennos pronti a coprire i fianchi. Spronò lo stallone nero e gli altri lo seguirono, proseguirono diverse miglia finché non trovarono un vecchio capanno di caccia: mezzo crollato, angusto, ma sufficiente per tenere lady Sansa e le altre due al sicuro per la notte.
“Le gabbie non sempre tengono fuori i topi, e i sorci bianchi hanno un talento per trovare fessure dove i mastini non riescono a passare.”
Lasciò i barbari a montare la guardia e raggiunse zoppicando il limite dell’accampamento, dove il Mangia-mele sembrava aspettarlo.

Lothor Brune era un mercenario al servizio di Ditocorto e aveva ottenuto il cavalierato per meriti di guerra, al pari di quel coglione che prendeva ordini dal Folletto, ma a differenza di Bronn lui aveva degli occhi onesti. Per questo Sandor preferì parlare con lui da uomo a uomo, piuttosto che gettarlo a terra con un pugno. Quel trattamento lo riservò a ser Shadrich, che al contrario aveva l’espressione di un uomo che sapeva troppo, gli occhi furbi di chi non ha mai smesso di calcolare e il sorriso di uno a cui non fregava più un cazzo di niente e nessuno.

«Avrei dovuto immaginarlo,» mormorò il fulvo, «il Mastino non morde solo quando lo provocano.»

Quando provò a rialzarsi, Sandor gli assestò una pedata sulla natica e ignorando la nuova fitta di dolore lo rispedì a baciare l'erba. «La prossima volta invece di pestarti la coda ti spezzo la schiena!»

«Dovresti proprio farti dare un’occhiata a quella gamba.» commentò Lothor in tono asciutto, la mano non dominante appoggiata sull'elsa. 

«La gamba è affar mio.» Nonostante le parole sprezzanti, Sandor dovette sedersi. Il dolore lo faceva restare concentrato ma non doveva esagerare. Il fulvo ne approfittò per mettere più distanza possibile tra loro. Non sarebbe comunque scappato, col rischio di alimentare altri sospetti, e lui non aveva forze da sprecate. «Dimmi piuttosto cosa c'entrare tu e ser Ratto con quanto appena successo.»

«Cosa ti aspetti di sentire, Clegane? Sai benissimo chi mi paga.» rispose il mercenario, senza spavalderia «Prima che lasciassimo la capitale, lord Baelish disse di tenerci pronti: al momento opportuno, il Topo Pazzo avrebbe dovuto tenere al sicuro lady Sansa mentre io dovevo sistemare te.»

Ditocorto. Sempre lui. Non gli era bastato farsi la madre e la zia, ora voleva allungare le mani sulla fanciulla! Sandor sputò a terra, non riusciva a togliersi di dosso il disgusto.

«Ma le cose non sono andate come previsto. Tu per primo non ti sei attenuto al piano! Invece di distrarmi e approfittare della confusione per colpire, mi hai messo in allarme e suggerito di andare a cercare mia moglie. Perché l'hai fatto?»

Lothor tacque, fissandolo per un lungo istante, poi rilassò le spalle e fece un passo avanti.
«Ho sentito storie interessanti su di te, sulla tua fedeltà a casa Lannister. Dicono che, quando eri ancora la spada giurata di Cersei, per suo capriccio hai tagliato l'orecchio a una sguattera che le aveva rubato delle collane. Dicono che l’anno scorso, lungo la strada del Re, hai ucciso un garzone che aveva colpito il principe Joffrey e hai trascinato il suo corpo come un bottino di caccia. Ma dicono anche che non hai partecipato allo stupro della prima moglie del Folletto.»

Sandor alzò gli occhi su di lui. Si stava avvicinando un po' troppo per i suoi gusti, lentamente portò la mano più vicino possibile alla daga nascosta nello stivale.

«Sembra che la tua fedeltà abbia dei limiti.» proseguì il mercenario, fermandosi «Ebbene, anche la mia. Sono poche le cose che non farei, rapire fanciulle innocenti per conto di tenutari di bordelli è tra queste.»

«Un po’ tardi per scoprire di avere onore, non ti pare?»

 «Onore? No. Solo stomaco. A differenza del cuore, non mente mai.»

«Ti conviene tenerlo vuoto, allora. Perché se scopro che menti, te lo apro io stesso.»

«Non dubito che lo faresti.»

«E dimmi, devo aspettarmi altri patetici tentativi di rapimento?»

Lothor scosse la testa. «Anche se non posso garantire per ser Shadrich. Giusto ieri diceva che il Re del Nord avrebbe pagato molto di più se gli avessimo riportato la bella sorella con la tua testa come corredo. Magari gli avrebbe persino concesso la sua mano!» L'ultima frase era accompagnata da un ghigno e un'alzata di spalle. «Che vuoi farci? Era abituato a un certo tenore di vita, recuperare ciò che ha perduto è il suo chiodo fisso... Non è come noi.»

Sandor aggrottò le sopracciglia. «Stai dicendo che ti rivedi in me, Brune?»

«Dico solo che entrambi siamo stati privati di quanto ci spettava per conto di parenti avidi e senza scrupoli.»

«Per questo non mi hai ammazzato?»

«Forse.»

Sandor avvertì l'angolo della bocca contrarsi sul lato sfigurato del suo viso ma non rispose subito, prima preferì assicurarsi che la ferita avesse smesso di sanguinare. Anche lui aveva sentito delle storie interessanti. Dicevano che i Brune di Brownhollow considerassero Lothor alla stregua di un bastardo perché sua madre, seppur nobile, non era mai andata a genio al resto della famiglia.
A differenza sua, Sandor non era stato allontanato per via di tratti troppo esotici. Se n'era andato di sua iniziativa, per sopravvivere, ma questo non era necessario farglielo sapere.

«Io non sono come te, ser.» Si tirò su a fatica, e senza che Lothor facesse il gesto di aiutarlo. «Tieni a bada il Topo Pazzo o sarete in due a pagare per le sue azioni. Ora, se vuoi scusarmi, mi serve una benda. E del vino forte.»

«Sono sicuro che lady Sansa potrebbe assisterti con entrambi.»

Il Mastino lo afferrò per la corazza e lo spinse di peso contro l’albero più vicino, la spada premuta sotto la gola. «Non ho bisogno di due gambe per farti tacere.»

«Perfino la tua gamba sa quando è il momento di fermarsi.» Lothor alzò le mani, calmo, troppo calmo «Ti servono alleati, Clegane. Che ti piaccia o no, sei stato trascinato nel gioco del trono»

Sandor lo lasciò andare, iniziando a capire. Lothor serviva il miglior offerente ma era fedele solo a se stesso: esponendo Petyr Baelish dimostrava lealtà alla corona e contemporaneamente il Giovane Lupo era in debito con lui. Non lo aveva sgozzato e non infieriva su di lui solo perché l’ago della bilancia era perfettamente in equilibrio. 

Un suono graffiante gli uscì dalla gola, troppo basso per definirlo risata. «Ho visto come tratti i tuoi alleati, Mangia-mele!»

«Io e pel di carota non siamo alleati, semplicemente ci ha pagato lo stesso uomo. Lord Baelish ha troppi piani e ser Shadrich troppi sorrisi. Uno di troppo, stavolta! Con te almeno vado sul sicuro, non sorridi mai. »

«Non ho oro per comprarti, Brune.»

«Strano, pensavo che il vincitore del Torneo del Primo Cavaliere fosse più liquido. O hai già speso tutto in vino e donne? Spiegherebbe perché non senti il bisogno di giacere con la tua novella sposa.»

Sandor puntò uno sguardo gelido sul mercenario ma non disse nulla. Le parole di Lord Tywin sull’importanza che la ragazza gli desse un erede il prima possibile tornarono come un monito.

«Non sono l’unico ad averlo notato! Quella gamba è un buon pretesto per non adempiere al tuo dovere ma, una volta arrivati al tuo bel castello in rovina, non avrai più scuse. Soprattutto quando la notizia del tuo ritorno raggiungerà La Montagna.»

«Mio fratello è–»

«Un cane rabbioso? Un mostro? A maggior ragione, ti servirà una spada in più per affrontarlo. Ci sei cresciuto, sai di cosa è capace…»

«Tu cosa ci guadagni?»

«Non tutti i debiti si pagano in monete. Una volta pensavo che la lealtà fosse una moneta ma non è vero, è come una lama che taglia chi la impugna. Tu e io siamo uomini che hanno già sanguinato troppo.» Lothor chinò la testa. «Voglio che resti qualcosa di me quando il sangue si sarà asciugato.»

Sandor dubitava che si riferisse a vana gloria, si chiese cosa lo spingesse a fare un simile investimento per il futuro e soprattutto come gli avrebbe chiesto di ripagarlo un giorno. 

«E chi mi assicura che non proverai comunque a uccidermi?»

«La mia parola di cavaliere.»

«Perfetto,» sogghignò il Mastino dandogli le spalle, «Allora sono un uomo morto che cammina!»

«Che zoppica, semmai.» Il mercenario lo affiancò, senza offrirgli altro aiuto. «Fà qualcosa per quella gamba.»

«Fatti i cazzi tuoi, alleato

Notes:

Prossimo aggiornamento: Giovedì 30 Ottobre

Chapter 4: Sansa

Summary:

Quella che doveva essere una breve sosta diventa una tappa obbligata a causa del maltempo, durante la quale Sansa ha modo di conoscere meglio Chella e preoccuparsi per le sorti di suo marito.

Notes:

Trigger warning: descrizioni vivide di ferite e sangue.

Chapter Text

Si fermarono il tempo necessario per medicare i feriti e far riposare i cavalli, non abbastanza perché Senelle smettesse di tremare. Dette continuava a chiederle scusa con voce bassa e tremante mentre cercava di sistemarle la manica strappata, ma la rossa si teneva l’altro braccio, quello che il brigante aveva strattonato… Nei prossimi giorni sarebbero emersi lividi con la forma delle mani che l’avevano afferrata, ad alimentare i suoi incubi.

Sansa ricordava di aver provato una sensazione di estraneità, quando il Mastino l’aveva riportata alla Fortezza Rossa e depositata tra le braccia delle donne che ancora oggi la accompagnavano. Però, Senelle non sembrava persa. Il suo sguardo era fisso sulla fiamma della lanterna, che danzava per qualche spiffero tra le assi del capanno malandato. Non reagiva al tocco dell'amica. Non una lacrima. Non un lamento. Sembrava persino che non respirasse.

Sansa voleva aiutarla ma non sapeva come fare, perciò raggiunse la porta del capanno con l'intento di trovare qualcuno che sapesse cosa fare. L’aria fredda le punse il viso. Fece un passo ma una figura comparve davanti a lei, facendola sobbalzare. Chella, il cui volto appariva ancora più sporco e duro dopo la battaglia, sembrava chiederle «Chi ti aspettavi?» invece dalla sua bocca fetida uscì: «Dove pensi di andare, Lupa Rossa?»

Sansa non arretrò.
«Senelle è ferita. Ha bisogno di qualcuno che sappia–»

Chella la spinse indietro e, senza una parola, la superò chiudendosi la porta alle spalle. Dette si ritrasse al suo ingresso ma Senelle non si mosse. La barbara si accovacciò davanti a lei, osservò il braccio, lo toccò con due dita. Finalmente la giovane si rianimò e cercò di ritrarsi. 

«La spalla è uscita,» sentenziò la capoclan, «Va rimessa. Farà male.»

«Non possiamo aspettare?» bisbigliò Dette. «Lasciamola riposare e domani–»

«Domani peggio.»

Sansa si inginocchiò accanto a Senelle. Questa le puntò addosso uno sguardo di fuoco. I suoi occhi si accesero non di paura, di rabbia. Poi Dette le prese la mano destra, esitante, e Sansa si posizionò dietro, cercando di tenere fermo il busto. Chella afferrò il braccio offeso. Senelle sussultò, il petto si sollevò e le narici si dilatarono alla ricerca di aria.
«Tenetela forte,» disse la barbara.
E senza aspettare oltre, con un movimento secco, spinse e ruotò. 

Il grido, breve ma lacerante, di Senelle fece tremare il capanno, dopo di ché la ragazza si accasciò contro Dette. 

Chella si alzò, pulendosi le mani sul cuoio. «Adesso può riposare.»

Anche Sansa si portò in piedi, sentendosi una sciocca per aver giudicato la donna solo per il suo aspetto. Voleva che si trattenesse ancora un po’, voleva ringraziarla e sapere chi le aveva insegnato, ma qualcosa nel suo atteggiamento, nel suo modo di guardarla la mise a disagio. 

«Tocca a te, Lupa Rossa.»

«Io?»

Chella annuì e un altro urlo, isterico questa volta, si levò quando la barbara indicò l’orlo del suo vestito.

«Perché non avete– Mia signora, siete–» strillò Dette.

Sansa non capiva. «Non sono ferita!»

«Ma allora, tutto quel sangue–»

Abbassò lo sguardo e vide una lunga macchia che lordava tutto un lato del mantello e parte della gonna. Era lo shock a non farle sentire dolore? Sollevò il tessuto, mostrando le gambe. Nulla. Dette si tranquillizzò all’istante. Lei invece si sentì gelare. “Quando mi ha tirata sul cavallo, era ferito.” Non si era accorta di nulla. E lui non ne aveva fatto parola, nemmeno quando l’aveva praticamente gettata contro il capanno di caccia.

«Meglio così!» commentò la barbara, «Già rattoppato tre– Ah, no! Chella non ha tempo per fanciulle che vogliono passeggiare nel buio.»

«Non voglio passeggiare. Voglio andare da mio marito, lui–»

«Sì, ho visto. Taglio lungo, profondo. Coscia sinistra. Un po’ più su e niente consumonio

Sansa non capì subito. Poi il significato la colpì, come un ceffone. Arrossì, ma Chella non rise. Non c’era ironia nella sua voce. Solo constatazione. Uno scroscio improvviso smorzò la tensione. La pioggia, sospesa da giorni, finalmente cadeva. Forte, decisa, come se il cielo stesso stesse cadendo loro addosso. Chella lanciò un'occhiata verso la porta. «Resto qui, e anche tu! Meglio per tutti.» concluse, toccandosi il ventre.

Non era ancora evidente, ma quel gesto di protezione istintiva fu rivelatore.
«Sei incinta.»

«Lo sarai anche tu.» ghignò la barbara, gli occhi scuri puntati sulla fiamma «Il Mastino non vuole aiuto, si lecca ferite da solo. Se taglio si infetta, perde la gamba e sarai moglie di mendicante zoppo. Se invece viene divorato dai vermi, potrai avere una schiera di fulvi col Topo Pazzo!»

Nessuna di quelle prospettive la allettava ma non poteva certo dirlo di fronte a Bernadette. Sansa non poté far altro che sedersi con lei, sistemandosi le gonne guardò ancora un momento il sangue sul mantello poi un tuono la riscosse. «Il padre del tuo bambino, invece?» chiese, e non per cortesia.

«Ulf, figlio di Umar, era capoclan di Fratelli di Luna.»

«Era?»

«Morto in battaglia, combattendo per Mezzo-uomo.»

«Per questo lord Tyrion ti ha–»

«Chella si offre per accompagnarvi. Vedi, mia gente non crede nei lord. Crede nei gesti. Il Mezzo-uomo è stato l’unico a non mentire. È l’unico che ha trattato con Clan delle Montagne, perché ci ha dato rispetto. E sangue. Tuo Mastino è come lui, solo parla meno e combatte meglio! Non lo seguo perché me l’hanno chiesto, ma perché lo rispetto. Non si fa comprare. Non si fa piegare. Non cerca di piacere. E se decide che meriti la sua lama, protegge fino alla morte.»

Sansa annuì, notando per la prima volta particolari nella barbara a cui non aveva mai fatto caso: portava altre due collane, oltre a quella di orecchie mozzate, una d’oro e una d’argento. Nonostante l’aspetto grossolano Sansa poté riconoscere in lei l'espressione della Madre, diversa da quella raffigurata nel Grande Tempio di Baelor ma non meno vera. Riusciva quasi a vederla sorridere mentre teneva tra le braccia il neonato dopo averlo messo al mondo senza l’aiuto di nessuno.
«Deve essere comunque dura, pensare di crescere un figlio lontana dalla Valle.»

Chella scosse la testa, con decisione, e spostò lo sguardo sulle ragazze addormentate: Dette aveva appena russato, sovrastando per un attimo il rumore della pioggia. Sansa non capiva ma non osava chiedere di più.

«Secondo mia gente, bambino mi protegge e non il contrario.» riprese la donna, «Chella sapeva di future madri che imparano cose che non sapevano e nessuno ha insegnato, ma non era capitato con altri figli… Questa volta, diverso. Chella non aveva mai curato prima.» fece una pausa, cercando il suo sguardo e non per sapere se le credeva «Molte cose non chiare. Tranne che, a fine viaggio, Lupa Rossa non sarà l’unica a trovare una nuova casa.»

 

Quella che doveva essere una breve sosta si trasformò in una lunga attesa. Sansa perse il senso del tempo ma Chella riusciva a indovinare quando la notte era divenuta giorno e il nuovo giorno era volto al termine. O forse era un’altra capacità dovuta al suo stato. Lei ricordava poco delle gravidanze di sua madre, oltre alla pancia che cresceva e l’impazienza di conoscere i suoi fratelli e sua sorella. 

Il tetto del capanno resse ma l’umidità si era insinuata ovunque, persino nei pensieri. Sansa cercava di non pensare così come Dette cercava di ravvivare l’atmosfera ma i suoi tentativi di conversazione si spegnevano nel rumore dell’acqua. Senelle parlava poco e mangiava meno. Chella se ne stava seduta a gambe incrociate, risparmiava le forze e teneva le mani sul ventre per portare calore.

Finalmente il nubifragio che si era abbattuto su di loro si ridusse a una pioggerella che tamburellava sul tetto come dita impazienti, permettendo di riprendere il viaggio. Come prima cosa, Sansa svegliò Chella e insieme andarono a scoprire cos’era stato di Sandor Clegane. In tutto questo tempo non si era fatto vivo. E ogni volta che aveva sentito un passo pesante, nel suo cuore aveva sperato… Invano.

Il campo era in fermento: cavalli sellati, tende smontate, uomini che urlavano ordini e altri che li ignoravano. I barbari si muovevano come ombre tra i cavalieri, raccogliendo le loro cose con gesti rapidi e silenziosi. Dopo due giorni di immobilità, ogni cosa sembrava più nitida, più urgente.

Sansa camminava tra le pozze, evitando i rami spezzati e le tracce fangose lasciate dai cavalli. L’aria era fredda, ma viva. Per primo vide lo stallone nero, quando chinò la testa rivelò il Mastino, intento a stringere le cinghie della sella. Zoppicava vistosamente ma non si fermava. Il mantello rivelò per un momento il farsetto di cuoio rinforzato e la fasciatura alla gamba sinistra, che teneva insieme la carne e il tessuto strappato dei pantaloni. 

“Se avesse indossato la sua armatura non sarebbe successo.” considerò mestamente, notando anche da quella distanza come il cuoio comprimesse il torace. Era un modello vecchio e gli stava stretto… Per questo aveva il respiro affannoso. E il viso seminascosto dal cappuccio, era fradicio di pioggia. O di sudore? Più lo osservava, più anche lei faceva fatica a respirare. Cos’era quel dolore, tra cuore e stomaco, come se il punto dove si congiungono le costole facesse forza per aprirsi?

Lui alzò la testa, come richiamato dal suo sguardo. Le ciocche di capelli incollate al viso non potevano nascondere la sua cicatrice, né la sua sofferenza. «Non ti avevo detto di restare nel capanno?» la rimproverò, tornando a occuparsi della sella.

Sansa fece un passo avanti. «Io– io–» 

«Tu– tu– Non hai ancora imparato quando è il momento di parlare o di tacere e fare quello che serve.» 

«Mio signore–»

«Non ora, uccellino! Abbiamo perso due giorni di viaggio, tre uomini e sì, anche la tua comoda carrozza con le tue belle cose! E non siamo neanche a metà strada.» sbottò, montando sullo stallone, «Ho bisogno che stai zitta e tieni il passo o non arriveremo mai al castello. Puoi farlo?»

Sansa annuì col capo. Sapeva che era il dolore a farlo parlare così.

Fece un passo avanti ma lui non la fece salire, stava già dando istruizioni a Chella di alleggerire i cavalli da traino perché potessero condurli Bernadette e Selene.

«Tu sai cavalcare, giusto?» tornò a chiederle, senza aspettarsi davvero una risposta. «Ho già parlato con lo scudiero dello sfortunato Ben Il Grosso: se le allunghi un paio di carote, la giumenta ti farà salire.» 

Seguì una serie di raccomandazioni: tieni sempre il cappuccio; resta al centro della formazione; poche chiacchiere, anche con le tue dame; e soprattutto, niente più passeggiate col Topo Pazzo. Lei continuò a fare sì con la testa, la pressione sullo sterno che non le dava tregua.

«Nient’altro, mio signore?»

«Forse dovresti farti dare un paio di braghe dalla tua nuova amica,» suggerì, squadrandola dall’alto dello stallone «sia mai ti vengano le vesciche sul–»

«Grazie del pensiero, mio signore, ma non ce ne sarà bisogno!»

Il Mastino storse la bocca in un sorriso crudele. «Dimenticavo. Sotto quella maschera di cortesia da lady del Sud, c’è una donna del Nord!» Senza aggiungere altro, girò lo stallone e si portò in testa al gruppo.

Sansa avvertì una vampata di calore al viso, e non per vergogna. Si volse verso Chella, che rideva impunemente mostrando i denti marci. Non sembrava preoccupata, forse avrebbe fatto meglio anche lei a non curarsi di Sandor Clegane.

Quando tutto fu pronto il corteo ripartì non più seguendo la Strada dell’Oro ma in linea d’aria, tagliando per boschi e vallate, procendendo lentamente e con attenzione perché non c’era il tempo di fermarsi se uno dei cavalli si fosse rotto una zampa. 

Sansa cavalcava in silenzio, girandosi di tanto in tanto a controllare Dette e Senelle: la prima bisbigliò qualcosa alla seconda, che rispose «Forse lo è,» mentre si sistemava il mantello sulle spalle. La rossa sembrava aver ritrovato la parola con l’amica, ma non con lei. Continuava a lanciarle occhiate di fuoco. Sansa non disse nulla. Le parole, in quel momento, sarebbero state inutili come neve su pietra. “Dopotutto, Sandor ha ragione.” Riportò lo sguardo su suo marito. Subito dietro di lui, ser Shadrich sogghignava e i suoi occhi correvano spesso dal Mastino a lei, come se stesse aspettando una tragedia. Ser Lothor, al suo fianco, pareva annoiato ma il modo in cui teneva la mano sull’elsa parlava da sé.

«Corteo di morte, sì!» commentò la barbara, che procedeva con calma ferma al suo fianco, «Chella sente puzza da qui.»

Sansa non capì subito. L’aria odorava di terra umida, cuoio bagnato e ferro. Poi, la realizzazione! Cavalcavano da ore, sotto una pioggerella costante e inclemente. Non c’era vento e il mantello riparava abbastanza ma lei cavalcava all’amazzone, non aveva pensato che un uomo invece avrebbe avuto la parte superiore asciutta mentre quella inferiore– Oh Dei, era successo quello che più temeva! La ferita si era infettata.

Si volse verso la capoclan e il pensiero andò alla vita che le stava crescendo dentro. Le porse la mano e Chella la squadrò, un’ombra di timore attraversò i suoi occhi scuri. Il clan delle Orecchie Nere procedeva a piedi, ma non era l’idea di apparire debole di fronte alla sua gente a farla esitare: i barbari non conoscevano i cavalli, semplicemente perché non avevano le risorse per mantenerli e le loro uniche interazioni con loro erano gli scontri coi cavalieri della Valle. I cavalli da traino erano mansueti, facili da condurre, ma la giumenta del defunto ser Ben aveva dispensato diversi morsi a chi aveva osato camminarle troppo vicino.

«Avanti,» la incitò Sansa.

Chella afferrò la sua mano e saltò in sella, portandosi dietro di lei. La giumenta nitrì, provò a girare la testa, ma Sansa tenne le redini. Cercava di mostrarsi sicura ma era Arya la più brava a cavalcare: era una delle poche cose in cui sua sorella eccelleva, oltre ai numeri. E il tiro con l’arco. In teoria a loro era proibito toccare le armi ma lord Stark non le aveva mai realmente impedito di esercitarsi. Sansa non sarebbe stata sorpresa se le sue lezioni di danza fossero in realtà allenamenti di tutt’altro tipo, ma alla fine non le erano serviti a molto.

«Sssh, tranquilla.» sussurrò all’animale e a se stessa. Poi si volse verso la donna e cercò di non storcere il naso per l’odore che emanava, tuttavia non poté impedirsi di commentare «Sicura di non sentire la tua, di puzza?»

«Chella non sbaglia. Lupa Rossa si abituerà presto.»

«Allora, potrebbe essere lui

«Aye! La carne tagliata, non curata, marcisce. Se sangue è nero, è tardi.»

Sansa strinse la bocca e le redini. «Cosa si può fare?»

«Aprire. Pulire. Bruciare. Fasciare. Pregare.»

«E tu puoi fare tutto questo?»

«Aye, Chella può fare tutto. Tranne pregare,» precisò Chella, sputando quelle parole nel suo orecchio «i Sette non sono Dei di Orecchie Nere.»

«Alla prossima sosta, tu pensi alla ferita e io le preghiere.»

«Lupa Rossa dimentica una cosa. Serve che Mastino accetti aiuto di Chella.»

Sansa guardò avanti, verso la figura massiccia che cavalcava più avanti. Non sapeva se Il Mastino avrebbe accettato. Ma se non lo faceva, la puzza di morte non sarebbe sparita.
«Mi occuperò anche di questo.»

 

La pioggia cessò poco prima di mezzogiorno. Il corteo procedette ancora un paio di miglia e si fermò in una radura dove gli alberi avrebbero offerto riparo, seppur incerto, nel caso avesse ricominciato. Chella saltò giù dalla sella prima che la giumenta si fermasse del tutto. Sansa invece smontò con cautela. Le gambe le dolevano ma mai quanto a Sandor Clegane. Il pensiero la tormentava da ore e adesso che finalmente poteva fare qualcosa a riguardo, suo marito si era allontanato dal resto del gruppo. Come sempre.

Sansa prese a cercarlo. Il fango le si attaccava agli stivali, ma non lo sentiva. Chella la seguiva come un’ombra, impartendo ordini al resto del suo clan. I minuti passavano e la pressione al petto, che non le aveva mai dato tregua, alimentava il senso di urgenza.

«Ser Shadrich, avete visto–»

«La vostra tutt’altro che dolce metà? Siete sulla strada giusta, mia signora, proseguite in quella direzione e andrete a sbattere contro il suo brutto muso! Sicuramente avrete più fortuna di me nel offrirgli sostegno. Se vi servisse assistenza, non esitate a chiamarmi.»

A Sansa non piacque come lo disse, toccando il fodero della spada. Gli assicurò che aveva tutto l’aiuto necessario e dopo un inchino proseguì, seguita dalla minacciosa donna barbara con la collana di orecchie.

Seduto su una roccia, la gamba sinistra stesa in avanti, Sandor Clegane armeggiava con un ago a uncino. Si era aperto il mantello e la sua lunga tunica rosso scuro ora era ben visibile, a differenza del mastino sul petto ormai sbiadito e consumato. Quando le sentì arrivare si sporse come per raggiungere la spada, ma nel riconoscerla non completò il movimento. Avvicinandosi, gli occhi di Sansa corsero subito alla fasciatura sudicia e annerita attorno alla sua coscia.
«Perché non hai cambiato la medicazione?»

«Sono stato occupato.» tagliò corto, mentre i suoi occhi seguivano Chella. Poi, con voce roca, aggiunse «Non serve che ti preoccupi.»

Sansa strinse il mantello. «Mi preoccupo, invece!»

La capoclan, inginocchiata davanti a lui, sollevò cautamente l’orlo della benda e le fece cenno di avvicinarsi. Sansa si impose di guardare. “Sono la moglie di un soldato adesso, devo abituarmi.” La stoffa era attaccata a una lunga ferita e trasudava un fluido giallastro.
«Puoi fare qualcosa?» si affrettò a chiedere.

«Aye, ma non sarà piacevole.» 

Chella tornò verso l’accampamento. C’era già una pentola d’acqua che ribolliva sul braciere e lei vi immerse un panno pulito, Sansa però non si curò di quel che faceva. Fissava il rosso acceso dell’edema che iniziava a sorgere da sotto la benda e, per un attimo, le immagini si sovrapposero. Scosse il capo per scacciare il volto di lord Eddard Stark, sofferente per la ferita infertagli dallo Sterminatore di Re, e mise a fuoco quello di suo marito.

«Ho l’impressione che tratti meglio il tuo cavallo di te stesso, mio signore.»

Lui sbuffò, riavvolgendo il filo intorno all’ago inutilizzato. Tolse il cappuccio con stizza e quando la guardò sembrava… Più vecchio. Più stanco.
«Risparmiami le tue inutili prediche! Non mi farò mettere le mani addosso da una selvaggia delle montagne. Conoscono svariati modi per uccidere un uomo. E scommetto che sono bravissimi a inventarne di nuovi!»

«Lupa Rossa vuole che Chella salva vita, Mastino, no che te la toglie.» spiegò Chella, di ritorno col panno caldo su di un bastone «Questo ammorbidisce crosta e fa affiorare siero.» Storcendo la bocca in un sorrisetto, lo lasciò cadere sulla fasciatura. 

Sandor sobbalzò, serrando la mascella. Se non intendesse esternare il suo dolore davanti alla donna o a lei, Sansa non poté stabilirlo.

Chella sbriciolò delle foglie essiccate all’interno della ciotola che, a giudicare dall’odore, conteneva grasso, mentre uomini e donne del suo clan le portavano ciò di cui aveva bisogno senza che lei dovesse chiedere. Uno prese il coltello di Sandor, tornò al braciere e immerse la lama tra le braci.

Sandor imprecò e inveì contro di lei ma la capoclan non ascoltava, impegnata com’era a mescolare gli ingredienti. 

«La ferita è infetta, mio signore. Non c’è altro modo.»

«Credi di poter decidere per me? L’aver recitato un paio di voti e la benedizione di un septon non danno il diritto–» 

«Sì, invece, se servirà a salvarti la vita!»

Ma lui non la ascoltava, aveva lo sguardo disperato di un animale ferito pronto ad attaccare. Si rivolse nuovamente alla capoclan: «Prova ad avvicinarti con quella roba e ti ritroverai un pugnare rovente su per il–»

«Hai detto che avresti vegliato su di me.» Gli rinfacciò, non trovando altro modo per convincerlo. «Hai detto che mi avresti portato a casa. Ed è quello che stai facendo, mi stai portando a casa. La mia nuova casa.» proseguì incalzante, portandosi davanti a lui. «Ma cosa sarà di me se perdi la gamba? O peggio, se muori?»

«Uccellino...»

«Ti prego,» gli prese il viso tra le mani, era lei quella spaventata adesso, «non lasciarmi sola in questo mondo.»

Rimasero così, occhi negli occhi, per un istante che sembrò durare ore, giorni, prima che lui abbassasse pesantemente le palpebre e annuisse. Sansa tirò un sospiro, non si era accorta di aver trattenuto il fiato. 

Chella la fece spostare e si appoggiò contro la muscolosa gamba di lui per tenerla ferma.
«Tu va dietro. Ma, questa volta, tieni le spalle.»

Sansa obbedì anche se non era certa di riuscire ad assolvere quel compito. Che speranze aveva lei, esile fanciulla, di trattenere l’uomo lì seduto? Forse la barbara voleva solo farla sentire utile. Ora stava sollevando il panno umido, staccò la benda e mise a nudo la lunga ferita rossa e purulenta che correva da appena sopra il ginocchio fin quasi al suo– 

Chella ripetè la battuta sul consumonio, come lo chiamava lei, e il ritrovarsi moglie di un mendicante zoppo. Questa volta le sue parole erano accompagnate da una risata roca ma calda.

«Infierisci pure, brutta stronza, finché mi hai alla tua mercé!» rantolò il Mastino.

Dopo che ebbe lavato la ferita, rimuovendo tutto il tessuto annerito e i grumi di sangue, la capoclan fece cenno al suo uomo di estrarre il pugnale dal fuoco. «Chella fa in fretta.» promise. E senza aspettare oltre posò la lama incandescente contro la ferita, facendola scorrere rapidamente per tutta la lunghezza del taglio.

L’aria fu invasa dal tanfo nauseabondo di carne bruciata. Sansa avvertì il corpo del Mastino tendersi spasmodicamente sotto le sue dita, la sua mascella si irrigidì ma non emise un suono né si mosse. Terminata l’operazione, mentre Chella strofinava il preparato dentro e intorno la ferita, lui iniziò a tremare e istintivamente Sansa lo strinse al seno. «Va tutto bene.» lo cullò, carezzandogli i capelli, «Sei stato coraggioso, tanto coraggioso.» Una risata non tanto dissimile dal pianto lo scosse.

«Medicazione non deve essere tolta. Per tre giorni.» le raccomandò Chella.

Sansa fece sì con la testa. Con occhi attenti osservò la donna prendere alcune manciate di pane ammuffito e inumidirle fino ad ottenere una pasta densa con cui coprì la lesione. E cercò di memorizzare in che modo eseguì la fasciatura.
Le sue orecchie erano altrettanto attente a registrare le parole mormorate da suo marito: «Altri unguenti. Ah! Anche Gregor ha avuto i suoi unguenti, ma lui venne unto con i sette oli dal principe Rhaegar… Non con l’intruglio di una puttana barbara.» rise ancora «Dei infami, la storia si ripete!»

«No, non è vero.»

«E tu che cazzo ne sai?» Il Mastino sollevò il capo, impossibile decifrare il suo sguardo tra le ciocche scure attaccate al viso bagnato di sudore e pioggia. «Eri bella in un altro posto. Anzi no, non eri ancora venuta al mondo! Cosa puoi mai sapere di quello che ho vissuto?»

Avrebbe detto molto peggio se Chella non avesse scoperto un altro piccolo taglio, questa volta sul collo, e anche questo dava segni di infezione. «Qui fuoco non serve. Una piccola incisione, poi unguento. Lupa Rossa può fare da sola!» Le mise in mano il pugnale, dopo averlo pulito, e senza altre indicazioni li lasciò soli.

«Avanti, moglie, facciamo presto! Mi hai fatto bruciare, ora tagliuzzami pure.» sbottò il Mastino, aprendo maggiormente la tunica «Che aspetti? Oh, capisco! Credevi che la mia faccia fosse l’unica parte segnata del mio corpo…» proseguì in tono aspro, «Se ti disgusta posso fare da solo, non sarà la prima volta né l’ultima.»

«Perché?» disse Sansa, posando la mano libera sulla sua spalla «Queste cicatrici sono solo la prova che mio marito è un uomo forte, sopravvissuto a–»

Il Mastino sfuggì al suo tocco, la bocca che si contraeva dal lato della cicatrice dando al suo sorriso un’aria grottesca e crudele.
«Sì, sono sopravvissuto a molte cose. A mio fratello prima di ogni altra. Ma tu questo già lo sai, vero?» le lanciò un’occhiata torva «Ti ho visto, al torneo del Primo Cavaliere, confabulare con quel verme di Ditocorto girati spudoratamente verso di me.» 

«È vero,» ammise lei, «lord Baelish mi ha raccontato che rubasti un–»

«Non l’avevo rubato, ci stavo giocando!»

Sansa trattenne il fiato a quella giustificazione, al tono infantile con cui era stata pronunciata. Non faceva fatica a immaginare il piccolo Sandor Clegane ripetere inutilmente quella frase mentre La Montagna Che Corre lo teneva fermo contro le braci ardenti. 

«Gregor era troppo grande ormai e– E poi aveva già tutto! Il titolo, la fortezza, l’amore di nostro padre. Quel cavaliere di legno non significava niente per lui! Ma non sopportava che anch’io avessi qualcosa, anche solo per poco. Così mi ha preso tra le braccia e mi ha schiacciato la testa contro il fuoco, neanche fossi una succulenta costoletta di montone. Il dolore era terribile, l’odore anche peggio, ma ciò che fece davvero male era che fosse stato mio fratello a farlo. E nostro padre — lord Irial Clegane — continuava a proteggerlo… "Resta tutto in famiglia."» Un’altra risata lo scosse, amara come un frutto acerbo che impasta la bocca. «Gregor lo ha ripagato ammazzandolo durante una battuta di caccia, dando la colpa al morso di una volpe. "Una volpe rabbiosa, col pelo nero e gli occhi iniettati di sangue." La fantasia non gli è mai mancata! Se avesse detto che era stato Lo Straniero in persona nessuno avrebbe avuto il coraggio di contraddirlo. Io non l’ho avuto! Lasciai il castello il giorno stesso, senza voltarmi indietro.» 

Tacque un istante, poi si schiarì la gola e la voce gli uscì ancora più ruvida.
«Sbrigati con quel taglio, uccellino, o questo vecchio cane continuerà a latrare e finirà che dovrai bruciarlo di nuovo.»

Durante tutta l’operazione regnò il silenzio. Poi il Mastino si alzò, senza accettare aiuto alcuno.

«Devi riposare, mio signore.»

«Si atrofizzerà se non mi muovo. E allora sì, avrai un marito zoppo!»

Sansa lo osservò accertarsi della propria stabilità, aggiustarsi la tunica e raccogliere il farsetto insieme al cinturone con la spada. Poi suo marito si avviò, a passo claudicante, senza controllare se lei lo seguiva. Dentro, la pressione era diminuita senza scemare del tutto. Qualcosa si era spostato. Non rabbia, non ancora, ma non era più solo silenzio.

Chapter 5: Sandor

Summary:

Il viaggio dei nostri eroi si conclude senza ulteriori complicazioni ma la vera sfida per Sandor inizia adesso: il passato trasuda da ogni pietra, il presente brucia negli occhi di Sansa e il futuro — incerto, come la reazione di lord Tywin quando riceverà il corvo — pesa più di quanto vorrebbe ammettere.

Notes:

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Chapter Text

La pioggia sembrava appesa al cielo color stagno, l’umidità entrava nelle ossa e il respiro dei cavalli si mescolava alla nebbia che invadeva pian piano la boscaglia. Il corteo avanzava lento, uomini e bestie immersi nel fango fino alle caviglie. Nessuno parlava, se non per bestemmiare contro il terreno.

Sandor teneva lo sguardo fisso davanti a sé, il dolore che batteva a ogni passo dello stallone. Nonostante le dita rigide per il freddo e lo shock gli impedissero di condurlo come si deve, Straniero faceva quanto si aspettava da lui. Quell'animale lo capiva al volo, non come la ragazza che dopo averlo fatto bruciare dalla barbara, continuava a fissarlo aspettandosi un grazie! 

Non le aveva fermate, nessuna delle due. Aveva ringhiato ma non aveva morso le mani di Chella che riaprivano la carne per cauterizzare. Aveva stretto i denti, bevuto il dolore. Peggio ancora, non aveva allontanato la ragazza — sua moglie, per i Sette Inferi, Sansa Stark era sua moglie!
Avrebbe dovuto dirle di sparire e invece si era lasciato toccare, consolare persino, e le aveva confessato segreti che aveva giurato di portarsi nella tomba. Da allora non le aveva rivolto più di tre parole, tutte brusche e necessarie, e lo sguardo di lei che gli bruciava addosso più della lama incandescente.

Lo preoccupava non poco, il potere che aveva esercitato su di lui. Non sapeva spiegarsi come fosse riuscita a convincerlo. L'aveva guardata negli occhi e vi aveva letto paura. E per la prima volta, da quasi due anni a questa parte, Sansa non aveva paura di lui. Tanto era bastato perché la sua, di paura, si dissipasse all'istante.
O forse erano state quelle parole: «Ti prego, non lasciarmi sola in questo mondo.»

“Lei però non è sola.” Aveva ancora un fratello, e una madre, entrambi ignari che li separassero poche miglia. Lasciarlo divorare dall’infezione sarebbe stato un ottimo modo per liberarsi di lui: quando la febbre lo avrebbe fatto cadere da cavallo, avrebbe avuto il giusto diversivo per tentare la fuga.
“Ma l'uccellino non è così crudele.”
Così come Sandor Clegane non era il tipo d’uomo che pone domande per sentirsi migliore con risposte dettate dalla cortesia. Aveva preoccupazioni più grandi.

Due giorni a dormire con un occhio aperto, nel caso ser Lothor avesse di nuovo cambiato idea. Per non parlare di ser Shadrich! Nonostante il livido sotto l’occhio, non aveva perso la lingua. Forse pensava di prenderlo per sfinimento. E in un certo senso ci era riuscito. «Sai come funziona, Clegane. Vale di più se resta intatta.» aveva detto col solito sorriso da faina, poco prima che sua moglie sopraggiungesse con la barbara «Puoi fare fesso Brune, e il Re bambino, ma non–» e si era beccato un altro pugno. Secco. Diretto. Era finito nel fango, sputando sangue e denti. Ma più il Mastino colpiva duro, più il Topo Pazzo tornava a tormentarlo.

«Sai, non è di me che dovresti preoccuparti.» stava dicendo adesso, facendolo pentire di tenerlo vicino per controllarlo meglio «Ser tracagnotto, laggiù, si informa della salute della lady come dovrebbe fare un marito…»

Sandor sentì il pugno prudere ma questa volta fu lui a incassare il colpo. Voltò appena la testa. Più indietro, Sansa parlava con ser Kennos. A loro arrivava solo un brusio indistinto ma la voce di lei aveva qualcosa di vivo e piacevole rispetto al silenzio che avvolgeva la marcia. Il cavaliere tarchiato rise e lei arrossì, con l'aria di chi non si aspettava una simile reazione. Sandor si morse l’interno della guancia e tornò a guardare avanti. “Stupido! Non è affar tuo se trova ancora la forza di cinguettare in mezzo al fango.” Eppure sentiva lo stomaco contorcersi ogni volta che lei parlava con un altro.

Il mastino sulla tunica gli pesava addosso più di qualsiasi armatura: non più un elmo che incuteva paura, solo stoffa logora, cucita male, che non riusciva a buttare via. Come non riusciva a liberarsi di lei. Percepiva ancora il suo sguardo addosso e lo irritava più di dover ammettere che la ferita gli doleva molto meno.

Da quel momento in poi Sansa gli controllò periodicamente la medicazione.
«Non sei obbligata.» le rammentò, quando dopo i fatidici tre giorni si apprestò a cambiare la fasciatura.
Le mani, già intente a sciogliere i nodi, si fermarono un momento. Lo sguardo che gli rivolse da sotto il cappuccio sembrava dire: «Lo so.» e lui annuì, senza più tentare di scacciarla.

Era il massimo di gentilezza che Sandor potesse concederle. Il Mastino non sapeva rivolgerle la parola senza che sembrasse un ringhio. E lei si era adeguata: parlava solo il necessario, senza civetteria né paura. Il suo tocco non era paragonabile alle mani ruvide della barbara, tuttavia cercava di non pensarci. Quella vicinanza era sufficiente a scatenare reazioni che l'avrebbero messa a disagio.

Aveva voluto lasciarle un po’ di respiro, tra una gabbia e l’altra, ma una volta a Clegane Keep ci sarebbero stati ancora più occhi e orecchie pronte a riferire. Sandor avrebbe quantomeno dovuto dividere la camera con lei, quando al resto… Era stato tra i primi ad accorgersi quanto fosse cresciuta. Era stato proprio lui a sorprenderla mentre tentava di occultare le lenzuola con la prova del primo mestruo. E una volta recuperate le forze, ci si aspettava che compisse il suo dovere di marito. Ma solo perché sarebbe stato suo diritto averla, non voleva autonomamente dire che lui dovesse prenderla

Prima o poi le loro strade si sarebbero divise, ne era certo. E sarebbe stato meglio così. Fino ad allora c’erano diversi modi per far credere che il matrimonio era stato consumato, e soltanto uno prevedeva di minacciare maestro Jay! Sandor sperava di evitare, quel povero diavolo ne passava già abbastanza con Gregor e la sua assuefazione al latte di papavero.

Gregor. Il solo pensarlo, un pugno alla bocca dello stomaco. Forse era stato questo, più di tutto, a farlo rassegnare: se lui fosse morto prima di essersi assicurato un erede, la scelta più immediata era farla risposare con suo fratello… No. Meglio il fuoco, meglio la lama!

Le ultime notizie vedevano La Montagna ad Harrenhal, in veste di castellano e carceriere dei prigionieri di guerra. Lord Tywin non si sarebbe adoperato tanto per mantenere segreta quell’unione solo per inviare un corvo, col rischio che fosse intercettato dal nemico. Tuttavia, dopo la chiacchierata cuore a cuore con Lothor, l’idea di trovare Gregor ad aspettarlo lo teneva sveglio la notte e gli procurava incubi le poche ore che riusciva a riposare. Come se non fosse strano di per sé tornare a casa dopo tanti anni.

Si stava giusto chiedendo quanto sarebbe stato difficile, per Sansa, vivere nel castello dove era cresciuto senza iniziare a mordere sul serio, che ser Shadrich gli si accostò col suo ronzino.
«Non le è passata la voglia di cercare l’approvazione dei leoni,» lo informò, «oggi la tua lady chiacchiera fitto fitto con ser Lancel.»

Sandor riuscì a non voltarsi. Il cucciolo biondo si era fatto mansueto lontano da corte, tanto quanto il sorcio fulvo si faceva più audace di miglia in miglia: aveva capito che non lo avrebbero ucciso, né lui né Lothor, non fosse altro per evitare di turbare ulteriormente l’uccellino.

«Oh, lady Sansa, vi chiedo perdono per ogni mancanza. Non ero che un ragazzo accecato dall’orgoglio. Imploro il vostro perdono.» proseguì il Topo Pazzo, facendo il verso al giovane Lannister «Patetico, ma efficace! Chissà se guardandolo ripensa ai bei sogni dorati infranti…»

«Lothor, infila un pezzo di formaggio in bocca a ser sorcio,» ringhiò il Mastino, sollevando il braccio per far capire al corteo di fermarsi «poi va a dire a mia moglie di raggiungermi sulla cima di quella collina.»
Spronò lo stallone mentre la risata del ratto bianco si spegneva. Per poco che lo conosceva, Lothor sarebbe stato capace di farlo davvero!

Mancavano ancora trenta miglia buone — una giornata di viaggio se i cavalli reggevano lo sforzo finale, due se ricominciava a piovere — dovevano scendere a valle e poi risalire la ripida mulattiera, ma dritto davanti agli occhi Clegane Keep spiccava tra le nuvole basse e le cime degli alberi ergendosi sulle rocce, inglobato in esse: un grande blocco quadrato, senza torri né bandiere svolazzanti, solo mura spesse e finestre strette come feritoie. Suo padre parlava sempre di rinforzare le difese aggiungendo delle mura esterne e rinforzare il ponte di legno più a valle, per evitare che somigliasse a una diga quando le piogge ingrossamento il fiume. Sandor constatò che suo fratello non aveva portato avanti nessuno di quei progetti.

A prima vista nulla sembrava cambiato, persino la morsa che gli stringeva il petto era la stessa. Quando sentì sopraggiungere la giumenta diede le spalle al castello, nascondendolo alla vista con la propria figura. 

«La ferita ti crea fastidi, mio signore?»

Scosse la testa. «Voglio mostrarti la tua nuova casa.»

Sansa sbatté le palpebre, evidentemente sorpresa, poi gli si affiancò.

«Quando lord Tytos Lannister conferì a mio nonno le terre e il titolo, quel forte era poco più di un rudere: il tetto era stato rimosso, l’acqua aveva invaso gran parte del piano terra e l’ultimo, interamente in legno, era praticamente inagibile. A oggi non si sa quale fosse la sua funzione originale, ma tiene fuori la pioggia e dentro i vivi. È già qualcosa!»

A voler essere precisi, la pioggia era accolta a braccia aperte dal castello: sotto il cortile interno c’era una cisterna scavata nella pietra e la pavimentazione era costruita in modo da convogliare l’acqua piovana, in modo da incrementare la riserva del pozzo. In caso di assedio avrebbero resistito meglio di Stannis a Capo Tempesta, ma Sandor non era così impaziente di ritrovarsi ogni fottuto uomo del Nord attaccato al culo. E se proprio doveva andare a finire così, sperava di non arrivare a incrociare la spada col Giovane Lupo.
“Non ho voglia di farle vedere qualcun altro che ama morire per una parola di troppo.”

«È austero.» esclamò Sansa, accarezzando la giumenta che non sembrava gradire il panorama «Quelle pietre scure… Si tratta di granito?»

«Aye.»

«Come Grande Inverno.»

Sandor sentì la mascella contrarsi. Ricordava il brivido che gli aveva scosso le membra quando il castello era comparso all’orizzonte. Non era strano che il primo pensiero fosse andato alla leggenda secondo cui i giganti avessero contribuito alla sua costruzione. A confronto, Clegane Keep poteva sembrare al massimo il cubo giocattolo di un gigante-bambino! La prima cosa che si poteva notare era la mancanza di una finestra, dovuta al dislivello della pavimentazione al secondo piano. O forse era lui a notarlo, perché sapeva… 

Sansa guardava la sua nuova casa in cerca di un calore che tra quelle mura non c’era mai stato — non era del tutto vero ma Sandor non voleva pensare a lei adesso — dubitava fortemente che avrebbe trovato qui lo stesso clima in cui era cresciuta.

«Non è Grande Inverno, né la Fortezza Rossa–»

«Certo che no! Intendevo dire che trasmette la stessa sensazione. Come se fosse sempre esistito. E non potesse crollare.»

«–ma nessuno ti dirà come sorridere.»

Sansa si voltò sorpresa. Una follata di vento mosse il cappuccio e per un istante i suoi occhi sembrarono ancora più chiari, ripuliti da ogni pena e timore. Non c’era cortesia in quel sorriso. Sandor vi lesse sollievo, conforto persino. Forse era il massimo che potesse aspettarsi da lei.

 

Naturalmente ricominciò a piovere mentre percorrevano il sentiero che conduceva al castello. A ogni tornante il vento di montagna le sferzava il volto. L’acqua rendeva viscide le pietre della mulattiera, scivolavano sotto gli zoccoli e la giumenta di Ben Busky che chiudeva la fila si innervosì al punto che lo scudiero dovette condurla a piedi.

Sandor osservava la scena dall’alto, con Sansa stretta nel groviglio dei loro mantelli. La ferita alla gamba tirava ancora ma aveva preferito farla salire con sé piuttosto che rischiare. Lei aveva protestato, all’inizio. Ora guardava e taceva. Ritrovò la parola solo quando superarono le cinte murarie incomplete ma la maggior parte si perse nel vento: «–a metà pensiero. –inespugnabile.» 

Il portone si aprì con un gemito lungo mentre percorrevano il ponte levatoio. Sandor smontò dallo stallone, per non rischiare di sbattere la testa nel doppio arco a tutto sesto e a sesto acuto, e quando si ritrovarono nello stanzone dal soffitto ad arco si sentì soffocare. Le pietre, gli archi, la porta che conduceva al cortile interno… Era sempre stato tutto così piccolo? Straniero nitrì e lui si riscosse, facendo scendere anche Sansa.

«Gra– ah!»

Un uomo si fece avanti. Capelli neri, occhi ancor più neri. Un grembiule lordo di sangue. La lama brillò quando nascose la mannaia dietro la schiena. «Padron Sandor, siete– cresciuto.» 

«Anche tu, Caleb. Vedo che maestro Jay manda sempre avanti te per dare il benvenuto!»

«Maestro Jay è morto sette anni fa, padrone. Maestro Vludi ha preso il suo posto.»

Il macellaio tirò ripetutamente e violentemente su col naso, chiudendo gli occhi ogni volta. Non si scusò. E Sandor non riuscì a trattenere un ghigno. Fu piacevole riconoscere il ragazzo con cui era cresciuto nell'uomo che era diventato.
«Vedo che neanche lui è riuscito a risolvere il tuo problema.»

«Almeno mi risparmia i salassi… Incensi, neanche fossi un dannato septon. E unguenti, i vostri preferiti!» Caleb lisciò la barba, poi tese la mano verso il cortile interno e gli cedette il passo. Nessun inchino, grazie agli Dei! Era già imbarazzante così. «Bentornato, padrone. Benvenuta, m'lady…»

«Lady Sansa– Clegane,» la presentò, senza troppe cerimonie, «mia moglie.»

Il macellaio chinò brevemente il capo. «E vi fermerete per–»

«Sì. Quanto agli altri, vedremo…»

«Altri, padrone?»

Sandor chiuse gli occhi con un sospiro, prima di elencare: due dame, quattro cavalieri e uno scudiero, con altrettanti cavalli — il clan delle Orecchie Nere era rimasto accampato a fondo valle, ma con Chella avevano concordato di incontrarsi l'indomani per definire insieme dove si sarebbero insediati. E in che modo si sarebbero rapportati col vicino villaggio, soprattutto!

Quando tornò a guardarlo, scoprì che questa volta era Caleb ad avere la bocca piegata da un lato.
«Faccio preparare le camere. La vostra vecchia stanza va bene, per voi e m'lady?»

Sandor annuì. «Devo inviare un corvo, potresti–»

«Dopo che il maestro avrà dato un'occhiata alla tua gamba.» intervenne Sansa, facendolo voltare.

«Cos'ha la vostra gamba, padrone?»

«La mia gamba può aspettare. Il Primo Cavaliere ci avrà dato per dispersi o–»

Di nuovo, l'uccellino lo interruppe: «Abbiamo subito un’imboscata. La carrozza è stata rovesciata e ser Ben è morto, ser Lancel è stato ferito, e anche lui!» lo indicò «Poi è piovuto per giorni e la ferita si è infettata, e–»

Avrebbe finito col raccontare ogni dannatissimo particolare del loro esodo se Sandor non le avesse messo una mano sulla bocca. Non con forza, ma con decisione.

«Vai a chiamare il maestro, Caleb.» ringhiò il Mastino, senza staccare gli occhi da quelli spalancati di lei. Contava di togliere la mano appena i passi del macellaio fossero stati un eco lontano, ma l’uccellino fu più veloce a liberarsi dalla sua presa. «Non impari mai, vero? A tenerti la lingua in bocca. A non cercare nobiltà e cavalleria nel fango, spifferando tutto come se fosse materia per una maledetta ballata!» 

«E tu allora, non mi dirai come sorridere ma pensi di potermi zittire? Non sempre tacere è quello che serve.»

«Davvero, hai fatto quello che serve? Come quando hai deciso che dovevo bruciare la ferita?»

«Saresti morto se non l’avessi fatto. Ma sei troppo testardo per ammettere la verità: io ti ho salvato!»

«E com’è finita l’ultima volta che hai pensato che la verità avrebbe salvato qualcuno?»

«Quindi per te sono ancora la ragazzina ingenua che ti divertivi a spaventare nei corridoi della–»

«Sì, perché non capisci quando stare zitta! Non capivi allora, non capisci ora!»

«E tu, mio signore, non capisci che non sono più quella ragazzina!»

«Perché ti sei alzata di dieci centimetri? Può darsi. Ma continui a essere un’ingenua.»

«Oserei dire che ti infastidisce il fatto che non ho più paura di guardarti negli occhi.»

«Dovresti.»

«Perché? Perché sei davvero un mastino, Sandor Clegane? Un cane rabbioso, selvaggio a metà, che morde qualsiasi mano cerchi di accarezzarlo?»

Sandor fece un passo avanti e la afferrò per un braccio, come aveva fatto quando l’aveva incrociata per le scale della Fortezza Rossa. Lei finì di nuovo contro il muro però non abbassò lo sguardo. Continuò a fissarlo dritto negli occhi. Fiera. Furiosa. Qualcosa era effettivamente cambiato in lei dalla notte della battaglia delle Acque Nere. E lui non sapeva se questo lo spaventava o lo rassicurava.

«Un mastino non fiuta solo la paura ma anche le stronzate, e con te non devo nemmeno sforzarmi!» mormorò lui, basso, ruvido. «L’aver messo su un paio di tette e versare qualche goccia di sangue ogni mese senza crepare, non fa di te una donna. E l’averti messo sulle spalle un mantello e legato le nostre mani con un nastro, non fa di te una moglie. Fossi in te non sarei così ansioso di calarmi né in un ruolo né nell’altro… Perché non sei pronta a scoprire che succede, se provi ad accarezzarmi.»

Sansa non rispose ma solo perché il tintinnare della catena si fece strada tra loro. E mantenne il contatto visivo finché il fantomatico maestro Vludi si schiarì la voce. La discussione era tutt’altro che finita.

«Ben arrivati, ser–»

«Sai dove te lo puoi ficcare quel ser?» sbottò il Mastino, voltandosi.
Anche Sansa si volse, nel medesimo istante, e per quanto concitato il suo tono riuscì a mantenere un velo di cortesia: «Mio marito non è un cavaliere, maestro.»

Sandor tornò a guardarla ma solo gli occhi di lei si spostarono su di lui, brevemente. Il suo bel viso rimase rivolto verso il nuovo arrivato

«–e lady Clegane.» concluse il giovane maestro, deglutendo sonoramente prima di continuare. «È un onore servire la vostra casa.»
Mentre si esibiva in un rigido inchino, Sandor gli rivolse un’occhiata più attenta e si sorprese di non doverlo guardare dall’alto in basso. Maestro Vludi aveva la tipica fisionomia che non permette di decifrare la reale età della persona: era uno smilzo sbarbato, con una coda di capelli biondo cenere, da cui sfuggivano un paio di ciocche che facevano sembrare il suo viso sbarbato più magro di quanto non fosse. «Mi sono permesso di far scaldare del cibo e dell’acqua, per voi e il vostro seguito. Immagino sia stato un viaggio lungo e–» 

Di nuovo, lui e l’uccellino parlarono all’unisono.
«Esatto, ed è fondamentale inviare un corvo al Primo Cavaliere per informarlo che siamo arrivati…»
«Sì, lungo e pieno di insidie. Abbiamo perso tre uomini per colpa dei briganti, e mio marito è rimasto ferito…»

«Ma guardateli! Ormai sono una coppia ben rodata.» commentò ser Shadrich, rivelando che il resto del gruppo era arrivato in cima alla mulattiera ed erano rimasti a osservare da chissà quanto.

Il Mastino le rivolse un’occhiata esasperata. “Proprio non ce la fai, uccellino, a non fidarti del primo volto gentile. A non parlare quando non sai chi ti ascolta.” Sansa sbatté le belle ciglia e sollevò il mento, continuando a sostenere il suo sguardo. “Però hai imparato a guardare in faccia un killer senza tremare!” Non sapeva se esserne più compiaciuto o irritato.

«Perché non andiamo a parlare nel mio studio, lord Clegane?» propose maestro Vludi, «Così voi potrete scrivere il messaggio e io, nel frattempo, potrò dare un’occhiata alla vostra gamba.»

«Mio padre era lord Clegane,» gli fece notare «E dacché mi risulta mio fratello maggiore è ancora in vita, quindi il titolo è suo.»

«Cercherò di tenerlo a mente.»

«Suvvia, Sandor, non è questo il modo di rivolgersi a un giovane al suo primo incarico!» lo rimproverò una voce più stanca di quanto ricordasse «Perdonate il mio ragazzo, maestro Vludi, è la stanchezza a renderlo scontroso.»

L’ultima persona che si aspettava di trovare ancora in vita si fece largo, accompagnata da Caleb. Il macellaio aveva tolto il grembiule da lavoro e offriva il braccio all’anziana septa. Anche lei era sempre stata così piccola? Gli anni l’avevano ristretta, sembrava poco più grande del Folletto! E ancora lo osservava come se riuscisse a scrutare il suo animo.

«Non sono più un ragazzo, septa Dubhe.»

«Sciocchezze, sarai sempre il mio ragazzo! Caleb dice che ti sei sposato. E dov’è, dov’è la tua– mia cara, ma sei bellissima!» esclamò, staccandosi dal macellaio e andando in contro a ser Lancel «Che splendidi capelli! Sapevo che tanti anni al servizio dei Lannister avrebbero lasciato il segno, ma non immaginavo in modo tanto evidente.»

Ser Lancel, rosso in volto, non sapeva come fermare la septa che sollevava il suo mantello e bofonchiava qualcosa sul suo curioso modo di vestire. Suo malgrado, Sandor diede seguito alla farsa: «In effetti, con quel bel faccino e i boccoli dorati, viene da chiamarlo lady Lancel piuttosto che ser.» Alle proteste di questo, gli altri cavalieri esplosero in una risata e anche le dame da compagnia si unirono. Anche Sansa si coprì le labbra sorridenti e aspettò di aver recuperato ritrovato un minimo di compostezza prima di presentarsi con grazia impeccabile.

«Perdonate questa povera vecchia, ser.» esclamò septa Dubhe, «E tu vieni avanti, mia dolce fanciulla, fatti guardare. Che splendidi capelli! So di averlo già detto a voi, ser Lancel, ma non pensate che la mia fosse una frase di circostanza…»

Sandor chiuse nuovamente gli occhi con un sospiro. Poi fece un cenno a maestro Vludi e si sottrasse a quel teatrino, e allo sguardo di Sansa che lo seguì finché fu possibile. “Questa battaglia è tua, uccellino.”

 

«Curioso lavoro. Non molto accademico, ma funzionale. Chi è stato a farlo?»

«Una donna con più esperienza col filo di una spada che con le parole.»

«Mai incontrata una donna simile!» mormorò maestro Vludi, parlando più a se stesso che con lui «Ha bruciato bene. E si sta già formando un nuovo strato di pelle. Impossibile senza un unguento a base mellifera, a meno che– Calendula? No, iperico! Ma su che base…»

Sandor smise di ascoltare. Lo studio si trovava sempre al piano terra e puzzava di pergamena vecchia, cera, e tisane dimenticate. Le mani del maestro della catena, attente e curiose quanto i suoi occhi, non erano paragonabili alle dita da cucullo del suo predecessore. Il ricordo riaffiorò come una scheggia si infila sottopelle. Maestro Jay aveva capelli bianchi, tenuti cortissimi, e occhi sanguigni che rivelavano la sua natura albina. Non si preoccupò di accertare quale versione, tra la sua e quella di suo padre, fosse veritiera. Agì in fretta, tremando con lui tra unguenti, garze e silenzi. Sandor aveva sei anni, quasi sette. Non aveva controllo né della voce, né del corpo, né della paura. Aveva potuto soltanto odiare, persino il maestro della catena che gli aveva salvato l’occhio e la vita.

«Domani potrete fugare ogni dubbio,» sospirò Sandor, tornando al presente «sempre se avrete ancora il coraggio di porre domande a Chella dopo averla incontrata.»

Il giovane maestro gli fece una nuova fasciatura, senza rispondere. Poi si alzò, andò al tavolo e iniziò a preparare l’inchiostro.
«Il corvo per lord Tywin,» rammentò, intingendo la penna. «Dettatemi le parole.»

Sandor si passò una mano sul volto. «Scrivi–» iniziò, fermandosi subito. Non poteva dire tutto. Non doveva. Ma nemmeno poteva mentire. «Scrivi che il decimo giorno di viaggio abbiamo subito un’imboscata: ser Ben è morto con onore, lo stesso per alcuni guerrieri del clan Orecchie Nere… Nonostante tutto, la lady è arrivata illesa al castello. E la situazione è sotto controllo.»

Maestro Vludi scriveva, rapido ed efficiente, senza chiedergli di ripetere.
«Vuole aggiungere qualcosa sul suo stato?» chiese, continuando a scrivere.

Di nuovo, Sandor esitò. C’era ambiguità in quelle parole oppure era lui ad accusare tutta la stanchezza dell’ultimo mese ora che finalmente si era fermato?
«Ferito alla gamba. In via di guarigione.» disse infine. Non era solo una scusa. Era un modo per tenere lontano il giudizio. E anche per proteggere lei. «E accenna al fatto che ser Lancel è ferito a una spalla. Sempre la stessa. Lui capirà!»

Il maestro tamponò la pergamena per togliere l’eccesso di inchiostro e con gesti precisi appose il sigillo. «Partirà immediatamente.» assicurò, alzandosi.

«Maestro Vludi,» lo richiamò con voce roca ma ferma, «se qualcun'altro volesse inviare dei messaggi, me lo riferirai. E prima che il corvo voli, me li farai leggere.»

«Con qualcun’altro intende lady Clegane?»

Sandor scoppiò in una risata secca, quasi un ringhio. “Per gli Dei, non ci avevo nemmeno pensato!” Il silenzio che seguì fu denso.
«Non importa chi. Se respira e scrive, voglio sapere cosa manda e a chi.»

Uscendo, il Mastino andò a sbattere contro una delle cameriere. Alta. Bionda. Troppo giovane perché la conoscesse. Dallo sguardo feroce anche se lo abbassò subito e iniziò a scusarsi. Una volta. Due volte. Alla terza le sollevò il mento in modo da guardarla in faccia. Una cicatrice rompeva la simmetria delle labbra. Regalo di Gregor o di uno dei suoi uomini, probabilmente.

«Per favore, padrone, lasciatemi andare.» implorò, senza metterci troppa convinzione «M'lady sta per finire il bagno, avrà bisogno di vestiti puliti.»

Se li fece mostrare, mosso da un presentimento: una camicia da notte e due abiti da giorno. Gli bastò uno sguardo per capire che le misure non erano giuste. “Che io sia dannato, piuttosto che darle i vestiti delle sfortunate spose di mio fratello la infilerò sul serio in un paio di braghe!”

«Come ti chiami?»

«Femke.»

«Bene, Femke, di chi è stata l’idea di portare a mia moglie queste reliquie informi

«Padrone, vi assicuro che neanche a me piace, ma per il momento non c’è altra soluzione.»

Il Mastino digrignò i denti. «Te la dò io, la soluzione.» La afferrò per un braccio e prese a trascinarla su per lo scalone, tenendola dal lato interno. Femke non si oppose, né sprecò altro fiato per chiedergli di lasciarla andare. Sandor lo fece solo quando arrivarono dove si era prefissato «Apri quella porta.»

Femke non si mosse.

«Ti conviene aprirla o la butterò giù.»

«Padrone, per pietà, ser Gregor mi ucciderà se scopre–»

«Non è di lui che devi preoccuparti adesso.»

La ragazza, riluttante, cercò la chiave nel mazzo attaccato alla cintura. Tolti i giri gli cedette il passo ma non osò seguirlo all'interno. Sotto l'odore di polvere e di chiuso, Sandor riconobbe un leggerissimo sentore di fiori. Non ricordava quali, forse lei non aveva preferenze.

“I cani stanchi si sdraiano ai piedi di chi amano. Le api stanche hanno bisogno di miele diluito con un po’ d’acqua per ritornare all’alveare.” rammentò.

Il suo ricordo più vecchio risaliva ai tre anni, forse addirittura meno! Aveva trovato un ramo di rosmarino vicino alla cucina patronale, con diversi fiori viola. Probabilmente era anche stato calpestato. Tuttavia, la dama del castello lo ringraziò per il dono e lo infilò dietro l’orecchio, scaldando il suo piccolo cuore.

«Padrone,» bisbigliò Femke «se ser Gregor lo venisse a sapere–»

«Me la vedrò personalmente con mio fratello,» le assicurò, «Ora prendi quello che ti sembra utile e porta tutto a mia moglie.»

Notes:

Prossimo capitolo: tra una settimana circa (preferisco tenermi larga).

Chapter 6: Joffrey

Summary:

ossia Cosa succede nel frattempo nella Capitale?

Notes:

Nella serie ser Osmund Kettleblack e i suoi fratelli non sono contemplati, grande perdita per gli intrighi politici ad Approdo del Re: nel mio immaginario, questo cavaliere ha il volto di Clive Standen (la serie Vikings mi ha segnato, ve ne accorgere…)

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Joff entrò fischiettando nella Torre del Primo Cavaliere, dove ora si tenevano le riunioni del Concilio Ristretto, ma già da in fondo alle scale aveva sentito la voce del suo futuro suocero.

«Lady Sansa Stark e il Mastino?» ripeté lord Mace Tyrell, ora Maestro delle Navi, «Sandor Clegane appartiene a una casata minore. E a differenza di suo fratello, non è nemmeno un cavaliere! Io non capisco–»

«Cosa c'è da capire?» lo interruppe la Regina Madre. «I cani erano lupi prima che li addomesticassimo.»

«Sì, ma– In quanto Guardia Reale, ha giurato di non–»

«In realtà, benché avesse accettato di portare il mantello che fu di ser Barristan Selmy, non ha mai pronunciato il giuramento. Anzi, si rifiutò pubblicamente!» rivangò Cersei Lannister. «Anche quando divenne la mia spada giurata, rammento che recitò la formula di rito controvoglia e in modo molto sbrigativo.»

«L'ha fatto persino coi voti nuziali!» confermò lui.
Sua madre gli scoccò un'occhiata e un lampo di divertimento attraversò gli occhi verdi che aveva trasmesso a tutti i suoi figli. “Se tutto va come previsto, come regalo di nozze quella cagna mi offrirà la sua prima cucciolata!” Joffrey sorrise alla prospettiva, rigirando l'anello che portava al dito.
«Perché ne stiamo parlando?» s’informò, sedendosi al proprio posto. 

Non era l’unico ritardatario, mancava ancora lord Baelish ma a nessuno sembrava importare: ormai aveva passato il titolo di Maestro del Conio a suo zio Tyrion e poteva dedicarsi all’organizzazione della partenza per la Valle, dove avrebbe sedotto la vedova Arryn e una volta sposati avrebbe giurato fedeltà alla corona. Il Folletto invece era in missione diplomatica con ser Bronn delle Acque Nere e l’unico superstite della flotta di Stannis, ser Davos Seaworth: il cavaliere delle cipolle aveva accettato di condurli al cospetto di sua zia Selyse a tre condizioni: una proposta di matrimonio per sua cugina Shireen appena il principe Tommen fosse stato maggiorenne, la promessa di giustiziare la Sacerdotessa Rossa e di risparmiare, invece, Edric Storm. “L’ultimo bastardo di mio padre.” Il marmocchio aveva un anno o due meno di Tommen. Sarebbe venuto anche il suo momento, Joffrey stava imparando l’arte della pazienza.

Il Gran Maestro Pycelle gli passò il messaggio giunto da Clegane Keep. Mentre lo leggeva, il giovane re sentiva su di sé lo sguardo impietoso del Primo Cavaliere. Non uno sguardo di rimprovero, né giudicante. Lo osservava e basta. Joffrey fu costretto a rileggere il messaggio due volte: quella parola — illesa — poteva voler dire molte cose. Era quello il motivo dello sguardo?

«Perché, Vostra Grazia, come stavo dicendo prima che il vostro futuro suocero si indignasse per un’unione già avvenuta,» rispose lord Varys, guadagnandosi la sua attenzione «ho le prove che l’imboscata cui si fa riferimento è stata orchestrata da lord Baelish, per eliminare il prode Sandor Clegane e–»

«Che gli Estranei se lo portino alla dannazione! Solo perché non gli è stata concessa la mano della ragazza, ha deciso di prendersela da solo?» sbottò Joff stringendo il pugno ma non lo sbatté, perché il vecchio leone lo stava ancora osservando. “Dimostragli che non sei più un cucciolo coi denti da latte ma stai mettendo su una bella criniera per l’inverno!”

«Naturalmente no, Vostra Grazia.» riprese l’eunuco, «Il suo intento era senza ombra di dubbio condurre lady Sansa a Nido dell’Aquila, perché si ricongiungesse con sua zia, lady Lysa.» 

“La vedova di Jon Arryn non ha neanche mai visto la ragazza!” Questa volta riuscì a pensarlo soltanto. Tywin Lannister ascoltava in silenzio, gli occhi puntati contro di lui come una lama affilata. Una volta, durante gli allenamenti con la spada, il Mastino gli aveva urlato: «Respira piano e pensa in fretta.» Un buon consiglio, invecchiato come il miglior vino! Joff si costrinse alla calma. “Inspira. Ascolta. Espira. Pensa.”

«–per quanto le sorelle Tully non sembrino pensarla allo stesso modo. Viene da chiedersi se non fosse il loro piano fin dall’inizio, fingere dissenso tra loro per raggirarci, aiutate dal loro caro amico d’infanzia. Nonché ex amante, se vogliamo crederci!»

«Per fortuna, lord Varys, con te non correremo mai un simile rischio.» commentò la Regina Madre.

«Potremmo liberarci di entrambi una volta per tutte.» sentenziò Joffrey, alzandosi e indicando un punto sulla mappa «Se Ditocorto e lady Lysa se la intendono da così tanto tempo, abbiamo l’occasione di attirarla lontano dalla Valle fino alla desolazione delle Dita, facendole credere che il messaggio venga da lui. Invece, troverà una schiera di leoni ad aspettarla! Così da porre fine alla sua assurda ostilità e mettere il piccolo Robert Arryn sotto la protezione della corona.»

I consiglieri applaudirono il suo ingegno, persino sua madre. “Vedremo quanto ti compiacerai quando ti spedirò a Castel Granito per badare al piccolo lord protettore della Valle!” Così la leonessa avrebbe avuto un pettirosso da accudire, plasmare e da cui farsi temere, lasciandolo libero di camminare con le proprie gambe.

Finalmente, lord Tywin parlò: «Per fare questo non abbiamo bisogno di lord Baelish. Un uomo che cambia lo stemma di famiglia in modo che la gente dimentichi chi è e da dove proviene, non mi sorprende si sia rivelato un voltagabbana! Dobbiamo liberarcene, Maestà, è la prima cosa da fare… Con discrezione.»

Non gli piaceva essere messo alla prova — dopotutto, lui era il Re! — ma capiva che suo nonno voleva impartirgli una lezione: un’idea non si realizza da sola e nel realizzarla si incontrano degli imprevisti, farvi fronte è compito di chi ha partorito quell’idea.

 

«–Perché lei era il suo segreto,» intonò Joffrey, seduto alla scrivania, tendendo la balestra con l’apposita manovella, «la sua vergogna e la sua benedizione.»

Si sarebbe mai stancato di quella canzone? Ne dubitava. Non vedeva l'ora che Symon Lingua d’argento finisse di comporre le altre strofe! Era ancora indeciso a quel punto se spedirlo direttamente a Roccia del Drago oppure aspettare fino al matrimonio reale, in modo che potesse godersi dal vivo le reazioni di suo zio mentre faceva volteggiare la sposa per il loro primo ballo. Per gli Dei, come aveva fatto a non pensarci prima? Questo era senz'altro il modo più rapido perché la canzone si diffondesse in tutto il reame!

«E una collana o un castello son poca cosa,» proseguì, mentre le sue spade bianche conducevano dentro la puttana, «rispetto al bacio di una donna.»

Ser Osmund Kettleblack, giovane valente che la Regina aveva posto al suo fianco in sostituzione di Sandor Clegane, fissò la corda in cima al baldacchino mentre ser Meryn Trant si occupò di legarla con le braccia alzate, poi li lasciarono soli ma sarebbero rimasti fuori dalla porta.

Joffrey si prese tutto il tempo prima di rivolgerle la propria attenzione.
«Perché le mani d'oro son sempre fredde, ma le mani di una donna son calde.» concluse, inserendo la freccia «Bella, non è vero?»

Lei gli rivolse un sorriso tirato e fece sì con la testa, senza staccare gli occhi dall'arma carica.

«Parla di una puttana. La puttana di mio zio, per essere precisi. Ora se la scopano mio nonno e anche mia madre…» le rivelò, abbassando la voce. «Quando non si intrattiene con ser Osmund, intendo.» Si alzò, come se si fosse dimenticato della balestra che teneva in mano ma invece sapeva esattamente dove puntare. «Lei crede che non lo sappia nessuno ma il mio tenero fratellino li ha visti ed è subito corso a dirmelo: nella sua ingenuità, credeva che il cavaliere stesse abusando di lei.» 

Joffrey rise di gusto, premendo la leva di rilascio e la freccia si conficcò nella testata del letto. La puttana trasalì ma non emise un suono. Male, molto male! 

«Stronzate, è lei che fotte lui!» proseguì il giovane re, recuperando la manovella e tirando nuovamente la corda, «E tramite lui, vorrebbe fottere anche me. Sì, insomma, controllarmi.» si avvicinò, agitando la freccia a mezz’aria prima di inserirla «Cosa faccio, quando lo faccio, cosa dico, con chi mi intrattengo…»

«Vostra Grazia, per fa–AH!»

Questa volta il dardo fece infrangere la lampada sul comodino, non le passò nemmeno così vicino, eppure la puttana iniziò a singhiozzare. Gli occhi stretti, la testa china, tremava appesa alla corda senza nemmeno tentare di liberarsi: uno spettacolo deludente, se l’avesse davvero fatta venire per questo sarebbe rimasto molto contrariato. Ma quest’oggi, Re Joffrey I aveva ben altri piani per lei.

«Ecco, così va bene!» colmò la distanza tra loro a grandi passi, abbassando la balestra «Devi fare un po’ di rumore, così le tue urla copriranno le mie parole.»

La puttana lo guardò, cercando di comprendere se facesse tutto parte di un gioco perverso o se davvero, come stava lasciando intendere, non era davvero intenzionato a farle male.
“Stupida troia, se avessi voluto colpiti l’avrai già fatto.”

Joffrey prese un’altra freccia e la conficcò nella colonna del letto a baldacchino.
«Grida come se te l’avessi tirata.»

Lei lo fece, la voce terrorizzata in contrasto con lo sguardo fermo e attento. Poi di propria iniziativa si esibì in una serie di inutili preghiere perché la liberasse, promettendo di fare le peggio oscenità, finché a un suo gesto si zittì. “Docile. Ubbidiente. Proprio una brava cagna.”

«Ora ascoltami attentamente–» disse, abbassandosi per conficcare un’altra freccia vicino alle sue gambe scoperte, e aspettò che cacciasse un altro urlo per continuare «–sto per offrirti l’opportunità di diventare la più influente puttana della storia senza dover neanche aprire le gambe.» Altra freccia, altro urlo. «E insieme liberarti dal giogo dell’uomo che ti ha rimandata da me nonostante il modo in cui ho ridotto la tua amica. Se saprai coglierla, ti donerò ben più di una collana col leone. In caso contrario…»

«FARÒ QUALSIASI COSA, MAESTÀ, QUALSIASI COSA MI DICIATE!» dichiarò a gran voce.

Joffrey sorrise e le si accostò come un amante premuroso. Lei ascoltò, senza dimenticare di esibirsi in singhiozzi e preghiere di tanto in tanto.

«Manterrete la parola?» domandò infine, alternando urla e sussurri «NO, NO! PIETÀ, VOSTRA ALTEZZA! Corro un grande rischio e se dovessi fallire–»

«E se non dovessi fallire? Più alto è il rischio, più alta è la ricompensa.»

I suoi occhi azzurri si illuminarono quando sentì pronunciare la frase suggerita dal Ragno Tessitore.

«Fa quello che ti ho chiesto e diventerai la più ricca tenutaria di bordelli della capitale.» le assicurò, alludendo al passaggio di proprietà già pronto sulla sua scrivania. «Tu sai leggere, Ross?»

Lei deglutì, forse non si aspettava che ricordasse il suo nome. «Sì, Maestà.»

“Una puttana istruita! Dove andremo a finire?”
In questo caso, però, era a suo vantaggio. Joffrey poté mostrarle il documento — ovviamente falso, ma un falso ben fatto — con tanto di firma e sigillo col tanto amato tordo beffeggiatore: era l’unica copia e gliela avrebbe lasciata come garanzia, così in caso di fallimento avrebbe potuto negare di aver mai visto quel pezzo di carta. Ross scorse velocemente il testo, da cima a fondo, come se stesse vendendo la sua anima con quell’accordo e in effetti un po’ era così. 

«Ebbene, qual è la tua risposta affermativa?» concluse, arrotolando il foglio.

Lei prese un profondo respiro: «PER PIETÀ, LASCIATEMI ANDARE E FARÒ COSA VOLETE! SARÒ CHI VOLETE! LO GIURO, MAESTÀ.»

Il sorriso di Joffrey si allargò.
«Bene, ma non posso certo rimandarti indietro senza neanche un graffio. Sarebbe sospetto! Lo capisci, vero?» le sollevò il mento usando il rotolo di carta «Probabilmente Ditocorto è già al corrente che sei diventata uno degli uccelletti di Varys. Ti ha mandato qui per–»

«–rientrare dell’investimento.» si umettò le labbra «Lo so, Maestà.»

Il giovane re non si compiacque della rassegnata accettazione della puttana. Avrebbe preferito continuasse a pregare e versare lacrime, per mantenere viva l’illusione.
L’idea arrivò rapida, folgorante, come un dardo d’amore. «Guardia!» chiamò, tornando verso la scrivania. Vi gettò il foglio nell’istante esatto in cui si aprì la porta. Puntò il dito contro ser Meryn e mentre questi si faceva avanti, Joffrey si accorse che ser Osmund fissava impunemente la puttana. Ebbe tutto il tempo di caricare nuovamente la balestra prima di commentare placido: «Non essere triste, Kettleblack, la prossima volta inviterò te a giocare. O magari ti userò come bersaglio.»

«Maestà, io non intendevo–»

«Sto scherzando!» gli assicurò. «Ora chiudi quella cazzo di porta, prima che ci ripensi…»

Il cavaliere con lo stemma del calderone scambiò un’occhiata con il cavaliere di Gallowsgrey, poi obbedì. Ser Meryn scosse la testa ma non commentò. “Se al suo posto ci fosse stato il Mastino avrebbe fatto una battuta sprezzante oppure avrebbe seguito subito il mio sguardo, accorgendosi che qualcosa non andava, e non avrei dovuto dirgli cosa fare.” 

«Mi sto annoiando.» sbuffò Joff, prendendo nuovamente la mira «Ser Meryn, non ti sembra una scena familiare?» Con l’ultima freccia, tagliò la corda e Ross caracollò sul pavimento. «Io, te e una cagna dai capelli rossi troppo vestita… Riprendiamo da dove il nano ci aveva interrotti, vuoi?»

Ser Meryn iniziò a capire: «Solo se è quello che vuole sua Altezza.»

“Per i Sette Inferi, quanto mi manca Sandor Clegane…” 

«Sì, è quello che voglio.» confermò, lasciandosi cadere sulla poltrona, e incrociando gli occhi della puttana concluse «Ricorda, deve sembrare vero!»

Mentre il cavaliere strappava il vestito della puttana, Joffrey rammentò distrattamente che quel fatidico giorno il Mastino aveva avvolto lady Sansa col mantello bianco della Guardia Reale, in una sorta di gesto profetico o più probabilmente il seme da cui germogliò l’idea. Poi il pestaggio riprese, le immagini si sovrapposero e il giovane re fu quasi tentato di toccarsi ma si trattenne: doveva conservarsi per la sua promessa sposa.

Quanto avrebbe voluto condividere quel momento con lady Margaery! “La prossima volta.” si ripromise, mentre persino ser Meryn sembrava averci preso gusto. Era certo che lei avrebbe condiviso la primordiale eccitazione che lo coglieva, così come aveva indovinato i suoi desideri semplicemente imbracciando la balestra. “Mi farò portare la puttana del Folletto. E dirò a Symon di aggiungere una strofa con carezze d’acciaio e dardi nel cuore!”

Improvvisamente non aveva più voglia di crogiolarsi in memorie del passato. Voleva lei! Non erano più riusciti a stare soli da quando era tornato dalla battuta di caccia.
«Basta così, ser. A meno che non voglia scopartela tu, riportala al bordello.» disse in fretta, allungando alla puttana il documento e una manciata di monete «Per il vestito!»

 

Trovò lady Margaery Tyrell nei giardini, con la sua schiera di dame di compagnia e quello scorfano di septa Nysterica. C’era anche il giullare che si erano portati dietro da Alto Giardino, Burro-qualcosa, che cantava insieme a una delle sue cugine. Alla, no, Megga o forse si trattava della giovane che avrebbe sposato uno dei figli di lord Ambrose… Non aveva ancora imparato tutti i nomi e faticava a distinguerle!

Per una volta non c’era traccia della Regina di Spine, come chiamavano la pungente lady Olenna Tyrell. “Probabilmente il lord suo figlio la sta aggiornando sulla reale ubicazione di Sansa Stark.” La sua assenza non era passata inosservata. Anche per questo Joffrey era corso a cercarla, voleva spiegare personalmente a lady Margaery perché non aveva risposto con sincerità alle domande che riguardavano la sua ex fidanzata.

Un rumore di spade lo distrasse e scorse ser Loras Tyrell che si allenava in duello insieme a ser Boros Blount.
«Ser Osmund, perché non offri un degno avversario al Cavaliere di Fiori?»

Il cavaliere della Guardia Reale si inchinò, levandosi dai piedi senza una parola. Gli sarebbe piaciuto assistere allo sconto, per quanto puramente goliardico e senza spargimenti di sangue, ma con la coda dell'occhio vide sopraggiungere lady Margaery. Gli parve inquieta nel salutarlo, e quando le offrì il braccio per passeggiare lei accettò con riluttanza.

«Cosa turba la mia dolce signora?» domandò Re Joffrey, e per una volta non si trattava di etichetta. «Già stanca della vita nella capitale?»

«No, Vostra Grazia, io– Probabilmente non dovrei dire nulla ma–»

«Sono io a dovervi porre le mie scuse.» la interruppe, intuendo che i suoi timori erano fondati «Per quanto un re possa fare ciò che vuole, non dovrebbe avere segreti con la sua regina e l’unico motivo per cui non siamo ancora sposati è questa assurda guerra… Per questo, avrei voluto dirti dove si trovava lady Sansa. Mi dispiace che tu l’abbia scoperto–»

«Ma in un certo sento l’avete fatto!» gli assicurò, cogliendolo di sorpresa «Un giorno vi chiesi cosa vi rendesse così di buon umore e voi diceste che stavate per creare una nuova razza di cani-lupo.»

Joffrey si fermò, fissandola. Era vero, l’aveva detto! Lady Margaery però non aveva finito: «Ma visto che avete tirato fuori l’argomento, devo confessarvi che sono sollevata dalla vostra decisione. Ora posso confessarvi che ho provato a instaurare con lei un rapporto di amicizia soltanto perché temevo che voleste– che tra voi due ci fosse, se non un sentimento, dell’attrazione. Il modo in cui vi siete opposto strenuamente prima di acconsentire a sciogliere il fidanzamento–»

«Perché era l’ultimo desiderio di mio padre! Un momento… Credevate la tenessi qui per farne la mia amante?»

«Lei di certo lo credeva. Le mie cugine mi hanno riferito che si era lasciata andare a confidenze molto intime con loro–»

«Posso immaginare!»

«–mentre con me era tutto l’opposto! Una volta, durante la caccia col falcone, arrivò a pregarmi di non sposarvi perché temeva mi avreste fatto del male.»

Joffrey scosse la testa. Proprio come pensava, quella cagna aveva provato a mettere zizzania tra loro!
«E voi avete comunque continuato ad accoglierla nella vostra cerchia, perché?»

«Perché voi siete il Re, e io non sono tanto sciocca da pensare che possiate accontentarvi di una donna soltanto! Credevo che, se fossimo andate d’accordo, sarebbe stato più facile accettare–»

Dimentico di ogni etichetta, Joffrey la trasse a sé e la baciò. Un bacio vero, a bocca aperta, non come la fuggevole effusione che aveva scambiato con lady Sansa dopo averle regalato una collana priva di valore. L’eccitazione mai realmente sopita si sommò al gusto del proibito, al fatto che erano all’aperto e in bella vista, e tutto questo era terribilmente sconveniente… Come il fatto che lady Margaery rispose al bacio e premette inconsciamente i fianchi contro la sua erezione.

«Io sono vostro, solamente vostro.» le assicurò, prendendole il viso tra le mani «E voi siete la mia signora. Sarete la mia Regina e la mia amante, la mia confidente e consigliera, la mia sola vera alleata. Voi siete nella capitale da poche settimane, io ci sono cresciuto e posso assicurarvi che era un covo di vipere ben prima che arrivasse quel principe dorniano!»

«Poco ma sicuro.» commentò lei, guardandosi attorno per accertarsi che nessuno li avesse visti. Mera illusione, come minimo tre membri del Concilio già sapevano! «Vi prego, Vostra Grazia, passeggiamo… C’è altro di cui dobbiamo parlare.»

Joffrey la accontentò, gettando un’occhiata alle proprie spalle si accorse che dietro di loro trottava Dontos Il Rosso, cavaliere destituito a giullare di corte, a cavallo della scopa su cui lo aveva costretto a stare costantemente. Almeno aveva il buongusto di mantenere le distanze.

«Sono stata avvicinata da un uomo,» gli confessò, riguadagnandosi la sua completa attenzione, «sostiene di essere stato al servizio di una persona ma ora è pentito e mi ha fatto i nomi di altri come lui: il nuovo scudiero di mio fratello, Olyvar, e poi i fratelli Kettleblack, compreso ser Osmund! Ora capite la mia preoccupazione nel vedervi arrivare insieme a lui?»

«So già che ser Osmund è una spia di mia madre.»

«Oh no, Vostra Grazia, la persona dietro a tutto questo non è la Regina. Si tratterebbe di lord Petyr Baelish.»

Di nuovo, Joffrey si arrestò. Ditocorto, quel verme strisciante era più assetato di potere di quanto avesse creduto possibile! Con ser Osmund poteva controllare sia lui che sua madre, mentre con ser Osfryd aveva di fatto il controllo della Guardia Cittadina. E il più giovane dei tre, ser Osney, era forse il più popolare tra servette della fortezza e anche le dame di corte lo trovavano di piacevole compagnia, comprese le cugine della sua promessa sposa. A quanto gli riferì Margaery, lord Baelish era arrivato a infiltrare uno dei suoi ragazzi come scudiero del Cavaliere di Fiori. Un tentativo di spionaggio, certo, ma anche di seduzione. L’uomo che le aveva riferito tutto ciò sosteneva che quest’ultima fosse un’idea del principe Oberyn Martell, col quale Olyvar si era intrattenuto in uno dei bordelli di lord Baelish, per esporre i Tyrell e destabilizzare il loro fidanzamento. Ed era più di quanto Joffrey potesse sopportare.
«Come sapete di potervi fidare di quell’uomo?»

«Non lo so, infatti! La mia intenzione era non rivelare nulla finché non fossi stata certa, ma quando ho saputo di lady Sansa non ho potuto fare a meno di chiedermi–»

«Che c’entra ora lady Sansa?»

«Perdonatemi, ho dimenticato la parte più importante! Quell’uomo sostiene di aver incontrato in segreto lady Sansa molte volte, per ordine di lord Baelish, offrendosi di portarla via da Approdo del Re ma in realtà era solo un pretesto. Volevano usarla come capro espiatorio per– oh, non posso pensarci!»

«Per cosa?»

«Per uccidervi, Vostra Maestà.» intervenne Dontos Il Rosso. «Lord Baelish mi diede una collana di ametiste da donare a lady Sansa come segno di riconoscenza per avermi salvato la vita, ma in realtà non erano ametiste… Disse di non bagnarle, per nessun motivo, e che se fosse successo avrei subito dovuto lavarmi le mani. E che era di vitale importanza che lady Sansa la indossasse al matrimonio reale. Ma, vi giuro, non sapevo quel che stavo facendo!» Si gettò ai suoi piedi. «Perdonatemi, Vostra Altezza. Io non ne sapevo nulla! Quando mi reclutò disse che ero come Florian e che lady Sansa era la mia Jonquil, che mi aveva salvato e io dovevo salvare lei, ma erano solo altre menzogne. Sono pentito, Maestà, credetemi!»

«Ma certo che ti credo, ser.» ghignò Joffrey «Quale altra ragione avresti per autoincriminarti?»

«Maestà, voi–»

«Ti restituirò il tuo titolo, così la tua parola avrà più valore al processo. Lord Baelish è un nemico della corona e pagherà per tutte le sue losche trame.» Sguainò Mangiatrice di cuori e la posò sulla spalla di Dontos Hollard, che chinò il capo. Il giovane re si volse verso la sua promessa sposa e lei si fece avanti, pose la mano sulla sua per cambiare l’angolazione della lama e annuì. Non aveva bisogno d’altro! «Tutti i traditori pagheranno.» Sulla spada era ancora visibile la traccia lasciata dalle labbra di lady Sansa. Gli piacque pensare che, alla fine, Florian aveva avuto il bacio che si meritava! 

«Olyvar è il prossimo.» disse lady Margaery, prendendolo per mano.

«Pazienza, mia signora.» Joffrey la trattenne, sorpreso dalle sue stesse parole. «Se la Vipera Rossa crede di avere un piccolo vantaggio, sarà ancora più soddisfacente quando schiacceremo la sua testa sotto al vostro regale piede.»

«E riguardo lord Baelish?»

«Non c’è più nessun lord Baelish.» fece roteare la spada, per far schizzare il sangue a terra, e la rinfoderò «Parliamo dei Kettleblack, invece. Stavo pensando di incriminare il più giovane per primo, e quando chiederà un processo per combattimento nominerò suo fratello come campione. Poi sarà la volta del fratello di mezzo, che affronterà quello che sopravvive.»

«Volete dire se sopravvive, Vostra Grazia.»

Tremò mentre lei lo prendeva nuovamente sottobraccio e desiderò baciarla ancora ma a quel punto si sarebbe magicamente ritrovata incinta di tre gemelli… Meglio passeggiare!

Notes:

Dal prossimo capitolo si entra nel vivo della narrazione!

Chapter 7: Sansa

Summary:

Sansa si risveglia a Clegane Keep, una volta di più senza suo marito, e l’anziana septa la guida nella sua nuova dimora offrendole una nuova chiave di lettura sul comportamento di Sandor.

Notes:

(See the end of the chapter for notes.)

Chapter Text

Il letto era ampio, troppo per una sola persona… Sansa era stata aggredita dal sonno nel momento stesso che lo aveva toccato. Settimane di viaggio, il freddo, la paura, tutto si era dissolto appena si era seduta sul materasso, la fame persino. Aveva cenato? La morsa allo stomaco le rivelò che no, non aveva cenato. Nessuno l’aveva disturbata, nemmeno suo marito.

Quando riaprì gli occhi, il primo pensiero fu un groppo in gola: Sandor Clegane non era accanto a lei nemmeno questa volta. Una gentilezza? Difficile crederlo. Lo sconforto per tutto quello che aveva perduto le crollò addosso: non tanto per i vestiti in sé, quanto per la bambola e ciò che rappresentava. Suo padre e sua sorella. La sua lupa. La sua migliore amica e dama di compagnia, Jeyne Poole. Septa Mordane, Jory Cassel e tutti gli uomini del Nord che li avevano seguiti nella capitale. Pensò persino a lady Margaery Tyrell, che aveva ereditato l'infelice destino di sposare il Re… E a Shae, che era solo una cameriera, eppure si era rivelata una confidente fedele e fidata. Tuttavia, non era il momento di deprimersi. Un nuovo giorno era iniziato, e segnava per lei l’inizio di un nuovo duro cammino.

La porta si aprì e septa Dubhe entrò, insieme a una delle cameriere che le avevano preparato il bagno la sera prima.
«Hai dormito profondamente, mia signora. È comprensibile, un letto vero dopo quasi quaranta notti in tenda e altrettanti giorni per attraversare il continente da oriente a occidente.» Così parlava l’anziana, mentre la giovane di cui non ricordava il nome apriva le tende e faceva entrare un pallido sole. «Una lady a cavallo, poi! Non è il modo di viaggiare per una fanciulla del tuo rango. L’ho detto a Sandor, capisco le circostanze ma non è così che–»

Al sentirlo nominare, provò il desiderio di porre mille domande alla septa ma si trattenne perché non erano sole. “Chissà cosa ha detto maestro Vludi della gamba.” La sua intenzione era seguirli nello studio per sentire il responso ma, appena varcato il secondo portone di ingresso, uno scalone in pietra ad archi rampanti che risaliva le mura del cortile interno le aveva riempito gli occhi: le pietre, umide per la pioggia, riflettevano la luce delle torce creando un gioco di ombre per cui l’intera struttura sembrava sospesa. E Sansa rimase lì, a bocca aperta, mentre servitori silenziosi conducevano i cavalli nella stalla e i cavalieri si ritiravano nella sala d’armi adiacente per ristorarsi.

Quasi si spaventò sentendo le mani di septa Dubhe prenderla sottobraccio. Le era sembrata minuscola, vicino al Mastino, si rese conto invece che se stava dritta la donnina le arrivava sotto la spalla. Il naso scendeva a goccia sul viso rugoso e si intravedeva appena il verde oliva negli occhi chiusi a fessura. “Sembra il volto nodoso di un albero diga.”

«Non è quello che ti aspettavi, vero?» le sussurro l’anziana, «Lo capisco, non è il castello delle favole, e forse mai lo sarà. Ma imparerai a conoscerlo. Io ti aiuterò! Sono qui da parecchio — no, non quanto queste pietre,» rimarcò, volgendosi brevemente verso l’uomo che li aveva accolti, «Non ascoltarlo, mia signora, la sua opinione non fa testo! Mi ha sempre vista qui perché è il figlio del vecchio macellaio — ma tuo padre mi vide arrivare, Caleb, come io vidi quella buonanima di tua madre metterti al mondo. Nessuno è eterno!»

«Ci crederò quando vi vedrò tirare le cuoia.» rispose Caleb, superandole per tornare alle proprie faccende «Ve lo dico io, m'lady, la septa ci seppellirà tutti!»

«Per gli Dei, un giorno ti seppellirò di sicuro!»

Sansa rimase a dir poco sorpresa, questa septa aveva un’impostazione completamente diversa dalla sua! Lo spirito militaresco del castello l’aveva influenzata, o forse era l’unico modo per sopravvivere sotto La Montagna. In ogni caso, quell’esclamazione sembrò svuotarla di ogni energia, si appoggiò di peso al suo braccio nel guidarla verso gli appartamenti signorili al primo piano. Ogni passo risuonava con un’eco discreta, come se Clegane Keep stesse ascoltando. E giudicando. Una serie di arazzi erano appesi lungo tutta la scala. I colori spenti dal tempo, ma le figure ancora vive: cavalieri in battaglia, dame in giardini fioriti, figure leggendarie in contrasto con l’ambiente spoglio e tetro del cortile. Mentre salivano Sansa si avvicinò a uno di essi e riconobbe i personaggi: Florian e Jonquil. Sfiorò il bordo con le dita e sentendo la trama ruvida del tessuto, per la prima volta non pensò alle parole della ballata ma alla cura che era stata messa nel creare l’intreccio di fili.

Ricordava poco della disposizione degli ambienti, sperava che septa Dubhe glieli ripetesse ora che era fresca e riposata. Mentre l’anziana sedeva vicino al camino e istruiva la cameriera perché ravvivasse il fuoco prima di ogni altra cosa — “Deve essere al suo primo incarico. Se almeno l’avesse chiamata… Non sarei costretta a chiederle di ripetermi il suo nome!” — Sansa si prese un momento per osservare la stanza: c’erano solo mobili spartani e nessun effetto personale. Era stato ser Gregor a farli rimuovere? O forse Sandor era riuscito a raccogliere l’essenziale prima di lasciare il castello? Era un uomo pratico, questo ormai le era chiaro. E non era un sentimentale.

Sansa si tirò su tra le coperte e le venne male al pensiero di indossare nuovamente il corsetto, ma non poteva certo presentarsi a colazione in camicia da notte e vestaglia! La cameriera gliela stava giusto offrendo – Mei, ecco come si chiamava! Era minuta e sorridente, di qualche anno più grande di lei ma più giovane di Shae. Si offrì di pettinarla e Sansa avrebbe voluto fare lo stesso con lei, che aveva l’aria di aver raccolto i capelli con quel fazzoletto per non doversene preoccupare.

In assenza di una toeletta, sedette vicino alla finestra e sbirciò il paesaggio. Le camere erano orientate a Nord, su un parco che non aveva idea come raggiungere. Con sua grande sorpresa, riconobbe le fronde di un albero diga ma si costrinse a contenere l’entusiasmo: le istruzioni della regina Cersei erano state chiare, nessuno doveva sapere chi era prima di sposarsi. “Una fortuna che il clan delle Orecchie Nere consideri i castelli delle trappole, sarebbe stato difficile mantenere il segreto con Chella che mi chiama Lupa Rossa.” Le piaceva quell’appellativo, e doveva ammettere di sentire la mancanza della capoclan.

Si aspettava che le dessero un abito modesto, di fortuna, finché non si fosse asciugato quello con cui era arrivata. Invece una seconda cameriera, coetanea di Mei, aprì il baule in fondo al letto a baldacchino e tirò fuori una serie di abiti molto raffinati e dei colori più vari.

«Oh, padrona, questo vi starebbe così bene!» sospirò Mei, indicando quello color corallo.

Sansa si mostrò d'accordo anche se ormai preferiva tinte meno vistose e maniche ampie in cui poteva nascondere le mani sudate, la tensione e talvolta i pugni chiusi. Prima che potesse riprendersi dalla sorpresa, la seconda cameriera uscì per tornare poco dopo con un cofanetto che depose sull’altra panca di fronte a lei.

«Femke,» la chiamò septa Dubhe, con un velo di ingiustificato rimprovero.

«Il padrone ha detto di prendere tutto quello che sembrava utile!» ribatté quella, in un modo che non ci si aspetta dal personale di servizio, sollevando con delicatezza la collana che le aveva regalato Joff dal comodino «M'lady avrà bisogno di mettere la collana di labbra dorate da qualche parte.»

La septa trattenne un mezzo sorriso. «Labradorite, cara.» la corresse. «Rafforza le intuizioni, sapete? E aiuta ad accettare i cambiamenti della vita.»

Sansa iniziò ad avvertire un senso di nausea, per la fame probabilmente. O forse era il ricordo di quando il giovane re, allora principe ereditario, le aveva messo al collo il monile e del bacio che si erano scambiati, suggellando promesse che di lì a poche settimane Joff avrebbe infranto. Labbra menzognere, molli e rosse come quei lombrichi che escono dalla terra dopo la pioggia. Ne aveva incontrati tanti durante il viaggio verso il castello, quasi tutti erano finiti sotto gli zoccoli della giumenta del povero ser Ben… “No, basta pensare alla morte! Sono viva, e lontana da Joffrey. Questo è l’importante!”

«Veramente, septa, quelle sono pietre di luna.»

«Quella è labradorite bianca, mia signora.» insistette l’anziana «Spesso viene venduta come pietra di luna per sbadataggine o con coscienza, per spillare qualche soldo in più a chi non se ne intende. Credetemi, io lo so!» 

Femke finì di riporre la collana nel cofanetto, troppo in fretta perché si potesse vedere cos’altro conteneva, e cercò gli occhi scuri di Mei. Si scambiarono uno sguardo che Sansa conosceva bene, tante volte con Jeyne aveva condiviso il medesimo gesto d’intesa prima di ripagare uno dei dispetti di Arya con una velata canzonatura.
«E cosa ne sapete voi di pietre e gioielli, septa?»

«Non ho sempre indossato il velo.»

«Ah no? Vi prego, diteci di più!» 

«Lo farei volentieri, se foste anche solo un pochino curiose. Ma poiché vi divertite a prendermi in giro, per quel che mi riguarda, potete sguazzare nell’ignoranza!» 

«Non oseremmo mai, septa Dubhe!» assicurò Mei.

Intanto Femke scuoteva la testa. I suoi capelli biondi danzarono selvaggiamente, sferzando l’aria, e le ricaddero sulle spalle quando si fermò per mettersi a ridere. Erano una sfumatura più chiara di quelli di Cersei Lannister. E i suoi occhi erano azzurri, non verdi. Eppure, quando la guardava, Sansa si sentiva soppesare alla medesima maniera e non capiva perché.
“Non spetta a lei decidere se sono adatta a questo luogo o al mio ruolo.”

«Allora, m'lady ha deciso cosa indossare?» le domandò e sorrise senza mostrare i denti.
Il ricordo di un brutto taglio le rovinava la bocca altrimenti perfetta, eppure Sansa non riusciva a dispiacersi per lei. 

“Anche Shae all’inizio non mi aveva fatto una buona impressione.” rammentò. La prima volta che si erano incontrate, Sansa era appena tornata da una cena tutt’altro che piacevole con la famiglia reale, per non parlare dell’incontro col Mastino lungo le scale: l’aveva trattata male, molto male, e la cameriera l’aveva giudicata viziata e insofferente, glielo aveva confessato lei stessa! “Non commetterò lo stesso errore.”

«Scegli tu per me.»

Il sorriso svanì all’istante, sostituito da una smorfia che non si poteva definire disprezzo ma nemmeno vergogna. Anche Mei si fermò, con la spazzola a mezz’aria.
«No, m'lady, io– io non potrei mai–»

«Coraggio,» esclamò Sansa, cercando di essere spontanea nonostante la nausea crescente e lo strano desiderio di partire col piede giusto con qualcuno la cui opinione non avrebbe dovuto importarle «Mei mi ha già consigliato, ora tocca a te!»

Femke lanciò un'altra occhiata a Mei e questa si strinse nelle spalle.
«Non lo so, m'lady. Forse– Quello coi mastini? I colori sono invertiti ma il tessuto è caldo.»

«Mostramelo.»

La cameriera tirò un sospiro di sollievo, più a suo agio nello svolgere attività pratiche che di intelletto, e prese tra le braccia l’abito in questione. Velluto nero, dal taglio un pò antiquato ma tipico della regione: un girocollo serioso, bordato da ricami dorati, li stessi che riprendevano l’attaccatura delle spalle rinforzate; sulle maniche scendevano rombi dorati e sul petto tre mastini ringhianti. Sansa allungò la mano per toccarli, erano così dettagliati che sembravano sul punto di prendere vita e staccarsi dal velluto.

«Ottima scelta!» commentò Mei, che aveva ricominciato a dare colpi di spazzola. «A puntare sui colori della casata, non si sbaglia mai.»

«Potrebbe risultare un po’ tetro sulla vostra carnagione, mia signora.» intervenne la septa.

«Giallo e nero sono i colori di molte casate. Se donavano a mia nonna, lady Minisa, doneranno anche a me: dicono che abbia ereditato i suoi zigomi, come mia madre prima di me…»

Septa Dubhe annuì, il volto serio ma non privo di dolcezza.
«In questo momento mi sovviene solo una lady Minisa. Fu regina della bellezza all’inizio del torneo di Harrenhal indetto da suo padre, lord Walter Whent. I suoi fratelli gareggiarono come suoi campioni insieme a suo zio, ser Oswell Whent, una delle spade bianche del Re Folle.» 

“E il campione del torneo, il principe Rhaegar Targaryen, diede la corona a mia zia Lyanna invece che a sua moglie… Un gesto che preannunciava la guerra che sarebbe venuta.”

Era stato suo padre a rammentarglielo, una volta concluso il torneo in suo onore.

Nonostante avesse applaudito il suo valore, Sansa era rimasta molto contrariata che il Mastino si fosse dileguato con il premio in denaro senza eleggere nessuna regina della bellezza. Septa Mordane aveva provato a spiegarle che, per un uomo come Sandor Clegane, tutta quell’attenzione probabilmente era difficile da gestire ma lei non ascoltava, persa nelle sue fantasticherie.

Per quanto avesse apprezzato il gesto del Cavaliere di Fiori, che lo aveva eletto campione per avergli salvato la vita, era sicura che al suo posto ser Loras Tyrell avrebbe fatto dono a lei della corona. Altrimenti perché darle in pegno una rosa rossa, quando nei giorni precedenti aveva sempre donato rose bianche a tutte le altre fanciulle? Doveva significare qualcosa!

«Meglio così!» aveva commentato lord Eddard Stark, sfregandosi le mani. «Nessuno pensa mai ai danni che possono arrecare dei semplici fiori…» 

Lei si era molto offesa e aveva lasciato il suo braccio, rammentando la promessa fatta pochi giorni prima di non rivolgergli più la parola.

Ripensandoci Sansa sentì gli occhi riempirsi di lacrime e desiderò non averlo allontanato solo per punirlo, una volta di più, per la morte di Lady. Avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro e stringere quelle mani forti, segnate dalle cicatrici. Le avrebbe baciate e avrebbe chiesto il suo perdono. E suo padre glielo avrebbe concesso.

«Sì, infatti si chiamava come lei.» concluse, ricomponendosi.

Non sapeva cos’era stato di quella lady Minisa Whent, sperò soltanto che non avesse condiviso il triste destino di sua nonna. L’altra Sansa Stark invece morì senza dare eredi al lord di Grande Inverno. “Non ha senso pensarci adesso.” Tutte le volte che era stata certa di sapere cosa le avrebbe riservato il futuro, gli Dei avevano rimescolato le carte in tavola. “E se pensi solo a vincere, perdi di vista il gioco.”

«I nomi tornano sempre in famiglia.» convenne septa Dubhe, «In certe famiglie, almeno! Casa Whent è vassalla di casa Tully. Posso presumere che anche vostra nonna fosse originaria delle Terre dei Fiumi?»

Sansa sorrise. «Certo che potete.» e non aggiunse altro.
Il Mastino, quello vero, in carne e ossa, le avrebbe fatto un’altra sfuriata se avesse rivelato troppo. Una volta di più le cameriere si parlarono con gli occhi e strinsero le labbra, senza lasciarsi sfuggire nemmeno un risolino.

 

«Il profumo del pane appena sfornato si sente da qui!» esclamò Dette estasiata.
Le sue dame da compagnia erano arrivate subito dopo che Femke e Mei avevano finito di aiutarla a prepararsi: a differenza di lei, gli abiti che indossavano non erano delle giuste misure e pendevano loro addosso o facevano difetto in alcuni punti.

«Le cucine, così come la dispensa, si trovano a questo piano. Il grano invece è conservato in un piano intermezzo. Principalmente per evitare l’intrusione di inquilini indesiderati.» rivelò septa Dubhe, mentre le conduceva verso il salone «Laggiù, proprio sopra l’ingresso, si trova il corpo di guardia.»

«Giusto, come mai ci sono due portoni d’ingresso?» domandò Senelle. Il maestro della catena le aveva fatto un unguento riscaldante per la spalla, che le doleva per via dell’umidità, ma anche così ogni volta che la muoveva produceva degli scricchiolii sinistri.

«Perché in questo modo, se anche riuscissero a sfondare il primo portone — molto difficile prendere la rincorsa con un ariete in salita ma non impossibile! — è possibile tenere i nemici in un’area circoscritta e soprattutto separata dal resto del castello.»

«Ma a chi verrebbe in mente di–» proruppe la rossa, beccandosi subito una gomitata dalla bruna «Voglio dire, magari in passato, quando il castello apparteneva a un’altra famiglia. Ma, ad oggi, chi oserebbe mettersi contro ser Gregor?»

“Mio padre lo destituì, anche se la Regina annullò quell’ordine. E mio fratello potrebbe combatterlo proprio mentre parliamo.”

«Probabilmente hai ragione, cara.» convenne l’anziana septa senza troppa convinzione e proseguì «Da questa parte, abbiamo la cappella.»

Sansa rimase nuovamente ferma sulla soglia, colta da meraviglia. Anche le sue dame si zittirono in contemplazione delle statue dei Sette, di colore verde intenso, che sembrano emergere direttamente dalla nuda parete del castello.

«Come potete vedere la fortezza non è solo costruita su uno sperone di roccia, ma attorno a essa. La serpentinite è estremamente resistente, rimuoverla del tutto avrebbe richiesto uno sforzo immane, per questo diverse porzioni sono rimaste visibili e integrate nell’ambiente interno. Nelle stalle c’è addirittura un pezzo di serpentinite nella sua forma grezza… E pare che, di notte, la pietra respiri!» La septa ridacchiò, continuando a esaltare le proprietà della pietra, che si crede favorisca uno stato di pace interiore e faciliti la crescita spirituale e l’intuizione. Da qui, probabilmente, la scelta di porre la cappella in quello specifico punto. «In più, trattiene il calore a lungo. Molto utile, soprattutto in inverno!» concluse, mentre entravano nella sala da pranzo padronale.

Quell’ultima informazione spiegava l’assenza di camini nel salone in cui stavano entrando, solo un paio di stufe poste negli angoli non sarebbero bastate a riscaldare un ambiente così ampio. Di sicuro, la vicinanza con la cucina padronale era di aiuto. 

Alla grande tavola sedevano ser Lancel e ser Shadrich, stranamente silenzioso. Sembrava addirittura che facesse fatica a masticare. Dal lato opposto del salone Sansa vide sopraggiungere ser Lothor, che però era certa di aver intravisto poc’anzi discorrere nel cortile interno insieme a maestro Vludi.
“Deve aver già scoperto tutte le vie secondarie riservate alla servitù.”

«Lady Clegane. Mie signore.» le accolse il cavaliere dal giubbetto di pelle lacero, facendo scattare in piedi gli altri due molto più riccamente abbigliati. Si fermò di fronte a lei e fece un inchino, mostrando i capelli grigi che ripuliti dalle intemperie sembravano spendere d’argento. Non le offrì il braccio però la affiancò e le spostò la sedia per farla sedere. Parlava di rado, ser Lothor, e quando lo faceva la sua voce — sempre ruvida ma più profonda rispetto a quella di Sandor Clegane — risultava quasi rassicurante: «Chella ha invitato vostro marito a seguirla all’accampamento. Prima di andare, mi ha pregato di tenervi compagnia e farvi da scorta nel caso voleste visitare il parco esterno finché il tempo regge.»

Era molto più probabile che la capoclan avesse liberamente costretto il Mastino e che lui avesse ringhiato: «Fa’ la guardia all’uccellino mentre io non ci sono,» ma Sansa continuò a sorridere mentre si chiedeva quanto ancora avrebbe dovuto aspettare per parlare da soli.

Le frasi che le aveva sputato in faccia ancora le facevano ribollire il sangue. Anche lei aveva esagerato, ed era disposta a riconoscerlo, ma dubitava che Sandor Clegane avrebbe fatto lo stesso. E come aveva osato rivolgersi a una lady in modo così crudo e volgare? Se non fosse arrivato maestro Vludi, Sansa avrebbe perso ogni compostezza e l’avrebbe schiaffeggiato. Lo voleva ancora, in realtà! Una parte di lei avrebbe voluto abbassarsi al suo livello e vomitargli addosso tutta la frustrazione e il dolore che si era portata dietro dalla capitale. Ma sarebbe servito a qualcosa, azzannarsi a vicenda come bestie?

Se è vero che i cani rispecchiano il carattere dei loro padroni, lei era mansueta come Lady, che pur essendo un metalupo sembrava inconsapevole della propria natura e si era lasciata addomesticare con dolcezza. Sansa ricordava ancora come sedeva ai suoi piedi e leccava le sue dita con gratitudine dopo che le aveva passato un pezzo di pancetta sotto la tavola. 

“Nelle stesse circostanze, Nymeria avrebbe rischiato di staccare la mano ad Arya.”

Sua sorella non si sarebbe mai lasciata trattare così. Odiava Il Mastino dacché aveva ucciso il suo amico Mycah, così come aveva odiato lei per essersi schierata con Joff.

“Se solo avessi detto la verità, la mia lupa e quel garzone sarebbero ancora vivi.”

Ma come le aveva ricordato Sandor, l’ultima volta che aveva detto la verità aveva condannato se stessa e tutti quelli che amava. Forse per questo suo marito preferiva il silenzio, o forse voleva solo farla sparire dentro di esso.

 

Finito di mangiare, Sansa volle completare il giro del castello prima di avventurarsi all’esterno anche se non c’era molto altro da vedere: il secondo piano comprendeva gli alloggi della servitù, il deposito delle armi e quelli successivi le postazioni di guardia; al piano terra invece, c’erano la stalla, il canile, le volere dei corvi con adiacente lo studio del maestro e la sala d’armi, che come aveva immaginato era dotata di una scala interna che conduceva direttamente alla dispensa dotata di una cucina secondaria con ben tre scaldavivande.

La servitù le venne presentata sommariamente, man mano che incontravano qualcuno, e lo stupore delle sue dame da compagnia la fece sentire una seppur minima consolazione: dunque non era l’unica a trovarlo strano! Evidentemente nelle case più modeste non era prevista un’accoglienza formale o il fatto che suo marito fosse il fratello minore, e non direttamente il lord del castello, faceva sì che anche lei venisse considerata meno.

“Oppure sono abituati a non affezionarsi, vista la tendenza di ser Gregor a rimanere vedovo.”

Alla luce del giorno poté osservare più attentamente lo scalone: la curva dell’arco, la simmetria dei gradini, la solidità che non rinuncia all’eleganza. Rimase colpita dalla fluidità della pietra, come se fosse stata piegata con grazia e non scolpita con forza. Gli arazzi si muovevano appena, come a voler richiamare la sua attenzione.

«Impressionante, non è vero?» mormorò septa Dubhe, nuovamente al suo fianco «Furono un regalo di lord Tytos, per mitigare l’aria da casermone che si respirava agli albori. Quello raffigura–» 

«Conosco bene quelle storie, septa. Sarei più curiosa di sentire che storia racchiudono queste pietre.»

«Sembra quasi di risentire lady Clegane!»

«Quale delle due?»

«Quella di cui indossate il vestito. E di cui avete sposato il figlio. Non qui, mia signora. Non voglio che quelle due balde donzelle ci sentano!» la sospinse, «Saliamo, su e poi ancora più su! C’è ancora un particolare del castello che voglio mostrarvi.»

Raggiunsero il secondo piano e poi la scala di legno che portava al piano delle caditoie, e da lì il camminamento di ronda al quarto piano. Le due dame faticavano a star loro dietro, soprattutto Senelle con la sua spalla dolorante, ma anche Dette aveva il fiato corto.

«Uff, non c’è più la gioventù di un tempo!» commento la donnina, che aveva dimostrato di possedere l’agilità di un furetto quando voleva, e dopo una simile salita non aveva nemmeno l’affanno «Passeggiamo, mia signora, qui nessuno ci disturberà e il vento disperderà le nostre parole.»

Sansa si lisciò il vestito, che ora sapeva essere appartenuto alla madre di Gregor e Sandor. La sorprendeva il fatto che le loro misure combaciassero perfettamente. Aveva tante di quelle domande! La prima, la più immediata, la pose senza starci troppo a pensare: «Com’era lei?»

«Seducente. Ansiosa, a volte. Pungente, quando necessario!» la septa parlava con voce ferma, lo sguardo fisso sul paesaggio «Incontrò lord Irial poco dopo che aveva ereditato il titolo. Le malelingue dissero che insieme erano come la fame e la sete! Tutto perché la mia Alicent era dieci anni più vecchia di lui, dubitavano persino che fosse in grado di dargli un erede. Ma lei promise che, se si fossero sposati, gli avrebbe dato due figli maschi, grandi e forti come giganti, che avrebbero reso immortale il suo nome. E una figlia femmina, bella come una mattina di primavera, che tutti gli uomini avrebbero desiderato. E così fu.»

«Non sapevo ci fosse anche una sorella.»

«Oh, fu una tale disgrazia! Non vidi Gregor così distrutto da–» Il vento si alzò all’improvviso, ululando sulla sommità del castello, come se volesse strappare il velo della septa o impedire che le sue parole raggiungessero Sansa. «Ma non parliamo della fanciulla, concentriamoci sulla madre.» 

Septa Dubhe procedeva con le mani giunte dietro la schiena e nemmeno il minimo timore di essere spazzata via dalle violente folate d’aria. Sansa invece sentiva il freddo entrarle fin nelle ossa, doveva sforzarsi per non battere i denti.

«Lady Alicent e Sandor erano molto uniti, poté dedicarsi completamente a lui — a differenza di Gregor, che era il primogenito e come tale la sua educazione aveva la precedenza su tutto! Di conseguenza, Sandor crebbe in ombra e adorazione del fratello.»

«Fino ai sei anni, almeno.»
Incrociò lo sguardo della septa e si rese conto di averlo detto ad alta voce. 

«Non siamo rimasti in molti a conoscere la storia dietro quella brutta cicatrice, se Sandor te ne ha parlato deve proprio fidarsi di te.»

Sansa ricambiò il sorriso, piuttosto che mentire preferì restare in silenzio. 

«C’è una camera, al piano nobiliare, in cui nessuno deve mai entrare. Nemmeno per pulire. È forse l’unica disposizione di lord Irial che Gregor ancora fa rispettare, punendo il trasgressore. Chiunque fosse. Perché nessuno osasse disubbidire di nuovo. E la camera è sempre rimasta chiusa. Fino a ieri. Capisci dove voglio arrivare?» Sentendo sopraggiungere le dame, septa Dubhe indicò un punto sulle mura interne del cortile. «Proprio laggiù, mia signora, riesci a vederlo? Mie care, ce l'avete fatta! Stavo per raccontare a lady Clegane della leggenda legata a quel particolare gufo. Lo vedete? Su quella mensola, esatto! Anch’esso è in serpentinite, forse l’unico elemento decorativo del castello. La leggenda narra che sia una sorta di guardiano che tutto osserva e veglia sulla fortezza. Affascinante, vero?»

Sansa non aveva idea se l’anziana si stesse inventando quella storia di sana pianta, apprezzava solo di sapere Dette e Senelle troppo distratte per badare a lei e di avere il tempo per riordinare le idee. “Sandor ha aperto la porta.” Ora tutto aveva un senso: il modo in cui Femke aveva scaricato ogni responsabilità su di lui e la sua reazione quando le aveva chiesto di scegliere. “Sandor ha aperto la porta per me.” pensava e non si trattava più di fantasticherie da ragazzina.  Ora comprendeva l’importanza dei gesti come li intendeva Chella, per quanto sia impossibile comprendere un gesto senza la giusta chiave di lettura. E septa Dubhe gliela aveva appena offerta.

Notes:

Ho considerato 20 capitoli in totale ma col tempo il numero potrebbe variare.
Per suggerimenti potete scrivermi su Tumblr.

Chapter 8: Sandor

Summary:

Sandor trova un’altra alleata in Chella e si trova ad affrontare altre sfide quotidiane, tra cui il rapporto con Sansa… peccato che ogni cosa sembri riportarlo indietro di anni e il rude soldato non ha idea di come gestire le proprie emozioni.

Chapter Text

Quella donna lo avrebbe fatto ammattire, poco ma sicuro! Sandor si aspettava di fare simili considerazioni su sua moglie invece eccolo a dover sottostare ai capricci di una dannata barbara. 

Chella si era presentata solo per pretendere che fosse lui a raggiungerla, pur essendo arrivata fino alla soglia del castello. Un altro modo per ribadire che la sua gente non si piegava. Nemmeno il Mastino amava piegarsi, ma era troppo stanco per opporre resistenza.

Non aveva dormito bene: si era seduto sulla pietra che spunta dal pavimento della stalla durante la strigliatura di Straniero e si era svegliato al mattino con la testa appoggiata al fianco dell’animale. Ma non erano state le poche ore di sonno o il torcicollo a fargli desiderare di ucciderla: la barbara non gli aveva nemmeno lasciato il tempo di sellare Straniero, l’aveva fatto andare a piedi senza alcun riguardo. 

«Prima di parlare, Mastino deve lavarsi e cambiarsi.» asserì Chella, storcendo il naso «Puzzi di cavallo e morte

“E per dirlo tu, brutta stronza!”
A essere onesti la capoclan aveva un aspetto migliore del suo, pareva addirittura ringiovanita: il viso ripulito dal fango e sangue rivelava tratti infantili, e i lunghi capelli sciolti al vento erano capaci di eclissare l’orrida collana di orecchie. Era sempre vestita di braghe spesse ma con meno strati di pelli e cuoio nella parte superiore, doveva essere ancora accaldata dal bagno.

Venne condotto a una tenda avvolta nel vapore, dove trovò una tinozza di legno colma di acqua calda e una pappetta che puzzava di aceto, probabilmente per lavarsi i capelli. Lui però non si fidava. Si spogliò facendo attenzione a dove riponeva il cinturone con spada e pugnale, la mappa disegnata da Maestro Vludi e soprattutto il sacchetto che custodiva le monete: cervi d’argento per lo più, che ormai erano inflazionati dalla guerra, e una manciata di dragoni d’oro che aveva prelevato dalla vincita del torneo — il grosso lo aveva lasciato nascosto nella sella di Straniero, l’unico di cui si fidasse per custodire il suo danaro — Poi si lavò a pezzi, con panni grezzi, e si sciacquò con l’acqua infusa di erbe per mitigare l’odore.

“Inizio a pensare che dovevo portarmi dietro Kennos.”

Per ottimizzare i tempi, aveva spedito il cavaliere al villaggio per convocare la sarta al castello: sua moglie non era l’unica ad avere bisogno di vestiti. Giusto appunto, trovò degli abiti puliti: una tunica in lana blu ardesia, pantaloni in cuoio rinforzati sulle ginocchia e un groviglio di pelli grezze che si rivelò cucito su un mantello di lana grezza dal colore indecifrabile. Rimase sorpreso, nell’indossarli, che gli stessero aderenti di spalle ma cadessero morbidi senza stringere. C’era anche un farsetto appartenuto a qualche malcapitato lord della Valle caduto in un’imboscata, ma gli sarebbe stato decisamente troppo stretto… Sandor non poté far a meno di chiedersi se anche il Folletto era stato agghindato dai barbari per trattare con loro, dopo essersi fatto una bragata di merda! 

Quando fu pronto, trovò un guerriero ad aspettarlo che gli rivolse un cenno di saluto, quasi fossero vecchi amici. Indossava una tunica cobalto e un farsetto in pelle con le maniche tagliate, queste erano state trasformate in bracciali rinforzati. Ci mise un po’ a inquadrarlo, senza il mantello di pelli grezze e col nuovo taglio: era quello che aveva reso incandescente la lama del pugnale con cui la capoclan gli aveva cauterizzato la ferita. Lo riconobbe dalla barba portata solo sul mento, ispida e dritta, in cui si tuffavano i baffi. E dalle armi al cinturone: due asce da combattimento, insieme alla spada sottratta a uno dei briganti. 

«Nek, figlio di Chella.» si presentò.

Il Mastino si bloccò a fissarlo, questo figlio di Chella, che sul viso seminascosto da un'unico selvaggio ciuffio di capelli faceva sfoggio di graffi e cicatrici.
“Sembra che l’ha messo al mondo per invecchiare al posto suo!”

«Mastino serve aiuto con barba?»

“Col cazzo che ti faccio di nuovo avvicinare con un coltello!”
Tuttavia, si limitò a fare cenno di no.

Nek allora lo guidò verso il centro dell’accampamento e pur di non fissare il contrasto di carnagione sulla sua testa rasata di recente, Sandor fece correre lo sguardo tra tende e fuochi. Non era lo stesso caos che aveva visto il mese precedente. Durante il viaggio, dove ogni sosta era stata improvvisata, i barbari si erano sistemati come bestie in fuga pronti a sparire ai primi raggi del sole. Qui, invece, c’era una sorta di ordine. Le tende erano disposte in cerchi concentrici, le armi appese come ornamenti e le donne non sentivano il bisogno di celare il proprio sesso. Qualcuno stava addirittura intonando un canto in una lingua sconosciuta e primitiva.

Chella li stava aspettando seduta su della pelle stesa a terra: Nek prese posto alla destra della capoclan, facendogli cenno di accomodarsi anche lui ma di fronte a loro. Sandor Clegane ringhiò nel sistemarsi a gambe incrociate e non per la ferita.

C’era un altro guerriero, alla sinistra di Chella, che sopra la tunica marrone portava il farsetto sottratto dal corpo di un brigante: una delle fibbie era stata tranciata dall’ascia che il Mastino gli aveva lanciato addosso, la medesima arma adesso pendeva dal suo cinturone. Lo guardava fisso, così come la guerriera che stava finendo di intrecciare i capelli della capoclan con lacci di cuoio e piume iridescenti di gazza ladra, in modo da mostrare entrambe le orecchie.

“Guardie del corpo o altri figli?”
Chella non sentì il bisogno di fare le presentazioni e il dubbio rimase. Gli offrì carne di montone essiccata e uova. Sandor accettò, avendo saltato colazione e cena la sera prima, e si domandò se anche tra loro vigessero le regole dell’ospitalità. Un po’ tardi per chiederselo!

“Non nutro molte speranze ma proviamoci!”

Senza perdere altro tempo in convenevoli, tirò fuori la mappa e la dispiegò davanti a loro. 

«Noi siamo qui,» indicò, poi spostò il dito sulla carta e con l’altra mano indicò la direzione «e questo è il villaggio. Invece, sparsi–»
Sandor si ritrovò davanti il guerriero di sinistra chino sulla mappa, che seguiva con occhi attenti i segni tracciati.

«Neil, figlio di Chella,» si presentò, la scura barba adornata di treccine che sfiorava la mappa «riesce a comprendere.»

“Questi barbari devono essere tutti bastardi.” Nel pensarlo, gli tornò in mente il fratellastro di sua moglie, Jon Snow, e si chiese se non si sarebbe trovato meglio in un clan come questo piuttosto che tra i Guardiani della Notte. “Potrebbe sempre disertare e unirsi ai bruti!”

«Sparsi qua e là, tra boschi e brughiere, ci sono contadini e allevatori.» proseguì Sandor, indicando una decina di punti, e dovette distendere la gamba sinistra prima di continuare «Non sanno niente di voi. Se vi sistemate troppo vicino, penseranno che siete venuti a razziare. Volete restare? Bene, ma voglio una soluzione pacifica.»

Nek si lasciò sfuggire un riso basso e grave. «Pacifica?» ripeté, quasi assaporando la parola.

Sandor gli puntò addosso uno sguardo truce ma fu Chella a parlare in tono duro, usando la medesima lingua che faceva da sottofondo nel campo.

«Avanti, Mastino.» lo esortò Neil. 

Lui aspettò che l’altro cambiasse atteggiamento prima di continuare.
«Se vi sistemerete in questa zona, sarete abbastanza vicini da controllare chi entra e chi esce dal castello, ma abbastanza lontani da non spaventare i contadini. Potreste persino commerciare con gli abitanti del villaggio.»

Questa volta non ci furono commenti, a riprova che la capoclan sapeva farsi rispettare.
«Parli di pace, Mastino, ma Chella sente odore di guerra.» esclamò la donna, con un sorriso che non aveva nulla di benevolo.

«La guerra ce la siamo lasciata alle spalle,» ribatté lui, «Non voglio massacri.»

«No ma vuoi essere preparato per ritorno di Enormità Che Cavalca.» 

«Mio fratello non starà via per sempre, e non vi farà mai restare a meno che–» non finì la frase, temendo di alimentare la natura razziatrice di quella gente.

Neil borbottò qualcosa insieme alla guerriera ancora alle spalle della capoclan e anche Nek, dal canto suo, piegò la bocca in una curva dura. Chella annuì, come se avesse già deciso. «Mastino vuole appoggio Orecchie Nere. E Chella accetta.»

Sandor rilassò la mascella che non si era accorto di aver serrato, i denti gli facevano male.
«Allora beviamo.»

Forse era un po’ presto per l’idromele ma non era pronto a provare la loro birra o qualunque cosa fosse l’intruglio che si passavano nelle loro borracce di stomaco di capra!
Chella annusò il liquido. «Come se avessi accettato,» disse, senza diffidenza o disprezzo. Poi passò il bicchiere di legno all’altra guerriera, che bevve senza esitazione.

E lui riconobbe il gesto. L’aveva già visto, anni prima, quando era ancora la spada giurata di Cersei Lannister: la Regina, sempre pronta a ostentare calici e banchetti, aveva rifiutato il vino con la stessa discrezione con cui proteggeva i propri segreti, finché non era stata rivelata la sua prima gravidanza al Re.
«Sei incinta.»

Chella sbuffò, come se fosse una battuta già sentita. «Mastino ha buon fiuto, o è stata Lupa Rossa a dirtelo?» Prese un altro pezzo di carne. «Avete consumato?» lo squadrò con calma, «No, Mastino non ha la faccia di chi ha consumato.»

Sandor si irrigidì, quasi gli avesse tirato un pugno nello stomaco. Nemmeno le puttane erano così spudorate! Non c’era malizia nei suoi occhi, né l’aveva detto come fosse un gioco. Solo verità, nuda e cruda.

«Mastino è uomo che porta ferite, non piaceri. E Chella è donna che porta figli, non segreti.»

“Non è il momento per parlare di guerra e alleanze.” Ripensò ai giorni di viaggio, al freddo e al fango, al fatto che avesse percorso la maggior parte delle miglia a passo di marcia e senza mai chiedere una pausa o lamentarsi… 

«Non è primo. Non sarà ultimo.» aggiunse, quasi gli avesse letto nel pensiero «Donne del clan non si fermano per un ventre pieno. E miei nemici–» la capoclan fece una pausa, alludendo alla collana di orecchie, «–nessuno mai tornato per recuperare quanto Chella ha tolto!»

Sandor contò cinquantratre orecchie e gli venne da ridere. Lui aveva ucciso molte più persone: lord di antiche dinastie, grassi signorotti riccamente vestiti, cavalieri più o meno valenti, donne e persino bambini… «Questo ragazzo era a piedi e disarmato, Clegane. E tu l'hai colpito dal tuo cavallo.» L’angolo della bocca scattò.

«Non venire a piangere da me se succede qualcosa!» tagliò corto il Mastino, ripiegando la mappa, «Dovete spostarvi al più presto. Non voglio contadini che scappano dai campi o villaggi che si svuotano a causa vostra.»

Chella gli porse la mano e quando lui la strinse fece leva, in modo che si alzassero insieme. 

«Se mai avessi bisogno, maestro Vludi sarebbe onorato di assistervi…» aggiunse, non sapendo bene perché «Ma dovrai superare la tua avversione per i castelli.»

«O magari sarà tua gente a unirsi a noi!» ghignò la barbara, togliendogli di mano la mappa con fare quasi ammiccante. «Mastino non ha aria di padrone.» 

Suo malgrado, rise. “Non sono padrone di niente!” 

 

Mentre risaliva verso il castello, Sandor non poteva fare a meno di sentirsi responsabile. Per loro — dove loro stava tanto agli abitanti del castello quanto a quei barbari — Per il villaggio vicino. Per i contadini nelle fattorie limitrofe. Tutti pensieri che non voleva avere. E ne sentiva il peso mescolarsi al nervoso. La prospettiva di un figlio suo gli attraversò la mente. Di nuovo, non un pensiero dolce ma bruciante come il fuoco che ancora oggi lo atterriva.

Non era il figlio in sé il problema, ma l’atto che lo avrebbe generato. Sansa non era Chella, che portava avanti la gravidanza come un atto di forza, e non era Cersei, che usava il ventre come arma politica. Sansa era diversa. E proprio per questo, l’idea di–

«Clegane!» vociò ser Kennos, da in fondo al sentiero. E il tempo che impiegò a raggiungerlo, Sandor era ormai in vista delle cinte murarie incomplete. «Per gli Dei, ti hanno trasformato in uno di loro?»

“Merda, i miei vestiti sono rimasti nella fottuta tenda!”

«Se vuoi che ti infili quel corno dove non batte il sole, per poi suonarlo, sei sulla buona strada!» ringhiò, alludendo al cimelio di famiglia di cui il cavaliere andava tanto fiero «Come mai sei solo?»

Il cavaliere lo informò che la sarta si rifiutava categoricamente di mettere piede a castello ma era più che disponibile a mettersi al servizio di lady Clegane, nel mentre smontò e proseguì a piedi insieme a lui, per far riposare il cavallo che zoppicava.

“Avrei dovuto aspettarmi un rifiuto con la fama di cui gode La Montagna, non che quella del Mastino sia tanto migliore…”

Quando finalmente entrarono nel cortile interno, una figura avvolta in un abito nero che scintillava d’oro stava discendendo lo scalone.
«Mio signore,» lo accolse Sansa, affrettandosi per raggiungerlo. 

Sandor rimase inchiodato a fissarla, incapace di parlare, muoversi o respirare, come se al suo posto ci fosse un demone dei Sette Inferi. O un fantasma. “Forse non è stata una buona idea darle quei vestiti.” Aveva persino la stessa treccia che cadeva sulla spalla come un vessillo! Le immagini si sovrapposero e per un attimo si chiese se il lord suo padre si sentisse egualmente disarmato di fronte alla donna che aveva sposato: lei però lo salutava sempre con baci appassionati, sia che si fosse assentato per giorni o poche ore; l’uccellino invece si fermò a un metro da lui, indecisa sul da farsi. Poi fece un breve inchino, rivolta al cavaliere di casa Kenning che conduceva il cavallo zoppo nella stalla.

«Bentornato, mio signore.» disse, «Sei uscito presto, è stata una mattinata proficua?»

Lui grugnì in risposta. «Devi venire con me al villaggio. A quanto pare, ser Kennos non riesce a farsi valere nemmeno contro una sarta di provincia.»

«Allora dovrebbero venire anche Dette e Senelle!»

Sandor annuì, rassegnato a dover finanziare tre guardaroba da signora invece di uno. Il tempo di sellare i cavalli e ripartirono, con Sansa che divideva di nuovo la cavalcatura del suo stallone per permettere al cavaliere dai quattro soli di montare la giumenta del defunto Ben.

Dovettero attraversare il ponte di legno che aveva osservato in lontananza al loro arrivo, tra le piene del fiume e le piogge stava ricevendo il colpo di grazia dopo anni di mancata manutenzione. Un’altra spesa che non pensava di dover sostenere ma necessaria, prima dell’inverno.

Il villaggio era come lo ricordava. Case di pietra e imposte in legno, subito chiuse al loro passaggio. I pochi abitanti per strada chinavano il capo, fissandoli di sottecchi. La bottega della sarta era di fronte a quella del falegname, il vecchio doveva essere crepato ormai ma qualcuno aveva ereditato le mura e i mirabolanti giocattoli richiesti in tutta la regione. Sandor iniziò a sudare freddo alla vista del cavaliere di legno per cui era stato sfigurato: i colori erano inconfondibili anche da quella distanza, come gambe e braccia mobili per dare l’illusione che potesse duellare.

«Mio signore?» chiamò Sansa, e per una volta fu grato di aiutarla a smontare.

La bottega era una stanza bassa, entrando il Mastino rischiò di picchiare contro una delle travi sul soffitto. La modista era una donna sulla quarantina, con palpebre pesanti che le conferivano un aspetto ingannevolmente sornione. Sbiancò al suo ingresso, le mani strette davanti al grembo, ma lady Sansa Clegane riuscì a farla rilassare un po’ dosando cortesia, risolutezza e sincero interesse. “Col miele si attirano più mosche della merda.” pensò lui. Un velluto grigio ferro damascato con filo giallo limone attirò il suo sguardo, principalmente perché il motivo ricordava delle zanne stilizzate. “Limoni,” rammentò, e mentre le dame si spostavano nel retro per farsi prendere le misure, Sandor spedì ser Kennos a comprarne almeno una cesta.

«Un po’ scura per m'lady, » esclamò un ometto mezzo calvo, con spallucce spioventi e mani deformate da anni di lavoro «ma per voi, m'lord–»

«A me basta qualcosa di semplice e caldo.» 

L’ometto annuì e gli prese velocemente le misure, facendogli a malapena aprire il mantello.

«Mi aspetto che veniate al castello, quando sarà tutto pronto.» Posò un dragone d’oro sul bancone, tenendovi l’indice premuto sopra. «Non tollererò che mia moglie debba scomodarsi di nuovo per voi!»

«Le mie scuse più sentite, m'lord, noi non– Quel cavaliere non ha– Noi pensavamo–»

«Pensavate che mio fratello avesse trovato il tempo di risposarsi, tra pesca alle trote e caccia ai lupi, ma non quello per accompagnare a casa la sua nuova lady.»

L’ometto deglutì a vuoto. “Io non sono mio fratello,” pensò, ma a che scopo dirlo?

«Chiengora. Per me, al posto della lana.»

Sansa, di ritorno con le sue dame, si informò: «Cos’è la chiengora?»

«Si tratta di un filato tipico della zona, m'lady, ricavato dal sottopelo di alcune razze di mastini. Abbiamo anche delle lavorazioni misto lino, per corpetti e set di biancheria.» spiegò la modista, «Non ve l’ho proposto perché– Ecco, è piuttosto modesto rispetto ad altri tessuti!» 

Sandor sospirò pesantemente, chiudendo gli occhi.

«Se è tipico della zona significa che sarebbe subito disponibile, giusto? Allora prenderò questa, senza aspettare i rifornimenti da Lannisport.»

Spalancò gli occhi e fissò sua moglie, con un'espressione non meno perplessa dei presenti.
«Mia signora–» provò a intervenire Dette, tra l’imbarazzo e la sorpresa.

«Voi naturalmente siete libere di scegliere come meglio credete,» proseguì lei, lanciando un’occhiata alle dame da compagnia «io non voglio aspettare settimane o mesi per pizzi di Myr o tessuti più pregiati che potrebbero non arrivare per un attacco di pirati o aumentare ulteriormente di prezzo.» Prese fiato, come se stesse per dire qualcos'altro, ma all’ultimo ci ripensò e chiuse la bocca.

«E l’inverno sta arrivando.» concluse Sandor a posto suo. 

 

All’andata l’uccellino era stato particolarmente silenzioso. Invece, durante il ritorno, riprese a cinguettare: si informò sulla sua gamba, poi sul benessere di Chella e se avessero trovato un accordo, per ripiegare sul tempo e chiedergli se una volta tornati l’avrebbe accompagnata nel parco che ancora non era riuscita a visitare.

«No, dovrò rivoltare lo studio del maestro Vludi.» rispose, troppo bruscamente perché non suonasse male, perciò specificò «L’hai visto il ponte, vero? Era una soluzione temporanea, in attesa che mio padre trovasse i fondi per convertirlo in una versione definitiva in pietra. Aveva fatto fare dei progetti ma non ha fatto in tempo a realizzarlo, e Gregor aveva altre priorità.»

«Sembra un bel progetto. Lungo. Laborioso. Pensi di coinvolgere solo gli uomini del villaggio o anche le Orecchie Nere?»

«Non ci ho ancora pensato.»

«Di sicuro, sarà un’occasione per farti conoscere! Mio padre lo diceva sempre a mio fratello: "Fa' in modo di conoscere gli uomini che ti seguono e che a loro volta conoscano te, perché non puoi pretendere che nutrano rispetto e fedeltà in uno sconosciuto." A tal proposito, vorrei–»

«Non si tratta di farsi conoscere, ma di qualcosa che andava fatto prima e ora non si può più rimandare. Perché il legno marcisce. E se quel ponte crolla, siamo tagliati fuori. Già i rifornimenti arrivano via mulo, te li immagini guadare un fiume in inverno? Morirebbero assiderati, loro. E noi di fame.»

Lei lanciò un’occhiata oltre la propria spalla.

«Che c’è, non lo trovi un gesto abbastanza nobile? Rispetto e fedeltà sono belle cose, ma quello che muove il mondo è ben altro! Il denaro, ad esempio. Ma tu non ti sei mai dovuta preoccupare di questo prima d’ora, giusto?»

«Stai facendo tutto da solo, mio signore. E io che pensavo di dovermi sforzare per coinvolgerti in una conversazione!»

Il Mastino ruggì una risata che la fece tremare un poco. «Oh, ti senti trascurata? Hai un intero castello da governare, sono certo che hai ricevuto un’educazione molto più adatta di me a riguardo.»

«Sono confusa, ieri mi hai caldamente consigliato di non calarmi in nessun ruolo mentre oggi premi perché ne assuma uno.»

«Per me puoi impiegare il tuo tempo come ti pare e piace, ma non dimenticare mai che sei poco più di un ospite: sarà la sposa di mio fratello la signora del castello, non tu. La guerra non durerà per sempre, e quando Gregor tornerà–»

«Se tornerà.»

«Ho visto tuo fratello allenarsi con la spada e tu hai visto il mio combattere al torneo del Primo Cavaliere, vogliamo davvero discutere su chi ammazzerà chi?»

«Mio fratello ha ancora il suo metalupo.»

Pur di troncare il discorso, le si accostò per sussurrare: «Gelosa?»

Sorprendentemente, Sansa si abbandonò di peso contro il suo petto. «Affatto! Re Robert disse che sarei stata più felice se mi avessero preso un cane.»

«Questo spiega tante cose,» disse, più a se stesso che a lei, «Joff ha sempre voluto compiacere suo padre senza mai riuscirci.»
Poi spronò lo stallone, perché risalisse la mulattiera al trotto, e per non mordersi la lingua lei dovette stare zitta. Sandor credeva che avessero già offerto abbastanza spettacolo la sera prima e invece no, l’uccellino sembrava essersi trasformato in un falco nel giro di una notte! Appena passate le cinte murarie incomplete, smontò e la fece scendere. Lei non si oppose ma i suoi occhi dicevano che non aveva più cortesie per nessuno.

«Costeggia le mura esterne e arriverai al parco. Forse dovrei offrirti il braccio e accompagnarti ma mi limiterò a dirti di fare attenzione alla merda che cade dalle latrine. Sarebbe imbarazzante spiegare al nostro amato sovrano come sei scivolata giù dal–»

«Grazie del consiglio, mio signore, permettimi di ricambiare. Forse dovresti smettere di comportarti da cane da guardia e iniziare a comportarti da marito, invece di stare sempre a fiutare il pericolo.» sbottò lei, voltandogli le spalle.

«Se è quello che desideri…»
La raggiunse in un paio di falcate, la fece voltare e la baciò.

Era il primo bacio che si scambiavano dalla cerimonia nuziale ma non fu sbrigativo ed essenziale come allora. Per un momento Sansa provò a resistergli, ma aprì la bocca appena lui portò la mano libera ad afferrare il suo lungo collo. Non ebbe nemmeno bisogno di stringere. Approfondì il bacio, dimentico del motivo per cui lo stava facendo e del perché avesse aspettato tanto. Poi i denti scattarono. Il Mastino si ritrasse con un rantolo e si tamponò il labbro.

«Sembra proprio che non devo insegnarti a mordere!» ghignò di fronte al rosso vivo.

Chapter 9: Sansa

Summary:

Clegane Keep si fa sempre più affollato: lord Reginald Lannister giunge con regali di nozze e una scorta molto particolare. Sansa guadagna altre due dame da compagnia, che Bernadette e Senelle sembrano decise a detestare ed è il minore dei problemi. Il più grande deve ancora arrivare…

Notes:

Perdonate l’attesa, a questo punto ero un po’ combattuta su come procedere con la narrazione e soprattutto l’ordine dei capitoli. Questo è forse il più lungo che abbia scritto finora: vi sembrerà che stia andando fuori tema, considerando il prompt di partenza, e probabilmente è così… Posso solo dire che il segno della vergine è potente in me! Avevo bisogno di dare un senso a tutto il contesto (ironico, dato che nella serie non si sono fatti tanti problemi) e spero solo che alla fine apprezzerete lo sforzo. Grazie se vorrete continuare a seguirmi in questa fanfiction 🙂
And big thank you to any no-italian-speaker who uses google translate just to read my work: I’m improving my English, so in the future I’ll try to write in your language… I swear it, by the old gods and the new!

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

Il vento sferzava i vessilli cremisi col leone dorato alla testa del reggimento, poi c’erano quelli verdi con la rosa dorata dei Tyrell e per finire vessilli azzurri con una pila dorata invertita e un sole. Il primo ad avventurarsi su per la stretta mulattiera e fare un ingresso poco trionfale nel cortile interno fu lord Reginald Lannister, su un destriero grigio topo: indossava una lunga tunica, più vicina marrone che al rosso, sotto un'armatura puramente ornamentale, come quella che Joffrey aveva sfoggiato durante la Battaglia delle Acque Nere. 

Sansa non rammentava di aver mai sentito nominare lord Reginald a corte, doveva trattarsi di un lontano cugino dalla parte dei Lannister di Lannisport. “Vuole apparire forte, ma l’unica cosa pericolosa in lui è il nome che porta.” Il nobile signore pareva essersi fatto carico della stanchezza di tutti coloro che lo seguivano: quando tolse l'elmo, i capelli scuriti dal sudore parvero più castani che biondi e gli occhi si mossero febbrili, squadrando l’ambiente circostante. “Sembra quasi sorpreso di trovarsi qui.”

«Zio Regi,» lo accolse ser Lancel, con un entusiasmo che Sansa non gli aveva mai visto. 

In un primo momento lord Reginald rispose all’abbraccio del giovane cavaliere, poi si riscosse e lo allontanò ricordandogli che non era educato che si salutassero prima che lui avesse reso omaggio a lady Clegane. Si fece quindi avanti e con un inchino espletò le dovute cortesie cavalleresche, rischiando di sfociare in vuote moine.
«Siete una visione, mia signora. Non vorrei mai rivolgere altrove la mia attenzione ma ci sono questioni importanti che devo discutere col Mast– con vostro marito.»

«Temo che dovranno aspettare,» sorrise Sansa, combattendo con tutta se stessa per non far trapelare il disagio per l’alito pesante del nobil uomo, «il mio caro marito non torna mai prima del tramonto: ha finanziato la costruzione di un nuovo ponte e non si fida di nessun altro per sovrintendere l’andamento dei lavori.»

«In tal caso, godrò della vostra compagnia. E di quella di mio nipote, naturalmente!» Soltanto allora tornò a rivolgersi al nipote, «Tua madre ti saluta calorosamente e ti manda a dire che la piccola Janei ha finalmente imparato a pronunciare correttamente il tuo nome.»

«Come, zio, credevo arrivassi dal–» si schiarì la voce, «Ma certo, era il compleanno di Joy poche settimane fa.»

«Cosa vuoi che me ne importi di una bastarda più vecchia di un anno? Mi sono fermato a Castel Granito sulla via del ritorno, un paio di mesi fa…» sbottò lord Reginald, rosso in volto «E prima che me lo chiedi, Willem e Martyn stavano benone l'ultima volta che li ho visti. Anche se sembra importarti più di una cugina bastarda che dei tuoi fratelli minori!»

Sansa si irrigidì. Per quanto sua madre si fosse sempre mostrata insofferente nei confronti del suo fratellastro, mai l’aveva udire pronunciare quella parola con tale disprezzo. 

Nella confusione di stivali e zoccoli che affollava il cortile interno, una cavaliere con la visiera dell’elmo abbassata condivideva la cavalcatura con una fanciulla dal mantello verde pisello: fu questo ad attirare lo sguardo di Sansa sulla dama con le mani strette alle spalle del cavaliere e gli occhi lucidi per le sferzate del vento di montagna. Si fecero largo tra soldati e servi che scaricavano pesanti bauli da muli tremanti, e ser Lancel ancora coi pugni chiusi si congedò per far sfoggio della propria cavalleria aiutando la fanciulla a scendere.

«Lady Sera Durwell di Alto Giardino, insieme a– perdonatemi, i nomi non sono il mio forte!» ammise lord Reginald, alludendo a un’altra fanciulla che si sbracciava dalla sella di un soldato.

Sorprendentemente, Sansa la riconobbe. Era lady Megga Tyrell, una delle cugine di lady Margaery: esuberante come al solito, aprì il mantello per mostrare l’abito celestino in una chiara allusione a quello cobalto che indossava lei. Certo, le sfumature erano simili, ma stile e tessuti diametralmente opposti. 

Il vestito celeste era in seta frusciante e veli di Myr, benché slanciasse la sua figura senza renderla più rotondetta era decisamente troppo leggero, e i tipici tagli che rivelavano porzioni di pelle non le erano d’aiuto. Megga sembrava non riuscire a stare ferma per il desiderio di riscaldarsi più che per contenere l'entusiasmo! Il vestito cobalto, invece, aveva tentato Sansa appena vi aveva posato gli occhi ma erano trascorsi diversi giorni prima che si decidesse a indossarlo. 

Veniva sempre dal guardaroba di lady Alicent Clegane: aveva una scollatura quadrata, più profonda rispetto agli altri abiti ma comunque decorosa, la vita stretta e la gonna ampia. Il tessuto era pesante ma morbidissimo, doveva trattarsi di un misto seta. La vera particolarità però era il colore! Alla luce delle candele pareva catturare i riflessi caldi della fiamma, mentre alla luce naturale pareva farsi duro e freddo come il cielo nuvoloso che faceva filtrare una piccola porzione di sole. 

Stando a quanto le aveva confidato septa Dubhe, era stato un regalo di lady Joanna Lannister. Un invito a osare di più! E aveva aggiunto, quasi distrattamente, che era il preferito di Sandor. Non che a lei importasse, naturalmente aveva già deciso di indossarlo. E aveva fatto bene trovandosi di fronte quelle visite inaspettate.

Sansa condusse subito gli ospiti nel salone al primo piano e offrì loro pane e sale, come da tradizione. Lord Reginald sedette alla grande tavola, sbocconcellando pane con lo sguardo perso nel vuoto: un leone provato, dalle chiacchiere incessanti di Megga più che dal viaggio. La fanciulla infatti colse l'occasione di ammirare la vista da una delle finestre per prenderla da parte.

«Ma guardatevi, lady Sansa! Siete una vera signora,» ridacchiò giuliva, com’era solita fare quando si intrattenevano nei giardini della Fortezza Rossa «Non ho mai avuto dubbi a riguardo, per quanto non oso immaginare come dovete esservi sentita! Sposare il Mastino invece d–»

«Mie signore, le finestre sono piene di spifferi e voi avete già preso abbastanza freddo.» intervenne Bernadette, indicando le sedie che erano state aggiunte vicino alla stufa «Venite, riscaldatevi… Sarebbe un vero delitto lasciare al gelo dei fiorellini così graziosi.»

«Che pensiero dolce ma non dovete temere, il sangue scorre caldo in noi Tyrell.»

«Dunque anche voi siete parenti?» proseguì la bruna, passando lo sguardo da lei a Sera. «Non rammento un ramo Durwell, ma forse si tratta di un ramo cadente dal tronco principale.»

La ragazza sembrava essersi ripresa. Il suo sguardo era pieno di divertimento e la bocca generosa si aprì in un sorriso, mentre rivelava un esuberante abito giallo sotto il mantello verde. «Mia madre servì per anni lady Olenna, tanto che arrivò ad affezionarsi a lei come una figlia!»

«Dette non voleva certo mettervi a disagio. Vi prego, raccontateci del viaggio,» proseguì Senelle, prendendo sotto braccio Sera «Spero con tutto il cuore che sia stato meno turbolento del nostro!»

«Oh Dei, cosa vi è accaduto?»

«Un’altra volta, vi prego, il ricordo è ancora troppo vivo… Diteci piuttosto, cosa porta delle roselline così delicate in quest angolo delle Terre dell’Ovest?»

«Mia cugina mi ha incaricato personalmente di recapitare un regalo molto speciale a lady Sansa,» sussurrò Megga, in modo che anche lei potesse udirla «ma non posso certo dirvi di che si tratta! Lo vedrete, insieme agli altri.»

Un tempo Sansa era stata felice di condividere di nuovo la compagnia femminile grazie a lady Margaery e al suo seguito, oggi invece avrebbe preferito farsi strappare un dente con delle pinze roventi che trovandosi sola con le quattro dame. Ma nemmeno septa Dubhe avrebbe potuto sottrarla a quel supplizio, perciò non le rimase che sorridere e cercare come sempre di destreggiarsi nella conversazione ricca di sottintesi.
«Altri?» ripeté, come se masticasse la parola per capirne meglio il gusto.

«Non spetterebbe a me dirlo,» Megga fece un cenno in direzione del nobile Lannister, ancora perso nei suoi pensieri «ma, nello scortarci ad Alto Giardino, ser Bronn delle Acque Nere si è lasciato sfuggire che il Concilio Ristretto vi ha fatto recapitare dei regali di nozze da parte di tutti loro. E della Regina Madre, e del Re in persona!» 

«Sua Grazia sembra avere ancora un posto speciale nel Suo cuore per voi.» commentò Sera.

Sansa serrò le labbra, come quando Megga aveva alluso con aria sognante alla labbra di Joffrey e al fatto che lei a posto suo avrebbe sicuramente pianto per non poterle più baciare. “Bugie e sotterfugi, di continuo.” si rese conto. Allora non lo aveva notato, troppo impegnata a pensare di aver versato tutt’altro tipo di lacrime grazie al giovane sovrano.

«Sua Grazia è fin troppo generoso, indubbiamente il suo affetto per me è mutato ma sempre presente.» disse, tornando a sorridere «Nella stessa misura in cui è affezionato al mio caro marito, che ha sempre seguito ogni suo passo fino a vederlo sedere sul trono di spade.»

«Senza dubbio,» annuì la mora, ricambiando il sorriso le si formò una fossetta al centro della guancia destra e nessuna sulla sinistra.

«Certamente ma– A costo di sembrare maleducata di fronte a queste dolci dame che non mi conoscono, non posso proprio trattenermi dall’esprimere la sorpresa tutt’altro che positiva nell’apprendere la vostra unione.» confidò Megga, prendendole le mani «Lady Sansa, siete di ispirazione per tutte noi. Avete il coraggio di una vera signora, che compie il suo dovere a dispetto dei suoi desideri. Io– Io non potrei mai farcela! Solo il pensiero di avvicinarmi a quel viso– a quella bocca– oh no, non potrei mai!»

Avrebbe dovuto indignarsi per quelle parole invece a colorare le gote di Sansa fu ripensare al suo primo giorno al castello, quando Sandor l’aveva baciata in un momento in cui era l’ultima cosa che si aspettava da lui.

 

Un lungo bacio. Vorace. Famelico. A dispetto di tutto, Sansa si era lasciata baciare — proprio come aveva immaginato, il Mastino era troppo forte perché potesse contrastarlo — finché avvertì un crescente calore montarle dentro: non desiderio, rabbia. Si ritrovò col respiro affannoso e il sapore del sangue in bocca, lo stesso che ornava le labbra crudeli del Mastino. La rabbia svanì così come era arrivata. Cosa le era preso? Avrebbe fatto meglio a chiudere gli occhi e aspettare che passasse. “Ora mi colpirà!” si preparò. 

«Sembra proprio che non devo insegnarti a mordere!» si limitò a commentare lui, a metà tra una risata e un ringhio. 

Sansa non sapeva come le fosse passato per la testa un pensiero simile. Per quanto minaccioso, Sandor Clegane non aveva mai alzato un dito contro di lei. Anche quando lo aveva trovato nelle sue stanze, la notte dell’assedio, con ancora nelle orecchie il bel discorsetto della Regina su quello che sarebbe successo se la battaglia fosse stata perduta, non aveva pensato nemmeno per un istante che lui potesse farle del male. Quindi, perché adesso? 

“Perché siamo sposati,” si disse, non trovando altra spiegazione. Suo marito aveva esercitato un diritto e lei, in quanto moglie, aveva agito male. A ben vedere però era stato lui a iniziare! Se non fosse rimasto ferito in quell’imboscata avrebbe continuato a ignorarla per gran parte del viaggio. E se avesse voluto aspettare finché non fossero arrivati al castello non l’avrebbe lasciata di nuovo sola la sera precedente. 

Prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, il Mastino la caricò su una spalla. Come il giorno della rivolta del pane. Solo che questa volta non c’era il freddo metallo della sua armatura a separarli e lei poté avvertire il calore di quel corpo muscoloso anche attraverso strati di tessuto. Si chiese se fosse così caldo perché era stato toccato dal fuoco in tenera età ma era un pensiero stupido, veramente stupido! 

Sansa cercò di aggrapparsi a lui mentre percorreva a grandi passi il ponte levatoio o saliva due, anche tre gradini per volta. Con la medesima cura di allora, Sandor la depose sul letto e subito si volse per chiudere la porta a chiave. 

“Quindi il momento è giunto! Non intende aspettare oltre,” si stupì. Avendo sempre sentito parlare della prima notte di nozze, si era immaginata che certe cose accadessero solo al calare delle tenebre o al lume di candela. Invero la stanza era piuttosto tetra, come il resto del castello, e il fuoco nel camino bagnava ogni cosa di luce calda. 

Sandor le diede le spalle per un tempo interminabile, durante il quale Sansa si chiese se dovesse spogliarsi o aspettare che le dicesse lui di farlo. Non intendeva più opporsi, questo era certo. Cercò invece di richiamare alla memoria i consigli di Shae. 

La cameriera aveva preferito occupare così il tempo a loro disposizione, dando precedenza alla sua preparazione piuttosto che a quella dei bagagli — e visto com’era finita, meglio così!

«Non importa chi ti fanno sposare,» le aveva detto, «quando verrà il momento di giacere insieme, tu devi guardarlo negli occhi. L’amore viene dagli occhi.»

C’erano anche altre cose, più pratiche, che l’avevano fatta arrossire e desiderare di mettere fine alla conversazione ma Shae l’aveva costretta ad ascoltare: «Solo perché la tua femminilità è appena sbocciata, pensi che ti faranno sposare un bel giovane? I giovani pagano con la loro bellezza ma i vecchi sono la base della ricchezza, diceva sempre la mia– non importa!»

“Sandor non è più un ragazzo ma non è nemmeno così vecchio.” Era la cicatrice a invecchiarlo, e a farlo apparire ancora più minaccioso. Ma adesso, mentre si voltava passandosi una mano tra i capelli — una volta spostandoli e la seconda per riportarli sul lato ustionato dove non ne crescevano — sembrava solo nervoso. “Come me.” 

«Va tutto bene, uccellino…» 

«Sta diventando una frase ricorrente.»

Lui la guardò sollevando l’unico sopracciglio poi fece una risata che non gli aveva mai sentito, più bassa e sincera. «Andiamo con ordine,» propose, inginocchiandosi davanti a lei, «ser Shadrich.»

Sansa ammiccò perplessa. Perché tirare in ballo il cavaliere di Shady Glen adesso?

«Non è un caso che ti abbia chiesto di passeggiare pochi attimi prima che ci attaccassero,» le rivelò, «ma per nostra fortuna il Mangia-mele si fa ancora delle remore a differenza del Topo Pazzo…»

«Un momento, di che–»

«L’imboscata era una trappola, sì, ma non era casuale. Tu, lui e Brune dovevate essere gli unici superstiti.»

Avvertendo un brivido improvviso, Sansa si strinse la braccia attorno.
«Perché me lo stai dicendo ora?»

«Perché siamo soli e visto il modo in cui ti ho condotta qui, nessuno oserà mettersi a origliare.»

«Oh, quindi vuoi parlare! Adesso vuoi–»

Le mise la mano sulla bocca, di nuovo, e per un attimo lei fu tentata di affondare i denti in quelle dita callose.
«Ascolta, hai tutte le ragioni per essere arrabbiata con me e non starò certo qui a implorare il tuo perdono, ti chiedo soltanto di mettere da parte la rabbia per il momento. Non possiamo stare qui dentro delle ore o si aspetteranno di trovare qualcosa tra le lenzuola…»

Quest'ultima frase, più di ogni altra, la spinse a tacere.

«Più tardi ti spiegherò ogni cosa e risponderò a tutte le tue domande, sono anche disposto a lasciarmi prendere a schiaffi, ma adesso c’è qualcos’altro che mi preme chiarire.» Fece una pausa, aspettò un suo cenno e poi tolse la mano. «Ti ho detto che questa non è la Fortezza Rossa, ed è vero: è anche peggio! Tutti osservano e ascoltano, pronti a venderti per salvarsi la pelle. Oltre quella porta,» la indicò, «devi stare attenta a ogni parola e ogni gesto.» Un’altra pausa, durante la quale controllò che il labbro avesse smesso di sanguinare, poi tornò a guardarla. «Ma quando la porta è chiusa, e siamo solo io e te, possiamo essere onesti. Almeno tra noi! Non è molto, ma è più di quanto la maggior parte dei mariti offre alle mogli.»

Lei ascoltava e, incredibilmente, gli credeva. Nemmeno Dontos si era guadagnato la sua fiducia così facilmente, ma a differenza del cavaliere caduto in sventura Sandor le stava proponendo sincerità reciproca. O almeno, così le era parso di capire!
«Onesti.» ripeté Sansa «Quindi prima non eri davvero arrabbiato?»

«Non puoi pretendere che il Mastino si trasformi in un cucciolo scodinzolante ai tuoi piedi!»

«… però sei ai miei piedi.»

Sandor chiuse gli occhi e sospirò pesantemente, in un gesto che stava diventando familiare, e sorprendentemente appoggiò la fronte sulle sue ginocchia. Stette così abbastanza a lungo da risvegliare in lei il desiderio di confortarlo ma aveva appena fatto in tempo a sollevare una mano che lui si tirò su e lei si ritrasse in fretta.

«Un mastino morirà per te, ma non ti mentirà mai. E ti guarderà sempre negli occhi.»

Sansa non seppe cosa rispondere, si limitò a ricambiare il suo sguardo e per un po’ stettero così, in silenzio, a fissarsi. 

«Vorrei introdurre una cosa che faceva mio padre,» si ritrovò a dire, riprendendo il discorso che lui aveva brutalmente interrotto mentre rientravano al castello. Lei al tempo non aveva prestato mai grande attenzione a quelle conversazioni, preferiva estraniarsi con Jeyne o intromettersi nei discorsi di Theon, mentre Arya beveva ogni parola. «In pratica, a cena c'era una sedia che di volta in volta veniva occupata da una persona diversa del personale di servizio: non si trattava di carità o benevolenza, ma di un'opportunità per ascoltare i reali bisogni dell'altro.»

«Sembra una buona idea,» commentò Sandor rialzandosi, «ma toccherà a te! Io non sono tipo da tante parole. E poi sei tu quella che ha–»

«Dici sul serio?» lo interruppe, saltando in piedi a sua volta.

Di nuovo, lui la fissò e si lasciò sfuggire quella risata. «Sì, uccellino, dico sul serio.»

Sansa rimase lì imbambolata mentre sentiva formarsi un sorriso, felice di poter dare un contributo concreto e ancor più di scoprire che lui non era solo disposto ad accogliere i suoi consigli ma a lasciarle la libertà di agire come meglio riteneva. Oh Dei, era questo che provava la Buona Regina Alysanne a consultarsi con Re Jaehaerys? 

«Ora però dobbiamo uscire da qui e andare avanti con la giornata. Parleremo ancora stasera, o domattina se non riuscirai ad aspettarmi sveglia.»

E lei aspettò. Le sarebbe stato impossibile addormentarsi, aveva tante di quelle domande: sul passato, sul futuro, su ciò che lui pensava davvero di lei. E ognuna sembrava pesare il doppio, all'idea di porle a Sandor Clegane. Come lo vide entrare Sansa si alzò in piedi ma tornò subito a sedere, le mani in grembo, le dita intrecciate senza stringere, mentre lui chiudeva la porta e iniziava a muoversi per la stanza. Lo sentì lavarsi il viso e le mani poi la raggiunse, spostando la sedia lontano dal camino e più vicino a lei. Lei aveva atteso quel momento con trepidazione ma ora che Sandor le stava davanti, massiccio e immobile, non sapeva da dove iniziare.

«Mi dispiace per il labbro.» disse di getto, solo per rompere il silenzio.

«Sono sopravvissuto a ferite peggiori.»

«Giusto, la tua gamba! Che cosa ha detto–»

«Maestro Vludi è rimasto incantato dal lavoro di Chella.» Nel suo tono c’era un divertimento sconosciuto, volto a renderla partecipe più che a prendersi gioco di lei. «Al suo posto, maestro Jay avrebbe commentato che le gambe restano il punto debole dei Clegane.»

«Perché?»

«Perché il padre di mio padre, Kreacher, perse una gamba nel salvare il padre di lord Tywin da una leonessa. E i Lannister pagano sempre i loro debiti! Mio nonno passò dall’essere mastro dei canili di Castel Granito a lord storpio di un castello dimenticato dagli Dei e dagli uomini, mentre il suo unico figlio divenne lo scudiero di lord Tytos. Non lo rimase a lungo, neanche il tempo di guadagnarsi gli speroni di guerriero che il vecchio si spezzò l’osso del collo mentre cercava di scendere da solo lo scalone. Pare si recasse al canile ogni mattina…»

«Amava quello che faceva, si capisce dallo stemma che ha scelto.»

«Stronzate! Dopo una vita di fatiche, Kreacher non riusciva a starsene con le mani in mano. Quanto allo stemma: i cani sono un omaggio ai tre che morirono nello scontro con la leonessa e il giallo sta per l’erba secca di fine autunno.»

«Sempre meglio di una gamba mozzata su sfondo giallo e rosso.» commentò lei, e di fronte all’occhiata di suo marito aggiunse: «Non che ci sarebbe stato nulla di male, ne esistono di ben più sinistri! Casa Bolton, per esempio, ha come stemma un uomo scuoiato. Casa Sunderly, delle Isole di Ferro, ha invece un cadavere divorato dai pesci. Casa Manwoody, a Dorne, ha addirittura un teschio incoronato su sfondo nero! E poi c’è anche una casata con un uomo impiccato ma in questo momento mi sfugge–»

«Casa Trant.» le rammentò, quasi con dolcezza. 

«Ma certo, che stupida!»

«Non sei stupida. È da quando ha iniziato a parlare che non prendi fiato, e se smetti di respirare smetti di pensare. Fa un bel respiro, uccellino.»

Lei obbedì, rendendosi conto che aveva ragione. Inspirò profondamente, per quanto il corsetto le permetteva, e il senso di allarme che l’aveva spinta a giustificare le proprie parole scemò lentamente.

«Brava ragazza.» Si protese in avanti, i polsi sulle ginocchia e le mani abbandonate, chiuse a pugno ma non serrate. «Ora, facciamo finta che tu mi abbia chiesto cosa vuoi sapere davvero–»

«Mio signore, io davvero volevo sapere–»

«–in modo che io possa rispondermi come non potei fare in quella radura, appena ser ratto si tolse dai piedi.» proseguì lui, la sua voce rauca aveva ritrovato una nota dura. «Credevo non vedessi l’ora di ricevere una risposta un po’ esauriente di Ho esagerato col vino

Ancora una volta, Sandor Clegane si stava rivelando un uomo in grado di stabilire le priorità. Sansa chiuse la bocca, sentendosi sciocca per non averci pensato subito. Scacciò quel pensiero con un altro respiro e si rilassò un poco, mettendosi comoda sulla sedia. 

«A essere onesti, ero davvero ubriaco come un cane! Non l’ho mai raggiunta la Porta di Ferro. Sono caduto da cavallo molto prima, non so dove… So solo dove mi sono svegliato. In gabbia. Niente armatura. Niente spada. Ero solo nelle tenebre, nel sangue e nel vomito. Non è la risposta che ti aspettavi, vero?» ghignò, tornando ad appoggiarsi allo schienale «Già, chissà che idea ti eri fatta in quella tua bella testolina!»

«Per quanto sei rimasto nelle Celle Nere?»

«Questo devi dirmelo tu, uccellino! Quanto è passato dalla sera della battaglia al nostro–» esitò, sfiorando con le dita il labbro inferiore e per un momento abbassò lo sguardo per accertarsi che il taglio non si fosse riaperto. «Non ha importanza. Non farebbe alcuna differenza. Credevo che ci sarei morto, in quella cella, divorato dai topi nel sonno. Quegli infami hanno il morso delicato, sai? Possono rosicchiare un dito fino all’osso senza che uno se ne renda conto. Nel silenzio, il loro squittire era un eco continuo.»

Questo spiegava il suo disprezzo per ser Shadrich, oltre che per il fatto che avesse cospirato contro di loro. Sansa però era troppo presa dal suo racconto per pensare al cavaliere fulvo o al Maestro del Conio che aveva tentato di farla rapire: forse lord Baelish pensava davvero di aiutarla e voleva farlo per amore di sua madre come le aveva detto, ma poteva benissimo trattarsi di una menzogna. “Sandor non mi ha mai mentito,” di questo era sicura, “semmai ha mentito per me ed è ben diverso!” Soprattutto perché ora sapeva quanto doveva essergli costato mettersi sullo stesso piano di lord Irial.

«Poi, dopo non so quanto, la porta della cella si aprì. Allora pensai che si erano finalmente decisi a giustiziarmi! Payne avrebbe goduto come un matto ad avermi a portata di lama e, una volta separata dal collo, la mia testa avrebbe fatto una bella piroetta.»

Sansa trattenne il respiro, senza sapere perché. Sandor Clegane era davanti a lei, vivo e vegeto, perciò cos’era quel timore improvviso? “So cosa viene adesso.” Ma suo marito non poteva sapere che Joffrey le aveva già fornito la sua versione. E lei, doveva ammetterlo, era ansiosa di scoprire cosa aveva detto o fatto il Mastino per uscire da quella brutta situazione portandola via con sé.

«Ma a rischiarare l’oscurità con una torcia non fu il boia o una guardia, bensì il Re in persona. Joffrey sembrava fare luce lui stesso, coi suoi cazzo di capelli biondi! Credevo fosse venuto a infierire, a gettare sale sulle ferite, e invece–» Toccò a lui prendere un bel respiro. «E invece era venuto a offrirmi una mano. La tua mano.»

«Cosa?»

«Sì, ho avuto pressappoco la stessa reazione! Non gli credetti, nemmeno per un istante. Ma era serio, cazzo se era serio!» Tirò indietro il labbro inferiore e vi passò sopra i denti, col rischio di riaprire la ferita. «Joff disse un sacco di stronzate, sul fatto che mi era affezionato e che rigirandomi contro di lui lo avevo ferito più di chiunque altro. Ma un cane morde anche quando gioca, è risaputo!» gli fece il verso, poi piegò la bocca in un sorriso ironico «Non ho idea di cosa gli passasse per la testa, ma–»

«Gli hai dato quello che voleva.»

«Aye, per l'ultima volta. E non intendo andare fino in fondo. Persino un cane si stanca di essere preso a calci! I cavalieri che ci hanno accompagnato non potranno fermarsi per sempre nella nostra modesta dimora, ser Lothor sarà l'ultimo ad andarsene e avrà cura di riportarti dal tuo regale fratello.»

«Ma hai detto–»

«So cosa ho detto.»

«E nonostante tutto ti fidi di–» s’interruppe, non era quello che le premeva sapere al momento «Tu non verrai con noi?»

«Magari andremo via insieme per non insospettire le tue dame, poi prenderemo strade diverse.»

«Perché?»

«Perché non ho messo miglia di distanza tra me e il re ragazzino per farmi tagliare la testa da un altro re.»

«Robb non lo farebbe mai.»

«Perché adesso siamo parenti? Motivo in più, semmai! E non intendo offrirgliene altri. Manterremo le apparenze per il tempo necessario: non tutte le donne sanguinano quando perdono la verginità, né riescono a concepire o portare la gravidanza al termine. Quando poi ti troverai al cospetto del Re del Nord, chiederai di farti esaminare da un maestro della catena. Dovrebbe bastare per un annullamento.»

«Per questo non hai– non abbiamo–»

«Un matrimonio non consumato può essere annullato da un Concilio del Credo, non dirmi che non lo sai.»

«Ma septa Mordane sosteneva che un'unione benedetta dagli Dei–»

«Quali Dei?» 

«Gli Dei che hanno creato tutti noi.» 

«Quali Dei?» ripeté il Mastino, «Ci hanno unito seguendo il rito dei Sette Dei, ma al Nord venerate ancora gli Antichi Dei… Che ti importa di quelli Nuovi?» la schernì, scuotendo il capo «Stannis Baratheon e il suo bel seguito si erano tutti convertiti a R'hllor, ma il Signore della Luce non ha mosso un dito per salvarli dall'alto fuoco. E non farmi iniziare a parlare del maledetto Dio Abissale! Non esiste nessuno di questi Dei, uccellino. Io e te siamo uniti solamente agli occhi degli uomini, ciò significa che possiamo fargli vedere quello che vogliamo.»

«Quindi il progetto del ponte e l'insediamento del clan, anche quelli sono solo apparenza?»

«Faccio solo quello che è necessario. Niente di più, niente di meno.» Inclinò il capo in direzione del letto «Dormiremo insieme, io starò sopra le coperte e tu sotto. Non ti toccherò. Le donne non sempre sono regolari, specie quelle appena sviluppate, sfrutteremo questo aspetto. E quando avrai di nuovo il sangue, io inveirò contro gli Dei mentre tu– Bah! Consumati gli occhi. Lagnati con chiunque abbia orecchie per sentire. Vedi tu, uccellino.»

Non era quello che si aspettava di sentire. Durante il suo segreto fidanzamento con ser Loras Tyrell, Sansa aveva accarezzato l'idea di avere figli coi volti dei fratelli che aveva perduto. Magari anche una figlia, uguale a sua sorella! Benché Dontos il Rosso avesse provato a convincerla che quello che volevano i Tyrell non era tanto diverso dai Lannister, o da qualunque famiglia allettata dalla prospettiva che suo fratello perisse in battaglia e lei diventasse l’erede di Grande Inverno, si era detta che almeno per qualche anno sarebbe stata felice e poi gli Dei avrebbero provveduto. 

Sansa Stark aveva tenuto vivo quel sogno dopo essere diventata lady Clegane, con tutte le sue forze, arrivando a pensare che forse suo marito le avrebbe permesso di chiamare i loro figli Eddard, Brandon e Rickon. Ora quel sogno era infranto e peggio ancora, c’era quello che Sandor Clegane non aveva detto ma aveva lasciato intendere. “Non vuole Grande Inverno. Non vuole figli. E non vuole nemmeno me.”

 

«Siete a dir poco indelicata, e lady Sansa fin troppo educata. In futuro, fareste meglio a tenere per voi simili pensieri. Non per timore del Mastino, ma perché potrei ricacciarveli dentro io a suon di sberle!»

Sansa guardò sorpresa, e suo malgrado grata, Senelle. Proprio non si aspettava una simile risposta! La rossa annuì col capo prima di raddrizzarsi e far ruotare la spalla con uno scricchiolio minaccioso. Megga si ritrasse portando le mani alla bocca. Sera sembrava pronta a mettere alla prova quelle parole, ma dopo un’occhiata di Bernadette entrambe le dame di Alto Giardino si convinsero a tacere. 

«Perché non riprendiamo il nostro lavoro, mia signora?» propose Dette, recuperando ago e filo dove li aveva lasciati per andare ad accogliere gli ospiti. Sansa aveva fatto portare qualche metro di stoffa al castello, perché le sarebbe piaciuto creare qualcosa con le sue mani, e così erano solite impiegare il tempo a cucire tutte e tre insieme. A volte septa Dubhe teneva loro compagnia, parlando sempre di colori e mode passate, oggi però erano soltanto lei e le dame. «Ormai siete a buon punto. Osservate anche voi! Lady Clegane è davvero piena di qualità…»

«Così si dice,» esordì una voce soffocata.
Il cavaliere con cui era arrivata Sera si fermò a pochi passi da loro. Il mantello coi colori di casa Lefford non lasciavano dubbi su dove risiedesse la sua fedeltà e l’armatura giallo brunito metteva in risalto la figura snella e aitante, almeno quanto il Cavaliere di Fiori. Lord Reginald Lannister gli gettò un’occhiata distratta e, come se si fosse appena ricordato qualcosa di molto importante fino ad allora trascurato, si passò una mano sul viso con aria costernata.

«Oh, ser, che gioia sentire finalmente la vostra voce!» esclamò Megga, alzandosi subito. «Siete stato così silenzioso che iniziavo a temere non vi fosse che nessuno all’interno dell’armatura. Vi prego, mostrate il vostro volto! Così potrò ringraziarvi adeguatamente per la protezione che ci avete offerto.»

“Dunque è talmente impaziente di essere baciata da gettarsi sul primo cavaliere che le rivolge una gentilezza,” constatò Sansa. Una volta di più, provò un misto di pietà e invidia per la ragazzina: erano vicine come età, eppure così lontane.

«Per l’amore degli Dei, mettete fine a questa scena da giutti itineranti.» sospirò lord Reginald, alzandosi con tale violenza che rischiò di far ribaltare la sedia.

«Mio signore, non giudicate male la povera Megga!» intervenne Sera, con un sorriso furbo e gli occhi castani illuminati dal divertimento «Viviamo tempi duri e talmente incerti che una fanciulla–»

«Non stavo parlando con lei.» tagliò corto.

Il cavaliere si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito.
«Spero non resterete delusa, io non lo sono di certo!» disse, liberando prima le mani guantate. Aveva dita lunghe e affusolate, quasi femminili, e ogni suo gesto era incredibilmente aggraziato. «Sappiate che non c’era malizia nelle mie intenzioni. Come ha detto lady Durwell, sono tempi duri. E le precauzioni non sono mai troppe.» 

Sfilò l’elmo con la mano destra e la sinistra si mosse, altrettanto veloce, per disciplinare la cascada di riccioli biondi in cui si confondevano ciocche più chiare, quasi bianche. Il volto si rivelò indubbiamente bello, le labbra sembravano ancora più rosse sulla carnagione lattea e gli occhi scurissimi brillavano sotto le lunghe ciglia. Megga per poco svenne alla rivelazione che il suo cavaliere era una donna! Questa la sostenne e la guidò verso Sera, già pronta ad accogliere l’amica tra le braccia. Poi, senza degnarle più di uno sguardo, rivolse la propria attenzione a Sansa.

«Ho fatto molta strada per incontrarvi, lady Clegane. Sono lady Alysanne Lefford, erede di Zanna Dorata.» Arricciò il naso con aria divertita nel presentarsi e inchinarsi «Voi non potete certo saperlo ma la vostra defunta cognata, lady Gunvor, era la mia dama di compagnia quando venne a mancare: ricordo come fosse oggi la sua impazienza al pensiero che i suoi fratello si sposassero, così avrebbe finalmente avuto delle sorelle. Ebbene, quando ho appreso della vostra esistenza, ho ritenuto mio dovere venire a porgere i miei omaggi in sua vece.»

Forse gli Dei — perché, a dispetto di quanto sostenesse suo marito, lei credeva fermamente nella loro esistenza! — avevano ancora qualche sorpresa positiva in serbo per lei, tuttavia Sansa si domandò fugacemente se lady Alysanne avesse fatto lo stesso con le mogli di Gregor.

«Sempre curioso come certe amicizie siano dettate da obblighi e giochi di potere più che da reale affetto.» sentì bisbigliare Senelle.

«Vi ringrazio del pensiero, la vostra presenza qui è senz’altro gradita.» si affrettò a rispondere Sansa, perché era giusto proteggere la rossa dopo il modo in cui l’aveva difesa poco prima, «Ogni piccolo gesto di gentilezza pesa più di mille parole.»

 

A cena, septa Dubhe occupò il posto che sarebbe dovuto toccare a Caleb. Sansa sentiva che l'abitudine da lei introdotta era importante e la preoccupava doverla abbandonare dopo pochi giorni, ma nemmeno Ned Stark aveva mai fatto sedere un macellaio a tavola con degli ospiti. Le dame si erano tutte cambiate d’abito eppure nessuna  abbracciava la propria femminilità come lady Alysanne: avvolta in un sontuoso vestito pervinca in velluto damascato dorato che riproduceva il sole della sua casa, con le dita piene di anelli e i capelli biondo-argentei perfettamente acconciati, sembrava la reincarnazione di Rhaenyra Targaryen. "Se fosse sopravvissuta alla Danza dei Draghi."

L’unico a restare immune al fascino della dama di Zanna Dorata era Sandor Clegane. Dall’esterno poteva sembrare un comportamento rispettoso nei confronti di sua moglie ma Sansa sapeva, dal modo in cui si torturava il labbro inferiore coi denti, che qualcosa lo turbava. “Troppe persone per portare avanti il suo piano,” considerò, rammentando con quale insistenza lord Reginald avesse insistito col Mastino perché parlassero in privato appena aveva messo piede a castello “E se, con la scusa di consegnare i regali di nozze, lord Tywin avesse mandato suo cugino a indagare?” Era plausibile dal momento che questi non gli erano ancora stati presentati.

Come sempre, Sansa portò avanti la conversazione mentre Sandor teneva la testa nel piatto. Apprese che lord Reginald aveva accolto lady Alysanne poco dopo la battaglia di Oxcross, per non offrire un facile ostaggio agli uomini del Nord che facevano sempre più spesso incursioni nelle Terre dell’Ovest. “Non sono mai stata così vicino a Robb da un anno a questa parte.” Eppure, non riusciva a trovare gioia in quel pensiero. 

Senelle e Bernadette la guardavano di sottecchi, interrompendo Megga ogni volta che sembrava sul punto di aprir bocca. Le concessero solo un breve resoconto sul viaggio da Approdo del Re ad Alto Giardino lungo la Strada dei Fiori e poi da Alto Giardino a Lannisport, insieme a Sera, per nave. Mentre la giovane Tyrell si lagnava del mal di mare sofferto, Sansa non vedeva l’ora di restare sola con Sandor per chiedergli per quale motivo non avessero seguito il medesimo percorso risparmiando un sacco di tempo! In parte, però, conosceva la risposta. Non era stato lui a decidere. Non gli era stata data altra scelta.

Prima che servissero il dolce, il Mastino scattò in piedi e con una battuta volgare diede a intendere che preferiva trascorrere solo con lei il resto della serata. Sansa non si oppose quando la afferrò per un braccio e la condusse via. La presa era forte ma non dolorosa.
«Ora te la canto io una bella canzoncina!» ringhiò, fingendo di spingerla nella loro camera. Come la porta si chiuse alle loro spalle, Sandor cambiò espressione «Uccellino–»

«Sta per succedere quello che penso, vero?»

«Peggio, sta per succedere quello che pensavo non sarebbe potuto succedere!»

Sana annuì, in fondo se lo aspettava. «Va bene, allora–»

«Non va affatto bene!» sbottò lui, la voce ancora più roca mentre si sforzava di tenere un tono più basso «Il Vecchio Leone è folle a pensare che un pugno di soldati basti per tenere sotto controllo un cane impazzito.»

«Capisco che la presenza di lord Reginald–»

«Reginald è uno smidollato, faccio più affidamento sul fango sotto i miei stivali! Scopriremo fin troppo presto se il Leone del Porto teme maggiormente l’ira di suo cugino o quella di mio fratello.»

«Tuo–» si sentì mancare, come aveva fatto a non capire prima?

«Sì, uccellino, Gregor sta arrivando e non verrà da solo… Guardami,» con estrema delicatezza per un uomo della sua stazza, le prese il viso tra le mani e appoggiò la fronte sulla sua «Tutti hanno paura di me, persino gli scagnozzi di mio fratello! Cercano di nasconderlo ma so riconoscere la paura quando la vedo. Tu però non hai niente da temere, capito? Nessuno ti farà del male, mai più. E se qualcuno ci proverà, io lo ucciderò.»

Sansa chiuse gli occhi, aspettandosi un bacio. “L’eroe bacia sempre la damigella in difficoltà nelle ballate.” «La vita non è una ballata, mia dolce bambina, e un giorno potresti impararlo a tue spese.» Oh, lo aveva imparato fin troppo bene! Inoltre, dopo quel morso, Sandor non avrebbe azzardato a riprovarci.

«Ti terrò al sicuro. Veglierò su di te.» gli sentì dire. Aveva già pronunciato quelle parole, in un’altra camera, in un'altra fortezza, mentre bagliori verdi rischiaravano le tenebre ma lei non gli aveva creduto abbastanza da seguirlo. «Andrà tutto bene, uccellino.» 

«Andrà tutto bene,» ripeté Sansa, poi aprì gli occhi e li puntò in quelli di lui «finché saremo insieme.»

Sandor annuì, interrompendo il contatto tra loro, visibilmente rilassato nel constatare che gli credeva. 

Perché sì, questa volta Sansa gli credeva. Il Mastino avrebbe lottato fino allo sfinimento per tenerla al sicuro. Allo stesso modo, si ripromise di lottare con tutte le proprie forze per far funzionare quel matrimonio: non aveva importanza quale ragione li avesse uniti, ormai appartenevano l’uno all’altra — «Un solo corpo. Un solo cuore. E un'unica anima. Ora e sempre, e maledetto sia chiunque verrà a frapporsi tra loro.» aveva dichiarato l’Alto Septon al cospetto degli Antichi Dei e di quelli Nuovi — e finché Sandor Clegane non ci avesse creduto lei lo avrebbe fatto per entrambi.

 

Notes:

Appena ho visto Nicola Coughlan in Bridgerton ho pensato fosse il ritratto di Megga Tyrell uscito dalle pagine dei libri, mentre Sera Durwell è un personaggio che compare in un videogioco di Game of Thrones e ho deciso di farla scendere in campo.
Nella serie, lady Alysanne Lefford mi pare sia nominata come moglie di lord Leo Lefford mentre nei libri non viene specificato il loro legame di parentela: per me, è sua figlia. (Sì, sto recuperando House of the Dragon)

Nel prossimo capitolo avremo un nuovo POV e non aggiungo altro perché già così è spoiler!

Chapter 10: Gregor

Summary:

Dopo aver lasciato Harrenhal e assicurato il guado della Forca Rossa, una volta aperta la strada La Montagna non si ferma e approfitta della confusione per guidare i suoi uomini verso Clegane Keep. Lord Kevan gli ha infatti riferito cosa si cela dietro il messaggio di Lord Tywin. La rabbia e la vergogna di vedersi ridotto a guardiano del talamo nuziale di suo fratello diventano prima forza bruta, per poi trasformarsi in un’opportunità: togliere di mezzo una volta per tutte Sandor, provocandolo perché faccia lui la prima mossa, così da uscirne pulito agli occhi degli uomini e degli Dei… E trasformare la nuova sorella in vedova, per poi prenderla in moglie. Ma ser Gregor non aveva fatto i conti con lady Alysanne Lefford, l'unica donna in grado di provocargli lussuria e ribrezzo insieme.

Notes:

Rispetto alla timeline dei libri, la serie scelse di separare temporalmente le battaglie ad Approdo del Re da quelle nelle Terre dei Fiumi (credo, suppongo, spero) per ragioni di tensione drammatica. Mi è risultato utile, come vedrete!
Senza nulla togliere agli attori che hanno impersonato Gregor Clegane nel corso delle stagioni, per me avrà sempre il volto di Conan Stevens. Mentre gli unici uomini de La Montagna creditati nella serie sono Polliver (molto diverso da come viene descritto nei libri) e Messer Sottile, che però viene fatto fuori ad Harrenhal (al posto del vecchio Chiswych).

(See the end of the chapter for more notes.)

Chapter Text

La Battaglia del Guado si trasformò in un massacro nel momento in cui La Montagna e i suoi uomini raggiunsero gli esploratori Brax un attimo prima che venissero sopraffatti: ser Robert era caduto sotto le frecce nemiche e suo fratello, ser Flement, era sul punto di chiamare la ritirata. L’espressione del cavaliere dall’armatura intarsiata di ametiste si sgravò da ogni tensione e se non avesse indossato nuovamente l’elmo a forma di testa di unicorno, ser Gregor Clegane gli avrebbe sferrato un colpo solo per togliergli quel sorrisetto folle dalla faccia! 

Travolse gli uomini di Edmure Tully come una frana, incurante dei dardi che si conficcavano nello scudo e talvolta si aprivano un varco nell'armatura, calando colpi terribili con la sua spada assetata di sangue. Allo sciabordio del fiume si unì un coro di urla e ferro. Musica per le sue orecchie, Lord Daremond e la Battaglia del Pascolo Insanguinato era nulla a confronto! Eppure non bastava a togliergli la voce di lord Kevan dalla testa.

«Significa che non hai solo una guerra da combattere, ser Gregor. Hai anche una nuova sorella: lady Sansa Stark. Lord Tywin ha bisogno di sapere se il matrimonio del Mastino è andato a buon fine. E di questo, dovrai accertarti al più presto.»  

“È questo che si ottiene a leccare per anni i piedi della Regina e del Principe Ereditario! Sandor non merita nulla, eppure gli viene dato tutto.” 

Una volta aperta la strada all’esercito Lannister, Gregor spronò lo stallone nero e continuò a cavalcare finché Dunsen lo affiancò berciando da sotto l’elmo a forma di toro che non c’era più nessuno da inseguire e dovevano tornare indietro.

«Torniamo, sì, ma non indietro. A casa.» gli rispose, rallentando perché non potevano permettersi di sfiancare subito i cavalli. «Mio fratello ci aspetta.»

Aveva il respiro pesante, più delle bestie, e non per le ferite inferte dalla frecce. La rabbia non si era placata. I suoi uomini se ne accorsero e durante la breve sosta per rammendare i feriti nessuno gli fece domande: si passarono la voce di bocca in bocca, col buon senso di non commentare. Li avrebbe uccisi senza pensarci due volte, proseguendo da solo, e lo sapevano. 

"Dimostra chi è il vero Clegane, non solo sul campo di battaglia." aveva scritto lord Tywin. Gregor continuava a rivivere il momento in cui lord Kevan gli aveva rivelato cosa si celava dietro il criptico messaggio del vecchio leone. La sua autorità non era paragonabile a quella del fratello maggiore, tuttavia era un uomo che conosceva il suo posto e agiva di conseguenza. Solo per questo Gregor lo aveva ascoltato. Se Sandor fosse altrettanto– no, avrebbe comunque desiderato ucciderlo!

Dopotutto aveva schiacciato il suo stesso gemello, privandolo di ogni possibilità di sviluppo. Quando anni dopo la lady sua madre aveva comunicato loro una nuova inaspettata gravidanza, Gunvor aveva espresso con eccitazione la propria preferenza per poi chiedergli la sua. Gregor aveva risposto quello che volevano sentirsi dire: «Non ha importanza dal momento che tutte le figlie per i padri sono principesse e tutti i figli per le madri sono principi. Non è forse così, madre?» Più tardi, sfruttando un momento in cui lady Alicent si era assopita vicino al camino, aveva parlato direttamente alla vita che le crescevano nel ventre mettendo in chiaro le cose. Sandor non gli aveva prestato ascolto ma sua madre sì, perché al risveglio gli aveva strappato la promessa di provare, almeno provare, ad amare il bambino quale che fosse il sesso. E gli Dei sapevano che ci aveva provato…

“Ora il cane bruciato ha una vera principessa, mentre a me volevano rifilare quella ritardata di Lollys Stokeworth!” 

Si fece portare il latte di papavero dallo scudiero foruncoloso, il dolore pulsava nelle tempie e dietro agli occhi così forte che non riusciva nemmeno a ricordarne il nome! Dovette fermarsi, non era in grado di cavalcare in quelle condizioni. Si accamparono per la notte e persino il crepitio del fuoco gli procurava fitte terribili. 

Gregor non aveva ancora trovato una fanciulla in grado di placare il suo animo e lenire i suoi dolorosi attacchi. “Gunvor era l'unica.” La sua amata sorella sapeva come gestirlo, solo le sue mani e la sua voce riuscivano a placare i tamburi di guerra che gli risuonavano in testa e gli facevano venir voglia di spaccare tutto.

Lei non aveva mai avuto paura di lui e a Gregor non aveva mai dato fastidio la sua presenza. A vederla crescere, spontanea e spensierata come un papavero nell'erba alta, temeva il momento in cui avrebbe dovuto separarsi da lei. Eppure, il giorno in cui era partita per Zanna Dorata, era stato così facile metterla su quella carrozza e baciarla distrattamente sulla guancia. L'orgoglio aveva superato qualsiasi sentimentalismo. “Non sarebbe successo se fosse rimasta a casa, con me, al sicuro.”

Ancora oggi si chiedeva perché gli Dei avessero dato una morte inaspettata alla sua preziosa sorellina e invece avessero risparmiato il fratello che disprezzava. Se fosse morto Sandor non sarebbe cambiato niente! Gregor avrebbe reso grande il nome di famiglia sul campo di battaglia mentre sua sorella avrebbe fatto la sua parte, sposando il più ricco pretendente rimasto tanto incantato da dimenticare il suo basso lignaggio. Ma gli Dei erano meschini! Si erano presi Gunvor, sua alleata naturale, e gli avevano lasciato Sandor, peso morto fin troppo vivo per i suoi gusti, sempre pronto a sostituirlo se mai gli fosse successo qualcosa. 

«Ma non aveva detto che, quando l'aria ad Approdo del Re è diventata troppo calda, quel cane rognoso di suo fratello è fuggito con la coda tra le gambe?»
Lo scudiero foruncoloso non era in grado di reggere il vino né di bisbigliare, e in qualsiasi altro momento Gregor lo avrebbe ammazzato. Aveva già Joss Stilwood, a che gli serviva un altro scudiero? Invece di alimentare la sua furia, quelle parole la plasmarono. E il piano iniziò a prendere forma, come una lama sotto i colpi del Fabbro.

«Taci, ragazzo!» intervenne Polliver, mentre lo scudiero si lamentava dello scappellotto ricevuto «Vuoi che la Montagna ti schiacci come un insetto?»

«Lascia che parli.» Si tirò a sedere e tolse il panno dagli occhi, per qualche istante faticò a mettere a fuoco i volti dei suoi uomini. «È vero, mio fratello fugge. L’aveva già fatto quando morì nostro padre, nessuna sorpresa sia fuggito quando il padre del reame aveva più bisogno di lui. Vedremo se fuggirà ancora o difenderà l’onore di sua moglie!»

«Per i Sette Inferi,» sbottò Shitmouth, «credevo che i cavalieri della Guardia–»

«Sandor non è un cavaliere.» gli rammentò Rafford, in tono mellifluo «E chi è la sfortunata lady Clegane?»

“Di lady Clegane c’era solo la buonanima di mia madre… E Gunvor, nessun altra si è dimostrata degna di vestirne i panni.” Parole troppo sentimentali per scavezzacollo e tagliagole. Gregor tornò a sdraiarsi, per stasera era stato fin troppo socievole viste le sue condizioni. «Non sarò certo io a rovinarvi la sorpresa, ragazzi! Alcuni di voi l’hanno vista, al Torneo del Primo Cavaliere… Joss magari se la ricorda, le è passato dritto davanti quando mi ha portato la spada alle semifinali della giostra.»

«Non guardate me, ero troppo impegnato a non rimetterci una mano mentre lui tagliava la testa a quello stupido cavallo!»

Le voci si fecero un brusio di fondo, segno che finalmente il latte di papavero stava facendo effetto. Gregor chiuse gli occhi, concedendosi il meritato riposo: nei giorni successivi avrebbe avuto modo di elaborare al meglio il piano, nell’immediato preferiva dormirci su.

 

Ci vollero meno di dieci giorni per arrivare in vista di Clegane Keep, tutto perché gli ultimi due non si fecero scrupoli di portare i cavalli al limite. Lo stallone nero, a cui non si era curato di dare un nome, stramazzò a metà del ponte elevatoio costringendo Gregor ad attraversare il primo portone a piedi: Caleb era pronto a intervenire per far sì che tanta buona carne non andasse sprecata, insieme a un paio di garzoni trascinarono via la carcassa liberando il passaggio per i suoi uomini.

Non che a Gregor importasse! Teneva gli occhi puntati su Sandor, mentre varcava il secondo portone: si aspettava di trovarlo armato fino ai denti, come suo solito, invece sotto il mantello portava un semplice farsetto e le fibbie in ferro brunito che lo chiudevano parevano cicatrici piuttosto che mastini. Non poté far a meno di sorridere nel vedere che suo fratello si era posizionato vicino al pozzo dove aveva minacciato di gettarlo quando era poco più di una zecca nel ventre della loro povera madre. “Se fossi stato femmina, come ti avevo suggerito, avrei potuto amarti e ora ci stringeremmo in un abbraccio.” O forse no, l’avrebbe odiato comunque, perché non avrebbe retto il confronto con Gunvor.

«Grazie di avermi tenuto in caldo il posto, Sandy,» lo salutò, togliendosi i guanti, «bada però di non metterti troppo comodo.»

Il Mastino si irrigidì, forse si aspettava un altro tipo di sfida. «Non temere, fratello, so perfettamente qual è il mio posto.» gli assicurò. I suoi occhi però racchiudevano il fuoco che lo aveva bruciato, pronti a ricambiare la cortesia alla prima occasione. 

«Non è quello che ho sentito!» Scosse la testa e con la punta della lingua sfiorò la gengiva dove da ragazzo gli avevano estratto un premolare guasto. «Mi è giunta voce che ad Approdo del Re, oltre a quel po’ di faccia che ti resta, hai perso anche il fegato di combattere.»

Le risate inconfondibili dei suoi uomini gli diedero man forte: Eggon, Tobbot e Shitmouth erano i più sguaiati, seguiti da Joss che scambiava gominate complici con l’altro scudiero; quella di Dunsen rimbombava dentro l’elmo da cui ormai era impossibile separarlo; il vecchio Chiswych di tanto in tanto grugniva come un maiale; Polliver e Raff Dolcecuore erano i più contenuti, uno si era fatto carico delle scommesse mentre l’altro non voleva abbassare la guardia solo perché erano in superiorità numerica.

«Tu più di tutti sai che non bisogna prestare ascolto alle voci.» ribatté Sandor, senza lasciarsi intimidire.

A spalleggiare suo fratello invece c’erano tre cavalieri — tra cui riconobbe il mercenario che aveva giostrato per tre volte contro il maestro d’armi della Fortezza Rossa senza esito e l'ultimo discendente di Whoreson con l'inconfondibile corno delle puttane, come lo chiamava suo padre — e naturalmente lord Reginald. “Un altro insulto.” La Montagna aveva combattuto per i Lannister, quelli veri, e loro lo ripagavano col Leone del Porto a cui render conto. Però poteva rivelarsi un utile testimone! “Vedrà chi alzerà la mano per primo. Chi è il codardo e chi il vero Clegane.”

«Sarà… Ma un cane che fugge non merita il nome Clegane,» gli assestò una manata sulla spalla, afferrandolo subito dopo benché suo fratello non avesse vacillato, e si fece più vicino, «né una lady. Ce l’hai il fegato necessario per difendere ciò che ti è stato dato, Sandy? O fuggirai un’altra volta?»

Sandor non rispose ma la contrazione nervosa sul lato sfregiato del suo viso lo tradì. Il sorriso di Gregor si allargò, spietato. Come si aspettava, lord Reginald era troppo molle per mettere bocca nelle loro questioni! Se avesse spinto ancora un po’ entro l’indomani mattina suo fratello sarebbe finalmente morto e tutti sarebbero stati testimoni che era stato il primo a mettere mano alla spada. E la chiave del Nord sarebbe scivolata nelle sue mani.

Una voce richiamò l’attenzione di tutti sul piano nobiliare: con le mani strette come in preghiera, lady Sansa sembrava sul punto di cantare un inno alla Madre piuttosto che rivolgersi a lui. 

«Ser Gregor,» ripeté, dirigendosi verso lo scalone senza staccargli gli occhi di dosso «mi sento così sciocca!» Iniziò a discenderlo, seguita da più dame da compagnia di quante ci si potesse aspettare. Un’autentica visione! Il sole le baciava i lunghi capelli, i riflessi ramati erano messi ancora più in risalto dal vestito damascato viola. Entrambi i fratelli si mossero, ben conoscendo le insidie di quei gradini, mentre lei spavalda affrontava il pericolo sfiorando appena con le dita la ringhiera e con l’altra mano sollevava la gonna per non rischiare di inciampare. «Quando mi hanno detto che era arrivato mio fratello io non– non avevo capito che– Potete perdonarmi, per non essere venuta subito?»

«Lady Sansa, non avete nulla da temere da me!» le rispose, inchinandosi appena, per poi offrirle la mano per scendere gli ultimi gradini. E lei, da brava, la accettò. «Siete parte della mia famiglia ora, e io rispetto le mie sorelle.» Gregor lanciò un’occhiata a Sandor, che teneva i pugni serrati. «Le sorelle vanno protette, non consumate.» 

«Che vi avevo detto, mia signora? L’affetto di ser Gregor nasce lentamente ma, una volta conquistato, è impossibile venga meno. O almeno così sosteneva lady Gunvor.»

Gregor non riconobbe quest'altra voce ma, al sentir nominare con tanta naturalezza quel nome, puntò lo sguardo sulla stolta che sfidava ogni ragionevolezza attirando la sua attenzione. Erano anni che non si vedevano, dal giorno fatidico che era andato a reclamare il corpo di sua sorella, eppure lady Alysanne Lefford era ancora in grado di suscitargli un desiderio oscuro e pericoloso anche mentre covava per lei il più gelido disprezzo. 

«Lady Alysanne, siete l’ultima persona che pensavo di trovare ad attendermi.» dimentico di ogni piano e vuota cortesia cavalleresca, Gregor si fece strada tra le altre dame e si fermò in modo da dare a entrambi l’illusione che fossero alla stessa altezza «Cosa vi porta nella mia umile dimora?»

L’erede di Zanna Dorata scese un altro paio di gradini e sollevò gli occhi su di lui.
«Il motivo della mia visita non è dissimile dal vostro, ser. Desideravo conoscere la nuova lady Clegane,» confessò, abbassando lo sguardo sulla sua armatura priva di ornamenti, «per quanto all’inizio abbia erroneamente pensato che si trattasse della vostra sposa. Sono stata sorpresa e sollevata– più sollevata che altro, nell’apprendere come stavano realmente le cose!» 

«E perché mai?»

Tornò a guardarlo e dischiuse le labbra con studiata lentezza prima di confessare: «Così posso sperare di diventare io la vostra lady Clegane.»

Gregor strinse le labbra e dilatò le narici. Già si vedeva saltarle al collo e piantarle un pugnale nel cuore, e contemporaneamente voleva metterle le mani addosso in tutt'altro modo… Non come alla figlia di quel locandiere, no, non l’avrebbe condivisa coi suoi uomini! Forse però le avrebbe spaccato i denti come alla puttanella di Harrenhal, visto che parlava a sproposito. 

Giustappunto, il suo prolungato silenzio la spinse ad aggiungere: «Siete forse promesso a qualcun–»

«Oh, state zitta, prima di coprire ulteriormente di ridicolo entrambi!» sbottò con voce greve, e quando fu certo di riuscire a controllarsi proseguì «Dovete imparare a dosare le parole, un giorno il nome di vostro padre potrebbe non essere una protezione sufficiente.»

«Meglio aprire la bocca e respirare, che tenerla chiusa e soffocare in silenzio.»

«Avete anche un naso. Vi suggerisco di usarlo!» tagliò corto, superandola.

Lei però non demorse e contro ogni buonsenso lo seguì su per le scale.
«Ora capisco da dove traeva ispirazione Gun–»

«Non vi azzardate a nominare mia sorella.» ringhiò, pentendosi subito di essersi girato. 

Lady Alysanne si ritrasse, rischiando di cadere all’indietro. Gregor fu costretto ad afferrarla e traendola a sé, lei dovette equivocare il suo gesto perché parlò con maggior sicurezza.
«Proprio l’affetto per vostra sorella ha mosso i miei passi! Il dolore che provate per la sua perdita è tanto simile al mio, e sono certa che lei approverebbe la nostra unione.»

«I morti non hanno opinioni e i vivi ne hanno fin troppe.» 

«E quale vi preoccupa di più? L’opinione di mio padre o quella di lord Tywin?»

«Entrambi siamo alfieri dei Lannister ma in misura molto diversa. Non devo certo ricordarvi che la vostra casa, come la loro, fa risalire le proprie origini agli Andali e ai Primi Uomini. Se si spargesse la voce del vostro assurdo desiderio, sarebbe uno scandalo!»

«È un modo di vedere le cose. Provate a vederlo come un modo diverso di servire: con le mie risorse e la vostra forza, la nostra unione renderebbe più solido e temuto il dominio dei Lannister su queste terre.»

«In qualsiasi modo la si guardi, resta un’unione impossibile.»

«Non più di quella tra vostro fratello e lady Sansa.» gli fece notare «Inoltre, se gli Dei vi hanno portato via la sposa adatta per ben due volte, forse vi stanno dicendo di osare di più!»

Anche questo era un modo di vedere le cose. “Chi oserebbe opporsi a noi?” si ritrovò a pensare, ma non c’era nessun noi. Quanto a Sandor, odiava la sola idea di prenderlo come esempio! “Devo attenermi al piano e aspettare.” Aspettare che il Mastino sollevasse la spada, perché il peccato fosse suo e la lama della Montagna portasse giustizia invece di vendetta.

«Vi prego, ser, perdonate la mia insistenza.» riprese lady Alysanne, come se si rendesse conto solo ora della loro vicinanza. «Sarete stanco per il viaggio, non voglio trattenervi oltre!»

Gregor la osservò girargli attorno a passo di danza, ma non il genere che praticano le dame… Di sicuro era stata Gunvor a insegnarle a muoversi così, proprio come lui l’aveva addestrata in segreto perché non si facesse incantare dal primo idiota in grado di eseguire un giro di donna. 

«Avremo modo di riprendere l’argomento a cena, pare che lord Mace Tyrell come regalo di nozze abbia inviato leccornie di ogni tipo…»

“Un altro affronto, come se non potessi permettermi un banchetto!” 

 

Un bagno caldo e vestiti puliti non servirono a calmarlo, la tensione e il nervoso si tradussero in un nuovo attacco: la Montagna, che non temeva spade né lance, era schiacciata da un dolore invisibile e pulsante, come un martello che cercava di spaccargli il cranio dall’interno. Per fortuna aveva istruito i suoi uomini prima di arrivare: Tobbot avrebbe interrogato cameriere e garzoni, Chiswych alla cuoca Bice e Polliver al macellaio Caleb, Eggon invece se la sarebbe vista col mastro del canile Joey e Shitmouth con i garzoni; Dunsen e Rafford si sarebbero intrattenuti con cavalieri e soldati, mentre Joss e compare brufoloso avrebbero fatto sbottonare gli altri scudieri… Continuare ad applicare pressione era l’unica strada, per il successo del piano. E anche per lui, per ottenere un sollievo momentaneo. Gregor aveva appena portato una mano alla fronte quando sentì aprirsi la porta. 

«Sei Joss o– come si chiama? Non importa, dammi il latte di papavero!»

Nessuna risposta. Eppure non era più solo nella stanza e c’era soltanto una persona in grado di muoversi tanto silenziosamente senza che lui la percepisse come una minaccia. Aprì appena un occhio e la trovò lì, di fronte a lui, con la compostezza di chi non teme né re né mostri.

«Septa, hai qualcosa per me?»

«Temo di no, ser.»

Non riuscì ad arrabbiarsi con lei. Era più di una vecchia, era l’incarnazione della memoria: aveva visto nascere crescere e morire sia sua madre che sua sorella, e probabilmente sarebbe sopravvissuta anche a lui e a Sandor.

«Permetti?» domandò, la voce appena udibile per non aumentare la sua sofferenza.

Gregor strinse le labbra e la fissò. Nessuno osava avvicinarsi quando il dolore lo colpiva. “Tranne Gunvor.” No, anche sua madre. Era stata lei a mostrare a sua sorella come massaggiargli la fronte e le tempie con l’ausilio di unguenti dall’odore pungente. Lady Alicent non aveva altro modo di dimostrargli affetto, perché Gregor non si prestava a carezze e abbracci, si lasciava avvicinare solo quando era utile per lui.

«Ragazzo mio, chi credi abbia insegnato a tua madre…»

«Ti sembro un ragazzo?»

«Sempre con quella lingua! Tu e Sandor siete proprio fratelli.»

«Perché, c’erano dubbi a riguardo e non ne sono mai stato informato?»

Septa Dubhe lo zittì. Gregor aveva ucciso per molto meno ma il movimento di quelle mani nodose sembrava davvero aprirgli la fronte, così come la pressione alle tempie diminuiva quando vi ruotava i pollici. Se avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto fingere che fossero altre mani a toccarlo. Per un po’ Gunvor sarebbe stata di nuovo viva… Ma era figlio di suo padre e come lord Irial non cedeva ai sentimentalismi.

«La mia Alicent vi amava entrambi,» mormorò l’anziana, passando a massaggiargli la parte posteriore del collo «Non c’era differenza, né preferenza.»

«Non mentirmi.»

«Non mento, né proteggo.» rispose l’anziana, serenamente, continuando la sua opera. 

Gregor sentiva il dolore attenuarsi ma la furia non era placata, solo compressa.
«Mhm. Allora dimmi, come si sta comportando il mio fratellino?»

«Fa quello che ci si aspetta, è un bravo–»

«Ragazzo, sì. E sua moglie?»

«Da dove iniziare? Lady Sansa si muove con grazia e non alza mai la voce, eppure la sua presenza si fa sentire. All’inizio Bice non la voleva tra i piedi: troppo giovane per meritare ascolto, e poi non una delle vostre mogli aveva mai mostrato interesse per inventari e provviste. Eppure Lady Sansa non si tirò indietro, quale che fosse la ragione non intendeva venir meno ai propri compiti. Non si arrivò a una vera e propria discussione, la cuoca cedette. Ma da quel momento la guarda con occhi diversi. Il mastro del canile, Joey, mi ha raccontato con sorpresa che quando la lady ha voluto vedere la nuova cucciolata, è stata la prima a redarguire le sue dame di non toccare i cuccioli. Non ha nemmeno voluto dare loro dei nomi, li ha soltanto osservati. E Caleb, il macellaio, lo stesso giorno venne a riferirmi che lady Sansa gli aveva fatto tenere da parte ossa ricche di midollo per la madre dei cuccioli. Insomma, sembra stia conquistando tutti!»

“Anche il Mastino?” Una domanda sciocca che avrebbe portato a una risposta inutile.

«Ed è ancora vergine oppure no?»

«Caro ragazzo, e io come faccio a saperlo?»

La septa parlava come una dannata chimera. Gregor si sottrasse al suo tocco ormai superfluo: il dolore adesso era sopportabile.

«Le mura del castello sono spesse ma non possono contenere le urla.» rifletté, studiando il volto rugoso della vecchia «Tutti hanno udito le mie mogli, e ogni volta che ho giaciuto con loro ho dovuto sostituire il materasso di piume.»

«Con l’ultima persino il letto!» gli rammentò. «Ma non eri mai stato ferito.»

«L'assedio di Stannis è solo un ricordo, qualsiasi ferita abbia riportato mio fratello ormai dovrebbe essersi rimarginata.»

Septa Dubhe dissentì e gli raccontò quel che sapeva, molto poco, sull’imboscata e sulla ferita che ancora oggi non permetteva al Mastino di immergersi completamente. Gregor si chiese perché non ne fosse stato informato prima. "Dimostra chi è il vero Clegane, non solo sul campo di battaglia." Cosa si celava davvero dietro le parole di lord Tywin? "Se tuo fratello non è in grado di compiere il suo dovere, spetta a te." Una volta realizzato questo, la rabbia era ormai fredda e la vendetta perfetta, più di quanto Gregor avesse immaginato.

 

Notes:

Mi scuso per il ritardo, speravo di riuscire a rimanere regolare nonostante il periodo di festa ma ahimé non ne sono in grado... con questo capitolo siamo a metà strada, perciò il prossimo arriverà nell'anno nuovo.